PAUL VERLAINE

POESIE III



SAGGEZZA

Alla memoria
DI MIA MADRE
Maggio 1889. P.V.

PREFAZIONE
alla prima edizione


L'autore di questo libro non l'ha pensata sempre come oggi. A lungo ha errato nella corruzione contemporanea, prendendovi la sua parte di colpa e d'ignoranza. In seguito, sventure decisamente meritate l'hanno avvertito, e Dio gli ha fatto la grazia di comprendere l'avvertimento. Si è allora prostrato davanti all'Altare per molto tempo misconosciuto, e oggi adora l'Infinita Bontà e invoca l'Onnipotenza, figlio sottomesso della Chiesa, ultimo per meriti ma pieno di buona volontà.
Il sentimento della sua debolezza e il ricordo delle sue colpe l'hanno guidato nell'elaborazione di quest'opera che è il primo atto pubblico di fede dopo un lungo silenzio letterario; egli spera che non vi si troverà niente di contrario a quella carità che l'autore, ormai cristiano, deve ai peccatori dei quali un tempo ma anche recentemente ha praticato gli odiosi costumi.
Due o tre testi, tuttavia, rompono il silenzio che si era in coscienza imposto a questo proposito, ma si noterà che si riferiscono a fatti di pubblico dominio, ad avvenimenti già allora fin troppo provvidenziali per non vedere nella loro energia una testimonianza necessaria, una confessione sollecitata dall'idea del dovere religioso e di una speranza francese.
L'autore ha pubblicato giovanissimo, una decina e una dozzina d'anni fa, dei versi scettici e tristemente leggeri. Egli osa credere che in questi nuovi versi nessuna dissonanza turberà la delicatezza di un orecchio cattolico: sarebbe questa la sua gloria più cara ed è certo la sua più fiera speranza.

Parigi, 30 luglio 1880.

I



I


Buon cavaliere mascherato che cavalca in silenzio,
la Sventura m'ha trafitto con la lancia il vecchio cuore.

In un solo getto vermiglio ha zampillato il sangue
del vecchio cuore, evaporando sui fiori al sole.

L'ombra mi spense gli occhi, un grido salì alla bocca
e il vecchio cuore morì in un brivido selvaggio.

Allora il cavalier Sventura mi si è avvicinato,
poggiato il piede a terra con la mano mi ha toccato.

Il suo dito guantato di ferro m'entrò nella ferita,
mentre con voce dura egli dichiarava la sua legge.

Ed ecco che al gelido contatto del dito di ferro
mi rinasceva un cuore, un cuore puro e fiero,

ed ecco che, fervente d'un candore divino,
un cuore nuovo e buono mi batté nel petto!

Ed io restavo tremante, ebbro, un po' incredulo,
come un uomo che abbia visioni di Dio.

Ma il buon cavaliere, rimontato in sella,
allontanandosi mi fece un cenno con la testa

e mi gridò (la sento ancora quella voce):
"Prudenza, almeno! Perché va bene una volta sola".

II


Come Sisifo avevo penato
e come Ercole faticato
contro la carne recalcitrante.

Avevo lottato, avevo vibrato
colpi da fendere montagne,
e come Achille duellato.

Feroce amico che mi accompagni,
tu lo sai, coraggio pagano,
se ne abbiam fatte di campagne,

se trascurammo qualcosa
in questa guerra estenuante,
se bene lavorammo!

Ma tutto invano; l'aspra gigantessa
al mio sforzo da ogni lato
opponeva la sua tenace astuzia,

e sempre un vile annidato
nei miei consigli che sa circuire
cedeva le chiavi della città.

Fosse cattiva o buona la mia sorte,
sempre una fazione del mio cuore
apriva la sua porta alla Gorgona.

Sempre il nemico seduttore
sapeva avviluppare in una trappola
perfino la vittoria e l'onore!

Ero il vinto che viene assediato,
pronto a vendere caro il suo sangue
quando, bianca, in veste di neve,

bellissima, con fronte umile e fiera,
una Dama venne su una nuvola
e con un cenno mise la carne in fuga.

In una tempesta sconosciuta
di rabbia e di grida disumane,
straziandosi il seno nudo,

il Mostro riprese la sua via
per boschi pieni di orrendi amori,
e la Signora, giungendo le mani:

"Mio povero combattente che invano
scavi, disse, questo dilemma,
tregua alle vittorie sfortunate!

"Ti giunge un soccorso divino
di cui sono sicura messaggera,
finalmente, per la tua salvezza!"

- "O mia Signora la cui voce cara
incoraggia un ferito ansioso
di veder finire l'atroce guerra,

"voi che parlate in tono così dolce
e mi annunciate una buona sorte,
mia Dama, dunque chi siete?"

- "Io sono nata prima d'ogni causa
e vedrò la fine di tutti
gli effetti, stelle e rose.

"E intanto, buona, su di voi,
uomini deboli e povere donne,
piango e vi trovo folli!

"Piango sulle vostre anime tristi,
ne ho l'amore e la paura,
d'esse e dei loro desideri infami!

"Oh, non è questa la felicità.
Vegliate, l'ha detto Qualcuno che amo,
vegliate, temendo il Seduttore!

"Vegliate, per paura del Giorno supremo!
Chi sono? mi chiedevi.
Il mio nome piega perfino gli angeli,

"io sono il cuore della virtù,
io sono l'anima della saggezza,
il mio nome brucia l'Inferno caparbio,

"io sono la dolcezza che risolleva,
amo tutti e non accuso nessuno,
il mio nome, unico, si chiama promessa,

"io sono il solo ospite opportuno,
e parlo al Re il vero linguaggio
del mattino rosa e della sera oscura,

"io sono la preghiera, ed il mio pegno
è il tuo vizio che vinto si allontana.
La mia condizione: "Tu, sii saggio"."

- "Sì, mia Signora, ne siate testimone!"










III


Che dici, viaggiatore, di paesi e stazioni?
Ne hai colto almeno il tedio, che è maturo,
tu che stai fumando sigari puzzolenti,
nero, proiettando sul muro un'ombra assurda?

Anche i tuoi occhi son morti dopo le avventure,
la tua smorfia è la stessa ed è uguale il dolore:
così la luna vista tra le alberature,
così il vecchio mare sotto il primo sole,

così l'antico cimitero dalle tombe sempre nuove!
Ma su, ora narraci i racconti divinati,
quelle delusioni piangenti lungo i fiumi,
quei disgusti come tanti stupidi neonati,

e quelle donne! Parla del gas e dell'orrore identico,
sempre, del male, del brutto su ogni tuo cammino,
e parla dell'Amore e anche della Politica
che han sangue disonorato d'inchiostro sulle mani.

E soprattutto non dimenticare te stesso,
a trascinare la tua debolezza e la tua semplicità,
ovunque si lotti e ovunque si ami,
in un mondo così triste e folle, in verità!

È stata punita assai questa greve innocenza?
Che ne dici? L'uomo è duro, ma la donna? E i tuoi pianti,
chi li ha bevuti? E quale anima, contandole,
consola quelle che posson dirsi le tue sventure?

Ah, gli altri, ah tu stesso! Credulo a chi ti adula,
tu che sognavi (anche ciò era eccessivo)
non so quale morte leggera e delicata!
Ah, tu, specie d'angelo con un voto intirizzito!

Ma ora i piani, le mete? Sei ancora in forze
o l'aver tanto pianto ti ha sfibrato il cuore?
L'albero è tenero a giudicarlo dalla corteccia
e il tuo aspetto non è di gran vincitore.

Così maldestro ancora! con l'aggravante d'essere
ora una specie d'idilliaco intorpidito
che scruta il cielo scialbo dalla finestra
aperta agli occhi scaltri del démone meridiano.

Sempre uguale in quest'estrema decadenza!
E sia! - Ma al tuo posto un uomo di buon senso,
pagando i violini, vorrebbe condurre la danza,
a rischio di allarmare un po' i passanti.

Non hai, frugando nei recessi dell'anima,
un bel vizio da esibire come una spada al sole,
qualche vizio gioioso, sfrontato, che s'infiammi
e vibri, e rosso dardeggi in fronte al cielo vermiglio?

Uno o molti? Se sì, tanto meglio! E parti subito
in guerra, e colpisci di stocco e di taglio, senza scelta
soprattutto, e metti la maschera indolente che ripara
l'odio insoddisfatto e al tempo stesso sazio...

Non bisogna esser gonzi in questo mondo pazzo
dove la felicità non ha niente di squisito e d'attraente
se non vi guizza un che di perverso e immondo
e per non esser gonzi bisogna esser malvagi.

- Saggezza umana, ah! ad altre cose guardo,
e di quel passato di cui la tua voce narrava
la noia, per averne consigli ancor più tetri,
ricordo solo il male che ho compiuto.

