FRANCESCO CANGIULLO

BOCCIONI - BUSONI
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Articolo pubblicato su «Il Tempo» di Roma il 13 dicembre 1966, per commemorare Boccioni, morto 50 anni prima, il 17 agosto 1916. Francesco Cangiullo, amico fraterno del pittore, rievoca, tra l'altro il soggiorno del pittore a San Remigio e le fasi della nascita del grande Ritratto del Maestro Busoni.
Nei cartelloni murali, nei programmi delle Accademie musicali, in «Teatri e Concerti», quante volte abbiamo letto Bach-Busoni? Ma non si è mai letto Boccioni-Busoni. In realtà non si poteva né si può leggere in questi reparti. Però, in un catalogo di una mostra d'Arte io lo scriverei, come un caso eccezionale, ma lo scriverei.
Umberto Boccioni (ricorre il cinquantenario della sua morte, 1916), fece un ritratto magnifico, meraviglioso del maestro Ferruccio Busoni, che, come vedrete, spiritualmente collaborò con l'inventore della pittura futurista.



A proposito di Busoni, Alfredo Casella mi diceva a Capri, in costumetto da bagno: «È un formidabile pianista, alle sue mani nessuna esecuzione è impossibile, ma non ha per me nessuna simpatia!» E se quelle mani non conoscevano difficoltà pianistiche, dal ritratto, grande al vero fatto da Boccioni si indovina che molte difficoltà erano in quell'uomo: doveva essere un caratterino non facile. Naturalmente il Maestro dei pianisti non ha la ingenuità di posare seduto al piano: egli è in piedi, come un Nume mitologico, nella sua villa all'aria aperta (en plein air che ha ricordato al pittore di essere stato anche un brillante impressionista e divisionista).





Foto scattata dal Marchese di Casanova sul terrazzo di Villa San Remigio a Pallanza. Busoni osserva il lavoro sul ritratto fatto da Boccioni. Il pittore futurista ha dipinto anche dei paesaggi lacustri con, in primo piano, dei settori del magnifico parco concepito dalla moglie del Marchese, la Marchesa Sofia.
L'eccezionale modello ha addosso qualche cosa di fantastico che potrebbe sembrare anche uno strano mantello. In questo originale dipinto, genialmente realizzato, si compenetrano conquiste, per intenderci facilmente, passatiste e futuriste; è un ritratto-paesaggio risultato di un prodigioso complesso, plastico-pittorico-musicale. Il pittore fu ospite del maestro per tutta la durata del dipinto; e il maestro realmente collaborò, nel senso che più di una volta fu pregato dal suo ospite di suonare prima di posare.





Il Marchese di Casanova al pianoforte (Bechstein) nel suo Musikzimmer nella villa di San Remigio.
Boccioni, come me, che l'amo ancora, amava la bella musica specie se suonata come va, e cantava o fischiettava, sempre intonatissimo, anche in istrada. Spesso lavorando si rammaricava: «Io ho sbagliato mestiere: io avrei dovuto fare il musicista. E tu?» «A chi lo dici? Io ero nato per dirigere l’orchestrina di un varietà. Accompagnare le canzonettiste... Ma ci pensi? Non sarebbe stato più divertente?» Rideva e canticchiava. Qui devo confessare che non mi riesce, in questo caso tipico, vincere la infantile tentazione di dare, quantunque piccolissimo e modestissimo, un saggio della mia conoscenza pentagrammata (sono anche l'inventore, inventore fururista, se volete, della poesia pentagrammata). Ed ora, i miei amici musicisti, maestri della branca, sono pregati di perdonarmi e di sospirare: «Debolezze umane!...»
Coraggio.




