Martedi 07 giugno 2005 Antonio Maria Gianelli  

 
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EDITH STEIN
Nuovi studi sulla resistenza al nazismo e sulla difesa degli ebrei della pensatrice morta nel lager: il caso della lettera a Pio XI del 1933

Una filosofa contro il Reich

Di Marco Roncalli

«Voglia far conoscere in modo adeguato alla mittente che la sua lettera è stata sottoposta doverosamente a Sua Santità». Chi firma questo testo - il 20 aprile 1933 - è il cardinale Eugenio Pacelli che lo indirizza a Raphael Walzer dell'abbazia di Beuron. Era stato quest'ultimo, direttore spirituale della mittente ad averne trasmesso al papa - otto giorni prima - una lettera sigillata dai toni accorati. Vi era scritto tra l'altro : «Noi tutti, che guardiamo all'attuale situazione tedesca come figli fedeli della Chiesa, temiamo il peggio per l'immagine mondiale della Chiesa stessa, se il silenzio si prolunga ulteriormente». E ancora: «L'idolatria della razza e del potere dello Stato, con la quale la radio martella quotidianamente le masse, non è un'aperta eresia? Questa guerra di sterminio contro il sangue ebraico non è un oltraggio alla santissima umanità del nostro Salvatore, della beatissima Vergine e degli Apostoli?». In calce la firma: «Dott.ssa Edith Stein». Sì, è la famosa lettera della Stein a Pio XI, che dunque l'aveva considerata (pur non rispondendo personalmente) e che forse avrebbe ricordato (ma non è storicamente documentabile) al momento dell'enciclica Mit brennender Sorge, nel '37. Proprio la missiva rivelata al grande pubblico due anni fa, all'apertura degli archivi vaticani relativi ai rapporti fra la Santa Sede e la Germania tra le due guerre. Un appello lucido, fondato non solo su ragioni morali, ma soprattutto etico-religiose, redatto dall'autrice dopo aver scartato l'idea di un viaggio a Roma (forse per l'impossibilità di un'udienza con il pontefice). Un messaggio che - tre mesi dopo l'avvento al potere di Hitler e l'avvio dei pestaggi e dei boicottaggi antisemiti, non parlava di violazione di diritti umani, ma svelava il tentativo - più grave, poi realizzato - di eliminare la fonte che li aveva storicamente determinati: quelle radici ebraiche e cristiane, quelle dimensioni religiose originarie, linfa di un tessuto sociale e b anco di prova per lo Stato. La lettera della Stein si rivela ancora una volta punto di partenza per approfondire in prospettiva storica e filosofica il pensiero di quest'anima approdata dall'ebraismo al cattolicesimo a proposito del totalitarismo nazista È quanto scopriamo nella raccolta di saggi Edith Stein e il nazismo, con contributi di Angela Ales Bello, Philippe Chenaux , Vicent Aucante e Hugo Ott (Città nuova, pagine 118, euro 9). Se la lettera è in qualche modo una premessa per questi saggi, la loro articolazione formula interrogativi interessanti. È possibile parlare per la Stein di resistenza nei confronti del regime o la missiva a Pio XI è un gesto isolato, preludio di un disimpegno verso la vita pubblica con l'ingresso nel Carmelo del 1933? In che modo la Stein ha "pensato" i fondamenti del nazismo? C'è una sua precisa analisi sulla natura di questo "male politico" capace di dare fondamenti razionali ad una "resistenza cristiana"? Perché innanzi ad una Chiesa fiduciosa in una logica concordataria apparentemente garantista dei suoi diritti (i limiti del Concordato si paleseranno solo nel '34 col carattere "eretico" dell'ideologia del III Reich), e perché nel momento in cui Martin Heidegger si accinge a divenire filosofo del nazionalsocialismo assumendo il rettorato dell'università di Friburgo (ed Edmund Husserl già emerito viene congedato), la Stein intuisce già quella comunanza di destino spirituale tra il popolo dell'Antico e del Nuovo Testamento sancita solo col Vaticano II ? Secondo Chenaux (che in questo libro offre anche novità sulla soppressione dell'Opera sacerdotale degli "Amici di Israele" nel '28 e la genesi di un "Syllabus contro il razzismo" nel '38), se non si può parlare propriamente di impegno contro il nazismo da parte della Stein, dopo il 1933 la sua riflessione «la pone agli antipodi degli ideologi del Terzo Reich e fornisce le basi concettuali implicite a un atteggiamento di resistenza spirituale al totalitaris mo nazista». Ed è quanto emerge dal lavoro di Ott sulla Stein filosofa e pubblicista cattolica nell'ambiente della rivoluzione nazionalsocialista, dall'analisi di Angela Ales Bello su lavori giovanili della Stein (come Una ricerca sullo stato del 1922 e Psicologia e scienze dello spirito del 1925) elaboranti una dottrina per definire "in contrasto" uno stato totalitario. Ma anche dal contributo «Lo statuto paradossale della filiazione in Edith Stein» di Aucante sul concetto di popolo eletto, quello ambiguo di razza, di nazione, in una singolare figura che mai rinnegò né le origini ebraiche, né l'anima tedesca, connotando ogni comunità secondo criteri di appartenenza spirituale oltre il sangue, la famiglia, il clan, la stirpe bersaglio di interpretazioni darwiniane o naziste. Del resto val la pena ricordare che la Stein superò le opposizioni fittizie introdotte dal nazismo tra il popolo ebreo e il popolo tedesco proponendo un cammino esemplare. Ce lo ricordano le sue parole del 1942: «Chi espia il male inferto al popolo ebreo in nome della nazione tedesca? Chi muterà questa colpa orribile in una benedizione per entrambi le stirpi? Solo chi non permetterà a queste piaghe aperte all'odio di generare altro odio; chi, pur rimanendo vittima di tanto astio, prenderà su di sé il dolore tanto di chi odia che di chi è odiato».

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