EMIL CIORAN


QUADERNI
1957 - 1972



26 giugno 1957
Letto un libro sulla caduta di Costantinopoli. Sono caduto insieme con la città.

Voglia di piangere in mezzo alla strada! Ho il demone delle lacrime.

Il mio scetticismo è inseparabile dallo smarrimento, non ho mai capito come si possa dubitare per metodo.

Emily Dickinson: "I felt a funeral in my brain" [
"Sentivo un funerale nella mente". Primo verso della poesia n. 280 delle 1775 ritrovate alla morte di Emily Dickinson [trad. it. Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1997, pp. 294-95]; potrei aggiungere, come Mademoiselle de Lespinasse, "in ogni istante della mia vita".
Funerale continuo della mente.

Si capirà mai il dramma di un uomo che in nessun momento della vita è riuscito a "dimenticare" il paradiso?

Ho un piede in paradiso, come altri ce l'hanno nella fossa.

Aiutami, Signore, a esaurire il disgusto e la pietà per me stesso, a non sentirne più l'infinito orrore!

In me tutto va a finire in preghiera e in bestemmia, tutto diventa invocazione e rifiuto.

Detto da un mendicante: "Quando si prega accanto a un fiore, cresce più in fretta".

Essere un tiranno disoccupato.

Incessante poesia senza parole; silenzio che rimbomba sotto di me. Perché non ho il dono del Verbo? Essere sterili con tutte queste sensazioni!
Ho coltivato troppo il sentire a scapito dell'esprimere; sono vissuto per la parola - e così ho sacrificato il dire.
Tanti anni, tutta una vita - e neanche un verso!

Tutte le poesie che avrei potuto scrivere, che ho soffocato in me per mancanza di talento o per amore della prosa, vengono improvvisamente a reclamare il loro diritto di esistere, mi gridano la loro indignazione e mi sommergono.

Il mio ideale di scrittura: far tacere per sempre il poeta che è in noi; liquidare le nostre ultime vestigia di lirismo; andare contro ciò che si è, tradire le proprie ispirazioni; calpestare i propri slanci e persino i propri disgusti.

Ogni sentore di poesia avvelena la prosa e la rende irrespirabile.

Ho un coraggio negativo, un coraggio rivolto contro me stesso. Ho orientato la mia vita fuori del senso che essa mi prescriveva. Ho invalidato il mio futuro.

Ho un enorme anticipo sulla morte.

Sono un filosofo urlatore. Le mie idee, ammesso che esistano, abbaiano; non spiegano nulla, strepitano.

Per tutta la vita ho avuto il culto dei grandi tiranni immersi nel sangue e nel rimorso.

Mi sono perso nelle Lettere per l'impossibilità di uccidere o di uccidermi. È stata solo questa incapacità, questa vigliaccheria a far di me uno scribacchino.

Se Dio potesse immaginare quale peso rappresenti per me il minimo atto, cederebbe alla misericordia o mi lascerebbe il suo posto. Perché le mie impossibilità hanno un che di estremamente vile e di divino insieme. Nessuno può essere meno adatto di me a questa terra. Appartengo a un altro mondo, come dire che sono di un sottomondo. Uno sputo del diavolo, ecco di quale pasta sono fatto. Eppure, eppure...

Dilaniato tra l'astio e il terrore.

Mongolia del cuore.

Era uno corrotto dalla sofferenza.

2 agosto 1957. Suicidio di E.: un'enorme voragine si apre nel mio passato. Ne escono mille ricordi deliziosi e strazianti.
Lei amava tanto il decadimento! Eppure si è uccisa per evitarlo.

Se avessi portato a termine solo un decimo dei miei progetti, sarei di gran lunga il più fecondo autore mai esistito. Per mia disgrazia, o per mia fortuna, mi sono sempre dedicato molto di più al possibile che al reale, e niente è più estraneo alla mia natura del concludere. Ho approfondito nei minimi dettagli tutto ciò che mai avrei fatto. Mi sono spinto all'estremo del virtuale.

22 XII 1957
Vuoto sovrumano, crollo improvviso di tutte le certezze acquisite a fatica negli ultimi anni...

Il 18 morte di mio padre. Non so, ma sento che lo piangerò un'altra volta. Sono così assente a me stesso che non ho neppure la forza di un rimpianto, e talmente giù che non posso salire all'altezza né di un ricordo né di un rimorso.

Percepire la parte di irrealtà in ogni cosa, segno inconfutabile che si sta avanzando verso la verità...

Sentimento mistico della mia indegnità e del mio decadimento.

Visto oggi, mercoledì 25 dicembre 1957, ii viso di mio padre morto, dentro la bara.

