«In un'epoca, in cui la musica viene così universalmente coltivata, è compito di non lieve interesse l'osservare a qual ragione quest'arte debba la sua straordinaria divulgazione e quale ne sia l'impulso. Davanti all'incontrastabile fatto, che tutti coloro, che vantano una buona educazione, sogliono interessarsi per l'arte ed in special modo per la musica - essendo delle arti questa la più accessibile, la più facile a comunicarsi esternamente - ci domandiamo involontariamente se questi tali veramente comprendono, gustano ciò che odono o fanno udire, o se almeno ne riportano qualche piacere o diletto. Ci domandiamo, se col crescere delle difficoltà tecniche e lo scemare della facilità, della chiarezza di stile, sono anche cresciute l'intelligenza e la facoltà di percepire nel pubblico; ed in questo caso nuovamente ci domandiamo perché allora non si gusta egualmente la severa bellezza dei lavori classici, anziché ciò che ci porta di astruso, di bizzarro la tendenza moderna, ciò che è oggetto di acclamazioni momentanee, di successi passeggieri, come ripetutamente ci è dato occasione di constatare. Non mi si venga a dire, che la mente degli uomini d'oggi trova il diletto nel lavoro analitico, nello scioglimento di problemi, che ci offrono nelle loro composizioni gli autori contemporanei. Non è fatica meno attraente l'analizzare una fuga di Bach e nelle facili bellezze di Mozart si riscontrano dei momenti degni di grande e profonda riflessione. E se anche certuni sembrano ascoltare con apparente diletto un brano di musica classica, come si spiega che quelli stessi corrono con indescrivibile entusiasmo ad una operetta qualunque, nella quale il vantato buon gusto deve sentirsi estremamente offeso? Tutte queste domande contraddicenti, che necessariamente s'affacciano allo spirito di chi osserva, non possono avere che una sola risposta. La maggior parte delle persone appartenenti alla cosiddetta società non comprende, non gusta la musica e raramente ne prova diletto; solo l'ambizione di brillare, o la vergogna di confessare la propria negativa per una cosa, che viene riguardata come dote indispensabile dell'uomo colto (la quale vergogna non è che un'altra forma d'ambizione), d'aver fatto finalmente della musica un paragrafo del bon-ton, al quale a tutti i costi si vuole assoggettarsi, e in molti casi finalmente l'ingiusto apprezzamento delle proprie facoltà mentali, dei propri talenti, la poca conoscenza di sé stesso sono le cause di una commedia altrettanto ridicola, quanto insopportabile per chi la rappresenta, ed alla quale prende parte tutta quasi la società.
Tenterò nel presente articolo di provare la verità di questa conclusione, che a primo tratto sembrerà dura ed esagerata, e di giustificare un'opinione, la quale è basata su delle osservazioni e delle esperienze. Anzitutto voglio chiarire le definizioni comprendere e provare diletto. A mio parere non è possibile di provare diletto all'udire un pezzo musicale, se non comprendendolo. Il diletto sta appunto nel comprendere le bellezze d'una composizione. Ciò non toglie, che alcuni, anche non comprendendo, possono provare una sensazione di piacere, che in tal caso non può dirsi puramente musicale, ma piuttosto un'impressione, che per mezzo dei nervi dell'orecchio si comunica all'intero sistema nervoso. Coloro, che gustano la musica in questo senso, preferiscono - come spesso mi fu dato osservare - le composizioni di carattere dolce e trasognato, appunto perché più atte ad operare sui nervi un affascinamento non molto dissimile da un principio d'ebbrezza d'oppio. [...]» [5 luglio 1885, BII, pp. 507-508]