Disegno preparatorio di Boccioni per il grande Ritratto del Maestro Busoni, Pallanza, giugno 1916 (MoMA, Ney York).
Nel ritratto in esame, dalle pennellate cromatiche, vi sono accordi dissonanti sensibilissimi, dei pedali di tonica e di dominante, dei glissandi che si direbbero affidati a un'arpa colorata, e mordenti, impasti, bravura, virtuosismo di tavolozza orchestrale, fanno pensare al più tipico Ravel tradotto in pittura. E può sonoramente apparire anche Liszt; mentre dal verde lontano non è improbabile ti giunga l'eco di una canzone di Weber, che sarà aggredita alle spalle dal negro selvaggio sincopato della tromba di Armstrong.
È il ritratto di un musicista dipinto in musica dunque? Sì. Ed è veramente allucinante; può suggestionare a tal segno da farti addirittura ascoltare un concerto di Busoni, se lo hai più d'una volta sentito. A me ha dato questa sensazione. Povero Umberto. Lo vedo ancora stupefatto: «Prima suonava lui - mi diceva - con le díta che non erano dita. E poi dipingevo io con i pennelli che non erano più pennelli e anche con le dita, che andavano per conto loro... Io non so come sia saltato fuori quel ritratto, che tra le altre cose è somigliante, dipinto in uno stato d'animo di chi è completamente fuori dalla realtà...»
Così mi diceva a Stresa il grande Boccioni dei battaglieri giorni futuristi, il povero Boccioni dai giorni contati! Morì nell'agosto del 1916, a trentatré anni, l'età della gioventù, l'età cristiana. Era volontario di guerra: una mortale caduta a da cavallo presso Verona. E Stresa era bella in settembre. Egli, reduce da villa Busoni, il maestro gli aveva pagato il dipinto [solo un anticipo, n. d. c.], aveva fatto danaro e si concedeva qualche vacanza, non interamente vacanza, come vedremo, sul lago Maggiore, lombardo e piemontese. Io lo accompagnavo. Era così piacevole, così preziosa la sua compagnia: ancora giovanissimo egli aveva di già molto da raccontare e da insegnare. Ma perché aveva scelto Stresa? Perché doveva dipingere e corteggiare una fata lagunare.
Ragazzo affascinante, elegante, dal cuore d'oro, generoso, romantico, di grande ingegno, coraggioso, entusiasta, piaceva alle donne.
La splendida camera che avevamo al terzo piano di un albergo in riva al lago, con forbito bagno, piena di aria azzurra luminosa, avea in più, come per giunta, una privilegiata torretta, specie di garitta vetrata esterna, come sospesa ad uno degli angoli del palazzo. In questa specie di bomboniera di bambola, in questo chiosco aereo, il sottoscritto, quando il suo amico andava ansiosamente dipingere e corteggiare la fata delle isole Borromee, correggeva le bozze del suo primo libro di parole in libertà: Piedigrotta. Piedigrotta a Stresa.
Dal balcone spalancato si dominava il lungolago: aiuole ville giardini rivieraschi tutti sgargianti, fioriti al colmo; nonché movimento di villegglanti, turisti e indigeni. Vi era ancor affluenza di bagnanti: bracci spalle petti, abbrustoliti e attintati d'avana, quasi oleosi schiene di bambine come rosbif. E m'incanto al balcone. Di là si stende, a perdita d'occhio, come un cielo liquido che abbia finalmente voglia di riposare, di sognare, che sia ormai stanco di sovrastare... è il lago.
A volte mi aggiro serpeggiando in quelle tortuose viuzze interne, nitide, qua e là ombreggiate d'oleandri corallini; le miste botteghe di «cento colori e cento sapori», hanno quel tipico fascino che va diviso con quelle di Capri e di Portofino. Sono bazar, sono empori, campionari, vendono un po' di tutto, dalle caramelle ai sandali, dalle spezie alle mutandine. V'è sempre un po' d'Oriente in simili stazioni per forestieri. In quelle notti di luna, la brezza increspava il lago, e sembrava guizzassero anguille di mercurio che avevano in corpo l'argento vivo.
E la mia mente ricordava, allora, Manzoni dei «Promessi Sposi». Ma oggi ricordo l'amico Boccioni che rivedo tornare, in quell'albergo di Stresa raggiante, con la cassetta dei colori a tracolla, col càmice da lavoro chiazzato di colori, col cuore nello zucchero, non perché è persuaso di aver dipinto una bella cosa, ma perché la fata del lago... lo ama. Mi ama! Mi comprendi?! Mi ama!
Cinquant'anni fa.