Ho cercato la salvezza nell'utopia, e ho trovato un po' di consolazione soltanto nell'Apocalisse.

Collège de France. Corso di Puech sul Vangelo secondo Matteo (apocrifi dell'Egitto). Sensazione terribile: tutte le persone dell'uditorio mi sono apparse, a un tratto, come dei morti.

17 gennaio 1958
Qualche giorno fa... Mi accingevo a uscire, quando, per aggiustarmi il foulard, mi guardo allo specchio. E improvvisamente, un indicibile spavento: chi è quest'uomo? Impossibile riconoscermi. Per quanto identificassi il mio cappotto, il mio foulard, il mio cappello, non sapevo chi fossi; perché non ero io. Questo per circa trenta secondi. Quando riuscii a riprendermi, il terrore non cessò subito, ma diminuì un po' alla volta. Mantenere la ragione è un privilegio che può esserci tolto.

Eccessi dell'abulia! Per non cadervi ogni tanto leggo qualche libro su Napoleone. Il coraggio degli altri a volte ci fa da tonico.

Finalmente so che cosa sono le mie notti: ciò che mi fa risalire col pensiero la distanza che mi separa dal Caos.

Da molto tempo ritengo che la capacità di rinunciare sia il criterio, l'unico, dei nostri progressi nella vita spirituale.
Eppure! Quando riesamino qualche mio atto di rinuncia, mi accorgo che è sempre stato accompagnato da una enorme, benché segreta, soddisfazione dell'orgoglio, moto assolutamente contrario a qualsiasi approfondimento interiore.
E dire che per poco non ho sfiorato la santità! Ma quegli anni sono lontani, e ricordarli mi è doloroso.

Dalla mattina alla sera non faccio che vendicarmi. Di chi? Di che cosa? Lo ignoro o lo dimentico, dato che ce n'è per tutti... Che cosa sia la rabbia disperata, nessuno lo sa più di me. Ah! Le esplosioni del mio decadimento!

"... e gli ultimi saranno i primi".
Promessa che basterebbe da sola a spiegare la fortuna del cristianesimo.
(Nel mio spaventoso decadimento, sentire una promessa del genere non può non provocare sconcerto. E quello che mi è capitato ii 30 gennaio, al College de France, a un corso di Puech sul Vangelo - apocrifo - secondo Tommaso).

Come sarà il futuro?
La rivolta dei popoli senza storia.
In Europa è chiaro; a trionfare saranno soltanto i popoli che non hanno vissuto.

La mia incapacità di vivere è pari soltanto a quella di guadagnarmi da vivere. Il denaro e io siamo incompatibili. Sono arrivato a quarantasette anni senza aver mai avuto un reddito!
Non posso pensare a nulla in termini di denaro.

Per guadagnarsi da vivere, bisogna occuparsi degli altri; ma io sono mobilitato soltanto da... Dio e da me stesso, dal tutto e dal niente.

Sono appena morto...

Toccare il limite più basso, l'estremo dell'umiliazione, sprofondarvi con un abbandono sistematico, con una sorta di ostinazione inconscia e morbosa! Diventare uno straccio, un rifiuto, sprofondare nel fango; e poi, sopraffatti dal terrore della vergogna, esplodere e riprendersi, raccogliendo i propri cocci.
Non posso scendere più giù nel mio nulla, non posso oltrepassare i limiti del mio decadimento.

La notte mi circola nelle vene.

Chi mi sveglierà, chi mi sveglierà?

A forza di ritenere che niente avesse importanza, ora sono ridotto a non avere alcun argomento, alcun pretesto su cui esercitare la mente. Se voglio evitare la catastrofe, devo a ogni costo reinventarmi una materia, crearmi nuovi oggetti, insomma qualcosa che sia diverso da me, che non esiga più l'«io».

Scrivere un'«Apologia della Prussia» - o «Per una riabilitazione della Prussia».
Da quando la Prussia è stata soffocata, annientata, ci ho rimesso il sonno. Forse sono il solo, a parte la Germania, che pianga la rovina della Prussia. Era l'unica realtà solida in Europa; distrutta la Prussia, l'Occidente deve cadere in potere dei russi.
Il prussiano è meno crudele di qualsiasi "civilizzato". Pregiudizio ridicolo nei confronti della Prussia (responsabilità della Francia nella faccenda); pregiudizio favorevole agli austriaci, ai renani, ai bavaresi, infinitamente più crudeli; il nazismo è un prodotto della Germania meridionale.
(È una cosa evidente, ma nessuno ne conviene.)
Ora è venuto il momento di dire la verità.

