Il soggiorno sul lago Maggiore dei due grandi artisti è stato ricostruito, oltre che dal curatore di questo sito nel volume Tra futurismo e cultura mitteleuropea. L'incontro di Boccioni e Busoni a Pallanza, anche da Gino Agnese nell'ottima biografia boccioniana più volte citata. Il curatore considera ottima questa ricostruzione, benché non la condivida appieno, soprattutto per quanto riguarda il ruolo di Busoni nell'evoluzione artistica di Boccioni.
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GINO AGNESE

BOCCIONI E BUSONI A PALLANZA 

Il maestro Ferruccio Busoni, che tre anni fa confidava alla moglie «ho grande stima di Boccioni, ma non gli darei l'incarico di farmi un frontespizio», insiste invece adesso, in questa tarda primavera del 1916, affinché l'autore di «La città sale», la grande tela che egli acquistò a Londra per 4.000 lire, gli faccia appunto un ritratto. Come ammette persino il roccioso Nietzsche, spesso citato in polemica dall'illustre musicista, le opinioni si possono ben cambiare. Ma perché il maestro Busoni ha mutato avviso? I casi sono due, e forse tertium datur. Insomma: se non è cambiata la pittura di Boccioni, allora s'è fatta diversa l'idea del maestro. O può darsi che il pittore abbia promesso di secondare, stavolta, il gusto d'un committente prestigioso e cordiale quale è il Busoni; il quale apprezza sì le audacie dell'arte nuova, ma fino a un certo punto.
Giunto ai cinquant'anni, Ferruccio Busoni gode di una stabile celebrità internazionale, che qualche volta, sull'onda degli applausi, sembra persino impennarsi in gloria. Sicuramente è uno dei maggiori virtuosi del pianoforte; e che fosse destinato a quest'altezza, si capì fin da quando tenne il primo concerto, a Vienna: un enfant prodige di nove anni, al quale la madre Anna Weiss, d'una famiglia triestina di ceppo ebraico, aveva insegnato a padroneggiare la tastiera. Ma gli dispiace se ai riconoscimenti che lo laureano sommo pianista - qualcuno dice «il piu grande dopo Liszt» - non seguono le lodi alla sua opera di compositore e cli autorc di «La sposa sorteggiata» che segnò il suo tardivo esordio in teatro quattro anni prima. Una personalità traboccante di esperienze cosmopolitiche - ha studiato, vissuto, insegnato a Vienna, Graz, Lipsia, Helsinki, Mosca, Boston, a Bologna e per vent'anni a Berlino - nella quale tuttavia resta capitale l'impronta della cultura di formazione: quella giuntagli per mezzo della lingua di Goethe. Un uomo corpulento, di modi spesso ruvidi, che difende con foga i suoi pareri. Un geniale innamorato di Bach e di Mozart, che da quando è scoppiata la guerra, lasciata la residenza berlinese, si è stabilito con la moglie Gerda Sjöstrand, figlia dello scultore svedese Aeneas, nella neutrale Svizzera, a Zurigo.
Ma ora il maestro Busoni e la signora Gerda sono a Pallanza, sul Lago Maggiore, ospiti dei marchesi Della Valle di Casanova, lui musicista e poeta, lei pittrice; e si tratterranno in San Remigio - così si chiama la scena di verzura, di architettura e d'arte in cui vivono i marchesi - fino al solstizio d'estate, e forse per qualche giorno ancora. Ebbene, il maestro Busoni, che andando in treno da Zurigo a Pallanza - tredici ore di viaggio! - ha preferito far tappa a Milano e ha incontrato Boccioni, desidera che a sua volta il pittore vada ospite dei Della Valle di Casanova; e che gli faccia il ritratto, un grande ritratto, sullo sfondo del lago. Boccioni prima gli dice di sì, ma poi gli scrive che un'indisposizione lo costringe al letto. Infine gli comunica che è quasi guarito e che arnvera a Pallanza il 3 giugno, che è un sabato. Sicché il maestro così gli risponde, un po' mettendolo in guardia verso le meraviglie che troverà a Pallanza, dove Silvio e Sofia Della Valle, cugini primi e sposi da vent'anni, hanno costruito, alta sulla collina della Castagnola che si protende nel Verbano, una dimora che un po' prende dalle ville toscane del Quattrocento e un po' da quelle venete, in mezzo a una complessa e sorprendente varietà di giardini:
«Caro Boccioni, fummo ben contenti di sapervi sulla via della guarigione: vi attendiamo dunque sabato, e a braccia aperte. La casa ed il parco di San Remigio sono una bella opera d'arte, il frutto di 30 anni di cure e di progetti. Le terrazze dominano il lago, come se questi loro appartenesse. Il tutto ha un carattere d'utopia, e se volete, di cosa artificiale e - senza essere fantastico - tiene del sogno. (Non potrei sopportare troppo a lungo un tale ambiente). Arrivederci dunque, se venite; perché probabilmente non ripasserò da Milano al ritorno».
