«Ai tempi di Beethoven e di Schubert, Vienna era stata il centro della diplomazia europea. Sessant'anni dopo, una malinconica decadenza appannava lo splendore di quegli anni, ma un altro mondo di intrighi e di strategie disegnava nella capitale trame aspre e sottili. A Vienna, Musikstadt, parti avverse si scontravano con antica perizia politica per decidere le sorti della musica.
Il Conservatorio di Vienna non era nato come istituzione statale, ma come derivazione dell'antica 'Gesellschalt der Musikifreunde' (Società degli amici della musica) costituita nel 1812, e nota col nome abbreviato di Musikverein. L'associazione aveva dotato Vienna di una stabile società di concerti e di una preziosa biblioteca, e, nel 1817, di un Conservatorio fra i cui fondatori fu Antonio Salieri; anch'esso fu chiamato, per brevità, Musikverein.
Nel 1870, l'anno dopo l'inaugurazione del Teatro dell'Opera sul Ring [Hofoper oggi Staatsoper], il Musikverein aveva trovato sede nel nuovo edificio neoclassico progettato da Theophil Hansen [...]. Soltanto un'ala del grandissimo palazzo ospitava il Conservatorio; il resto accoglieva sale da concerto e uffici dell'associazione dei 'Musikifreunde'.
Va da sé che il Conservatorio era soltanto uno, il più imponente, degli strumenti di educazione musicale; altri non erano meno cari ai viennesi. L'Austria, a differenza della Germania, si giovò di questa molteplicità, ed è noto come la vita musicale viennese si sia arricchita grazie alla concorrenza tra Hofoper, Volksoper, teatro del Kärntnertor e teatro An der Wien. Qualcosa di simile avveniva per lo studio del pianoforte, presenza immancabile in ogni casa viennese. Se Julius Epstein era un grande nome, la Vienna del secolo XIX era stata il soggiorno di grandi pianisti e grandissimi didatti, come Carl Czerny, scolaro di Beothoven e maestro di Liszt, e il polacco Teodor Leszetycki (divenuto a Vienna Theodor Leschetizky). A Vienna i ragazzi si indirizzavano o verso valenti e abbastanza oscuri insegnanti privati, o verso la scuola dei fratelli Horák. [...]
Ma fossati e ponti levatoi separavano, disegnavano e riavvicinavano diversi 'ambienti'. Con questo si allude naturalmente al punctum dolens della lite tra Brahms e i wagneriani, e alla dispettosa freddezza tra Bruckner e Brahms. Allora qualcuno affermava che Brahms difendeva la tradizione (confondendola con il 'passato'), e che Bruckner rappresentava l'avvenire, come se l'avvenire fosse il contrario della tradizione o la negazione del passato (i cascami di uno hegelismo da compendio scolastico aiutavano molto). [...]
Bruckner e Brahms fabbricano entrambi opere eccellenti, ma uno dei due, struggendosi di funerea convinzione in un prossimo estinguersi della musica, sospetta nell'altro l'evasione dal buon uso del linguaggio artistico: legittima diffidenza, ma applicata a persona male scelta. Lungo versanti opposti, o semplicemente diversi, guadagnano strada verso la cima di una montagna; quanto più salgono tanto più si avvicinano l'uno all'altro, ma non per questo l'uno vede meglio l'altro. [...]
Se mai Wagner ebbe a Vienna un fervente sostenitore, questi fu Hans Richter, stimato direttore d'orchestra tra il 1870 e la prima guerra mondiale, sacerdote del culto wagneriano a Bayreuth; eppure Richter fu devoto di Brahms, assiduo non tanto della 'fazione' brahmsiana (esisteva davvero?) quanto di casa Brahms... insomma, in quella realtà ammirazione e amicizia personale contavano più dello spirito di parte, e Richter era ammiratore di Wagner e amico di Brahms, e i due sostantivi si potrebbero agevolmente invertire. Certo, il campo di tensione si polarizzava in prossimità di Eduard Hanslick, che issava la bandiera brahmsiana, ma i 'sostenitori' di Brahms come Ignaz Broll non mostravano ripugnanza per le 'novità'. Aggiungo che di veri e polemici 'wagneriani' forse non ce n'erano, fra i musicisti maturi e affermati collocati in cattedra, alla direzione di qualcosa o in altri luoghi di potere; di 'fazione' wagneriana si poteva parlare fra i giovani, fra gli studenti di Conservatorio più agguerriti. I capi di costoro erano i fratelli Schalk e qualche altro forse più interessante. I cipigli e i bisticci correvano lungo un curioso annodarsi e snodarsi di diatribe di principio nobili e universali, combattute quasi sempre in ottima fede, e di moventi personali e talora meschini, tesi a traguardi ambìti e contesi come la presidenza di una giurìa o la direzione di un'orchestra, specialmente della più prestigiosa, i Wiener Philharmoniker, fondata da Otto Nicolai nel 1842. Tra l'uno e l'altro ambiente viaggiavano liberamente messi vaganti e ambasciatori in partibus infidelium: non per questo i circoli chiusi erano meno chiusi, ma riuscivano a comunicare indirettamente e a sapere vita morte e miracoli l'uno dell'altro. Tutto ciò era molto viennese.
Brahms era certamente un punto di riferimento, ma in casa propria riceveva poca gente e faceva musica per conto suo. Il vero 'salotto' brahmsiano era la casa di Theodor Billroth, un buon chirurgo e musicista dilettante. [...] In quegli incontri, Billroth era il mecenate, Hanslick il custode dell'ortodossia, Brahms il nume. Billroth, medico umanista, credeva non soltanto all'arte dell'armonia, ma anche all'armonia delle arti: scrisse un trattato sui fondamenti fisiologici della musicalità innata, che Hanslick gli pubblicò postumo. Accedere in casa sua era per i più un miraggio, e le composizioni che vi si eseguivano sottintendevano un'aristocratica selezione. [...]
Nel 1875 Billroth aveva quarantasei anni. Più giovane, trentunenne, era un interessante musicista che frequentava la sua casa e le serate brahmsiane, Hermann Grädener. [...] Era devoto a Brahms, ma era curioso di novità, e lo avrebbe incuriosito presto anche il giovane Mahler. Longevo, sarebbe morto alle soglie del nazismo.
Così nella metropoli absburgica una parte ragguardevole del dominio musicale riconosceva l'autorità di uomini del Nord: tali erano l'amburghese Brahms, il baltico Billroth, e Grädener, nato al confine con la Danimarca. A loro dava sostegno teorico il praghese Hanslick, e tutti e quattro erano la dimostrazione lampante che nella Vienna di quegli anni ben poco si concedeva al nazionalismo, in musica e altrove. Anche questo, inutile dirlo, era molto viennese.» [Quirino Principe, Mahler, Rusconi, Milano 1983, pp. 131-136]
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