Premendo per la distruzione politica della Prussia, i russi sapevano quel che facevano; gli anglosassoni non facevano che conformarsi a un pregiudizio ereditato dai francesi (i quali hanno delle scusanti), i francesi che dalla Rivoluzione in poi fanno opinione nel mondo, ossia creano i pregiudizi.
[illeggibile] politica americana; dall'altra parte l'Inghilterra, per la prima volta in mille anni, agisce contro i propri interessi e rinuncia - un vero suicidio - all'idea dell'equilibrio europeo.

Esaltazione indicibile, incandescenza intollerabile, come se il sole mi si fosse appena nascosto nelle vene!

Non riuscire a vivere se non nel vuoto o nella pienezza, dentro un eccesso.

A rigore, potrei intrattenere rapporti veri con l'Essere; con gli esseri, mai.

Tutte le impossibilità si riducono a una sola: quella di amare, quella di evadere dalla propria tristezza.

La disperazione è indubbiamente un peccato; ma un peccato contro se stessi. (Che intuizione profonda nel cristianesimo! Annoverare fra i peccati l'assenza di speranza!)

La malattia è venuta a dare sapore alla mia miseria, a condire la mia povertà.

Gridare rivolti a chi? Questo è stato il solo e unico problema di tutta la mia vita.

19 febbraio 1958. Felicità intollerabile! Migliaia di pianeti si espandono nell'illimitato della coscienza. Felicità terrificante.

Sensazioni da povero diavolo - e sensazione di essere un dio - non ne ho conosciute altre. Punto e infinito le mie dimensioni, i miei modi di esistenza.

Se la sensazione della vanità di ogni cosa potesse da sola conferire la santità, quale santo non sarei! Occuperei il primo posto nella gerarchia dei santi!

Il fondo della disperazione è il dubbio su se stessi.

Sono finito, sono sull'orlo della preghiera.

Oggi, 20 febbraio 1958, ho pensato allo stato di putrefazione in cui si trovano i miei amici morti e mio padre, e ho immaginato la mia stessa putrefazione.

Solo il lavoro potrebbe salvarmi, ma lavorare mi è impossibile. La volontà in me è stata "lesa" alla nascita. Progetti infiniti, chimerici, sproporzionati alle mie capacità.
Ho dentro di me qualcosa che mi invalida, che mi ha sempre invalidato. Un cattivo principio connaturato al mio sangue e alla mia mente.

Non c'è un solo oggetto a cui valga la pena di dedicare la propria attenzione per più di pochi attimi. Proprio per reagire a questa certezza ho cercato di trasformare tutte le mie idee in manie; era l'unico modo per farle durare - agli occhi della mia... mente.

Io raggiungo il Caos semplicemente attraverso il meccanismo della mia fisiologia. Lacerazioni delle viscere! Abbozzo di una teologia tutta speciale.

Io non sono di qui; condizione di esiliato in sé; da nessuna parte mi sento di casa - non appartenenza assoluta a checchessia. -
Il paradiso perduto - la mia continua ossessione.

Che cosa sarei, che cosa farei senza le nuvole? Trascorro la maggior parte del tempo a guardarle passare.

24 febbraio 1958
Da qualche giorno sono di nuovo in preda all'idea del suicidio. Ci penso spesso, è vero; ma pensarci è una cosa, esserne dominati un'altra. Spaventoso accesso di cupe ossessioni. Impossibile, con le mie sole forze, continuare a lungo così. Ho esaurito ogni capacità di consolarmi.

Corsica, Andalusia, Provenza - dunque questo pianeta non sarà stato inutile.

La sua mancanza di talento rasentava il genio...

Concepire più progetti di quanti ne faccia un imbroglione o un esploratore, e ciò nonostante essere malati di abulia, colpiti - senza metafora - alla radice della volontà.

Cervello malato, stomaco malato - così come tutto il resto. - L'essenziale è compromesso.

Visione di crolli. Ecco in che cosa vivo dalla mattina alla sera. Ho tutte le infermità di un profeta senza averne le doti.
E tuttavia so - con una certezza impetuosa, irresistibile di possedere, se non dei lumi, almeno dei barlumi sull'avvenire. E che avvenire, Dio mio!
Mi sento contemporaneo di tutti i futuri terrori.

La mia grande predilezione per i naufragi.

Ho tutto dell'epilettico, tranne l'epilessia.

Accessi di violenza sovrumani, disumani! Talvolta ho l'impressione che tutta la mia carne, tutto quanto in me è materia, un giorno di colpo si dissolverà in un grido il cui significato sfuggirà a tutti, fuorché a Dio...

