LA BIOGRAFIA DI GUIDO GUERRINI

1911 - 1914


QUARTO VIAGGIO IN AMERICA

Alla fine del 1910 altro viaggio in America, ancor più estenuante del precedente. L'agente dei concerti di Busoni fa ottimi affari e non ha riguardi per «la macchina umana» che produce quattrini con tanta facilità. Appena arrivato a New York, Busoni scrive a Petri:

Caro Egon, la traversata è stata buona, migliore di tutte le precedenti; è già la quarta volta che la compio.
La prima impressione di New York è sempre di barbarie; si vorrebbe prendere subito la prima nave che torna indietro.
Un po' alla volta ci si abitua (cioè il nostro standard scade per benino) e da ultimo, come avviene quando si frequentano spesso persone brutte, si finisce col trovare singole caratteristiche attraenti. - Devo considerare come perso tutto questo tempo e ricavarne quanto posso di guadagno personale. I 39 concerti fissati (in 11 settimane) con il tempo annesso da passare seduto in treno tra una locallta e l'altra, non lasciano molte speranze di poter lavorare. E se anche qualche volta si avesse tempo disponibile, come trovare da un momento all'altro la concentrazione necessaria? Nondimeno confido di poter abbreviare le sofferenze e voglio tentar di troncarle al principio di aprile.
Intanto penserò almeno al lavoro e, così preparato, conto di portare a termine tanto più velocemente la Sposa sorteggiata. Tutto il resto è migliore delle parti che hai in mano. [...]
Il 13 gennaio devo suonare il mio Concerto a Chicago. (Ne ho piene le tasche).

Come al solito il Maestro, viaggiando, si sdoppia: e il virtuoso non dà tregua al creatore.

I due prossimi mesi sono zeppi di viaggi e di concerti; soltanto esercitando la massima fermezza mi è riuscito di imporre il 1° aprile come ultima data e 1'8 come giorno di partenza. In compenso, però devo sobbarcarmi una veloce tournée in California tra il 7 e il 31 rnarzo (Sarebbe dovuta cominciare dopo il 1° aprile).
Devi perdonami se nelle condizioni in cui mi trovo il buon umore mi fa difetto e le mie lettere hanno un tono asciutto.
Mi stupisco di quelle persone che desiderano l'America. È adatta solo a coloro che non sanno fare altro che suonare il loro strumento e non hanno il senso del pudore.
[a E. Petri, 25.1.1911]

L'insofferenza nei confronti dell'America è ribadita due giorni dopo in un'altra lettera a Petri:

Per conto mio l'ho fatta finita con l'America - l'interesse che si era riacceso l'anno scorso si è spento, perché non trova nuovo nutrimento. Grandi quantità di pazienza devono venire ancora macinate per due interi mesi faticosi; bisogna tenere a freno i nervi quando accennano a ribellarsi.

E ancora:

Se gli artisti europei boicottassero l'America, l'America diverrebbe come una grande Sala in cui fosse improvvisamente mancata la luce; ci si dovrebbe cercare la strada a furia di fiammiferi e ci si brucerebbero le dita. [Cit. in DENT e GUERRINI]

Ecco un esempio dei ritmi stressanti a cui era sottoposto Busoni durante le tournées americane:

3 Febbraio ore 12: partenza per Filadelfia
ore 14: arrivo
ore 15-17: concerto (prova pubblica)
ore 18-20: viaggio di ritorno

4 Febbraio 15 -17: recital a New York
ore18-20: viaggio per Filadelfia
20,15 - 22: concerto
22,30 - 1: viaggio di ritorno

5 Febbraio ore 12: prova
ore 20: concerto a New York

Dunque, il 4 due concerti e due viaggi! ! In questi tre giorni mi hanno ascoltato circa diecimila persone! (Ieri sera al Metropolitan Opera House erano presenti in 4000.)
Tutto questo è bello, certo, e fa piacere sul momento, ma se devo dire la verità, prevale un senso di vergogna.
Ho espresso questo sentimento in un breve articolo, 'Fino a quando?' (per Signale); il quale è stato già attaccato da due parti opposte, il che vuol dire che non è stato capito. [A Petri, 6.2.1911]

Boston, forse per la tradizionale sua pseudo-intellettualità o più probabilmente per i ricordi che Busoni da giovane vi ha seminati, lo attira sopra ogni altra metropoli americana. Essa
gli richiama alla mente Vienna, ma senza le tradizioni ed il fascino della capitale viennese.
È appunto a Boston che egli ascolta la sua Suite sulla Turandot e, nella stessa occasione, conosce il «Don Chichotte» di Richard Strauss. Qualche considerazione su questi due lavori troviamo in una lettera a Gerda.

