ALFREDO CASELLA

I MIEI RAPPORTI CON FERRUCCIO BUSONI

INTRODUZIONE E SONATA
PER VIOLONCELLO E PIANOFORTE

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Nel giugno seguente (1913), conobbi per caso a Parigi tre illustri italiani. Il primo era Gian Francesco Malipiero, che si trovava da alcuni mesi a Parigi ma che - non so perché - non era ancora riuscito a trovarmi. Ci legammo subito di fraterna amicizia ed egli mi mise al corrente di quanto accadeva allora in Italia nel campo musicale. Alcune sere più tardi, fui al Châtelet dove si dava la «Pisanella» di d'Annunzio colla musica di scena di Ildebrando Pizzetti (che allora era «da Parma») e vi conobbi questo altro nostro compagno di arte e di lotta.
Sempre nel medesimo giugno, Busoni diede un récital alla Sala Érard e vi fummo con Malipiero. Avevo già udito varie volte il grande pianista, ma mai avvicinato. Dopo il concerto, fummo tutti assieme in una brasserie del Boulevard des Italiens e si parlò di mille cose. Siccome Busoni era da poco stato nominato direttore del Liceo di Bologna e che si disponeva a recarsi in quella città con ampi propositi di svecchiamento e di rinnovamento, così gli dissi della mia decisione di tornare in patria al più presto e lo pregai di trovarmi un posto nel suo istituto. Egli mi fu assai accogliente e promise di non dimenticarmi. Purtroppo la sua permanenza al Liceo bolognese fu di breve durata, ed i suoi fieri propositi riorganizzativi si infransero ben presto di fronte alla incomprensione dell'ambiente ed alla burocrazia ministeriale di quei tempi.
Nell'anno 1916, ebbimo pochi artisti stranieri. Ma in compenso parecchi italiani di eccezione, fra i quali Toscanini e Busoni. Toscanini diresse nel febbraio «Petrouchka», il quale rinnovò il successo dell'anno precedente. [...] I rapporti con Busoni subirono in quei tempi una interessante evoluzione. Sino allora Busoni mi aveva dimostrato, a traverso una cordialità piuttosto formale, una certa diffidenza (la quale del resto è documentata da parecchie lettere pubblicate dal prof. Dent nella sua biografia busoniana). Un giorno però (ed era precisamente nel marzo 1916) la mamma volle essere presentata dopo il concerto al grande pianista. Quando Busoni vide quella piccola vecchietta, si commosse rnoltissimo e le fece una accoglienza veramente figliale, dicendo che gli pareva di rivedere sua madre. Da quel giorno, egli prese veramente a volermi bene, ma, cosa curiosa, perché aveva indovinato che cosa fosse stata per me quella eccezionale donna. Conservo infatti una sua lettera, in data 21 luglio 1923, nella quale egli scriveva:
«Non occorre che io ripeta che Le voglio un gran bene, che ammiro la Sua energia ed intelligenza. Ma so anche che Lei è buono; e non ho dimenticato quel momento, quando Ella entrò nel camerino accornpagnato dalla Sua Signora Madre! L'amor filiale, la devozione all'arte: ecco i due punti che mi legano a Lei».
Nel luglio del 1916, vennero chiamati alle armi i militari di terza categoria del 1882 e 1883 (la terza categoria comprendeva allora i casi come il mio, che ero stato esentato dal servizio militare perché figlio unico di madre vedova). Ma le mie condizioni fisiche che erano divenute assai precarie negli ultimi anni apparvero subito così evidenti che fui immediatamente riformato all'ospedale militare del Celio dove mi avevano rimandato per un secondo accertamento. E così ritornai alla quotidiana dura battaglia dell'arte dove era ormai segnato il mio posto di combattente dello spirito e di gregario di avanscolta.
Uno degli obbiettivi immediati che ero deciso a raggiungere al più presto, era quello della fondazione in Italia di un organismo musicale che fungesse da «cavallo di Troja» in mezzo all'ambiente che era ancora in massima parte così arretrato e provinciale. E pensavo di dare a questo organismo il nome di «Società Nazionale di Musica», a somiglianza di quella francese, della quale ho precedentemente ricordato le alte benemerenze verso la storia musicale del suo paese. Un'altra società col medesimo nome era stata fondata l'anno precedente in Spagna da Manuel de Falla, fiancheggiato dai migliori giovani compositori iberici ed aveva cominciato a svolgere una nobilissima attività.