Falso profeta: le mie stesse delusioni sono naufragate.

La sola cosa che mi aggradi è la fine del mondo... Bisogno di terrore o infinita apatia?

Ho rinunciato, fra l'altro, alla poesia...

Quali che siano le mie recriminazioni, le mie violenze, le mie amarezze, derivano tutte da una scontentezza di me stesso che nessuno quaggiù potrà mai provare. Orrore di sé, orrore del mondo.

Ciò che non può tradursi in termini di religione non merita di essere vissuto.

"Una volta mi è venuta l'idea che se si volesse annientare, schiacciare, castigare un uomo in modo così implacabile da far tremare in anticipo dalla paura il peggior bandito, basterebbe dare al suo lavoro un carattere di perfetta assurdità, di inutilità assoluta" (Memorie del sottosuolo).
Quasi tutto ciò he faccio per guadagnarmi da vivere è contrassegnato da questa inutilità, giacché tutto ciò che non mi interessa in modo assoluto mi appare di una gratuità che rasenta il supplizio.

Talvolta avverto nel mio intimo forze infinite. Ahimè! Non so come impiegarle; non credo in niente, e per agire bisogna credere, credere, credere... Tutti i giorni mi perdo perché lascio morire il mondo che alberga in me. Con un orgoglio da folle, sprofondare tuttavia nell'indegnità, in una tristezza sterile, nell'impotenza e nel mutismo.

La Russia è una "nazione vacante" ha detto Dostoevskij. Lo è stata, non lo è più, ahimè!

"La tristezza secondo Dio provoca un pentimento salutare privo di rimpianti, mentre la tristezza del mondo provoca la morte" (san Paolo).

"... che la [morte] cercano più ardentemente di un tesoro..." (Giobbe).

Vi è una certa voluttà nel resistere al richiamo del suicidio.

La Russia! Ho un'attrazione profonda per questo Paese che ha distrutto il mio.

Misericordia - questa sola parola racchiude dei mondi. Come va lontano la religione! Ho misconosciuto, rinnegato volontariamente Cristo, e la perversione della mia natura è tale che non riesco a pentirmene.

Per scrivere, ci vuole un minimo di interesse verso le cose; e bisogna anche credere che possano essere afferrate o almeno sfiorate dalle parole - non ho più né questo interesse né questa convinzione...

Il suo sorriso rudimentale.

Sballottato tra il cinismo e l'elegia.

Se potessi scrivere tutti i giorni un salmo, quanto ne sarebbe alleviata la mia sorte. Ma che dico, scrivere! Se almeno potessi leggerne uno, uno soltanto! - Io sono al di qua della salvezza, o meglio: so quali sono i mezzi per salvarmi, ma questi mezzi non li ho, non posso averli...

I due maggiori saggi dell'Antichità al tramonto: Epitteto e Marco Aurelio, uno schiavo e un imperatore.

4 giugno 1958
Ognuno crede che ciò che fa sia importante, tranne me; sicché non posso fare niente...

Lette alcune poesie di Aleksandr Blok. - Ah! questi russi - come mi somigliano! - La mia forma di noia è tutta slava. Dio sa da quale steppa provenivano i miei avi! C'è in me, come un veleno, il ricordo ereditario dell'illimitato.
Inoltre, come i sarmati, sono un uomo su cui non si può contare, un individuo ambiguo, sospetto e incerto, di una doppiezza tanto più grave in quanto disinteressata. Migliaia di schiavi gridano in me opinioni e dolori contraddittori.

Dopo una notte in bianco, sono sceso in strada. I passanti assomigliavano tutti ad automi; nessuno sembrava vivo, ognuno pareva mosso da un congegno nascosto; movimenti geometrici; niente di spontaneo; sorrisi meccanici; un gesticolare da fantocci - una totale rigidità...

Non è la prima volta che mi coglie, dopo l'insonnia, questa impressione di mondo irrigidito, abbandonato dalla vita. Le veglie mi assorbono il sangue, anzi me lo divorano; fantoccio io stesso, come potrei vedere negli altri i segni della realtà?

Più vicino alla tragedia greca che alla Bibbia. Ho sempre capito e sentito più il Destino che Dio.

Niente di ciò che è russo mi è estraneo.

La mia noia è esplosiva. Questo è il vantaggio che ho sui grandi annoiati, che generalmente erano passivi e miti.

Il rumore - il castigo, o meglio la materializzazione del peccato originale.