In tutti i movimenti bizzarri della mia vita,
delle mie "sventure", secondo il tempo e il luogo,
degli altri e di me stesso, della via seguita,
nient'altro mi rimane che la grazia di Dio.

Se mi sento punito, è perché devo esserlo:
né l'uomo né la donna c'entrano affatto.
Ma ho la ferma speranza di poter conoscere un giorno
il perdono e la pace promessi a ogni Cristiano.

È bene non esser gonzi in questo mondo effimero,
ma per non esserlo nell'eternità
ciò che deve a ogni costo regnare e rimanere
non è la cattiveria, ma la bontà.

IV


Sciagurato! Tutti i doni: la gloria del battesimo,
la tua infanzia cristiana, una madre che t'ama,
la forza e la salute come il pane e l'acqua,
un avvenire, infine, descritto nel quadro
d'un passato più chiaro del gioco delle maree,
tutto tu sperperi, e perdi in vili smorfie
gli ultimi poteri del tuo spirito, ahimé!
La maledizione di non essere mai stanco
segue i tuoi passi nel mondo il cui orizzonte t'attira,
figliol prodigo dai gesti di satiro!
Nessun avvertimento, doloroso o beffardo,
prevale sullo slancio funesto del tuo cuore.
Tu bighelloni tra il pericolo e il ridicolo,
con l'audacia irresponsabile di un Ercole
dalle fatiche folli, inevitabilmente.
L'amicizia - diamine! - ha taciuto il suo rimprovero clemente,
e casta, senza altra speranza che quella suprema,
viene a pregare, come al letto d'un morente che bestemmi.
La patria dimenticata è dura all'orribile figlio
e il mondo, intorno, innalza le sue trappole
dove il tuo istinto malvagio si spossa invano.
Ora devi passare davanti alle porte
affrettando il passo per paura che sciolgano il cane,
e se non senti ridere è già tanto.
Sciagurato, tu Francese, tu Cristiano, che peccato!
Ma tu vai, col pensiero oscurato dall'immagine
d'una felicità che vuoi immediata, essendo
ateo (come la folla) e ansioso dell'attimo,
tutto appetito tra appetiti feroci,
preso dall'odierna futilità, parole, nozze
e festini, la "Scienza", e lo "spirito di Parigi",
vai magnificando ciò di cui muori,
imbecille! negando il sole che t'accieca!
Tutta l'ottusità dei tempi pascola e mugghia
nel tuo cervello, come gregge in un prato,
e i vizi di tutti hanno migrato
nel tuo sangue il cui ferro fiacco intristisce.
Non sei più buono a nulla di decente, la tua parola
è morta nel gergo e nel sogghigno
a furia di ripetere le chiacchiere del momento.
La tua memoria, satura di tante oscenità,
non sa più accogliere la più piccola idea
e sguazza nell'egoismo dominante
in cerca di chissà quale infimo nulla!
Solo, tra le odiate macerie del tuo disastro,
l'Orgoglio che infiamma la fronte del poetastro
e dona al criminale un odioso prestigio,
solo, l'Orgoglio è vivo, e ti danza negli occhi,
guarda la Colpa e ride d'esserne compiaciuto.

- Dio degli umili, salvate questo figlio dell'ira!

V


Bellezza delle donne, loro debolezza, e quelle mani pallide
che spesso fanno il bene e tutto il male possono,
e quegli occhi in cui niente più resta d'animale
se non per dire "basta" ai furori maschili!

E sempre, materna sopitrice degli affanni,
anche quando mente, quella voce! Mattutino
richiamo, o canto dolcissimo al vespro, o fresco segnale,
o bel singhiozzo che muore nelle pieghe degli scialli!...

Uomini duri! Vita atroce e laida di quaggiù!
Ah, che almeno, lontano dai baci e dalle lotte,
qualcosa resti un po' sulla montagna,

qualcosa del cuore infantile e sottile,
bontà, rispetto! E infatti: che cosa ci accompagna,
e veramente, quando verrà la morte, cosa resta?

VI


O voi, come chi zoppica lontano, Affanni e Gioie,
tu, cuore sanguinante di ieri che oggi fiammeggi,
è proprio vero che è finita, che tutto è fuggito
dai nostri sensi, le ombre quanto le prede.

Vecchie felicità, vecchie sventure, come una fila d'oche
sulla via polverosa dove i piedi rifulsero,
buon viaggio! E il Riso e, più vecchia di lui,
tu, Tristezza, annegata nel vecchio nero che frantumi!

E il resto! - Un dolce vuoto, una grande rinuncia,
dentro di noi qualcuno che sente la pace immensamente,
un candore d'una freschezza deliziosa...

Ed ecco! il nostro cuore che nell'orgoglio sanguinava,
fiammeggia nell'amore e fa buona accoglienza
alla vita, per propiziarsi una morte preziosa!

VII


Brillarono tutto il giorno i falsi bei giorni, povera anima mia,
ed eccoli vibrare nei bagliori di rame del tramonto.
Chiudi gli occhi, povera anima, e rientra in te:
tentazione tremenda. Fuggi l'Infame.

Tutto il giorno han brillato in grandine di fuoco,
flagellando sui colli ogni raccolto, piegando
nella valle ogni messe e devastando
il cielo tutto blu, il cielo canoro che ti chiama.

Oh, impallidisci e vattene, lenta, a mani giunte.
Se questi ieri divorassero i nostri bei domani?
Se la vecchia follia fosse ancora in cammino?

Questi ricordi, bisogna ucciderli di nuovo?
Un assalto furioso, senza dubbio il supremo!
Oh, va' a pregare contro la tempesta, va' a pregare.

VIII


La vita umile dai lavori noiosi e facili
è opera eletta che esige molto amore.
Restare lieto quando tristi si seguono i giorni,
essere forte e consumarsi in circostanze vili,

udire, ascoltare, tra i rumori delle grandi città,
solo il richiamo, mio Dio, delle campane,
e diventar tu stesso uno di quei suoni
nel vile adempimento di compiti puerili,

dormire da penitente accanto ai peccatori,
amar solo il silenzio eppure conversare;
il tempo così lungo nella pazienza grande,

l'ingenuo scrupolo dei pentimenti caparbi,
e quante cose intorno a povere virtù!
- Ecco, dice l'Angelo custode, l'orgoglio che mercanteggia!

IX


Saggezza di un Louis Racine, io t'invidio!
Oh, non aver seguito le lezioni di Rollin,
non esser nato nel gran secolo al suo declino,
quando il bel sole al tramonto dorava la vita,

e la Maintenon proiettava sulla Francia estasiata
l'ombra dolce e la pace delle sue cuffie di lino
e, regale, dava asilo all'orfano e alla vedova,
quando lo studio della preghiera era seguito,

quando poeta e dottore, con semplice schiettezza
si comunicavano con fervore di novizi,
umili servivano la Messa e cantavano alle funzioni

e, giunta la primavera, si curavano deliziosamente
di andare a Auteuil a cogliere lillà e rose
lodando Dio, come Garo, per ogni cosa!

X


No. Fu gallicano quel secolo, e giansenista!
È verso il Medioevo enorme e delicato
che il mio guasto cuore dovrebbe navigare
lontano dai nostri giorni di spirito carnale e carne triste.

Re, politico, monaco, artigiano, chimico,
architetto, soldato, medico, avvocato,
che tempi! Sì, potesse il mio naufrago cuore risalpare
per tutta quella forza ardente, duttile, artista!

E là prendere parte - una qualunque, presso i re
o altrove, non importa - alla cosa vitale,
e fossi un santo, buone azioni, pensieri retti,

alta teologia e solida morale,
guidato dall'unica follia della Croce,
sulle tue ali di pietra, o folle Cattedrale!

XI


Piccoli amici che sapeste dimostrarci
con A più B che due e due fa quattro,
ma che voleste poi perfezionare
una vittoria in cui lasciarsi battere,

e di colpo coronare le vostre conquiste
con uno schiaffo alla memoria umana:
"Dio non ci ha rivelato un bel nulla,
per questo noi diciamo ch'egli altri non è

"che l'ombra vana, il profilo, il prolungamento,
sui tanti muri che la paura erige,
del vostro puro e semplice movimento,
e noi dettiamo questa filosofia!".

- Fratelli troppo cari, lasciateci un po' ridere,
noi, i fautori ferventi di una logica rancida,
che giustamente solo in Dio abbiamo fede
e nella Speranza riponiamo le nostre speranze,

lasciateci un po' ridere, e anche piangere,
piangere su di voi, ridere della vecchia bestemmia,
ridere del vecchio Satana così stupido,
piangere su quell'Adamo alquanto gonzo!

