GIAN FRANCESCO MALIPIERO

SONATINA PER VIOLONCELLO E PIANOFORTE

Sottili legami tra la Sonatina
e «Kultaselle» di Busoni

MATTIA ZAPPA
violoncello

MASSIMILIANO MAINOLFI
pianoforte

DUCALE CDL 028

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TESTO DI LAURETO RODONI
 

 

Gian Francesco Malipiero, nato a Venezia nel 1882 e morto a Treviso nel 1973, definito da Dallapiccola «la più importante personalità che l'Italia abbia avuto dopo la morte di Verdi», fu tra i più longevi e prolifici compositori di tutti i tempi: la sua prima opera, distrutta dall'autore stesso, risale al 1904; le ultime sono del 1971. Formatosi a Venezia e a Bologna (con M. E. Bossi), ebbe anche la possibilità di studiare al Conservatorio di Vienna (1898-1899) e a Berlino (1908-1909), dove seguì alcune lezioni di Max Bruch alla Hochschule für Musik. Nello stesso periodo scoprì la musica impressionista e incontrò per la prima volta Ferruccio Busoni che ebbe un notevole influsso sul suo modo di concepire l'opera d'arte. In particolare Malipiero era affascinato dalla commistione di stili, di registri e di influenze contrastanti (musicali, letterarie, pittoriche) presenti nell'opera che Busoni stava componendo in quel periodo: «Die Brautwahl».
Esperienza fondamentale sul piano artistico e umano fu il soggiorno a Parigi nel 1913, dove ascoltò, stupefatto e commosso, «Le sacre du printemps», conobbe Casella e D'Annunzio, incontrò di nuovo Busoni ed entrò in contatto direttamente o indirettamente con il mondo musicale europeo. Nonostante queste esperienze, decisive per il suo sviluppo artistico, Malipiero fu sempre un musicista isolato. «Ho conosciuto, più o meno da vicino, tutti i musicisti, da tutti mi sento più o meno lontano», ammise nel 1944.
Come compositore, fu definito dal Waterhouse, «schiettamente istintivo», poiché obbedì sempre a un principio che riteneva indispensabile: scartare e distruggere ciò che era frutto della sua volontà anziché del suo istinto. Nei quasi 70 anni di attività compositiva, egli esplorò tutti i generi musicali, dall'opera (ne compose 46!) alla cantata, dalla sinfonia (11 e 6 non numerate) ai concerti solistici (11), dal balletto alla musica da camera (8 quartetti d'archi, composizioni per pianoforte e per altri strumenti); dalla musica di scena alla musica da film, dal Lied accompagnato dal pianoforte o da pochi strumenti alle elaborazioni di musica antica.
 

 

Cospicua anche la produzione letteraria (libretti d'opera, saggi critici, volumi di memorie, scritti sulla musica antica) e filologica, nella quale campeggia la monumentale edizione critica in 16 volumi dell'opera omnia di Monteverdi («[...] faccio questa edizione a tempo perso, non a scopo di lucro, ma per il grande amore ch'io nutro per il divino Claudio» (2.1.1927) [Le lettere citate con data precisa fanno parte dell'Archivio Rodoni.]
Fu molto polemico con le case editrici italiane, presso cui «i giovani dovrebbero trovare ospitalità [...], purtroppo le cose in questo campo vanno male assai ed è meglio non parlarne» (27.3.1927). Potè abitare per molti anni appartato ad Asolo («onde evitare le ipocrisie e le vicende degli ambienti musicali» che lo disgustavano, 20.1.1929) dato che «vivevo dei miei editori ESTERI, ché all'estero le mie opere andavano sempre meglio. La crisi mondiale cambiò la mia situazione e siccome anche ad Asolo si deve 'mangiare' 'vestire' e 'pagar le tasse' [...] ho dovuto escogitare un modo per 'salvarmi'.» Infatti nel 1932 fu costretto ad accettare la cattedra di composizione al Conservatorio di Venezia, del quale divenne direttore nel 1939.
Malipiero era una persona estremamente diffidente: «non esiste essere umano, amico o nemico mio, al quale io abbia fatto confidenze di sorta. Ho due o tre amici per i quali metterei le mani sul fuoco, e anche con questi non ho mai parlato di nulla, nonostante io abbia avuto nella mia vita momenti difficili» (23.5.1922). «Cave canem? Cave hominem!» si intitola significativamente un brano delle sue memorie. Fra quei «due o tre amici» c'era quasi sicuramente Casella su cui scrisse: «Nonostante i miei buoni rapporti d'amicizia con Alfredo Casella, non esiste nessun mio legame musicale con lui. Molte sue opere mi piacciono, le ascolto volentieri (il che per me non è poco) ma fummo sempre agli antipodi e forse la nostra lontananza musicale ci riunì.»
Massimo esponente della cosiddetta 'generazione dell'Ottanta' di cui facevano parte anche Respighi, Pizzetti e Casella, Malipiero fu con quest'ultimo in prima linea nell'arduo compito di sprovincializzare e rifondare la musica italiana.
 