7 giugno 1958
Trovato in un angolo un pezzo di formaggio, gettato lì da chissà quanto tempo. Un esercito di insetti neri tutto intorno. Quegli stessi che immaginiamo consumare gli ultimi resti di un cervello. Pensare al proprio cadavere, alle orribili metamorfosi cui sarà sottoposto, ha qualcosa di tranquillizzante: vi corazza contro le pene e le angosce; una paura che ne distrugge mille altre.

Il persistere in me delle visioni macabre mi rende del tutto simile ai Padri del deserto. Un eremita in piena Parigi.

Non credo che le virtù siano collegate, che possederne una significhi possederle tutte. In realtà non fanno che neutralizzarsi a vicenda; sono invidiose. Di qui la nostra mediocrità e la nostra inerzia.

Signore, perché non ho la vocazione alla preghiera? Nessuno al mondo è più vicino a te, e più lontano. Un briciolo di certezza, un po' di consolazione, non ti chiedo altro. Ma tu non puoi rispondere, non puoi.

8 giugno 1958
Domenica opprimente. Ho fatto socchiudere gli occhi a Dio.

Stessa domenica
Sono trent'anni che, tutti i giorni, sento nelle gambe un miliardo di formiche che si muovono incessantemente. Un miliardo di punture quotidiane, a volte appena percettibili, a volte dolorose. Miscuglio di malessere e di disastro.

Per produrre un'opera ci vuole un minimo di fiducia - in se stessi o in ciò che si fa. Ma quando si dubita di sé e delle proprie iniziative al punto che il dubbio diventa convinzione! Fede negativa e sterile, che non porta a nulla se non a complicazioni senza fine, o a grida strozzate.

Parigi: insetti pigiati in una scatola. Essere un insetto celebre. Ogni gloria è risibile; chi vi aspira deve avere sul serio il gusto del decadimento.

9 giugno 1958
L'universo mi esplode nel cervello. Febbre intollerabile.
Sono a un passo dal Caos. Gli elementi si scatenano. Mi manca la terra sotto i piedi. Chi mi riconcilierà con checchessia? Un punto fermo, cerco un punto fermo, e non trovo che incertezza e melma, e un incoercibile delirio. L'essere è un testo cancellato, e io non ho più la forza di riscriverlo.

Tutto è apparenza - ma apparenza di che cosa? Del Niente.

Ho in me un fondo di scetticismo su cui nulla ha presa, e che resiste all'assalto di tutte le mie convinzioni, di tutte le mie velleità metafisiche.

Questa febbre allo stato puro, sterile, e questo grido congelato!

Avere la percezione ossessiva del proprio nulla non significa essere umili, tutt'altro. Un po' di umiltà, un po' di umiltà, ne avrei bisogno più di chiunque altro. Ma la sensazione della mia nullità mi riempie di orgoglio.

Sensazione di insetto inchiodato a una croce invisibile, dramma cosmico e infinitesimale, su di me il peso schiacciante di una mano feroce e inafferrabile.

Devo fabbricarmi un sorriso, munirmene, mettermi sotto la sua protezione, frapporre qualcosa tra il mondo e me, camuffare le mie ferite, imparare, insomma, a usare la maschera.

Una vita da fallito, da rottame, piena di tristezze inutili e spossanti, di nostalgie senza oggetto e senza direzione; una nullità che vaga per le strade, e che si crogiola nei suoi dolori e nei suoi sogghigni...

Ah, se potessi convertirmi alla mia essenza! Ma se fosse corrotta? Non c'è dubbio, mi annullo e tutto mi annulla. Non c'è più traccia di me in me stesso.

Quando gli altri cessano di esistere per noi, anche noi cessiamo di esistere per noi stessi.

Sabato 21 giugno 1958
Mio padre è morto esattamente sei mesi fa.

Mi riprende la noia, la stessa che conobbi in certe domeniche della mia infanzia, e che poi ha devastato la mia adolescenza. Un vuoto che sopprime lo spazio e dal quale soltanto l'alcol potrebbe difendermi. Ma l'alcol mi è proibito, tutti i rimedi mi sono proibiti. E dire che mi ostino ancora! Ma in che cosa persevero? Certamente non nell'essere.

La pusillanimità mi ha impedito di essere me stesso. Non ho avuto il coraggio né di vivere né di uccidermi. Sempre a metà strada fra la mia quasi esistenza e il mio nulla.

"Un solo giorno di solitudine mi fa provare più piacere di quanto non me ne abbiano dato tutti i miei trionfi" (Carlo V).

A vent'anni avevo un insaziabile desiderio di gloria - ora non ce l'ho più. E senza quel desiderio, come si può agire? Non mi resta altro che la consolazione di un pensiero intimo e inefficace.

Da mesi vivo tutti i miei momenti di angoscia in compagnia di Emily Dickinson.

