Vanna Berlincioni e Fausto Petrella
SULLA MUSICA E LA POSSESSIONE
VARIAZIONI ANTROPOLOGICO-CULTURALI SUL BOLERO DI RAVEL
Bolero di Ravel, è una delle più celebri composizioni del '900 e una
delle poche musiche per grande orchestra sinfonica ad aver conquistato una
vera e generalizzata popolarità. La riflessione che segue e che pone al centro
proprio Bolero, mira a mettere in evidenza alcune fondamentali difficoltà
che sorgono quando si cerca di ragionare sul valore della musica per l'uomo
e si tentano le vie di un approccio interpretativo a un fatto musicale.
L'orizzonte concettuale entro
il quale verrà sviluppato il nostro breve discorso non riguarda l'interpretazione
musicale da parte dell'esecutore, ma sarà di ordine psicologico e antropologico
culturale. E' difficile pensare correttamente un genere di fatti culturali
complessi come un brano musicale prestigioso e arcinoto: tali fatti musicali
ci sono vicini, li abbiamo sotto gli occhi (e nelle orecchie), siamo integrati
con essi, insomma ci appartengono, li riconosciamo subito, vengono proposti
con facilità in cento salse per cento scopi e sembrano aver conquistato un
posto durevole negli innumerevoli paesaggi sonori della quotidianità. E tuttavia
essi sono il prodotto dello sviluppo di una tradizione e si connettono (o
possiamo connetterli noi stessi) a molti altri fatti eterogenei, che convergono
su di essi e da essi si diramano. La produzione di queste connessioni fa
parte del lavoro, quasi sempre non appariscente o addirittura occulto, della
cultura, in tutti i suoi livelli di estrinsecazione. Ciò è ben noto allo
psicoanalista, che sa, a partire da Freud, che il lavoro psicoterapeutico
dell'analisi comporta un'attività di filatura (o trafilatura) da una massa
eterogenea di fatti, che vanno poi riordinati secondo dei criteri di coerenza.
Disfare è importante quanto ricostruire. Ritessere l'esperienza secondo un
nuovo vincolante disegno è essenziale, e tuttavia deve essere assicurata
a ogni interpretazione una mobilità di principio che fa parte delle funzioni
del pensiero e del suo adeguarsi all'esperienza.
Non c'è dubbio che Bolero, come tanti altri fenomeni della vita culturale, sia un fatto totale,
nel senso, fondamentale e mai da dimenticare, in cui intendeva Marcel Mauss
questa totalità: una salda connessione d'ordine psicologico ed emotivo tra
fatto sociale e corporeità, intesa anche nei suoi aspetti fisiologici. Non
interessano qui le mediazioni o gli anelli che congiungono la vita rappresentativa
al corpo e vice versa, e che riguardano la psicofisiologia, quanto il fatto
che a produrre l'emozione e l'eccitazione sia un evento musicale, una composizione
che disegna un universo rigorosamente chiuso, ma che tuttavia prende il suo
peso solo dal suo appartenere alla vita complessa dell'uomo nella società.
L'azione incantatoria, l'ipnotica fascinazione di Bolero, può essere un rilievo banale su questa singolare composizione. Gilbert Rouget nel suo studio Musica e trance (p. 122) osserva: "Che io sappia, l'immenso crescendo del Bolero
di Ravel non genera solitamente forme di possessione nelle sale da concerto".
E' a partire da questa citazione, un po' pretesto e un po' argomento da discutere
e sviluppare, che desideriamo proporre alcune considerazioni.
L'osservazione di Rouget, isolata dal suo contesto, è curiosa. Essa contiene un affermazione attraverso la negazione, per contrario. Se nessuna possessione si produce, essa potrebbe nondimeno prodursi, e proprio per le caratteristiche di questa composizione.
Consideriamo gli elementi evocati: crescendo, possessione, sala da concerto.
Le sale da concerto non sono in nessun modo dei luoghi
della possessione, bensì degli spazi destinati all'incontro tra la musica
e le emozioni che la musica stessa sollecita potentemente. Quanto alla possessione,
essa è qui addirittura un rischio, e non certo ciò che si vuole produrre.
In un concerto tutto è organizzato per impedirla negli spettatori. L'immobilità,
il silenzio sono severe regole e sono rigorosamente rispettate dai presenti.
La loro trasgressione suscita l'intolleranza degli astanti. Tutta questa
inibizione motoria è finalizzata a una concentrazione esclusiva dell'attenzione
e delle energie sull'ascolto. L'ascolto concertistico si carica di tensione
psicomotoria, per così dire l'assume su di sé, acquistando un'enfasi eccezionalmente
potente. L'immobilità è tolta soltanto alla fine dell'esecuzione, quando
si libera l'applauso (o il dissenso). La situazione psicoanalitica, il cui
assetto pure enfatizza l'ascolto reciproco, è lì a dimostrarci quanto in
un simile contesto i minimi rumori acquistino dei valori immaginativi di
intensità affettiva inconsueta.
Il dispositivo rituale varia
notevolmente e in modo determinante nel setting specifico della possessione,
nella sala da concerto, nella seduta analitica. Ciò che accomuna tutte queste
manifestazioni così dissimili è una certa organizzazione finalizzata di tutti
i parametri dell'interazione sociale (spazio, tempo, contatto reciproco,
distanza, reazioni motorie), che vengono forzati in specifiche direzioni
con funzioni e mire diverse in ciascun caso.
La citazione da Rouget va contestualizzata.
