«Spesso udii da maestri italiani deplorare lo stato trascurato in cui trovasi presentemente l'arte drammatico-musicale in Italia e mormorare contro le riforme astruse, che ci recano gli alemanni; e più volte ebbi occasione di udire esternato il desiderio di por rimedio a questo difetto, mediante una fusione dei modi delle due scuole. Questo mezzo, che da molti è creduto unico, da altri ritenuto difficile, è per me nient'altro che un'opinione erronea.
Difatti, chi con diligenza vorrà considerare le caratteristiche delle due scuole, converrà, che da una tale amalgamazione non potrebbe derivare che poca unità di stile e - per così dire - una musica a sbalzi.
Ciò che caratterizza maggiormente la musica italiana è bellezza melodica e facilità di stile; ciò che alla musica dà impronta di tipo alemanno è essenzialmente la predilezione con cui viene usata l'armonia ed il contrappunto, la profondità e la severa diligenza.
Ma chi, peraltro, vorrebbe rimproverare alla musica germana l'assenza di melodia?
Tacendo di Mozart, che più di tutti subì l'influenza dell'arte italica, chiameremo noi privi di melodia Beethoven, Weber, Mendelssohn, Schumann e lo stesso Wagner? No certamente: e le opere loro, in cui i gioielli melodici sono profusi con la prodiga mano di una generosa immaginazione, ce lo affermano indubbiamente. Ma ben diverso è il tipo della melodia loro, e diversa la proporzione con la quale essa occupa il suo posto rispetto al lavoro scientifico, che la sorregge. Quello che abbiamo da cercare, infatti, non è fusione di stile, ma equilibrio di proporzioni.
Una composizione sembra astrusa, quando in essa prevale il lavorìo armonico e contrappuntistico; la si percepisce invece con facilità, quando l'elemento melodico vi signoreggia scoperto. Grande influenza esercita sulla comprensibilità della musica il grado di facilità e scorrevolezza, con cui essa fu scritta, ed è perciò che i capolavori classici, in cui i problemi più scabrosi vengono sciolti con la massima indifferenza, sono d'una chiarezza che li rende accessibili anche all'orecchio ed al gusto dei profani.» [13 giugno 1884, BII, pp. 482-483]