24 giugno
Sento che mi riconcilierò con la poesia. Non potrebbe essere altrimenti: non riesco a pensare che a me stesso...

L'abdicazione di Carlo V è il momento della storia più caro al mio cuore. Ho letteralmente vissuto a Yuste in compagnia dell'imperatore gottoso.

Da tempo aspiro a rinunciare alla "conversazione delle creature", ma ci riesco solo di rado, di tanto in tanto, e a malincuore!

Mi fortifico attraverso il disprezzo che gli uomini volentieri mi dispensano, e chiedo solo una grazia: non essere nulla per loro.

Il Libro secondo la mia anima: una Imitazione senza Gesù.

Non è detto che successo chiami successo; ma fallimento chiama sempre fallimento. Destino è una parola che ha senso solo nella sventura.

Potenze celesti! Quanto rimpiango il tempo in cui si poteva invocarvi, in cui non si gridava nel vuoto, in cui il vuoto stesso ancora non esisteva!

25 giugno 1958
Da giovane ho pensato tanto alla morte che da vecchio non ho più niente da dire in proposito: un terrore trito e ritrito.

25 giugno 1958. Ore 16
Sensazione di felicità inaudita. Da dove può mai venire? Come tutto questo è misterioso e insensato!
Non vi è niente di più enigmatico della gioia.

27 giugno 1958
La malinconia è il rimpianto di un altro mondo, ma non ho mai saputo che mondo fosse.

Nemmeno Dio riuscirebbe a mettere fine alle mie contraddizioni.

Ho introdotto il sospiro nell'economia dell'intelletto.

Per scrupolo di decenza ho messo la sordina alle mie grida; altrimenti sarei stato motivo di spavento per gli altri non meno che per me.

Basta che sprofondi in me stesso, e sento le invocazioni e gli strazi del Caos prima di convertirsi o di degradarsi in universo... [...]

[pp. 124-125]

In politica come in ogni altra cosa non c'è niente di più abietto che attaccare un solitario.

7 ott. Domenica in campagna. Sdraiarsi e odorare la terra. Solo su di lei ci si può riposare. Le nostre fatiche la invocano. E mentre la sentivo così vicina, pensavo che non è poi così tremendo dissolversi in lei. Davvero le nostre fatiche la invocano e la riabilitano.

La paura della vita l'ho ereditata, è un dono di famiglia. Cerco invano di liberarmi dei miei antenati; per quanto li respinga e li scacci, tornano alla carica. Più avanti vado, più mi rendo conto che hanno il sopravvento, e che la mia lotta contro di loro diventa disperata. Ricado nelle mie origini, in attesa di sprofondarvi.

Leggo nei Tagebücher 1914-1916 di Wittgenstein: "Die Furcht vor dem Tode ist das beste Zeichen eines falschen, d.h. schlechten Lebens". [La paura della morte è il miglior indizio di una vita sbagliata, cioè cattiva]
È una verità che ho scoperto da tempo (purtroppo pensando ame).

Oggi pomeriggio, in un ufficio, ho contato diciotto impiegati in uno spazio relativamente angusto. Le donne piene di rughe, orribili. Ma la ragazza che mi ha dato le informazioni richieste aveva tutto l'aspetto di una contadina, brutta e sana. Che cosa ci faceva in quell'inferno, quale demone l'aveva spinta a lasciare la campagna? Io preferirei mille volte l'odore dello sterco alle emanazioni deleterie di quella fucina. Non c'è niente da fare: l'uomo puzza. Quando si ha l'olfatto morbosamente acuto, si deve evitare qualsiasi presenza umana.

Solo le filosofie e le religioni che adulano l'uomo hanno successo. Il cristianesimo ha dominato per secoli non in virtù del peccato originale, né dell'inferno, ma perché il figlio di Dio si è degnato di incarnarsi. Ciò ha dato all'uomo una posizione smisurata, posizione che gli viene riconosciuta dalle visioni del "progresso", quali che siano. L'uomo ha un assoluto bisogno di porsi al centro di tutto; se avesse l'esatta percezione della propria insignificanza, dell'accidentalità della sua comparsa, perderebbe una parte della sua "vitalità"; e magari deporrebbe le anni, cosa davvero insperata.

Con una visione delle cose come la mia, difficilmente un altro sarebbe riuscito a resistere tanti anni. Sicché, per quanto strano possa sembrare, ci sono giorni in cui mi vedo come un eroe.

Solo quelli che non parlano che di se stessi, delle proprie esperienze e delle proprie vicissitudini rischiano di imbattersi in qualche verità e di fare scoperte significative. Lavorano su ciò che conoscono, e dunque necessariamente danno qualcosa agli altri. Non è il filosofo, ma il poeta a raggiungere l'universalità.