Accanto a me, altri giovani maestri erano animati da analoghe aspirazioni e dal medesimo desiderio di entrare in lotta al più presto contro il dilettantismo, la mediocrità ed il provincialismo che troppo regnavano allora ancora in Italia. Questi compagni della prima ora furono Ottorino Respighi, Ildebrando Pizzetti, G. Francesco Malipiero, Carlo Perinello, Vittorio Gui e Vincenzo Tommasini. Dapprima semplici fraterni colloqui, i nostri contatti assunsero poi la forma di riunioni periodiche che si tenevano nel bellissimo palazzo del senatore Tommasini in via Nazionale. Progressivamente, in queste riunioni, si concretò il progetto della istituzione che intendevamo fondare a difesa della giovane musica italiana e, come volevo, si chiamò questa istituzione (a somiglianza di ideali e di scopi, come già dissi, con quella francese) «Società Nazionale di Musica». Questa associazione sorgeva collo scopo di «eseguire le musiche più interessanti dei giovani italiani, ridare alla luce quelle nostre antiche obliate, stampare le nuove composizioni nazionali più interessanti, pubblicare un periodico, ed infine organizzare un sistema di scambi di musiche nuove coi principali paesi esteri». La presidenza di onore della S. N. M. fu accettata da Toscanini, Busoni e Bossi, e quella effettiva dal Senatore San Martino.
L'attività svolta dalla S. N. M. in quel primo anno di esistenza fu assai confortante: sei concerti dati nella sala di Santa Cecilia, quattro altri dati a Milano, Torino, Bologna e Ferrara, un concerto organizzato a Parigi ed infine una audizione orchestrale che ebbe luogo nella Sala Costanzi, nella quale si eseguirono, diretti dall'autore, frammenti dell' Uccello di fuoco, «Feu d'artifice» e «Petrouchka». Le composizioni programmate in questi concerti furono 112, delle quali 102 italiane. Gli autori eseguiti furono, oltre ai cinque già citati del 16 marzo a Roma: M. Enrico Bossi, Tommasini, Perrachio, Gandino, Perinello, Renzo Bossi, Mantica, de Sabata, Alaleona, Liuzzi, Gasco, Giulia Recli, V. Gui, Zandonai, Davico, e di stranieri: Ravel, Strawinski, Lord Berners, de Falla, Debussy e Fauré. Oltre a questa attività concertistica, si strinse una serie di accordi con quattro società francesi (fra cui la Societé Musicale Indépendante) e la Sociedad Nacional de Musica di Madrid per assicurare un intenso ritmo di scambi fra le tre nazioni latine.
Con animo commosso ricordo quel primo anno della nostra attività, e specialmente mi è caro riandare a quella nobile fraternità di propositi e di entusiasmi che riuniva attorno a me Respighi, Pizzetti, Malipiero, ed altri miei coetanei. Era veramente quello nostro il «fronte unico» della intelligenza contro la mediocrità ed il dilettantismo e costituiva una alleanza di artisti quale purtroppo non si è mai più incontrata da noi. La vita si incaricò più tardi di dividerci e purtroppo anche di oppormi come nemici alcuni di quei musicisti che in un primo tempo erano scesi in lotta al mio fianco. Ma, ripeto, questo non altera per nulla la purezza di quel 1917, anno ove veramente si iniziò il rinnovamento della coscienza musicale nazionale.
Per intensa che fosse stata la prima attività della Società Nazionale di Musica, quando a stagione finita si tirarono le somme, si vide che erano necessarie alcune modificazioni nel titolo e soprattutto nel programma della istituzione, non abbastanza chiaramente definito, per modo da evitare qualsiasi confusione della nostra associazione con altre società già esistenti colle quali essa non doveva confondersi. Venne così deciso di mutare il nome della Società Nazionale in Società Italiana di Musica Moderna, titolo che non le avrei certo dato oggi, ma che allora aveva indubbiamente il vantaggio di chiarire senza equivoci la posizione e le finalità della istituzione.