Fratelli di noi che paghiamo il vostro orgoglio,
tutti figli dello stesso Amore, ah! la scienza,
andiamo dunque, andate dunque, è la nostra bara
ingenua o no, è la nostra diffidenza

o la nostra fiducia nei soli Racconti,
è il nostro orecchio tutto spalancato
o tristemente chiuso alla Parola precisa!
Abbandonate, fratelli, la scienza ingorda

che vuol rubare sugli alberi proibiti
il frutto insanguinato che non è da conoscere.
Lasciate il suo braccio che vi destina
a inferni che Dio non fece nascere,

ma che sono l'opera orrenda del peccato,
perché noi, i figli attenti della Storia,
rispettiamo l'onore immacolato
della Tradizione, supplizio e gloria!

Siamo sicuri degli Avi che ci dicono
d'aver visto Dio sotto questa o quella forma,
e predicono per i crimini di oggi
la pena immensa o il perdono enorme.

Poiché avevano visto Dio sempre presente,
poiché non mentivano, poiché i nostri crimini
sono spaventosi, poiché la vostra vista è corta
e poiché esistono pentimenti sublimi,

essi hanno detto tutto. Sapere il resto è bene:
che due e due faccia quattro, d'accordo!
Nullità innocenti, ma nullità meno che nulla,
poiché l'ultima ora è lì e sorveglia

tutt'altra cura umana in verità!
Badate che il troppo cercare non vi seduca
lontani da una saggia e forte umiltà...
Il solo che sa, è ancora Mosè!

XII


Eccovi dunque promossi, piccoli amici,
dal tempo della mia prima lettera,
promossi, dicevo, alle fiere funzioni promesse
alla vostra tesi, in questi giorni luminosi.

Eccovi re di Francia! Ora tocca a voi!
(re in molti di una Francia posticcia,
ma re di fatto e non senza qualche amore
per un trono greve con un ricco bilancio).

All'opera, piccoli amici! Abbiamo il diritto
di vedervici, pagando di tasca nostra,
e di essere alquanto contenti per la vostra
condizione senza macchia né paura.

Senza paura? Del padrone? Oh, il padrone, è
l'Ignorante-cifra e il Suffragio-numero,
totale, il popolo, un "asino" forte che "s'è
impennato" per voi, speranza chiara e poi buia,

impennato come una capra, cabrato,
e il vostro braccio, insanguinato fino all'ascella,
si sforza invano: forte come Behemot,
il mostro tira... e tale è la vostra paura

che l'asino raglia, ed ecco è partito
dopo avervi cacciato a morsi e calci
in forma di rimprovero sentito...
Corretegli dietro, sfregandovi le malate reni!

O Popolo, noi ti amiamo immensamente:
non sei tu dunque la povera anima ignorante
in preda a tutto ciò che sa e che mente?
Non sei tu dunque l'immensità che soffre?

La carità ci fa cercare i tuoi mali,
la fede ci guida attraverso le tue tenebre.
Ti hanno reso simile agli animali,
meno il loro candore, e pieno di istinti funebri.

L'orgoglio ti travolse in quell'ottantanove,
Nabucodonosr, e ti fa pascolare,
asino testardo, montone cocciuto, duro bue,
che bruchi potere, famiglia, soldato, prete!

O contadino esausto sui tuoi solchi,
smunto operaio che la macchina spezza,
sacre membra di Gesù Cristo, su!
rialzatevi, onorate la vostra schiena,

amate come si deve le vostre braccia forti;
i vostri piedi vigorosi sono i più belli del mondo,
rispettateli, fuggite queste vie tortuose,
chiudete l'orecchio a questo immondo consiglio,

tornate ad essere i Francesi d'un tempo,
figli della Chiesa, e degni dei vostri padri!
Oh, sapessero chi c'è sopra i vostri stendardi,
le loro ossa nei cimiteri suderebbero di vergogna.

- Voi, nostri tiranni minuscoli d'un giorno,
(l'enormità degli atti rende i prìncipi,
soprattutto se di stirpe impura, e malgrado la corte
e lo splendore e il fasto, ancora più minuti),

lasciate il regno e rientrate nei ranghi.
Ormai l'ora è vicina: la tormenta
sta per lasciarvi in ozio, e tutto bianco
l'avvenire sventola col suo splendido fiore

sull'assurda Bastiglia in cui tenevate
la Francia ai ferri d'una bestemmia e d'uno scisma,
e la cronaca - in clementi scene da Téniers -
già vi descrive mentre andate al catechismo.

XIII


Principe morto soldato per la causa di Francia,
anima certo eletta,
giovane fiero e puro caduto pieno di speranza,
io ti amo e ti saluto!

Questo mondo è così malvagio, la nostra povera patria
è sotto tali tenebre,
vascello alla deriva il cui equipaggio grida
con funeree voci,

questo secolo è un tal tragico cielo in cui i naufragi
sembrano scritti da tempo...
La mia giovinezza, educata a dottrine selvagge,
detestò la tua infanzia,

e più tardi, cuore pirata attratto dalle uniche coste
dove nasce la rivolta,
la mia età d'uomo, nera di tempeste e colpe,
aborriva la tua giovinezza.

Ora amo Dio il cui amore e il fulmine
mi hanno fatto un'anima nuova,
e ora che il mio orgoglio ridotto in polvere,
umile, accetta la prova,

ammiro il tuo destino, e adoro, in lacrime
per il pianto di tua madre,
Dio che ti fece morire, bel principe, in armi,
come un eroe di Omero.

E dico, pur riservando il mio voto supremo
al figlio di Luigi XVI:
Napoleone, che del diadema fosti degno,
gloria alla tua morte francese!

E pregate per noi, per questa Francia antica,
oggi davvero "Sire",
Dio che v'incoronò, sulla terra pagana,
buon cristiano, con il martirio!

XIV


Presto ritornerete, con le braccia colme di perdoni
secondo la vostra usanza,
o Padri eccellenti che oggi noi perdiamo
per colmo d'amarezza.

Ritornerete, vegliardi squisiti, con l'onore,
col Fiore amato,
e che pianti di gioia, e grida felici
nella patria intera!

Ritornerete, dopo questi esilî gloriosi,
dopo messi di anime,
dopo aver pregato per costoro, anche se fossero
ancora più infami,

dopo aver coperto le isole e il mare
con la vostra ombra così dolce
e allietato il cielo e costernato l'inferno,
benedetto chi vi respinge,

benedettto chi vi spoglia gridando libertà,
benedetto l'empio in armi,
e il fanciullo che vi toglie dalle braccia, - e riscattati
i nostri crimini con le vostre lacrime!

Proscritti dai giorni, vincitori dei tempi, non addio,
voi siete la speranza.
A presto, Padri santi, che per noi otterrete da Dio
la salvezza della Francia!

XV


Si offende solo Dio, che solo perdona.
Ma
si rattrista il fratello, lo si affligge e ferisce,
si fa tuonare il suo odio o piangere la sua debolezza,
ed è un crimine orrendo che sconvolge la pace
dei semplici, e dà al mondo il suo pasto:
scandali, cuori perduti, volgarità, risate grevi.

Più spesso, per un effetto della natura
delle cose, questo peccato trova il suo castigo
anche quaggiù, feroce e lungo, di solito.
Ma l'Amore onnipotente dona alla creatura
il senso della sventura che porta al pentimento
per una lenta strada, impervia ma sicura.

Allora un grande desiderio, unico, investe
il penitente dopo i primi allarmi:
umiliare la sua fronte davanti alle lacrime
di poco prima, senza niente che possa smorzare
il colpo vibrato all'orgoglio, e deporre le armi
come un soldato vinto, - triste, in buona fede.

Sorella mia, che m'avete punito, perdonatemi!

XVI


Ascoltate la canzone dolce
che piange solo per piacervi.
È discreta, è leggera:
fremito d'acqua sul muschio!

La voce vi fu nota (e cara?)
ma ora è velata
come vedova desolata,
ma ancora altrettanto fiera,

e nelle lunghe pieghe del suo velo
che palpita alle brezze d'autunno,
nasconde e mostra all'incredulo cuore
la verità come una stella.

Dice, la voce riconosciuta,
che la bontà è la vostra vita,
che dell'odio e dell'invidia
non resta niente, dopo la morte.

E parla anche della gloria
d'essere semplici senza aspettative,
e delle nozze d'oro e della tenera
felicità d'una pace senza vittoria.

Accogliete la voce che insiste
nel suo ingenuo epitalamio.
Su! niente è meglio per l'anima
che render meno triste un'altra anima!

È in pena e di passaggio
l'anima che soffre senza collera,
e come è chiara la sua morale!...
Ascoltate la canzone saggia.

