EMIL CIORAN

FLORILEGIO DI PENSIERI STRANGOLATI

IL FUNESTO DEMIURGO

PICCOLA BIBLIOTECA ADELPHI 186

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CURATE DA LAURETO RODONI

Si è finiti, si è morti-vivi, non quando non si ama più, ma quando non si odia più.
L'odio conserva: è nell'odio, nella sua chimica, che risiede il «mistero» della vita.
Non per caso è il miglior ricostituente che sia stato trovato fino ad oggi,
tollerato inoltre da qualsiasi organismo, per quanto debole.


Bisogna pensare a Dio e non alla religione, all'estasi e non alla mistica.
La differenza fra il teorico della fede e il credente è grande quanto quella
fra lo psichiatra e il matto.


È proprio di una mente ricca non retrocedere di fronte alla sciocchezza,
spauracchio dei delicati;di qui, la loro sterilità.


Fare progetti, più di quanti possa concepirne un esploratore, o un intrigante,
e tuttavia essere malato alla radice stessa della volontà.


Che cos'è un «contemporaneo»? Uno che ci piacerebbe ammazzare,
senza sapere bene come.

LA RAFFINATEZZA È SEGNO DI VITALITÀ DEFICIENTE, IN ARTE, IN AMORE E IN TUTTO.

Stiracchiamento di ogni istante fra la nostalgia del diluvio e l'ebbrezza del tran tran.

Avere il vizio dello scrupolo, essere un automa del rimorso.

Felicità terrificante. Vene dove si dilatano migliaia di pianeti.

La cosa più difficile al mondo è mettersi al diapason dell'essere, e afferrarne il tono.

La malattia dà sapore all'indigenza, rafforza la povertà, la tira su.

L'intelligenza va avanti solo se ha la pazienza di girare in tondo, cioè di approfondire.

Primo dovere, al momento di alzarsi: arrossire di se stessi.

La paura sarà stata il nutrimento inesauribile della sua vita.
Era gonfio, ricolmo, obeso di paura.


La sorte di chi si è ribellato troppo è di non aver più energie se non per la delusione.

Non c'è affermazione più falsa di quella di Origene, secondo la quale ogni anima
ha il corpo che si merita.


In ogni profeta coesistono il gusto dell'avvenire e l'avversione per la felicità.

Augurarsi la gloria è scegliere di morire disprezzato piuttosto che dimenticato.

Pensare all'improvviso che si ha un cranio - e non impazzire!

La sofferenza vi fa vivere il tempo minuziosamente, un attimo dopo l'altro.
Vale a dire, se per voi esso esiste! Sugli altri, su quelli che non soffrono, scivola;
è anche vero che non vivono nel tempo, anzi non vi sono mai vissuti.

Nella carriera di un intelletto che abbia liquidato un pregiudizio dopo l'altro,
sopraggiunge un momento in cui gli è parimenti facile diventare un santo
o un gran mascalzone.

La crudeltà - nostra più antica caratteristica - raramente la si dice posticcia,
simulata, apparente, termini appropriati invece alla bontà che, recente e acquisita,
non ha radici profonde: invenzione tardiva, non trasmissibile, che ciascuno si sforza
di reinventare riuscendovi solo a tratti, nei momenti in cui la sua natura si eclissa
e si trionfa dei propri antenati e di sé.


Spesso immagino di salire su un tetto, di essere colto da vertigine e, mentre
sto per precipitare, di lanciare un urlo. «Immaginare» non è la parola giusta,
a quell'immagine infatti io sono costretto.
Nello stesso modo sopraggiunge probabilmente il pensiero dell'omicidio.

Quando si voglia non dimenticare qualcuno, pensarci continuamente, attaccarglisi per
sempre, bisogna adoperarsi non ad amarlo ma a odiarlo. Secondo una credenza indù,
certi demoni sono frutto del voto, fatto in una vita anteriore, d'incarnarsi in un essere
che si accanisce contro Dio per meglio pensarlo, e averlo sempre presente alla mente.

La morte è l'aroma dell'esistenza. Essa sola dà sapore agli istanti, essa sola ne combatte
l'insulsaggine. Le dobbiamo all'incirca tutto. Questo debito di riconoscenza che ogni tanto
consentiamo a pagane è quel che c'è di più confortante quaggiù.


Durante le nostre veglie, soprattutto, il dolore compie la sua missione, si realizza e prospera.
E allora illimitato come la notte, che esso imita.

Non dovremmo preoccuparci di nulla finché abbiamo a disposizione l'idea di sfortuna.
Appena la chiamiamo in causa ci calmiamo, sopportiamo tutto, siamo quasi lieti di subire
ingiustizie e infermità. Grazie a lei ogni cosa diventa intelligibile, non c'è quindi da stupirsi
che vi ricorra sia l'analfabeta sia la persona colta. Essa infatti non è una spiegazione ma
la spiegazione in sé e per sé, che l'inevitabile insuccesso di tutte le altre rafforza.

Non appena si scavi nel più piccolo ricordo, ci si mette in uno stato da crepare di rabbia.

Da dove viene questa visione monotona, mentre i mali che l'hanno suscitata e tenuta in vita
sono estremamente diversi? È che essa li ha assimilati e ne ha serbato soltanto l'essenza,
che è comune a tutti.

[pp. 116-119; 136-137]