«Un gruppo a parte formano nel pubblico i cosiddetti 'buongustai'; essi appartengono quasi sempre alla classe benestante, frequentano regolarmente teatri e concerti, sono a giorno di tutte le novità musicali, conoscono personalmente gli artisti ed acquistano col tempo e coll'esercizio una routine rimarcabile nel distinguere il buono dal cattivo, una sicura conoscenza del gusto del pubblico e per conseguenza la facilità di predire con certezza quasi infallibile l'esito d'ogni nuovo lavoro. In società vengono interrogati sul loro parere, ed il loro giudizio - per quanto superficiale e ristretto - non manca di giustezza. Al teatro v'informano precisamente di ogni nota acuta della prima donna, vi avvertono del do di petto del tenore, vi dicono a menadito di quanti mezzi tuoni fu spostata l'aria del baritono, quanti tagli furono fatti nell'opera e perché. La loro perspicacia ha una certa parentela con quella dei 'claqueurs' di professione - i quali posseggono l'arte di non applaudire fuor di proposito - e la derivazione ne è la medesima. Voler dire che questi esseri (pochi eccettuati) comprendano la musica sarebbe troppo. Essa è loro divenuta un'abitudine, senza la quale non si trovano a loro agio, una indispensabile scusa per rappresentare con decoro la loro parte nella società.
Giunti ormai alla fine di questo mio saggio, i lettori metteranno forse in dubbio lo scopo e la necessità di un simile scritto. Io acconsento con gli arguti, che per dimostrare la mancanza d'intelligenza musicale nella società era superflua un'analisi teoretica dacché mille sono gli esempi che ce la provano in modo pratico. Tra questi vanno annoverati gl'insuccessi di lavori, che posteriormente raggiunsero la celebrità, alle prime loro rappresentazioni ('Barbiere di Siviglia', 'Carmen', opere di Wagner ecc.) e talvolta i favolosi entusiasmi per altri lavori di merito assai dubbio (p.e. 'I Goti' di Gobatti); la indifferenza del pubblico verso coloro che - pur meritevoli - non raggiunsero ancora una fama estesa e la ridicola devozione con cui si accettano e si ammirano le composizioni di talenti estenuati e sfiniti, i quali devono il loro nome a dei lavori antecedenti.
L'assoluta necessità della réclame non è essa prova sufficiente per la povertà d'intelligenza del pubblico, il quale legge i giudizi dei giornali, per sapere come gli ha piaciuto un artista od una composizione? Ed i pregiudizi dei piccoli partiti, i raggiri di protezione e le autorità che vi si sottomettono, l'inispiegabile impopolarità di alcune grandi opere d'arte, e gl'impedimenti che si oppongono alla propagazione delle medesime in ragione di odio od inimicizie nazionali, non provano forse esuberantemente la cortezza d'ingegno (musicale e non musicale) dei figli della coltura?» [10 luglio 1885, BII, pp. 522-523]