XVII


Le care mani che furono mie,
così piccole, così belle,
dopo gli equivoci mortali
e tutte quelle cose pagane,

dopo le rade e i greti,
e i paesi e le province,
più regali che al tempo dei prìncipi,
le care mani mi aprono i sogni.

Mani in sogno, mani sulla mia anima,
so forse io cosa vi degnaste,
tra tante voci scellerate,
di dire a quest'anima che langue?

Forse mente la mia visione casta
di affinità spirituale,
di materna complicità,
di affetto angusto e vasto?

Rimorso tanto caro, ottima pena,
sogni benedetti, mani consacrate,
oh! mani, mani venerate,
fatelo il gesto che perdona!

XVIII


E ho rivisto il bambino unico: m'è parso
che nel mio cuore s'aprisse l'ultima ferita,
quella il cui dolore più squisito m'assicura
una morte desiderabile in un giorno consolato.

La buona freccia aguzza e la sua freschezza che dura!
in questi istanti eletti hanno svegliato
i sogni un po' grevi dello scrupolo annoiato,
e tutto il mio sangue cristiano cantò la pura Canzone!

Odo ancora, ancora vedo! Legge del dovere
così dolce! So ormai cos'è udire e vedere,
odo, vedo sempre! Voce dei buoni pensieri!

Innocenza, avvenire! Saggio e silenzioso,
quanto vi amerò, voi che ho stretto un istante,
belle piccole mani che ci chiuderete gli occhi!

XIX


Voce dell'Orgoglio: un grido possente come di corno,
stelle di sangue su corazze d'oro.
Si vacilla tra calori d'incendio...
ma la voce se ne va, come da un corno.

Voce dell'Odio: campana in mare, falsa, attutita
da lenta neve. Fa così freddo! Greve, insulsa,
la vita ha paura, corre folle sull'argine
lontana dalla campana sempre più attutita.

Voce della Carne: un gran baccano stanco.
Gente ha bevuto. Il luogo sembra lieto.
Occhi, nomi, e l'aria piena di profumi atroci
dove viene a morire il gran baccano stanco.

Voci altrui: lontananze nelle nebbie. Nozze
vanno e vengono. Tante difficoltà. Affari,
e tutto il circo delle civiltà
al suono saltellante del violino delle nozze.

Ire, sospiri neri, rimpianti, tentazioni,
che bisognava udire
per assordare i silenzi onesti,
ire, sospiri neri, rimpianti, tentazioni,

ah! voci, morite dunque, moribonde che siete,
sentenze, parole vane, metafore mal fatte,
tutta la retorica in fuga dei peccati,
ah! voci, morite dunque, moribonde che siete!

Non siamo più quelli che avreste cercato.
Morite a noi, morite agli umili voti nascosti
che nutre la dolcezza della Parola forte,
perché il nostro cuore non è più di quelli che cercate!

Morite nella voce che la Preghiera innalza
al cielo, di cui essa sola apre e chiude la porta
e di cui essa terrà i sigilli nell'ultimo giorno,
morite nella voce che la Preghiera apporta,

morite nella voce terribile dell'Amore!

XX


Il nemico si maschera da Noia
e mi dice: "E perché mai, povero sciocco?".
Io passo e mi burlo di lui.
Il nemico prende l'aspetto della Carne
e mi dice: "Bah, alza una gonna!".
Eludo l'amaro consiglio.

Il nemico si trasforma in un Angelo
di luce e dice: "Cos'è mai il tuo sforzo
in confronto ai tributi di lode
e di Fede dovuti al Padre celeste?
Giunge il tuo amore fino alla morte?".
Rispondo: "Mi resta la Speranza".

Poiché è un vecchio logico,
ha fatto presto a ridurmi
a non voler più replicare:
ma sapendo chi è, spaventato
di non sentire più splendere i mondi,
pregherò per un po' di umiltà.

XXI


Va' per la tua via senza più inquietarti!
La strada è dritta, e hai solo da salire,
portando altrove il solo tesoro che vale,
e l'unica arma in caso di battaglia:
la povertà di spirito e Dio per te.

Soprattutto devi serbare intera la speranza.
Che importa un po' di notte e sofferenza?
La strada è buona e la meta è la morte.
Sì, soprattutto serba intera la speranza:
laggiù la morte ti prepara un letto di gioia.

E fatti dolce di tutta la dolcezza.
La vita è brutta, ma è sempre tua sorella.
Semplice, sali la costa e intanto canta,
ad evitare la prudenza maligna
la cui voce bassa tenta la tua fede.

Semplice come un bambino, sali la china,
umile peccatore che odia il peccato,
canta, e intanto sii lieto, per sfidare
la noia che il nemico può inviarti
affinché ti addormenti sulla via.

Ridi della vecchia Insidia e del vecchio Seduttore,
poiché la Pace è là, sopra l'altura,
splendente tra fanfare di gloria.
Sali, estasiato, nella notte bianca e nera.
Già l'Angelo custode stende su di te

gioiosamente ali di vittoria.

XXII


Perché triste, anima mia,
triste da morire,
quando lo sforzo t'impegna,
quando lo sforzo supremo
ti reclama?

Ah! le tue mani che torci
vanamente,
le tue labbra che mordi
e il loro vile silenzio,
e i tuoi occhi che sono morti!

Non hai la speranza
della fedeltà
e, per maggiore fiducia
nella sicurezza,
non hai la sofferenza?

Ma scaccia il sonno
e il sogno che piange.
È giorno, il sole splende!
Vedi, è passata l'ora:
il cielo sussurra vermiglio,

e la luce cruda
tagliando con una linea nera
ogni cosa apparsa
ti mostra il Dovere
e la sua burbera forma.

Va' verso di lui prontamente,
vedrai scomparire
ogni aspetto inclemente
del suo modo d'essere,
con la lontananza.

È il depositario
che ti custodisce un tesoro
d'amore e di mistero,
più prezioso dell'oro,
più sicuro d'ogni bene terreno,

i beni che non si vedono,
ogni gioia inaudita,
la vostra pace, sante battaglie,
l'estasi in fiore
e l'oblìo di quaggiù,

e l'oblìo di quaggiù!

XXIII


Figlio delle grandi città
e delle rivolte servili,
là tutto ho cercato, trovato,
di ogni brama sognato...
Ma poiché nulla ne resta,

ho dato un addio leggero
a tutto ciò che possa cambiare,
al piacere, alla stessa felicità,
e perfino a tutto ciò che amo
tranne che a voi, mio dolce Signore!

La Croce mi ha preso sulle sue ali
e mi trasporta nei fervori migliori,
silenzio, espiazione
e l'aspra vocazione
per la virtù che ignora se stessa.

Dolce, cara Umiltà,
irrora la mia carità,
immergila nelle tue acque vive,
o cuore mio, che tu viva soltanto
per una buona morte!

XXIV


L'anima antica era rude e vana
e nel dolore vedeva soltanto
l'asprezza della pena
o lo stupore della sciagura.

L'arte, la sua figura più chiara,
traduce questo doppio sentimento
con due grandi tipi di Madre
in preda al supremo tormento.

È la vecchia regina di Troia:
tutti i suoi figli uccisi dalla spada.
Allora il suo lutto brutale latra
e mugola sulla riva del mare.

E lei corre lungo la spiaggia,
sbavando alla schiuma dei flutti,
irsuta, stridula, selvaggia,
proprio come una cagna!...

Ed è Niobe che si sgomenta
e osserva con occhi fissi
sulle lastre di pietre rare
i suoi figli uccisi dagli dèi.

Il respiro le muore sulla bocca
ed ella spira in un gesto folle.
Più nient'altro che un fiero marmo
là trasportato nessuno sa da dove!...

Il dolore cristiano è immenso,
e come il cuore umano
soffre, poi riflette,
e calmo prosegue il suo cammino.

Ed è in piedi sul Calvario
in lacrime ma senza un grido.
È anch'essa una Madre,
ma quale Madre di quale Figlio!

E partecipa al Supplizio
che salva ogni nazione
addolcendo il sacrificio
con la sua grande compassione.

E poiché tutti sono figli Suoi,
sul mondo e il suo languore
scorre tutta la Carità
dalle sette Ferite del suo cuore!

Quando sarà il momento, per la gloria
dei cieli finalmente spalancati,
quelli che seppero e poterono credere,
buoni e dolci, tranne che nel Perverso,

costoro verso la gioia infinita
sulla collina di Sion
saliranno, con ala benedetta,
tra le pieghe della sua assunzione.

II



I


Oh, mio Dio, m'avete ferito d'amore
e la ferita è ancora vibrante,
oh, mio Dio, m'avete ferito d'amore.

Oh, mio Dio, il timore di voi mi ha colpito
e ancora tuona la bruciatura,
oh, mio Dio, il timore di voi mi ha colpito.