Quando Boccioni giunge al Lago Maggiore, sabato 3 giugno 1916, l'offensiva degli austriaci nel Trentino rimbomba dei colpi dell'artiglieria pesante, sotto i quali gli italiani indietreggiano, però nell'insieme contenendo l'attacco nemico; come del resto i francesi, non lontano da Verdun, riescono a limitare le perdite inflitte loro dai tedeschi. Aleggia l'incubo dei dirigibili Zeppelin, si susseguono le battaglie navali anglo-germaniche nel Mare del Nord e la Russia ammassa truppe alla frontiera con la Romania. Egli sa bene che la sua classe presto sarà richiamata alle armi. Ma quando? La guerra si allunga in un'angosciosa sorte alterna, e tuttavia le rive del Verbano si dispongono ad accogliere i villeggianti, come ogni anno. Perciò Boccioni, sceso dal treno a Stresa, prediletta dalla regina Margherita, osserva di sotto il ciglio gl'innumerevoli preparativi che, nella serenità dei luoghi verso Pallanza, salutano l'imminenza dell'«alta stagione», come in un magico intervallo dei tempi correnti.
Stupore e curiosità lo accompagnano poi, a Pallanza, lungo il viale che dal cancello principale di San Remigio, accanto al quale sono la portineria e la scuderia, conduce fino alla casa dei marchesi di Casanova, gli ospiti del maestro Busoni; un viale che all'inizio si stende dritto, fiancheggiato da obelischi e da siepi geometricamente potate, e che quindi s'incurva e sale, secondo il capriccio del colle, aprendo alla vista misteriosi annunci di bosco, improwise vedute del lago, quinte e fondali di piante esotiche. Infine ecco la villa, che ha davanti un piazzale cinto da una balaustra ammiccante al barocco, come le ricurve scalinate poco lontane; la villa che ha meno degli anni di Boccioni e che per le colonne dell'ingresso, per il disegno della facciata che allinea tre ordini di finestre e di balconi, per il tetto e per la tinta si pretende rinascimentale, pur concedendo abbastanza qui e là al Seicento e al secolo dei lumi.
Entrato nella dimora dei Della Valle di Casanova, Boccioni si conferma nell'idea che già gli era balenata leggendo l'ultima lettera di Busoni: quella di trovarsi, lui futurista, nel più passatista degli universi domestici possibili e immaginabili. La prende però bene, con ironia e addirittura con allegria. E varcata dunque la soglia, intanto che il suo occhio indugia tra gl'innumerevoli oggetti raccolti nell'immenso atrioarmeria - lance, scudi, alabarde, mazze, gessi, armature, cetre, liuti toscani e colascioni napoletani, stemmi e quant'altro - ascolta col sorriso sulle labbra ciò che di più importante c'è da sapere di Villa San Remigio e dei padroni di casa: un lungo racconto che proseguirà poi alla tavola dei marchesi, presenti naturalmente il maestro e sua moglie Gerda, e che si colorerà di dettagli nei giorni che verranno.
San Remigio, la Villa San Remigio, che con i suoi giardini domina per estensione e per singolarità tutte le altre del Lago Maggiore, altro non è che la realizzazione di un sogno di due ragazzi, che nel primo decennio dell'Italia unita correvano e fantasticavano da queste parti e che oggi hanno rispettivamente cinquantaquattro e quarantotto anni: il marchese Silvio Della Valle di Casanova, dei duchi di Ventignano, e sua moglie la marchesa Sofia, figlia d'una Beauchamp d'Inghilterra e di un fratello della madre di lui: il signor Dionigi Pietro Browne, d'una ricca famiglia irlandese venuta a vivere sul Verbano. S'innamorarono da adolescenti, Silvio Della Valle di Casanova e Sofia Browne, ma si sposarono soltanto vent'anni prima; e così ora sono i genitori attempati di una signorinella che giunse tardi e che ha soltanto tredici anni: la Ester, che fin da piccola è affidata alle cure d'una istitutrice toscana, la signorina Caldini, e che subito ha trovato «molto simpatico e divertente il signor Boccioni», il quale un po' stenta, sulle prime, a separare il grano dal loglio in tutto quel che ascolta e vede in San Remigio.