Colla fine di ottobre, una nera nube si addensò sull'Italia. Ma la resistenza eroica dell'Esercito e, dietro di quello, della intera Nazione ebbero ragione dell'invasore. Poco a poco rinacque la fiducia ed anche l'arte riprese a vivere la sua vita sia pur ridotta ma nondimeno bastante a dimostrare che ogni speranza non doveva essere perduta in una prossima risurrezione spirituale.
Nel dicembre 1917, inaugurai un periodico di battaglia, che si chiamò «Ars Nova» ed al quale collaborarono, oltre a quei pochi musicisti che potevano scrivere in quei tempi bellici, scrittori, pittori, critici come Giovanni Papini, Carrà, de Chirico, Gleizes, Mario Broglio, Laloy, Luciani, Marnold, Recchi, G. M. Gatti ed altri molti. Il tono del periodico era molto violento ed aggressivo, ed era ancora «corroborato» da un sciocchezzaio che faceva la gioia degli uni e la costernazione degli altri. La redazione era interamente opera mia e debbo dire che mi divertiva un mondo.
[...] Nei quotidiani colloqui con G. F. Malipiero - che era l'unico di quegli antichi compagni di lotta rimastomi vicino, gli altri essendosi ormai staccati da me ed avviati per vie alquanto diverse dalla mia - si pensava seriamente alla necessità di fondare un nuovo organismo di cultura moderna, che servisse a far penetrare in Italia le ultime espressioni, le più recenti ricerche dell'arte musicale contemporanea, sembrandoci che lo sforzo - pur lodevole - delle varie società di concerti, fosse alquanto ritardatario sui tempi e che urgesse mettere le giovani generazioni a contatto più diretto col pensiero musicale europeo. Un caso fortunato doveva fare del nostro progetto salda realtà. Avevo chiesto in quei giorni un appuntamento a Gabriele d'Annunzio al quale desideravo far udire «La sera fiesolana» che avevo musicata in quei giorni. Il 20 settembre, giunse un telegramma così concepito:
«Casella Malipiero - Villa Occioni ASOLO
Mi libero oggi da molti seccatori ignoranti di musica e aspetto i forieri della musica nuova.
Gabriele d'Annunzio».
Il giorno dopo, eravamo ospiti del Comandante al «Vittoriale», che a quei tempi aveva conservato intatto il suo carattere di villa semplice, alquanto «colonica» nascosta in mezzo agli alberi con in fondo la magnificenza del Garda. Non avevo più riveduto il Poeta dalla storica sera della sua partenza per Quarto, ma lo ritrovai straordinariamente giovanile di spirito e di corpo. Egli ci fece un'accoglienza affettuosissima. Appena gli accennammo del nostro progetto circa la fondazione di un nuovo organismo di propaganda per la musica contemoporanea, egli si accese di vivissimo entusiasmo. Si parlò dell'avvenire per tutta la serata. L'indomani mattina, quando lo ritrovammo, egli aveva trovato il nome della associazione che volle battezzare Corporazione delle nuove musiche, col bellissimo motto latino «Concentus Decimae Nuncius Musae». La sua immaginazione da poeta vedeva le cose molto in grande.
La «C. D. N. M.» avrebbe dovuto - oltre ai concerti di musica contemporanea - organizzare un vasto coro per restituire alla luce le più belle musiche antiche nostre, prime fra quelle le monteverdiane, avere più tardi anche un'orchestra, ed infine (e qui il Comandante precorreva i tempi) «andare verso il popolo» creando ovunque in Italia audizioni per le masse, e facendo così realtà del paragrafo LXV del suo «Statuto» fiumano del l920, nel quale egli scriveva: «Le grandi celebrazioni corali ed orchestrali sono ' totalmente gratuite' come dai padri della Chiesa è detto delle grazie di Dio». Del problema finanziario egli diceva di non preoccuparsi, perché essendo allora capo delle genti di mare di tutta Italia avrebbe prelevato un modesto contributo su ognuna di quelle 500.000 persone, ciò che avrebbe assicurato alla «C. D. N. M.» vastissime possibilità. A dir il vero, ero alquanto scettico sulla possibilità di attuare integralmente questo smisurato programma. Ma pensavo tuttavia che - limitandoci a qualcosa di più modesto - l'azione della «C. D. N. M.» avrebbe nondimeno potuto riuscire altamente benefica al paese.
