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Le radici biologiche della religione
Un seminario titolato «Bio-logica della religione.
Il rito come soglia tra natura e cultura» si svolgerà domani pomeriggio e
sabato a Salerno, presso la Fondazione Menna
ANDREA CAPOCCI
Il fenomeno religioso non dipende (non in modo prevalente,
almeno) dai rapporti di produzione e di potere, dagli squilibri e dalle iniquità
che di volta in volta caratterizzano l'organizzazione sociale. Dipende invece
dall'intreccio problematico tra esistenza culturale ed esistenza biologica,
storia contingente e tratti immutabili della nostra specie. Questa è l'ipotesi
di fondo del convegno di studi, titolato per l'appunto «Bio-logica della
religione. Il rito come soglia tra natura e cultura», che si svolgerà domani
pomeriggio e sabato 11 giugno, a Salerno, presso la Fondazione Menna (Via
Lungomare Trieste 15). Un antropologo marxista, Ernesto de Martino, giudicava
«del tutto infantile» la convinzione di tanta parte del marxismo, secondo
cui la religione è destinata ad avvizzire allorché ci si lasci finalmente
alle spalle l'alienazione economica. La religione è piuttosto uno dei modi
in cui si fa valere, all'interno dei più diversi contesti sociali, l'invariante
«natura umana»; è una delle forme, cioè, con cui si manifesta la dimensione
metastorica in seno alla prassi storica. Il pericolo maggiore, per la filosofia
e le scienze umane interessate a mettere a punto un naturalismo dalle spalle
larghe, sta nel misconoscere la radice biologica della religione,
l'intimità che lega quest'ultima a certe caratteristiche cognitive e comportamentali
di un determinato organismo vivente. Un simile misconoscimento si ripercuote
disastrosamente, del resto, anche sul piano politico. Un materialista leopardiano
come Sebastiano Timpanaro ha ammonito per tempo: «Pretendere di assegnare
alla religione una genesi esclusivamente storico-sociale, trascurando il
fatto che la religione è anche una elaborazione dell'oppressione esercitata
sull'uomo dalla natura significa fare il gioco, che si voglia o no, dei sostenitori
del valore autonomo e privilegiato dell'esperienza religiosa». Qualche anno
fa, Walter Burkert, il grande studioso dei riti religiosi del mondo classico,
ha pubblicato un libro sintomatico e istruttivo, La creazione del sacro. Orme biologiche nell'esperienza religiosa
(tradotto in Italia da Adelphi). Burkert ritiene che sia vano, e non poco
ridicolo, andare a caccia di un gene della religione. Quel che si può e si
deve, a suo giudizio, è ricondurre l'impulso alla trascendenza e le connesse
pratiche liturgiche all'aspetto che più di ogni altro distingue, sul piano
filogenetico, l'Homo sapiens dalle altre specie: il linguaggio
verbale. L'animale loquace è sempre, in certa misura, un animale religioso.
Il linguaggio è un ibrido, dice Burkert: dispositivo biologico congenito
che, però, rende possibile la massima variabilità culturale e storica. Allo
stesso modo, un ibrido è il rito religioso, poiché esso, dall'interno di
un peculiare sistema culturale, rinvia sempre di nuovo a ciò che è innato
e invariante. Burkert a parte, sono innumerevoli gli autori che hanno messo
in luce la stretta parentela che unisce pensiero proposizionale e inclinazioni
teologiche. Basti ricordare come, in Wittgenstein, «l'urto contro i limiti
del linguaggio» (ossia l'impossibilità di un metalinguaggio esaustivo) provochi
sempre di nuovo il sentimento religioso. Per non dire degli studi (tra cui
spicca il recente La parole efficace. Signe, rituel, sacré di Irène Rosier-Catach, Seuil 2004, dedicato ai sacramenti nella tradizione cristiana) sulla parola liturgica in quanto parola performativa,
tale cioè da realizzare una azione per il solo fatto di essere pronunciata.
Ma sono solo esempi tra i tanti possibili. Il convegno salernitano sulla
«bio-logica della religione» è stato organizzato dai dipartimenti di filosofia
delle università di Salerno, della Calabria, di Roma Tre. Sono previste le
seguenti relazioni: Brunella Antomarini, «La regressione alla naturalità
religiosa nei primi seguaci di Gesù»; Paolo Virno, «Il rito religioso come
ripetizione dell'antropogenesi: l'esempio della glossolalia»; Elettra Stimilli,
«Antropogenesi e ateismo»; Felice Cimatti, «La geometria del sacro: crisi
della presenza, performativo e rituale»; Marco Mazzeo, «Homo homini lupus:
riti cannibalici»; Franco Piro, «Immaginazione e religione»; Remo Guidieri,
«Natura del rito»; Franco Lo Piparo, «Perché il linguaggio nella bio-logica
della religione»; Barbara Fiore e Tommaso Russo, «Linguaggio rituale e divinazione».
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