 

Per la vastità degli influssi (dal gregoriano all'espressionismo tedesco, passando attraverso l'adorato Monteverdi e il Settecento veneziano) è un autore difficilmente classificabile. Tuttavia la varietà stilistica delle sue opere converge in una superiore unità espressiva, in un linguaggio personale, inconfondibile, le cui cifre fondamentali sono da una parte la coesistenza dell'elemento arcaico con le più ardite conquiste del linguaggio armonico (l'atonalità, la politonalità, sporadicamente anche la dodecafonia), dall'altra il rifiuto di ogni forma precostituita e soprattutto l'abolizione del principio «dello sviluppo tematico convenzionale: le idee si presentano, dicono ciò che hanno da dire e non ritornano più» (28.6.1917). In un brano dei «Ricordi e Pensieri» ribadisce questa convinzione: «Materialmente ho rifiutato il facile gioco degli sviluppi tematici perché ne ero saturo e mi venivano a noia. Imbroccato un tema, voltandolo, girandolo, sminuzzandolo, gonfiandolo, non è difficile costruire il tempo di una sinfonia (o di una sonata) che diverte i dilettanti e soddisfa la insensibilità degli intenditori.»
Complessi e non di rado conflittuali i suoi rapporti con il fascismo. Anticonformista e antidogmatico, era poco amato dal regime sia per il suo passato sperimentale e avanguardistico, sia per le peculiarità della sua musica, troppo distante dal gusto corrente. In molti scritti manifestò amarezza nei confronti dell'Italia che lo ignorava: «pur avendo sempre tenuto molto, molto alto il nome del mio paese all'estero [...] ho avuto dalla mia patria soltanto 'cose ignobili'» (3.12.1931). E quattro anni prima: «Io 'sono stampato' dall'Universal Edition <di Vienna> [...]. Sono uno straniero per l'Italia. Credo la causa sia mia perché non voglio barattare dei favori» (27.3.1927), pensiero ripreso nel 1968 nel volumetto di memorie Da Venezia lontan...: «La libertà, per quanto universalmente proclamata indispensabile alla dignità dell'uomo, si deve pagar cara se si vuole conservarla intatta e il rifiuto di barattarla contro vile moneta, provoca strane e pericolose reazioni.»
«Oggi si può riconoscere» - scrisse Cecilia Palandri - «come e quanto sia stato problematico convivere col regime per Malipiero, così come per tutti quegli intellettuali che, pur non aderendo ideologicamente al fascismo, non si erano sufficientemente motivati a forme di resistenza come l'esilio [...] e si erano quindi 'costretti', piuttosto, a cercare forme di compromesso, di sofferto quieto vivere, o anche di ambigua collaborazione, sia pur faticata». A questo proposito, Malipiero scrisse alla fine della guerra: «Chi va ad abitare un edificio di recente costruzione e fiducioso vi trasporta tutto quello che possiede, può essere responsabile se crolla? Forse responsabile d'aver avuto fiducia nell'architetto? Chi poteva immaginare che il materiale fosse tarato e irrimediabilmente condannato a sgretolarsi?»
Trascorse il periodo dell'occupazione tedesca (dal '43 al '45) all'interno del Conservatorio, riuscendo, grazie al suo prestigio, a sottrarre insegnanti e allievi al servizio militare e ai campi di concentramento. «Confesso» - scrisse a questo proposito - «che dal 28 aprile 1945 in poi, ho atteso che 'qualcuno' venisse a dirmi grazie per quello che ho fatto per il Conservatorio Benedetto Marcello durante la guerra.»
Nella sua sterminata produzione musicale, il violoncello non occupa un posto di primo piano: tre, brevi e, tutto sommato, minori sono le composizioni dedicate a questo strumento: la giovanile «Sonata per violoncello e pianoforte» (1907-1908, pubblicata ma non menzionata nel Catalogo delle Opere redatto dal compositore stesso; fu definita «vistosamente romantica» da Waterhouse), il breve «Concerto per violoncello e orchestra» e la «Sonatina per violoncello e pianoforte» registrata per la prima volta in questo CD; in altre due composizioni il violoncello divide per così dire il primato con il violino («Sonata a tre per violino, violoncello e pianoforte» [1927] e «Concerto per violino, violoncello, pianoforte e orchestra» [1938]).
La «Sonatina» fu, sorprendentemente, l'unico pezzo puramente strumentale di qualche rilievo che Malipiero compose dal 1938 al 1942: essa «si colloca come solitario e tenue legame tra la sua prolifica produzione strumentale degli anni '30 e la sua rinnovata fecondità strumentale dei tardi anni '40» (Waterhouse). Composta parallelamente al Mistero «Santa Eufrosina», a cui attribuiva ben maggiore importanza come risulta nelle lettere di quel periodo, fu conclusa a Venezia il 9 giugno 1942, nello stesso mese in cui portò a termine la citata edizione delle opere di Monteverdi.