Il filosofo che crede di aver elaborato un sistema in fondo non fa altro che applicare lo stesso schema a tutto, in spregio all'evidenza, alla varietà e al buon senso. In genere il torto dei filosofi è di essere troppo prevedibili. Almeno con loro si sa però come regolarsi.

Ciò che non ritroverò mai più è la capacità di entusiasmarmi che era il fascino e il tormento della mia giovinezza. Dove siete finiti, anni fanatici?

Riascoltato il mottetto di Bach "Jesu, meine Freude". Dopo, tutto ciò che non è pietà sembra inutile e volgare.

"Lulu", di Alban Berg, resta la scoperta musicale più importante che io abbia fatto negli ultimi anni.

Provo sempre più orrore per ogni forma di effusione lirica. Ma senza lirismo ho una enorme difficoltà a scrivere; se scompare ritrovo tutta la mia lucidità, cioè la consapevolezza delle mie impossibilità.

[...]

[pp. 380-383]

Per uno scrittore, come per chiunque, è meglio essere fischiato che applaudito. Nell'ignominia si è più vicini all'essenziale che non nella gloria.

Ho appena riletto alcune pagine del Sommario (uscito in tascabile!), e mi ha fatto un certo effetto. La mia emozione, me ne sono accorto dopo, non era dovuta alla qualità del testo, ma ai ricordi che vi sono legati, alle traversie da cui nato.
(Permettere che questo libro cada nelle mani di chiunque mi sembra imprudente. Ha di che schiacciare un debole e indebolire un forte. Che quantità di veleno devo aver accumulato per poterlo scrivere!).

Quando scrivevo il Sommario, mi ricordo di aver ripetuto abbastanza spesso: "Ora liquido i conti con la Vita". Si trattava, bisogna pur dirlo, di un'esecuzione. Tutti i miei libri vengono da questo stesso spirito.

18 febbraio. È mezzanotte passata. Tensione nervosa ai limiti dell'epilessia. Ho voglia di gridare. Mi dolgono tutte le membra. Cerco di dominarmi per non andare in frantumi. Non si è assolutamente niente, ma si può essere qualcuno grazie a ciò che si sente.
Sono indegno delle mie sensazioni.

Quante volte al giorno mi capita di dire: "La liberazione! Non ci sei affatto portato. Faresti meglio a non parlarne più". - Il fatto è che, per dire la verità, constato a ogni occasione che il "vecchio uomo" è presente in me con la stessa forza che se non avessi fatto alcun passo verso la saggezza.

Conosco i miei difetti, così come so che non posso coil reggerli. Che altro mi resta da fare se non rivendicarli?

Soltanto i vanitosi sono amari.

19 febbraio. Tempo primaverile. È, come sempre, questa mitezza prematura mi sprofonda in un cafard ora melodioso ora atroce. - Ho tutte le ossa che mi scricchiolano; il che in me è il segnale del rinnovamento.

Con mia enorme umiliazione, quando meno me l'aspetto, scopro in me reazioni da autore. Questa sorpresa è ogni volta penosa, e si ripete incresciosamente. Non ho presa sul fondo di me stesso, sul mio essere, non ho alcun mezzo per controllare i miei segreti, il mio io.

20 febbraio. Ieri sera, fumato hashish per la prima volta in vita mia, in quantità insufficiente, visto che non mi ha fatto un grande effetto, a parte un leggero senso di piacere (che potrebbe benissimo essere soltanto un'illusione).

Il romeno - la lingua più brutta e più poetica che ci sia. E se i romeni non sono grandi poeti è perché la lingua non oppone alcuna resistenza, non rappresenta un ostacolo da superare. La tentazione della facilità è grande, ed è comprensibile che vi si ceda.

È consolante che ci sia un Piotr Rawicz [
Nato in Ucraina, ex deportato ad Auschwitz, Piotr Rawicz viveva a Parigi dal 1947. Il suo romanzo in francese "Le sang du ciel" (Gallimard, Paris, 1961) è stato tradotto in una decina di lingue. Ha pubblicato anche "Bloc-notes d'un contrerévolutionnaire, ou la gueule de bois" (Gallimard, Paris, 1969). Si suicidò nel maggio 1982] a Parigi.

Provo orrore a manifestarmi. E siccome l'ho scritto a qualcuno, sono fregato, perché comincio a trarre le conseguenze delle mie idee. Più mi ci conformo, più mi sento precario rispetto all'esistenza. Ritirarsi definitivamente in sé, come Dio dopo la Creazione!