Ciò che è fuori da ogni dubbio, è che Silvio e Sofia di Casanova sono permeati della cultura romantica, che permette al pendolo della loro estetica di oscillare dalla classicità, anzi dalla mitologia, fino al simbolismo: in pittura fino a Böcklin, al quale il marchese dedicherà una raccolta delle sue poesie, e forse fino a Von Stuck o addirittura - è però soltanto il caso della marchesa - fino a qualcuno dei divisionisti italiani più vicino all'accademia. Del resto, che cos'altro brilla nella quadreria dei Della Valle di Casanova a parte il Morone, il Palma Giovane, il Tintoretto e le tele della scuola del Veronese? Però Boccioni, il futurista Boccioni, che è venuto a San Remigio per ritrarre il maestro Busoni sullo sfondo del lago, e per fare altri quadri se vorrà, ottiene dai marchesi, come anche dalle persone autorevoli che vengono a visitarli, una considerazione rispettosa e gentile; e questo lo gratifica, lo awicina in qualche modo alle storie e alle figure di questo esclusivo angolo di mondo che - anche ciò è fuori da ogni dubbio - deve tutto, o quasi, alla stabile potenza della sterlina: perché appunto dalle sostanze dei Browne e dei Beauchamp proviene in gran parte la rendita finanziaria che ancora adesso innalza il partenopeo casato dei Della Valle di Casanova.
Il marchese - aspetto austero, chioma candida e pizzo alla Van Dyck - è cadetto d'un ramo di una famiglia napoletana nobile sì, ma non insigne, ramo che scelse di trasferirsi a Torino in corrispondenza della caduta dei Borbone. Dopo gli studi classici, Silvio Della Valle di Casanova seguì i corsi di pianoforte al Conservatorio di Milano e poi si perfezionò a Stoccarda e quindi a Weimar, alla scuola di Liszt, nella cui cerchia riscosse credito benché fosse molto giovane: tanto che poté disporre del manoscritto della «Danza macabra», di cui tratta in questi giorni col maestro Busoni per pubblicarlo in Svizzera. In Germania, il marchese approfondì le sue conoscenze musicali e letterarie per diversi anni; talché pervenne a un'educazione culturale e a una qualità di frequentazioni molto simili a quelle di Busoni, del quale però non ha la genialità. (Eppure questa consonanza, che è alla base della loro amicizia, non si scioglie in confidenza, visto che continuano a darsi del voi). Né le sue poesie si distaccano dai modali accademici. Ed egli ne coltiva invece una superlativa opinione, che chi possiede uso di mondo, come Boccioni, gli lascia integra e lustra.
Il parco di San Remigio, nel quale lavorano trenta giardinieri, sovrabbonda anche di lapidi. In una di esse si legge: «Noi Silvio e Sofia Della Valle di Casanova / qua dove l'infanzia ci unì / questo giardino nato da un comune sogno di gioventù / adolescenti ideammo sposi eseguimmo...» Ma come è ben noto a quanti frequentano la villa - dal sindaco di Pallanza, conte Faussone di Germagnano, alla contessa Cadorna, moglie del generale capo di Stato Maggiore, e all'ancor giovane Vittoria Colonna principessa di Teano - il parco è opera soprattutto della marchesa Sofia, che non è certamente una gran pittrice, per quanto l'abbiano premiata con la medaglia della Municipalità all'Esposizione Internazionale di Monaco già nel 1895, ma altrettanto indubbiamente ha in sé innato il senso, o se si vuole il sentimento, della scenografia; sentimento che prudentemente collaudò, nella progettazione dei giardini, valendosi di modellini in scala, di legno e di stoffe colorate, al fine di comporre al meglio gli equilibri d'ombre e di luci, gli effetti di prospettiva, le molteplicità botaniche, lo stile «rinascimentale» e quello «all'inglese», l'ubicazione delle statue e dei ninfei, le sistemazioni «a bosco», quelle per gli alberi da frutto e tutto il resto attorno ai terrazzamenti digradanti.