Questa breve composizione è legata dall'autore stesso alla «Sonata a tre», composta nel 1928. In una nota su quest'utima composizione Malipiero infatti scrisse: «La sonorità di un solo violino, o di una sola viola, o di un solo violoncello, non si fonde col pianoforte, cioè non permette che il discorso diventi una sola espressione; i due istrumenti alzano la voce per contraddirsi a vicenda. Lo stesso accade pure se gli istrumenti sono tre, com'è il caso di questa sonata. È forse per rimediare a questo inconveniente che solo nel terzo tempo la sonata diventa veramente a tre. Le stesse osservazioni si possono ripetere per la Sonatina per violoncello e pianoforte, scritta quindici anni più tardi e perciò più snella e apparentemente più spontanea.»
La «Sonatina» si articola in tre tempi senza soluzione di continuità: due brevi sezioni veloci e briose (Allegro piuttosto mosso; Allegro, vivace, ma non troppo mosso), incorniciano una parte centrale lenta e più lunga (Lento; Molto tranquillo, quasi largo; Un poco meno lento). L'unità del pezzo è assicurata da una sorta di leitmotiv armonico, costituito da due accordi del pianoforte che tornano più volte, identici o variati, in punti cruciali della composizione. Nonostante l'anno di composizione, non sembra che questa breve opera sia connessa agli eventi bellici di quel periodo, benché il compositore abbia scritto che «la guerra non consente di vivere in pace nemmeno con se stessi» e non abbia mai nascosto la sua «disperazione per gli eventi che minacciavano di distruggere l'Italia». Il clima sonoro è disteso, senza tensioni, brillante nei tempi estremi. Soltanto in tre battute del tempo lento (dalla 119 alla 121), collocate al centro, in posizione strategica sul piano strutturale, una rapida e drammatica discesa in sedicesimi dal forte al fortissimo del violoncello e i seguenti drammatici accordi del pianoforte sembrano evocare le ferite inferte al suo Paese dalla barbarie bellica. L'atmosfera torna subito dopo serena e la Sonatina si conclude gioiosamente in un allegro vivace in cui il ritmo ternario è evidenziato dagli staccati e staccatissimi dei due strumenti, e dai frequenti pizzicati del violoncello.
Sembra esistere un sottile legame, musicale e biografico, tra questa composizione e Kultaselle di Busoni. Tre sono le spie che portano in questa direzione: il termine «sonatina», pur vago, non può non far pensare alle sei Sonatine busoniane per pianoforte, tra le quali giganteggia l'incredibilmente audace Sonatina seconda, uno dei vertici della musica per pianoforte del Novecento. Anche Busoni questo termine non lo intendeva nella accezione classica, ma piuttosto come pezzo breve di forma e pregnanza di volta in volta diversa o addirittura antipodica (basta confrontare la Sonatina appena citata e la «Sonatina super Carmen», per rendersene conto).
Una seconda spia è la dedica a Enrico Mainardi, l'insigne violoncellista che tenne a battesimo 4 anni prima il «Concerto per violoncello e orchestra», eseguendolo successivamente in molte città europee (in due occasioni fu diretto da Alfredo Casella). È difficile immaginare che Malipiero non abbia parlato a Mainardi della sua amicizia con Busoni e dell'importanza che il compositore di Empoli ebbe per il suo iter artistico; riesce altrettanto difficile credere che, a sua volta, Mainardi non abbia riferito a Malipiero di aver conosciuto Busoni a Berlino nell'ottobre del 1910, quando, allora tredicenne, aveva appena concluso il Conservatorio. In quella occasione il sommo pianista donò al promettente «giovanetto confratello» un foglio d'album con quattro battute di «Kultaselle».
Infine le reminiscenze armoniche di ascendenza impressionista presenti in questa composizione potrebbero rievocare il primo incontro berlinese di Malipiero con Busoni: fu infatti proprio in quel periodo (1906-1908) che il compositore veneto scoprì la musica di Debussy, tappa fondamentale del suo percorso artistico. Del resto anche Busoni in quegli anni non era immune da influssi impressionisti, benché rifiutasse categoricamente l'accostamento a Debussy. E non è da escludere che proprio l'impressionismo musicale sia stato uno degli argomenti di discussione nei primi due incontri berlinesi.
Questa «Sonatina» potrebbe quindi essere, oltre che un ringraziamento a Mainardi per aver eseguito più volte il «Concerto per violoncello e orchestra», anche un piccolo omaggio postumo e in pectore a Busoni, suggerito dal racconto di Mainardi, ricordo sicuramente vivido e indelebile se si tien conto che la fama del pianista empolese era all'apice nel 1910.