Matinée schoenberghiana

Berlino 1911

Che stia rinascendo il sentimentalismo?
Dopo aver ascoltato i pezzi per pianoforte e i Lieder di Arnold Schönberg (e averli suonati e partecipato alloro studio) si sarebbe quasi indotti a crederlo. Lagrime represse, sospiri, folate di vento in boschi luttuosi, stormire di foglie autunnali: qua e là un fugace disdegno, o il riflesso di un pallido sole invernale, subito scomparso. In mezzo, degli sberleffi. Voci solitarie serpeggiano, quasi recitativi, disposte in intervalli imprevedibili, di cui sentiamo appena la connessione. Un'armonia sfrontata, che per la sua stessa inesistenza perde automaticamente il mordente - breve durata dei tempi - un continuo ripigliar fiato e rifarsi da capo - ingenuità in proporzioni quasi barbariche. Eppure tanta scioltezza, tanta chiarezza di visione e rettitudine.
Alla fine: tre pezzi per due pianoforti a otto mani.
Davanti alle tastiere siedono quattro giovani dalle fattezze fini, caratteristiche: è quasi commovente vedere con quanta devozione e capacità mettono la loro giovane intelligenza al servizio di quest'arte ancora misteriosa. Nello sfondo del piccolo podio scintillano inquieti due occhi, una bacchetta fa movimenti brevi e nervosi. Si vedono solo la testa e la mano di Schoenberg, che suggerisce ai quattro ardimentosi e comunica loro sempre più la sua febbre.
Uno spettacolo insolito che, sorretto dalla sonorità insolita, esercita un fascino.
Ad ogni modo qualcosa di diverso da un programma di sonate affidato a due professori di conservatorio.
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