Su uno dei terrazzi che danno sul lago, quasi davanti alla casa che replica sfrontatamente i motivi del Rinascimento toscano e veneto, Boccioni esegue il ritratto del maestro Busoni. Dipinge sopra una tela alta un metro e settantasei centimetri e larga un metro e ventisei; cosicché la figura del musicista, che indossa un'ampia giubba marroncina e sta seduto su di una balaustra con il cappello in mano, comincia a definirsi in proporzioni quasi naturali. È la prima settimana di giugno, però il tempo sembra quello di fine aprile, col fresco del mattino e col cielo spesso attraversato da nuvole che corrono via lontane, il più delle volte.
Le nuvole che tanto piacciono a Silvio di Casanova, romantico anche in questo, e che preoccupano invece il musicista e il pittore, perché un acquazzone allungherebbe i tempi della posa e cambierebbe i colori di tutto ciò che l'occhio di Boccioni vede, annota, scopre e riporta sulla tela secondando l'estro: la balaustra, il lago, l'albero e íl suo fogliame, la persona e il volto del celebre pianista che lo guarda con una sicurezza che sa di sufficienza e persino di sfida. È un quadro difficile, per tante ragioni, che includono anche l'aspettazione del committente, il quale ebbe fin dal 1912 un'alta stima dell'arte di Boccioni, mai rimanendo persuaso, tuttavia, degli esiti che più immediatamente derivarono dai concetti boccioniani di simultaneità e di dinamismo. Ed è poi il più grande dei pochissimi ritratti e autoritratti che egli abbia fatto en plein air, anziché in un interno o davanti a una finestra o presso un balcone: cioè in condizioni più utili a risolvere certi problemi che ora, al contrario, si pongono in tutta la loro complessità, in tutta la loro difficoltà, nella miriade dei suggerimenti della luce aperta, dispersa del terrazzo sul Verbano.
Ma non solo. Il Futurismo non sarebbe Futurismo se non fosse alimentato da una continua invenzione, da una creatività sempre in atto. Però ecco il dubbio: e se tutto fosse stato detto, fatto e sperimentato, dal primo Salon di Delacroix fino a oggi? Boccioni, quando il ritratto del maestro Busoni è a buon punto, si concede un po' di riposo. Gite nei dintorni, lettere e cartoline, visite in casa di amici dei marchesi - tra i quali non mancano delle persone divertenti, come lo stravagante Andrea Faussone di Germagnano, fratello del sindaco di Pallanza, o delle persone della migliore aristocrazia, come i conti Cioia e come la principessa di Teano, una nobile romana fra i trenta e i quarant'anni, che ha il marito al fronte e che vive nella più piccola delle isolette borromee a un tiro di sasso dalla più vicina sponda del lago. «Le racconterò, una di queste volte» gli ha detto la principessa, «che sono stata pittrice anch'io, fino a un paio d'anni fa». E poi: «Se le piace il posto dove vivo, torni qui in luglio o in agosto o quando vuole. Mi farà piacere averla ospite per un po' di giorni. Lo sa?» Un giorno, poi, il comandante del Presidio del Verbano, anch'egli in visita dai marchesi, lo informa che il richiamo alle armi della sua classe è ancora rinviato ed egli ne è contento, così può lavorare senza affanno.
Scrive a Marinetti, che ha appena propiziato, a Firenze, la nascita dell'«Italia Futurista», un periodico di quattro pagine effervescenti d'arte e di patriottismo; al quale però Boccioni non manderà scritti, tanto meno disegni, nonostante le pressioni. E a qualcuno degli amici lontani confida il suo stato d'animo. Accenna alla difficoltà di tenere la sua pittura, e il Futurismo, all'altezza che egli ad essi assegna. Invita la Sarfatti a venire in visita a San Remigio assieme a Sironi e a Russolo, che in questo periodo le sono molto vicini; e le racconta: «...Il ritratto del maestro Busoni procede bene ma è difficile applicarvi qualche cosa di nuovo... Voglio sperimentare del paesaggio applicando alla luce e all'atmosfera una solida stilizzazione; è difficile. Vedrò». Infatti, alterna da qualche giorno l'esecuzione di paesaggi e ritratti di minore impegno al completamento del grande quadro del pianista Tra gli altri lavori, fa a Gerda Busoni un ritratto «antigrazioso», e poi un altro meno 'bouleversant'. E in una lettera a Balilla Pratella dice del travaglio che gli deriva dal voler attingere al nuovo, all'inedito; quando invece alcuni dell'ultima leva futurista anziché andare avanti ripetono il già fatto. «...Lavoro molto e in parecchi sensi. Scrivevo a Marinetti che è terribile il peso di dover elaborare in sé un secolo di pittura».