Ritornato a Roma, cominciai ad organizzare l'associazione. Mi recai più volte al Vittoriale, dove trovavo il Comandante sempre acceso di entusiasmo, ma viceversa gli vedevo sempre accanto quel capitano Giulietti che fungeva da tramite fra il Poeta e la gente di mare, e che non dimostrava nessun interesse ai piani musicali del Comandante. Le mie previsioni sul lato chimerico dei grandiosi progetti del Comandante si manifestavano ogni giorno più fondate. Occorreva quindi trovare mezzi finanziari altrove. Non mi preoccupavo del resto eccessivamente perché ho sempre veduto che quando un'idea è veramente buona il denaro finisce sempre per venir fuori. Ed infatti il 15 novembre Malipiero riceveva un cablo da Mrs Elizabeth Sprague Coolidge, alla quale egli si era rivolto, ove essa annunciava di sottoscrivere mille dollari (erano, al cambio di allora, circa 23.000 lire nostre) per la «C. D. N. M.». Ricevemmo pure un altro cospicuo dono di 10.000 Iire dall'avv. Riccardo Gualino di Torino ed altri ancora minori da amici romani. Dimodoché ci trovammo a febbraio del 1924 con una bella sommetta che potevamo spendere liberamente secondo i nostri desideri. Nel secondo e terzo anno di vita della «C. D. N. M.», la signora Coolidge [Elisabeth Sprague, definita da Casella «una delle figure più nobili del mecenatismo musicale»] ci donò ancora altri 1.500 dollari, portando così il suo contributo personale a circa 57.000 lire italiane, che ci permisero di svolgere una serie di manifestazioni dedicate alla musica contemporanea quali non si erano mai vedute prima in Italia e quali purtroppo non si rividero poi. [...]
Questa associazione visse cinque anni, ma furono brillantissimi. La prima stagione si svolse in parte al Teatro delle arti che fondava in quei medesimi mesi Luigi Pirandello in un identico momento di entusiasmo e di fede. Lo stesso pubblico frequentava le sue rappresentazioni ed i nostri concerti. In quell'anno facemmo venire per la prima volta in Italia Bela Bartòk come pianista e Paul Hindemith col suo quartetto. Nei concerti si fecero udire musiche di Strawinski (tra cui l'«Histoire du soldat» e l'«Ottetto per fiati», ambedue nuovi per l'Italia), Honegger, Milhaud, Auric, Hindemith, Szymanowski, Bloch, Krènek, Bartòk, Kodàly, Poulenc, Ravel, Bliss, Respighi, Malipiero, Pizzetti, Castelnuovo-Tedesco, Veretti, Rieti, Labroca, Massarani, Mortari, P. Clausetti e Casella. [...]
Dobbiamo adesso ritornare indietro, per parlare di altri importanti avvenimenti artistici dei quali fui attivamente partecipe e con me la «C. D. N. M.». Si tratta della fondazione della Società Internazionale di Musica Contemporanea, la quale - come è noto - ebbe origine dalla nobilissima iniziativa di alcuni compositori appartenenti alle nazioni ex-nemiche, che vollero organizzare a Salisburgo, nell'agosto del 1922, un «festival» nel quale, per la prima volta dopo il 1919, si udirono musiche di 44 compositori tutti appartenenti a quei paesi che avevano combattuto gli uni contro gli altri. Questa necessità di riprendere al più presto i contatti spirituali che la guerra aveva così dolorosamente interrotto, era da tutti i veri artisti sentita come una imme-diata necessità, ed è innegabile che la «S. I. M. C» nacque in mezzo ad un entusiasmo straordinario e che segnò veramente la pace degli spiriti musicali. Appena fondata la Società, il prof. Edw. J. Dent [il futuro biografo di Busoni, n. d. c.] che ne era subito stato eletto presidente, si rivolse a Guido M. Gatti ed a me, come alle persone che gli parevano più adatte per assumersi il non lieve compito di organizzare in Italia una sezione della Società.