Dürer, El Greco, Van Gogh.

Non bisognerebbe mai scrivere per fare un libro, ossia non si deve scrivere con l'idea di rivolgersi agli altri. Si deve scrivere per se stessi, punto e basta. Gli altri non contano. Un pensiero deve rivolgersi solo a colui che lo concepisce. E questa la condizione indispensabile perché gli altri possano assimilarlo con profitto, farlo veramente loro.

L'ossessione dell'opera da creare, da lasciare, mi sembra sempre più puerile. Bisogna essere qualcuno, l'opera è secondaria: una superstizione tutto sommato piuttosto recente. Quanto erano migliori della nostra le civiltà orali! In realtà anche gli Antichi avevano il pregiudizio dello scritto. Bisogna risalire a Omero per trovare un mondo ancora nel vero.

L'orrore, la paura del libro nell'universo rurale: D. Ciotori stava scrivendo in campagna, in Oltenia, i suoi ricordi d'infanzia, e un giorno racconta al suo vicino, un certo Coman, che parlerà di lui nel suo libro. Al che Coman gli dice: "Sicuramente ho molto peccato. Ma non credevo di essere così in basso da meritare che lei mi metta in un libro!".

Nutro il più grande disprezzo per gli scrittori che pretendono e credono di essere maledetti, mentre fanno a meraviglia i loro affari. C'è uno che si atteggia a solitario, ma compare nelle riviste, corteggia i giovani e non perde occasione per far parlare di sé. Il tutto con l'aria apparentemente distaccata; in realtà con un grandissimo desiderio di essere presente dappertutto.

Ogni scrittore è detestabile in quanto scrittore. Forse bisognerebbe generalizzare: è detestabile chiunque si sforzi di operare, in un modo o nell'altro.

Il vantaggio di vivere a Parigi è di poter dare sfogo al proprio disprezzo dove e quando si vuole; è una possibilità che altrove si esaurisce presto per mancanza di obiettivi; qui cresce, soprattutto a contatto con le persone di talento. Si direbbe che più uno è dotato, più è destinato a deludere a livello spirituale.

Costringersi a dare il minimo è diventato il mio motto. In punto di morte, mi piacerebbe dire: "Non ho fatto tutto ciò che avrei potuto".

Orgoglio a rovescio, temo. Non è forse un inganno, per non dire disonestà, lasciar supporre doti che non si hanno o che si possiedono solo allo stato embrionale?

Chiunque cerchi elogi o anche una semplice approvazione dimostra di non essere sufficientemente orgoglioso.

Il poeta che medita sul linguaggio dimostra che la poesia lo ha abbandonato.

Il colmo della miseria! Oggi i poeti scrivono sulla poesia, i romanzieri sul romanzo, i critici sulla critica, i filosofi sulla filosofia, i mistici sulla mistica.

Ciò che si fa è diventato l'unico oggetto del fare; il mestiere si è sostituito al reale; gli schemi all'esperienza; dovunque mancanza di originalità, di vissuto; la riflessione domina tutto; il sentimento non è più di moda, da nessuna parte - è come se non ci fosse più niente da sentire.

Ogni volta che abbandono un progetto o vengo meno a un obbligo, sulle prime provo sollievo, poi un po' di vergogna. E il sollievo ciò che voglio ottenere; se la vergogna a volte non c'è, lui, invece, non si è mai fatto attendere.

Accettarsi come si è, unico modo di evitare l'amarezza. Appena "rifiutiamo noi stessi" ce la prendiamo con gli altri invece che con noi, e non facciamo che trasudare fiele.

Gli uomini si dividono in due categorie: quelli che cercano il senso della vita senza trovano e quelli che l'hanno trovato senza cercarlo.

I malati sono di una crudeltà assoluta: non hanno pietà per nessuno. - (È una verità che ammette eccezioni). (È un tipico esempio di mezza verità).

Non sento nessuna affinità con uno scrittore in buona salute (ne esiste qualcuno, diciamo, per semplificare - sul genere di Goethe?).

A un gruppo di studenti che mi invitano a fare una conferenza rispondo che "perdo ogni facoltà davanti alla faccia umana". Parlare in pubblico mi sembra inconcepibile; d'altronde non ne sono affatto capace. Si tratta di un'incapacità patologica. Appena sono davanti a molta gente (anche degli intimi, in un salotto), smetto di articolare parola, mi sento come una bestia muta, improvvisamente ricongiunto a un universo anteriore al linguaggio. Spesso ho pensato a La Rochefoucauld, che si rifiutò di entrare all'Accademia per paura di dover fare il discorso di rito.