Ma al maestro Busoni, a sua moglie, ai padroni di casa e agli ospiti di Villa San Remigio il quadro piace. Le soluzioni che Boccioni trova via via che i problemi gli si presentano convincono anche l'anziano scultore milanese Riccardo Ripamonti, che conosce i Della Valle di Casanova da una decina d'anni e, come adesso, soggiorna spesso a Pallanza. Non sembra forse una scultura la giubba di Busoni così profonda di ombre, così lumeggiata di ocre, di gialli e di verdi? Scavi di pieghe, un volume roccioso, una pittura modellata, una potenza ferma, che lascia immaginare dentro di sé un tumulto di energie. Il marchese Silvio che è un appassionato e provetto fotografo - e anche questa passione alimentò la sua amicizia con Francesco Paolo Michetti - coglie diverse istantanee, e fa anche posare qualcuno degli ospiti, per donargli poi delle immagini che restino un buon ricordo di San Remigio. Ecco allora qualche foto di gruppo, ecco Boccioni col camice e col cappello assieme a Busoni durante una pausa del lavoro; ecco ancora Boccioni in posa: abito scuro, colletto inamidato, perla-fermacravatta, la catenina dell'orologio da taschino che adorna il gilet e i capelli lisci e scuri ben ravviati, che rivelano la stempiatura ormai avanzata.
Lo scultore Riccardo Ripamonti, il Marchese, Busoni e Boccioni sul terrazzo di San Remigio (giugno 1916).
La visita a San Remigio di Margherita Sarfatti, di Sironi e di Russolo è un cordiale ritrovarsi, naturalmente; e Boccioni è molto lusingato di presentare ai suoi amici le autorevoli persone ch'egli frequenta in queste settimane. I luoghi di San Remigio hanno nomi che mal si addicono alle preferenze culturali della scrittrice e dei due artisti; i quali però, come già Boccioni, rendono onore alla cortesia dei marchesi tenendo la lingua a freno quando sono accompagnati di sala in sala nella villa e quando son guidati nel parco attraverso il Giardino della Memoria, quello delle Ore, quello della Mestizia, quello della Letizia, quello dei Sospiri; o quando si vedono indicate la finta necropoli, le statue delle Quattro Stagioni e tutte le altre traboccanti fantasie dell'universo in cui vivono i marchesi Della Valle di Casanova.
Chiamato a Zurigo dai suoi impegni, Ferruccio Busoni se ne va da San Remigio con la moglie Gerda il 19 giugno. Porta con sé il ritratto, ovviamente; e il trasporto - benché egli sia favorito da un sottoprefetto per le pratiche alla frontiera - gli costa in tutto «quasi 200 lire di spese»; «che non rimpiango» scrive al marchese; al quale non dice d'essere in debito, col pittore, per il ritratto e per un altro quadro.
Boccioni invece resta presso i suoi ospiti ancora per diversi giorni, a fare «alcune cose sempre più sintetiche e serrate», come scrive a Vico Baer, sempre utilizzando per i lavori all'aperto il cavalletto della marchesa Sofia, sempre curioso del 'milieu' che gli è d'intorno - nel quale tutti si danno del lei - sempre gratificato dalle attenzioni che gli vengono riservate dai Della Valle di Casanova e anche dai loro amici e parenti, ora soprattutto dalla principessa di Teano e dalla sorella del marchese: la signorina Bettina, che da sei anni mantiene un collegio per orfanelle e che pensa di fare della sua villa, verdeggiante anch'essa sulla Montagnola, un ospedale della Croce Rossa, per i soldati feriti al fronte, che non è poi così lontano. E quando infine parte da San Remigio per Milano, Boccioni ha un bagaglio vario e insolito: alcuni dei quadri fatti - tra cui sono ritratti e vedute - alcuni doni, una poesia finita e qualche altra soltanto cominciata; e il proposito di venire ancora sul Lago Maggiore. Proposito che è specchio del sentimento del ritorno, o della nostalgia; sentimento che conosce poco.
AGNESE, pp. 357-365, senza note. Per il testo integrale si rinvia il lettore al magnifico volume.