Oh, mio Dio, ho imparato che tutto è vile
e la vostra gloria s'è insediata in me,
oh, mio Dio, ho imparato che tutto è vile.

Annegate la mia anima nei flutti del vostro Vino,
fondete la mia vita nel Pane della vostra mensa,
annegate la mia anima nei flutti del vostro Vino.

Ecco il mio sangue che non ho versato,
ecco la mia carne indegna di sofferenza,
ecco il mio sangue che non ho versato.

Ecco la mia fronte che poté solo arrossire,
come sgabello dei vostri piedi adorabili,
ecco la mia fronte che poté solo arrossire.

Ecco le mie mani che non hanno lavorato,
per i carboni ardenti e l'incenso raro,
ecco le mie mani che non hanno lavorato.

Ecco il mio cuore che ha battuto invano,
per palpitare tra i rovi del Calvario,
ecco il mio cuore che ha battuto invano.

Ecco i miei piedi, frivoli viaggiatori,
per accorrere al grido della vostra grazia,
ecco i miei piedi, frivoli viaggiatori.

Ecco la mia voce, rumore tetro e bugiardo,
per i rimproveri della Penitenza,
ecco la mia voce, rumore tetro e bugiardo.

Ecco i miei occhi, fari d'errore,
per esser spenti nei pianti della preghiera,
ecco i miei occhi, fari d'errore.

Ahimè! Voi, Dio d'offerta e di perdono,
qual è il pozzo della mia ingratitudine,
ahimè! Voi, Dio d'offerta e di perdono,

Dio di terrore e Dio di santità,
ahimè! il nero abisso del mio crimine,
Dio di terrore e Dio di santità,

Voi, Dio di pace, di gioia e di felicità,
tutte le mie paure, tutte le mie ignoranze,
Voi, Dio di pace, di gioia e di felicità,

Voi lo sapete tutto questo, tutto questo,
e che io sono più povero di chiunque,
voi lo sapete tutto questo, tutto questo,

ma ciò che ho, mio Dio, io ve lo dono.

II


Non voglio amare altro che mia madre Maria.
Tutti gli altri amori sono comandati.
In tutta la loro necessità, mia madre soltanto
potrà suscitarli nel cuore di chi l'ha amata.

È per Lei che devo amare i miei nemici,
è per Lei che ho fatto voto di questo sacrificio;
e la dolcezza di cuore e lo zelo nel servizio,
a me che la pregavo li ha concessi.

E poiché ero debole e ancora malvagio,
mani vili, occhi abbacinati dalle strade,
Lei mi abbassò lo sguardo e mi unì le mani,
e m'insegnò le parole con le quali si adora.

È per Lei che ho voluto siffatti dolori,
è per Lei che ho il cuore nelle Cinque Piaghe,
e tutti i miei buoni sforzi verso le croci e i cilici,
poiché io l'invocavo Lei me ne cinse i fianchi.

Voglio pensare solo a mia madre Maria,
sede della Saggezza e fonte dei perdoni,
ed anche madre di Francia da cui attendiamo
incrollabilmente l'onore della patria.

Maria Immacolata, amore essenziale,
logica della fede cordiale e vivace,
amandovi che cosa di buono non farei,
del solo amore amandovi, Porta del cielo?

III


Voi siete calmo, volete un voto discreto,
segreti a mezzavoce nell'ombra e nel silenzio,
il cuore che si effonde più che slanciarsi,
e quei timidi, meno impauriti di quanto sembri.

Voi accogliete con gesto squisito i pensieri
che procedono ordinati col minimo rumore.
La vostra mano, sempre pronta al frutto che cade,
è paziente con l'albero ed evita di scuoterlo.

E se l'immenso amore dei vostri comandamenti
abbraccia e stringe tutti nella sua cura,
i vostri consigli ai migliori dettano e lo studio
e il lavoro dei più umili raccoglimenti.

Il peccatore, se pretende di conoscervi e piacervi,
voi che amandoci tanto parlate tanto poco,
deve e può, in ogni momento e in ogni luogo,
compiere oscuramente il proprio dovere e tacere,

tacere per il mondo, un vero senato di pazzi,
tacere sugli altri, anime preziose,
perché il nostro tacere vi piace, anche nelle ore pie,
anche nella morte, ma non davanti al prete e a voi.

Date loro il silenzio e l'amore del mistero,
o Dio glorificatore del bene compiuto in segreto,
a quei timidi meno impauriti di quanto sembri,
e l'orrore, e la piega delle cose terrene,

date loro, o mio Dio, la rassegnazione,
ogni forte dolcezza, l'ordine e l'intelligenza,
affinché nel giorno supremo ottengano l'indulgenza
dell'Agnello formidabile nella nuova Sion,

e così possano dire: "Sapemmo almeno credere"
e l'Agnello terribile, dopo aver tutto valutato,
risponda loro: "Venite, avete meritato,
pacifici, la mia pace, e nel dolore la mia gloria".

IV


I

Il mio Dio m'ha detto; Figlio, tu devi amarmi. Vedi
il mio fianco trafitto, il cuore che splende e sanguina
e i piedi offesi che Maddalena bagna
di lacrime, e le braccia doloranti sotto il peso

dei tuoi peccati, e le mani! E vedi la croce,
vedi i chiodi, il fiele, la spugna, e tutto t'insegna
a non amare altro, in questo mondo amaro dove regna
la carne, che la mia Carne e il mio Sangue, la mia parola e la mia voce.
Non t'ho amato io stesso fino alla morte
o fratello in mio Padre, figlio mio nello Spirito,
non ho forse sofferto, com'era scritto?

Non ho io singhiozzato la tua angoscia suprema
e non ho io sudato il sudore delle tue notti,
lamentevole amico che dove sono mi cerchi?

II

Ho risposto: Signore, parlate della mia anima.
È vero che vi cerco e non vi trovo.
Ma amarvi! Vedete come io sono in basso,
voi il cui amore sale sempre come fiamma.
Voi, la sorgente di pace che ogni sete invoca,
ahimè! date uno sguardo alle mie tristi lotte!
Oserei io adorare la traccia dei vostri passi,
su questi ginocchi sanguinanti d'uno strisciare infame?

E tuttavia vi cerco, a lungo brancolando,
vorrei che la vostra ombra vestisse almeno la mia onta,
ma non avete ombra, o voi il cui amore sale,

o voi, calma fontana, amara ai soli amanti
della propria dannazione, oh voi, tutto luce
meno che agli occhi la cui palpebra chiude un greve bacio!

III

- Bisogna amarmi! Io sono il Bacio universale,
io sono quella palpebra e quel labbro
di cui parli, o caro malato, e questa febbre
che t'agita, sono sempre io! Bisogna osare

amarmi! Sì, sale il mio amore senza deviare
là dove non s'inerpica il tuo povero amore di capra,
e ti trasporterà, come un'aquila invola una lepre,
verso serpilli che un caro cielo irrora!

Oh, la mia notte chiara! e i tuoi occhi nel mio chiaro di luna!
E quel letto di luce e d'acqua all'imbrunire!
Tutta quest'innocenza e tutto questo ristoro!

Amami! Questa parola è il mio verbo supremo,
perché essendo il tuo Dio onnipotente, posso volere,
ma innanzitutto voglio potere che tu mi ami.

IV

- Signore, è troppo! Veramente non oso. Amare chi? voi?
Oh, no! Io tremo e non oso. Oh! amarvi non oso,
non voglio! Io sono indegno! Voi, la Rosa
immensa dei puri venti dell'Amore, oh Voi, tutti
i cuori dei Santi, oh Voi che foste il Geloso
d'Israele, Voi, la casta ape che si posa
sul solo fiore di un'innocenza socchiusa,
cosa? io, io, poter amare Voi. Siete pazzi,

Padre, Figlio, Spirito? Io, peccatore, vile,
superbo, che fa il male come suo compito
e in tutti i suoi sensi, odorato, tatto, gusto,

vista, udito, e nel suo essere tutto - oh! in tutta
la sua speranza e in tutto il suo rimorso, non ha che l'estasi
d'una carezza in cui il solo vecchio Adamo s'infiammi?

V

- Bisogna amarmi. Io sono Quei Pazzi che nominavi,
io sono il nuovo Adamo che mangia il vecchio uomo,
la tua Roma, la tua Parigi, la tua Sparta e la tua Sodoma,
come un povero gettato tra orribili vivande.

Il mio amore è il fuoco che divora per sempre
ogni carne insensata, e l'evapora come
un profumo - ed è il diluvio che consuma
nel suo flutto ogni cattivo germe che io seminavo,

affinché un giorno la Croce dove muoio fosse alzata
e per un miracolo spaventoso di bontà
ti avessi un giorno, fremente e domato.