Nella primavera del 1923, vennero pubblicati i programmi del festival che doveva aver luogo nel prossimo agosto a Salisburgo (e che era il primo ufficiale della «S. I. M. C.», essendo questa stata fondata alla fine del festival 1922), e parve a certuni dei nostri maestri che l'Italia vi fosse insufficientemente rappresentata («Liriche» di Malipiero, «Il raggio verde» di Castelnuovo-Tedesco e la «Fantasia contrappuntistica» di Busoni). Alcuni giornali allora (fra i quali il Popolo d'ltalia che pubblicò un articolo violentissimo di Alceo Toni) tentarono di porre Gatti e me in istato di accusa. Sotto la pressione di questa campagna di stampa, si decise di inoltrare alla «S. I. M. C.» una protesta contro la giurìa che aveva formato i programmi, notificando anche la nostra astensione da festival, protesta che venne firmata da tutti i maggiori musicisti italiani e della quale si mandò anche una copia a Busoni (che faceva parte del Comitato di Patronato della Società). G. M. Gatti si ritirò dalla «mischia», lasciandomi solo fiduciario italiano della Società. Io decisi di recarmi a Salisburgo come «osservatore». Nelle assemblee dei delegati si chiarì poi ogni cosa. La «protesta» lasciò il tempo che doveva trovare, e mi venne riconfermato l'incarico di formare la sezione italiana della Società. E, siccome appunto poche settimane dopo veniva fondata al Vittoriale la «Corporazione delle Nuove Musiche», così questa, sin dal suo apparire, venne senz'altro riconosciuta come sezione italiana della «S. I. M. C.».
La «S. I. M. C.» ha svolto indubbiamente per parecchi anni un'opera altamente benefica. I primi festivals (Salisburgo, Praga, Venezia, Zurigo, Francoforte-Meno e Siena) allinearono - in una fraterna e disinteressata collaborazione - i più bei nomi della musica contemporanea: Strawinski, Schönberg, Prokofief, Szymanowski, de Falla, Ravel, Bliss, Roussel, Honegger, Milhaud, Bartòk, Kodàly, Hindemith, Krènek, Bloch, Schmitt, Kaminski, Martinu, Villa-Lobos, Ibert, V. Williams, W. Walton, von Webern, Mossolof, Janacek, Hàba ecc. Si può veramente affermare che tutto quanto la musica contemporanea ha prodotto di migliore è passato per quelle manifestazioni. Col festival di Siena ( 1928) si chiude il periodo aureo della «S. I. M. C.» e ne comincia la decadenza. Allo spirito magari rivoluzionario ma anche così generoso nel suo internazionalismo tanto nobilmente inteso, doveva subentrare poco a poco un giuoco alquanto demagogico e parlamentaristico di interessi non sempre lodevoli, nuovo spirito dovuto soprattutto alla preponderanza presa da certi elementi israeliti medieuropei (sopratutto cecoslovacchi) che, a traverso i lavori delle assemblee dei delegati nazionali e delle giurie, cominciarono a svolgere una lenta ma tenace opera antilatina alla quale vanamente si oppose lo stesso presidente Dent. Dimodoché il festival doveva finire per divenire il feudo di una specie di congrega formata da compositori che si eseguono solamente in quella occasione e che poi non si rivedono più su nessun programma. Comunque, fino a tutt'oggi, l'Italia è stata sempre presente e la nostra sezione ha saputo essere fra le più attive della «S. I. M. C.» organizzando in Italia ben tre festivals: Venezia 1925, Siena 1928, e Firenze 1934.
L'opera della sezione è stata spesso criticata in Italia dai soliti malcontenti che non potevano giungere sino a quelle manifestazioni. Ma la seguente breve statistica basta a dimostrare come tutti i compositori meritevoli di figurare in quei festivals ci siano entrati, ed anche più di una volta:


Compositori [tra parentesi il numero delle esecuzioni]

Malipiero [9]
Castelnuovo-Tedesco [5]
Rieti [4]
Busoni [3]
Casella [3]
Dallapiccola [4]
Alfano [2]
Pizzetti [2]
Labroca [2]
Petrassi [2]
Tommasini [1]
Mulè [1]
Mortari [1]
Veretti [1]
Nielsen [1]
Gorini [1]
Pilati [1]

Totale 42 composizioni di 17 autori italiani eseguite in 18 festivals.

Se qualcuno osservasse che Respighi non è mai stato eseguito in nessuno di quei festivals, risponderò che fu lui a non voler mai partecipare in nessun modo a quelle manifestazioni, per ragioni che non volle mai dirmi, ma che rispettai sempre pur non conoscendole.
Alfredo Casella, «I segreti della giara», Firenze, Sansoni, 1939, pp. 151 ss. con tagli.