Essa è inserita dall'autore in un discorso che mira a sostenere che, se consideriamo
i culti di possessione, il ruolo in essi svolto dalla musica può essere irrilevante
in un certo numero di casi. E' tuttavia vero che nella possessione rituale
la musica è un elemento forse non essenziale, ma che si documenta comunque
molto spesso. Ciò è ampiamente documentato da Rouget stesso. Il fatto che
si osservino possessioni-malattia irrituali e al di fuori di ogni induzione
musicale e che pure si documentino alcune forme rituali della possessione
che non prevedono la musica, non toglie nulla al valore inducente della musica
sulla trance. La frase di Rouget si comprende se la inseriamo all'interno
della sua polemica contro un'interpretazione puramente fisiologica dell'azione
inducente della musica sulla trance.
Non sembra accettabile lo sforzo di ridurre ai soli parametri fisiologici
questa azione, come è stato fatto da un certo numero di ricercatori, ma occorre
rilevare che non ha neppure molto significato affermare che l'efficacia inducente
della musica sia un fatto puramente "morale" o psico-sociale, come sostenne
J.-J. Rousseau, esprimendo una tesi che Rouget condivide. La contrapposizione
fra fisico e morale è alle lunghe fuorviante. L'impatto ritmico e timbrico
del tamburo sul corpo fa del tamburo uno strumento privilegiato che ogni
cultura utilizza ed elabora a suo modo e per i propri fini. Il tamburo è
lo strumento ritmico per eccellenza. Esso implica il corpo nella produzione
del colpo e dei battiti successivi. La sua connessione col corpo vivo, con
la prorompente vitalità del corpo, è evidente nel suo trascinare verso il
movimento e verso la danza. Giovanni Piana ha fornito ottime descrizioni
di queste molteplici connessioni del ritmo all'interno del tema della temporalità
del fatto musicale.
L'"immenso crescendo" del Bolero,
al quale fa riferimento Rouget (si va gradualmente dal pianissimo iniziale
sino al fortissimo della fine), è soltanto uno degli elementi dal valore
potentemente agogico di questa composizione. Le sue caratteristiche strutturali
sono singolari e rappresentano un unicum nella storia della musica. Nel crescendo
di Bolero assistiamo a un progressivo reclutamento strumentale di
un grande insieme orchestrale, sino al climax finale, dove la totalità viene
chiamata a realizzare il vertice di una intensificazione fonica esplosiva.
Questa chiamata a raccolta e concentrazione, dal tamburo + flauto iniziali
in pianissimo al tutti finale, avviene entro la netta e semplice contrapposizione
schematica tra una sezione ritmica ostinata (b bbb b ecc.) e rigorosamente
sempre uguale per tutta la composizione da un lato e dall'altro una sinuosa
melodia in due sezioni di sedici battute l'una. Questa sezione melodica si
ripete invariata per ben diciotto volte consecutive, salvo una breve modulazione
dal do maggiore al mi maggiore subito prima della conclusione, modulazione
ritenuta "distensiva" (G. Manzoni, Guida all'ascolto della musica sinfonica,
Feltrinelli, Milano, 1983, p. 355).
Con simili premesse, appare evidente l'aspetto statico di Bolero.
Nulla si sviluppa; il pensiero musicale - che si concentra nell'incontro
e contrapposizione tra sezione ritmica e decorso melodico, qui particolarmente
separate, si reitera sempre identico. Ma che stasi ribollente! Il cambiamento riguarda solamente due parametri: la sonorità, che conduce a un'intensificazione fonica progressiva di grande impatto; e il traffico dei timbri, legato
ai diversi strumenti via via in gioco e alla combinatoria delle sezioni strumentali
a mano a mano reclutate, in mescolanze di colori sempre cangianti e di intensità
crescente sino alla fine. E tutti che si passano le volute di quella lunga
melodia.
La raccomandazione di Ravel
di eseguire il brano lentamente sembra significativa. Si tratta, frenando
il decorso, di incrementare la tensione, una tensione che non si regge sullo
sviluppo tematico, ma proprio su un'iterazione sempre più forte. Non esistono
colpi di scena, ma progressivi coinvolgimenti dello spazio sonoro, sinché
tutta la massa diventa eccitata e clamorosa nella misura massima. Ciascuno
dice con la propria voce, da solo e insieme ad altri, sempre la medesima
frase. Ed è una frase sinuosamente accattivante e dalle molte risonanze.
Vicenda di una progressiva eccitazione trattenuta, di un felice coinvolgimento orgiastico collettivo, il Bolero raveliano ci trascina, senza particolari allusioni, senza ammiccamenti al passato, senza nostalgia, come ne La valse, a
uno stato di esaltazione inibita. Potrebbe da questo "stato misto" scaturire
una trance o uno stato di possessione? La musica stessa si impossessa della
mente e la trascina nella direzione di un'esaltazione, ma il decorso verso
la possessione è a carico di altre componenti. Queste stanno nell'ascoltatore
stesso e potrebbero forse stare nell'ambiente, se non si trattasse di quella
sala da concerto che scoraggia ogni movimento. Così Bolero resta solo
una scheggia illustre della musica colta europea del '900, ma particolarmente
vicino al corpo, a qualcosa che tende a rompere il quadro della compostezza
dell'ascoltatore, spingendolo verso altre dimensioni: l'eros, la danza, l'esaltazione.
Vanna Berlincioni
Fausto Petrella
La redazione di De Musica ringrazia Simona Maggi per aver fornito le illustrazioni inerenti alla danza greca.
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