Ama. Esci dalla tua notte. Ama. È il mio pensiero
per l'eternità, povera anima abbandonata,
che tu dovessi amare me, io solo rimasto!

VI

- Ho paura, Signore. La mia anima trema.
Vedo, sento che bisogna amarvi: ma come
io, proprio io, mi farei, mio Dio, Vostro amante,
o Giustizia che la virtù dei buoni teme?

Sì, come? perché già si scuote la volta
dove il mio cuore scavava la sua tomba
e già sento a me fluire il firmamento,
e vi dico: da voi a me qual è la via?

Tendetemi la mano, ch'io possa sollevare
questa carne prostrata e questo spirito malato!
Ma ricevere un giorno il celeste abbraccio

è mai possibile? Un giorno, poterlo ritrovare
nel vostro seno, sul vostro cuore che fu il nostro,
il posto dove riposò la testa dell'Apostolo?

VII

- Certo, se vuoi meritarlo, figlio mio, sì,
ed ecco. Lascia andare l'ignoranza indecisa
del tuo cuore verso le braccia aperte della mia Chiesa
come la vespa vola al giglio rigoglioso.

Avvicinati al mio orecchio. Confessa
l'umiliazione di una franchezza audace.
Dimmi tutto senza parole d'orgoglio o di ripresa,
e offrimi i fiori di un pentimento eletto.

Poi francamente e semplicemente vieni alla mia Mensa
ed io ti benedirò con un pasto dilettevole
al quale l'angelo avrà solo assistito,

e tu berrai il Vino della vigna immutabile
la cui forza, la cui dolcezza, la cui bontà
faranno germinare il tuo sangue all'immortalità.


Poi, va'! Serba una fede modesta in questo mistero
d'amore per cui io sono la tua carne e la tua ragione,
e soprattutto ritorna molto spesso nella mia casa,
a partecipare al Vino che disseta,

al Pane senza il quale la vita è un tradimento,
a pregarvi mio Padre e supplicare mia Madre
che ti sia accordato, nell'esilio terreno,
d'essere l'agnello che muto dona il suo vello,

d'essere il bambino vestito di lino e d'innocenza
di dimenticare il tuo povero amor proprio e la tua essenza,
e diventare infine un po' simile a me

che fui, nei giorni di Erode e di Pilato
e di Giuda e di Pietro, simile a te
per soffrire e morire d'una morte scellerata!


E per ricompensare il tuo zelo in questi doveri
ancora così dolci d'ineffabili delizie,
ti farò assaggiare sulla terra le mie primizie,
la pace del cuore, l'amore d'esser povero, e le mie sere

mistiche, quando s'apre lo spirito alle calme speranze
e crede di bere, come ho promesso, al Calice
eterno, e nel cielo pio scivola la luna
e rintoccano gli Angelus rosa e neri,

aspettando l'assunzione nella mia luce,
il risveglio infinito nella mia abituale carità,
in eterno la musica delle mie lodi,

e l'estasi perpetua e la scienza,
e l'essere in me nell'amabile raggiare
delle tue sofferenze, - mie finalmente, - che amavo!

VIII

- Ah! Signore, che ho? Ahimè! eccomi tutto in lacrime
d'una gioia straordinaria: la vostra voce
mi fa come del bene e del male insieme,
e il male e il bene, tutto ha gli stessi incanti.

Rido, piango, ed è come il richiamo alle armi
d'una tromba per campi di battaglia dove vedo
angeli blu e bianchi portati sugli scudi,
e quella tromba mi trascina in fieri allarmi.

Ho l'estasi e il terrore d'essere scelto.
Io sono indegno, ma so la vostra clemenza.
Ah, quale sforzo, ma quale ardore! Ed eccomi

colmo d'umile preghiera, benché un turbamento immenso
confonda la speranza che la vostra voce mi rivelò,
ed aspiro tremante...

IX

- Povera anima, è questo!

III



I


Ormai il Saggio, punito
d'aver troppo amato le cose,
reso prudente all'infinito,
ma libero da scrupoli tetri,

e rivolgendo al Dio
che fece gli occhi e la luce,
l'onore, la gloria e quel po'
che la sua anima ha di fiero candore,

il Saggio può, d'ora in avanti,
assistere alle scene del mondo,
e seguire la canzone del vento,
e contemplare il profondo mare.

Andrà, calmo, e passerà
nella ferocia delle città,
come un mondano all'Opéra
che esce tediato dalle danze vili.

Anzi, - per mortificare
l'orgoglio che rese vedova la sua anima,
risalirà il passato,
- quel passato - come un avverso fiume!

Rivedrà l'erba delle rive,
udrà il flutto che piange
sulla morta felicità e sui torti
di quella data e di quell'ora!...

Amerà i cieli, i campi,
la bontà, l'ordine e l'armonia,
e sarà dolce, anche coi malvagi,
perché la loro morte sia benedetta.

Delicato e non esclusivo,
sarà del tempo in cui viviamo!
Il suo cuore, contemplativo,
pure conoscerà l'opera degli uomini;

ma separato dalle passioni,
un po' diffidente degli "usi",
alle vostre civiltà
preferirà i paesaggi.

II


Dal fondo del giaciglio
hai tu visto la stella
che l'inverno disvela?
Come batte il tuo cuore,
e come quell'idea,
rimpianto o desiderio,
devasta a suo piacere
la tua testa assillata,
povera testa in fiamme,
povero cuore senza dio!

L'ortica e l'erbetta
ai piedi del bastione
da cui s'alza il fresco richiamo
d'una trombetta stridula,
il vento del poggio,
la Mosa, il bicchiere
che si beve per strada
ad ogni insegna,
le linfe che si annusano,
le pipe che si fumano!

Un sogno di freddo:
"Com'è bella la neve
e tutto il suo corteo
nella stretta cornice!
Oh! i tuoi bianchi arcani,
o novella Archangel,
miraggio eterno
delle mie carovane!
Oh! il tuo casto cielo,
novella Archangel!".

Questa tetra città!
Tutto qui è paura...
Il cielo è inorridito
d'illuminare la fitta ombra.
I passi che fai
tra queste brughiere
sollevano polveri
pestilenziali...
Viaggiatore così triste,
quale pista stai seguendo?

È l'ebbrezza a morte,
è la nera orgia,
è lo sforzo amaro
della tua energia
verso l'oblìo dolente
della voce intima,
è la soglia del crimine,
è il volo sanguinante.
- Oh! fuggi la chimera!
Tua madre, tua madre!

E che è questa voce
che mente e lusinga?
"Ah, la tua testa piatta,
vipera dei boschi!"
Perdono e mistero.
Lascia perdere.
Chi può, senza fremere,
giudicare in terra?
"Ah, eppure, eppure,
questo mostro impudente!"

Il mare! potesse lui
lavare il tuo rancore,
il mare dal gran cuore,
tuo avo, quello
che canta cullando
la tua angoscia atroce,
il mare, dolce colosso
dal seno innocente,
rampogna infinita
della tua ironia!

Vivi senza sapere!
Versi la tua anima,
il tuo latte e la tua fiamma
in quale disperazione?
Il tuo sangue che s'accumula
in un fiume d'oro
ancora non è pronto
alla dedica.
Attendi un po',
non è che un gioco.

Questa frenesia
t'inizia alla tua meta.
Del resto, la salvezza
verrà da un Messia
di cui non senti più
da tante e tante leghe
gli effluvi azzurri
sotto le braccia torpide,
naufragato da un sogno
che non ha riva!

Vivi nell'attesa
dell'ora ormai vicina.
Non essere prudente.
Nessun rimprovero.
Fai ciò che vuoi.
Una mano ti guida
attraverso il vuoto
spaventoso dei tuoi voti.
Un po' di coraggio,
è la buona tempesta.

Ecco la Sventura
nella sua pienezza.
Ma nella sua mano rude
che bel fiore!
"La spina ardente!"
Un giglio è meno bianco.
"Mi penetra nel fianco."
E l'odore divino!
"Mi penetra nel cuore."
Profumo vincitore!

"Tuttavia rimpiango,
tuttavia io muoio,
tuttavia quei due cuori..."
Solleva un po' la testa.
"Ebbene, è la Croce."
Solleva un po' l'anima
da questo mondo infame.
"Forse io credo?"
Che ne sai tu? La Bestia
ignora la sua testa,

la Carne e il Sangue
misconoscono l'Atto.
"Ma ho stretto un patto
che mi tiene legato
alla colpa nera,
io appartengo
al mio tenace démone:
io non voglio credere.
Io non ho bisogno
di sognare così lontano!

