A EMILIO ANZOLETTI

in italiano

 

 

Roma, 1 .3. 1909
[data del timbro postale]

 

Prefazione all'edizione italiana.* Rivolgendomi all'Italia converrà dapprima ristringere i limiti che la conclusione di questo opuscolo indi intraprende di atterrare. Come chi, avendo lungamente contemplato il firmamento, abbassa lo sguardo e lo dirige verso la terra, e di questa non scorge che lo stretto orizzonte che lo attornia. Lo svolgimento dell'arte musicale nel nostro paese oscilla tra le influenze recenti d'un Wagner e quelle anco più recenti della scuola francese da un lato - e per contrappeso serpeggia nella corrente, sfiorando la superficie soltanto, la parola alata di un grande: «Torniamo all'antico».
Constatando volentieri il gran rumore che ha prodotto il Wagner in Italia, non mi sembra però poter egualmente constatare, che la sua musica 'ci vada a sangue', ed i nostri compositori non ne hanno approfittato che apparentemente. Più prossimi - per somiglianza di razza - i francesi, hanno meglio riuscito signoreggiarci, e di questo ne è prova il più riputato dei maestri viventi.** È una certa perdita di fiducia in noi stessi, rimpetto alle meraviglie tecniche degli stranieri, che ci spinge ad appropriarci quelle qualità. Mentre la natura italiana in fatto si ribella ad una forma di espressione, che è la caratteristica di un'altra razza, di una razza opposta.
In tal maniera temiamo d'essere italiani senza riuscire ad essere germani; in quanto poi ciò che guadagnamo dai francesi, non eccede il valore d'un [sic] imitazione, valore sempre negativo; questa influenza anzi ci rende meno schietti e meno forti e sostituisce un profumo artificiale all'odore sano della terra.
L'altra corrente che muove verso il motto di Verdi non ha finora - mi pare - acquistato altro significato, che uno puramente teorico. È il grido di guerra di gente pacifica. E quale sarebbe il senso di tal motto: torniamo all'antico. Cherubini nel suo libro sul contrappunto parla delle regole «degli antichi». Ed ora lui stesso è divenuto un antico. Verso quale punto dell'antichità dobbiamo rivolgerci? Verso Palestrina? Cimarosa? Donizzetti? [sic]
Chi si piace dell'antico è libero di rileggere, riudire e rimirare le opere dei tempi passati ed il primo passo sarebbe dunque di riprendere gli spartiti d'un Monteverde [sic] Caccini, e di rimetterle [sic] sulle scene.
Un tale esperimento gioverebbe certo: non ritorneremmo all'antico, ma alle antiche sorgenti potrebbe attingere un [sic] arte nuova, sempre rimanendo italiana. Il motto che fà [sic] bisogno sarà per ora e per sempre: «procediamo innanzi e restiamo italiani».
*Busoni intendeva scrivere una pretazione speciale per l'edizione italiana dell'Estetica. Busoni siesso ne adattò poi in italiano alcune parti in due scritti intilolati «Cenni di una nuova estetica musicale» e «Libertà della musica (Cenni di una nuova esletica delia musica)» per la rivista Harmonia di Roma (ottobre e novembre 1913). [Sergio Sablich]

**È probabile che Busoni alluda a Puccini. [S.S.]

[BUSONI I, pp. 150-152]