«Un bel mattino ai primi di febbraio si vide appiccato su per i muri e le colonnine un bel cartellone giallo giallo che annunziava a lettere gigantesche il primo concerto di Rubinstein per il 14 del mese. Da quel mattino in poi tutta Vienna musicale fu in gambe. In un batter d'occhio si esaurì la vendita dei biglietti dei tre primi concerti, si che il concertista si vide costretto a darne altri due nella gran sala del Musikverein. [...] Rubinstein è un artista che impone al pubblico per varie ragioni. La ricchezza dei suoi programmi è imponente. [...] Rubinstein non si contenta di presentarvi ed eseguirvi un programma da sbalordire, ma vi aggiunge ancora e suona pezzi non annunziati nel programma: e con questa astuzia egli nuovamente impone al pubblico, che non pensa che il programma stampato e quello esistente nel cervello di Rubinstein vengono concepiti ad un tempo. Impone col suo modo di suonare, dalle tinte forti (predilette dal pubblico), dalla passione irrompente, dall'interpretazione piena di slancio e di fuoco alla quale sacrifica spesso l'esattezza tecnica. Quanto è potente il suo forte, altrettanto dolce e pastoso il suo piano, dalle sfumature finissime e quasi insensibili. Il suo tocco nel cantabile è talvolta di bellezza affascinante: alcune melodie (quella p.e. del Trio nella Marcia funebre di Chopin) hanno sotto le sue dita un incanto tutto proprio. [...] Delle Sonate di Beethoven, in generale, piacque maggiormente l'interpretazione di quelle dell'ultima maniera (oltre l'op. 100), specie la Sonata op. 109 (che si rare volte abbiamo occasione d'udire) nel presto di mezzo e le variazioni finali. [...]
Lo studio in la min. (op. 25) di Chopin fu preso in un tempo così pazzo, che a nessuno sarebbe riuscito di portarlo fuori netto: non riesci neppure a Rubinstein, e fummo costretti a deplorare la mancanza di chiarezza, ed il dover udire impasticciare i passi. [...]
Nel quarto concerto, dopo avere suonato 25 faticosi pezzi, Rubinstein eseguì ancora con piena forza e freschezza la 12ª Rhapsodie di Liszt e per bis due preludi di Chopin, fra i quali quello in re min., che è come noto difficilissimo. Ma bene il pubblico era stanco, affaticato dalla lunghezza del programma e dal calore eccessivo della temperatura. Anche Rubinstein non offriva il più bel spettacolo: grondante di sudore, colla cravatta slacciata, i capelli in disordine, il petto della camicia inzuppato, fradicio, a stento reggendosi in piedi, ansante e sul volto un'espressione dolorosa. Le ovazioni che gli si facevano alla fine d'ogni concerto sono rimarcabili. [...] [3 marzo 1884, BII, pp.453-457]

[...] Rubinstein ha abbandonato Vienna, lasciando dietro di sé larga traccia del suo trionfo. Egli solo assorbì tutto il carnevale, lo inondò di mille suoni sfarzosi e multicolori, gl'infuse l'anima musicale, lo rese doppiamente attraente... Ora la quaresima ci appare doppiamente lugubre e tutti i nomi che riempiono i cartelli e gli affissi non ci valgono il decimo di quel solo nome: Antonio Rubinstein.[...] [24 marzo 1884, BII, p. 459]

Rubinstein [...] <è> uomo di mondo, piacevole conversatore, ha per tutti una parolina, accoglie ognuno con egual compitezza, con una disinvoltura aristocratica e tiene sempre pronto per gli uomini un sigaretto, un bacio per le signore. All'opposto di Brahms, egli ama che si parli dei suoi lavori, e non gli si può fare dispetto maggiore che di esaltarlo esclusivamente come pianista. Il sospetto, che gli si tributi stima minore come compositore, lo rende talvolta acerbo. Negli ultimi tempi alcuni insuccessi e l'opposizione della critica lo hanno amareggiato; il suo aspetto ha qualcosa di stanco. Gli feci udire un mio lavoro, che mi permise di dedicargli: 'Tutto bene, disse all'ultimo, tranne questo punto, che correggerei nel tal modo'. E qui m'interrogò collo sguardo. Io, che a dirla schietta, non era del tutto persuaso del cangiamento, timidamente soggiunsi: 'Sì, sì. Ella avrà di certo ragion'. 'Non io avrò ragione, saltò fuori a dire, ma è precisamente così'.
Passando un'altra mattina dalla sua camera (dimoravamo nella medesima locanda) udii suonare al di dentro, e fermatomi ad origliare, riconobbi il Notturno in Do min. di Chopin, eseguito con correttezza tecnica, ma con rigido sentire e poca morbidezza di tocco. Quella non era al di certo la mano di Rubinstein. Terminato il pezzo, la curiosità mi spinse a picchiare ed entrai. Nella suonatrice riconobbi una mia compatriota, la signorina C. - Rubinstein mosse verso il pianoforte, dove quella se ne stava, e prendendola per ambe le mani, con quel fare tra il famigliare e l'accarezzante che usa verso le signore: 'Non, ma chérie - le disse -c'est faux, c'est faux, avete sviato completamente il carattere'. E sedutosi al piano, lui stesso ricominciò quel Notturno. L'istrumento sembrava mutato. Il tasto, anche se toccato appena, teneva la nota come la mezza voce di un cantante, il tocco era pastoso e pieno, l'espressione e l'interpretazione della melodia d'una bellezza ideale. Nella seconda parte toccò degli accordi che sembravano quelli di un organo, degli arpeggiati da rapire, e giunse, con sempre crescente passione, a scatenare un uragano di ottave ed a gettarsi come una belva sopra un trillo nei bassi; e frammezzo a questa lavina di note, spiccava, potente e maestoso, un corale di accordi tenuti. Io era stupefatto, quasi ebbro, la signorina saltellava nervosamente e si fregava le mani dal piacere. E Rubinstein continuava impassibile, come che quello non fosse affar suo, e volgendo il capo verso la pianista: 'Vedete, ecco, così questo punto, più sentimento, più passione, più morbidezza'. All'ultimo prese un tasto in isbaglio e sorridendo noncurantemente esclamò: 'Trop de sentiment!' Questa visita, o]tre a destarmi vivo interesse, mi recò anche profitto e mi valse più di un corso di lezioni.»
[24 ottobre 1885, BII, pp. 529-530]