"Ma intanto ascolto
suoni d'altri tempi.
Vipera dei boschi,
ancora sulla mia strada?
Questa volta, tu mordi."
Lascia quella bestia.
Cosa importa al poeta?
Che sono dei cuori morti?
Ah! dimentica piuttosto
la tua follia.

Ah! piuttosto, anzitutto,
dolcezza, pazienza,
mezza voce e sfumatura,
e pace fino in fondo!
Buono quanto saggio,
semplice quanto buono,
sottometti la ragione
al più povero adagio,
ingenuo e discreto,
segretamente felice!

Ah! soprattutto abbatti
il tuo orgoglio crudele,
implora la grazia
d'essere un puro Abele,
concludi l'odissea
nel pentimento
di un umile martirio,
di un umile pensiero.
Guarda lassù...
"Siete voi, GESÙ?"

III


La speranza brilla come un filo di paglia nella stalla.
Che temi dalla vespa ubriaca del suo volo folle?
Vedi, in qualche spiraglio sempre turbina il sole.
Perché non t'addormenti, il gomito sul tavolo?

Povera anima pallida, almeno quest'acqua di pozzo gelata
bevila. E poi dormi. Lo vedi, io resto,
a carezzare i sogni della tua siesta,
e tu canticchierai come un bimbo cullato.

Suona mezzogiorno. Di grazia, uscite, signora.
Dorme. È sorprendente come i passi di donna
risuonino nel cervello dei poveri infelici.

Suona mezzogiorno. Ho fatto bagnare la stanza.
Va', dormi! La speranza brilla come una pietra in un fosso.
Ah! quando rifioriranno le rose di settembre!

IV


Kaspar Hauser canta:

Sono venuto, calmo orfano,
ricco soltanto dei miei occhi tranquilli,
verso gli uomini delle grandi città:
non m'han trovato scaltro.

A vent'anni un nuovo turbamento,
sotto il nome di amorose fiamme,
m'ha fatto trovar belle le donne:
loro non m'han trovato bello.

Benché senza patria e senza re,
né certo troppo valoroso,
in guerra ho voluto morire:
la morte non mi ha voluto.

Son nato troppo presto o troppo tardi?
Cosa ci faccio in questo mondo?
O voi tutti, la mia pena è profonda:
pregate per il povero Kaspar!

V


Un grande sonno nero
cade sulla mia vita:
dormite, ogni speranza,
dormite, ogni desìo!

Io non vedo più nulla,
e perdo la memoria
del male e del bene...
Oh, triste storia!

Io sono una culla
che una mano dondola
nel vuoto d'una tomba:
silenzio, silenzio!

VI


Il cielo è, sopra il tetto,
così blu, così calmo!
Un albero, sul tetto,
culla i suoi rami.

La campana, nel cielo che si vede,
dolcemente rintocca.
Un uccello sull'albero che si vede
canta il suo lamento.

Mio Dio, mio Dio, la vita è questa,
semplice e tranquilla.
Quel placido brusìo
viene dalla città.

- Che hai fatto, tu che qui
non fai che piangere,
di', che hai fatto, tu,
della tua giovinezza?

VII


Io non so perché
il mio spirito amaro
con ala inquieta e folle vola sul mare.
Tutto ciò che mi è caro,
con ala di sgomento,
il mio amore lo cova a fior d'acqua. Perché, perché?

Gabbiano dal volo malinconico,
segue l'onda il mio pensiero
dondolandosi nei venti del cielo
e deviando con l'obliqua marea,
gabbiano dal volo malinconico.

Ebbro di sole
e di libertà,
un istinto lo guida in questa immensità.
La brezza d'estate
sul flutto vermiglio
dolcemente lo porta in un dolce dormiveglia.

Talvolta grida così tristemente
da allarmare il pilota da lontano,
poi si dà in balìa del vento e fluttua
e si tuffa, e con l'ala indolenzita
di nuovo vola, e tristemente grida!

Io non so perché
il mio spirito amaro
con ala inquieta e folle vola sul mare.
Tutto ciò che mi è caro,
con ala di sgomento
il mio amore lo cova a fior d'acqua. Perché, perché?

VIII


Profumi, colori, sistemi, leggi!
Le parole han paura come galline.
La Carne singhiozza sulla croce.

Piede, è sogno ciò che calpesti,
e ovunque ghigna la voce,
la voce tentatrice delle folle.

Cieli bruni in cui sguazzano i nostri progetti,
fiori che non siete il Calice,
vino e il tuo gesto insinuante,
donna e l'occhiata ai tuoi seni,

notte vezzosa dai freschi guanciali,
cos'è questa delizia,
cos'è questo supplizio,
noi, i dannati e voi, i Santi?

IX


Il suono del corno si affligge verso i boschi
di un dolore (orfano, lo diresti)
che va a morire ai piedi della collina
nel vento errante in brevi latrati.

L'anima del lupo piange in questa voce
che sale con il sole che declina
d'un'agonia che diresti carezzevole
che rapisce ed insieme straziante.

Per meglio sopire questo lamento
la neve cade a lungo sfilacciata
attraverso il tramonto sanguinolento,

e l'aria ha l'aria di un sospiro d'autunno,
tanto è dolce in questa sera monotona
in cui si crogiola un paesaggio lento.

X


La tristezza, il languore del corpo umano,
m'inteneriscono, mi piegano e appenano.
Ah! specialmente quando è folgorato da sonni neri,
e i lenzuoli striano la pelle, calcano la mano!

E che sdolcinatezza nella febbre del domani,
tiepido ancora del bagno di sudore che si calma
come un uccello che trema sopra un tetto!
E i piedi, sempre doloranti per il cammino!

E il petto, segnato da due pugni!
E la bocca, una ferita ancora rossa,
e la carne fremente, fragile ornamento!

E gli occhi, i poveri occhi così belli in cui spunta
il dolore di vedere qualcosa che finisce...
Triste corpo! Quanto debole e quanto punito!

XI


La tramontana irrompe attraverso
cespugli tutti neri e verdi,
gelando la neve sparsa
nella campagna soleggiata.
L'odore è acre vicino ai boschi,
canta con le sue voci l'orizzonte,
i galli sui campanili dei villaggi
luccicano contro le nubi.
È delizioso camminare
attraverso la lieve foschia
che un vento dispettoso a volte solleva.
Al diavolo il mio vecchio camino che tossisce!
Ho nei talloni un gran formicolìo.
In piedi, anima mia, presto, andiamo!
La primavera è ancora severa,
ma a tratti s'addolcisce
d'un soffio appena tiepido, quanto basta
per sentir meglio i passati geli
e pensare al Dio di clemenza...
Va', anima mia, alla speranza immensa!

XII


Eccovi, eccovi, poveri buoni pensieri!
La speranza dovuta, rimpianto di grazie sprecate,
dolcezza di cuore con spirito severo,
e questa vigilanza, e la calma prescritta,
e tutti quanti! - Ma ancora lenti, ben svegli,
disinvolti, ma ancora timidi, sbrogliati
appena dal pesante sogno e dalla tiepida notte.
Fate a chi di voi è più goffo, l'uno segue
l'altro, e tutti hanno paura del vasto chiaro di luna.
"Come pecore che escono dall'ovile. Una,
poi due, poi tre. Il resto è là, ad occhi bassi,
testa a terra, e l'aria imbarazzata,
facendo ciò che fa il loro capofila: se si ferma,
tutte si fermano, poggiando la testa
sui loro dorsi, semplicemente, senza sapere perché."
Il vostro pastore, pecore mie, non sono io,
è uno migliore, uno molto migliore, che conosce le cause,
lui che vi tenne a lungo, così a lungo, là chiuse,
ma che al momento giusto vi liberò.
Seguitelo. È un buon bastone il suo.
E io sarò,
sotto la sua voce sempre dolce al vostro tedio belante,
io sarò, quanto a me, il suo cane fedele sulla vostra via.

XIII


Il digradare delle siepi
ondeggia all'infinito, mare
chiaro nella nebbia chiara
che profuma di giovani bacche.

Alberi e mulini
sono leggeri sul verde tenero
dove si sfrena e si placa
l'agilità dei puledri.

In questo vuoto domenicale
si trastullano anche
grandi pecore soffici
come la loro lana bianca.

Poco fa dilagava
l'onda, rotolata in volute,
di campane come flauti
nel cielo come latte.

Stickney, 75.

XIV


L'immensità dell'umanità,
il Tempo passato, vivace e buon padre,
un'impresa sempre prospera:
possente e calma città!

Qui sembra di vivere nella storia.
Tutto è più forte dell'uomo di un giorno.
Pesanti cortine di atmosfera nera
fanno notte profonda tutt'intorno.

O civilizzati, che civilizza
l'Ordine obbedito, il Rispetto sacro!
Oh, in questo campo così ben preparato,
questa messe della sola Chiesa!

Londra, 75-77.

XV


Il mare è più bello
delle cattedrali,
nutrice fedele,
nenia di rantoli,
il mare su cui prega
la Vergine Maria!

Ha tutti i doni
terribili e dolci.
Odo i suoi perdoni
rimbrottare i suoi sdegni...
Quest'immensità
non ha nulla di caparbio.

Oh! così paziente,
anche quando è cattivo!
Un soffio amico assilla
l'onda, e ci canta:
"Voi senza speranza,
morite senza soffrire!".

E poi sotto i cieli
che ridono più chiari,
ha dei toni azzurri,
rosa, grigi e verdi...
Più bello di tutti,
migliore di noi!

Bournemouth, 77.

XVI


La "grande città"! Uno stridulo mucchio di pietre bianche
dove il sole infuria come in terra di conquista.
Tutti i vizi hanno le loro tane, i deliziosi
e gli schifosi, in questo deserto di pietre bianche.

Odori. Rumori vani. Ovunque vaghi il cuore,
sempre un vertiginoso turbinìo di sabbia,
sempre un rimestìo di colpevoli cose
in questa solitudine che disgusta il cuore!

Vicino, lontano, il Saggio avrà la sua Tebaide
nell'insulso tedio che sale da ogni cosa,
tanto più aspra e più santificante
perché due parti della sua anima in questo vuoto piangono!

Parigi, 77.

XVII


Girate, girate, bravi cavalli di legno,
girate cento giri, girate mille giri,
girate spesso e girate sempre,
girate, girate al suono degli oboe.

Il bimbo tutto rosso e la madre bianca,
il giovanotto in nero e la ragazza in rosa,
l'una naturale e l'altro in posa,
ognuno si paga un soldo di domenica.

Girate, girate, cavalli del loro cuore,
mentre intorno a tutti i vostri tornei
strizza l'occhio il mariuolo sornione,
girate al suono del pistone vincitore!

È sorprendente quanto vi inebri
andar così in questo stupido circo:
bene di ventre e male di testa,
male di troppo e bene in quantità.

Girate al suono dell'organetto,
del violino e del trombone pazzi,
cavalli più miti delle pecore, miti
come un popolo in rivoluzione.

Il vento che frusta la tenda, i bicchieri,
i banconi e la bandiera tricolore,
e le gonne, e che altro ancora?
fa un fracasso di cinquecento tuoni.

Girate, cavallini, senza bisogno
di usare mai degli speroni
per guidarvi nei galoppi tondi:
girate, girate, senza sperare fieno.

E fate in fretta, cavalli della loro anima:
ecco che già chiama alla cena
la notte che cade e scaccia la truppa
di allegri bevitori che la sete affama.

Girate, girate! Il cielo di velluto
lentamente si veste d'astri d'oro.
La chiesa suona a morto tristemente.
Girate al suono gioioso dei tamburi!

XVIII


Tutti gli amori della terra
nel cuore lasciano un che di deleterio
e di orribilmente amaro;
fraterni e coniugali,
paterni e filiali,
civici e nazionali,
carnali e ideali,
tutti han la vespa e il verme.

La morte ti prende padre e madre,
tuo fratello tradirà il fratello,
tua moglie fiuta un altro sposo,
tuo figlio te lo tolgono,
il tuo popolo saccheggia o s'incatena
e lo straniero vi depone il suo odio,
la tua carne freme e si fa oscena,
la tua anima fluisce in sogni folli.

Ma, dice Gesù, ama, che importa!
Poi di tutte le morte illusioni
fa' un corteo, forma un coro,
va' avanti, come il pastore nei campi,
come il corifeo a teatro,
come il vero prete o l'idolatra,
come i nonni presso il focolare
sì, vada avanti il tuo cuore!

E tutte queste voci dolenti
s'innalzino rapide o lente,
aspre o dolci, elevando
in gloria della Mia sofferenza,
strumento del tuo riscatto,
condimento della tua speranza,
e nutrimento del tuo stesso strazio,
l'inno che ora ti si addice!

XIX


Santa Teresa vuole che la Povertà sia
la regina di quaggiù, e letteralmente!
Di questo governo dice poche parole,
né si sofferma sui dettagli secondari;

ma il Punto, secondo lei, da saper vedere
e credere, è ciò di cui si complimenta:
il libero arbitrio valuta, argomenta e tratta,
poi il povero di cuore decide e segue la sua via.

Chi glielo impedirà? Non ha altri desideri
che d'essere un giorno nel numero degli eletti,
servitore onnipotente, onnipotente sovrano,

prodigo e più di tutti sdegnoso delle cose avute,
ma accumulatore delle sole cose sapute:
quale regina di così fiero suddito, e libero!

XX


Parigino, fratello per sempre stupito,
saliamo sulla collina dove è nato il sole -
così glorioso che si capisce l'idolatra, -
in questa prospettiva, sconosciuta al "teatro",
d'alberi al vento e di polvere d'ombra e d'oro.
Saliamo. Fa ancora così fresco, saliamo ancora.
Là! eccoci "sistemati" come in un "palco
centrale"; e la "scena" merita un vero elogio:
la cattedrale enorme e la torre senza fine,
i tetti di tegole sotto quelle fronde, il vano
apparato dei bastioni pomposi e insieme grandi,
quei campanili, quella torre, quelle altre, sull'oro livido
delle nubi ad ovest che riverbera l'oro duro
dietro casa nostra, tutti questi pesanti gioielli
sull'ovatta, non è vero?, lo scrigno vale il viaggio,
ed è ciò che possiamo dire un gran paesaggio?
- Ma scendiamo, se non è abusare troppo
dei vostri piedi stanchi, solo per riposare
i vostri occhi che non han visto altro che da Montmartre,
- "Campagna" verde-piaga e città bianco-forfora
(e i tetri profumi che salgono da Pantin!).
- Dunque per questo lento sentiero di rugiada e di timo
camminiamo verso la città lungo il fiume,
sotto i freschi pioppi, nella luce chiara.
Una delle porte apre una strada: entriamoci.
È il posto giusto, il luogo scelto:
così bianche, le antiche case, così ben fatte,
non alte, qua e là dei rami sui loro tetti,
così dolce e sinuoso il corso di queste case,
come un ruscello tra vaghi fogliami,
ritagliando la luce e l'ombra in ricami
invece del lungo tedio delle vostre haussmannerie,
e gentile l'accento così vicino al dialetto
di questi ingenui passanti dallo sguardo sornione!...
- Piazze ebbre di aria e di stridii di rondini,
dove la Storia protesta in formule fedeli
sulla cima dei tetti e nel ferro dei balconi:
porte che ruotano sui cardini a malincuore,
gelose di custodire l'onore e la famiglia...
Qui tutto vive e muore calmo; nessun brulichìo.
Il "Teatro" fa fiasco, e il dio dei cialtroni,
il "Giornale", non conta più le sue rese.
L'amore stesso ha pretese di nobiltà,
e il vizio si butta giù con qualche baldracca.
Insomma, fratello mio, niente di Parigi "tra le nostre mura",
solo le mode... di ieri, e i frutti ben maturi
di quel famoso Progresso che divorate acerbo.
Del resto si vive bene. Una mensa superba,
la ragione ragionevole e lo spirito degli avi,
molto sano lavoro, qualche lieto svago,
e il bisogno d'aver paura della strada maestra!...
Confessatelo, la provincia è buona, tutto sommato,
e rimpiangete meno di poco fa lo "splendore"
del vecchio mostro, e il suo polso febbrile, e quell'odore!

Arras, 77.

XXI


È la festa del grano, è la festa del pane
nei cari luoghi d'un tempo rivisti dopo quelle cose!
Tutto vibra, la natura e l'uomo, in un bagno
di luce così bianco che le ombre sono rosa.

Paglia d'oro sprofonda al volo sibilante delle falci
il cui lampo si tuffa, e riluce, e riverbera.
La pianura, a vista d'occhio brulicante di lavori,
cambia aspetto a ogni istante, gaia e severa.

Tutto ansima, tutto è sforzo e movimento
sotto il sole, tranquillo autore delle messi mature,
e che lavora ancora, imperturbabile,
a gonfiare e addolcire - laggiù - gli acerbi grappoli.

Lavora, vecchio sole, per il pane e il vino,
nutri l'uomo col latte della terra e donagli
il bicchiere onesto dove ride un po' d'oblìo divino...
Mietitori, - vendemmiatori, laggiù! - l'ora è buona!

Poiché sul fiore dei pani e sul fiore dei vini,
frutto dell'umana forza distribuita ovunque,
Dio miete, e vendemmia, e dispone ai suoi fini
la Carne e il Sangue per il calice e l'ostia!

Fampoux, 77.