[Il Don Chichotte] è lavoro di grandi qualità: volgare nella parte lirica, notevolmente stimolante nel grottesco, esso è un misto di pesante ingenuità e di esagerata cultura. [...] Nel complesso è la più interessante composizione dei nostri giorni ed una delle più ricche invenzioni, forse la migliore, di Strauss... Ammetto francamente che «Turandot» è stata tracciata sulla falsa riga di esso... [18.2.1911]

Egli del resto ha per Strauss stima e simpatia profonde, tanto da affermare che, dopo Toscanini, lo ritiene il più intelligente musicista da lui incontrato. Nella stessa lettera Busoni l'inacapacità di conciliare attività concertistica e composizione riappare espressa con la solita lucidità:

Sono felice al pensiero della mia attività per l'estate e per l'autunno un senso d'impazienza e di costrizione contro cui devo combattere sempre, ha esaurito la mia concentrazione. Sono come uno che deve stare a letto con una gamba rotta; che però sta benissimo per il resto e aspetta il momento di poter muoversi e camminare di nuovo. Ripeto ancora: non devo buttar via i miei anni buoni.
Il mio sviluppo come compositore sarebbe a ben altro punto, se non ci fossero queste lunghe interruzioni e le faticose riprese. Ho solo quattro mesi all'anno per portarmi in alto, e poi si torna di un altro passo indietro.
Non mi lamento, voglio solo veder chiaro e - continuare a veder chiaro. -

A New York Arturo Toscanini ascolta «Berceuse élégiaque» diretta da Mahler. «Il pezzo non è piaciuto al pubblico, ma piace a me», disse Busoni. Ed era piaciuto molto anche a Toscanini, che gli promise anzi di eseguirglielo in edizione migliore.
Il giro attraverso il West è un supplizio:

Le 'date' si ammucchiano paurosamente.

Febbraio 23 Boston Symphony New York
24 [idem] Brooklyn
25 [idem] New York
27 [idem] New York
28 Recital a Boston
Marzo 2 pomeriggio, serata in casa della signora Untermyer (ospite Grof Appony)
- la sera, recital a Brooklyn
5 recital a Chicago
6 recital Des Moines
7 recital Omaha
9 recital Kansas City
10 recital Sedalia
14 primo concerto in California (Los Angeles)
15 Pasadena (sobborgo)
17 Los Angeles
19 e 21 S. Francisco
22 Oakland (sobborgo)
25 Seattle
26 Portland

31 e 1 aprile Cincinnati [A Gerda 22 febbraio e 4 marzo]

Dedica molto tempo allo studio: «ho da suonare quattro differenti programmi e tre differenti Concerti».

A New York, il 24 febbraio, conosce il pianista Ernesto Consolo e lo scultore Trubetzkoj, russo nato in Italia.
Malato di febbri contratte chi sa come e dove, Busoni deve trascinarsi da una città all'altra, senza soste, in interminabili viaggi che lo prostrano fisicamente e moralmente. Durante questo periodo egli decide di utilizzare i temi indiani raccolti in parte da Miss Curtis e in parte da lui stesso. Ma, a differenza di altri compositori, che avevano concepito grandi opere su canti popolari, elaborandoli come veri e propri temi classici, Busoni trova più artistico costruire una Suite di piccoli pezzi, sopra schemi musicali quasi primitivi, così da serbare alle musiche il loro originale profumo.
La notizia del suicidio del pianista, suo allievo a Berlino, O'Neil Philips lo sconvolge.
In marzo, a San Francisco, ha un diavolo per capello e una voglia matta di mandare a quel paese l'America, i concerti e il suo impresario. Ma questi, impassibile, trova sempre nuovi mezzi per irretire l'ingenuo Maestro.

Questi Chickering & Sons, fabbricanti di pianoforte] mi manderebbero, senza rimorsi di coscienza, fino a Honolulu. E questa non è una iperbole, perchè il rappresentante di qui vi ha fatto realmente un accenno!! 'It is a very interesting trip' ha detto... È triste il non ricevere lettere; oh, è opprimente. - Spero ogni giorno, ogni giorno. - È proprio come un brutto sogno. Spedito come un baule...

In questo periodo legge avidamente il recentissimo romanzo (1911) di Wells The new Machiavelli:

Sto leggendo un grande romanzo, questa volta un romanzo serio, di Wells; è meravigliosa la trasformazione di quest'uomo, che entra, con questo libro, nel novero dei romanzieri di prim'ordine e porta con sé una sensibilità approfondita, un fiume di idee, eppur conserva il suo senso di umorismo (purificato da ogni comicità comune) e fa sentire che ha digerito una vita intera. Che piacere osservare un tale sviluppo; che felicità esperimentarlo in noi stessi! [...]

Per il momento il libro di Wells mantiene quanto aveva promesso. «I feel we might do so many things and everything that calls one, calls one away from something else» - vi si trova tra l'altro. Ha 500 pagine di fitta stampa, e non sono ancora arrivato a leggerne 150, perchè sono anche dense di pensiero, come te lo dimostra la proposizione riportata. Fino al punto a cui sono arrivato, il libro dà l'impressione di una autobiografia, proprio come le Confessions di Rousseau o la Vita di Alfieri (scritta da esso stesso) - e, considerato da questo punto di vista, ne risulta la forma più autentica di romanzo. È scritto anche in prima persona. Ma il titolo The new Machiavelli fa pensare a un geniale uomo di Stato che, ritiratosi a vita privata, annota le sue idee...

Il 15 marzo, da Los Angeles, Busoni disquisisce lungamente in una lettera a Gerda sul tema della melodia.
Finalmente, verso l'aprile, il 'tormento' americano volge alla fine. Il giorno del suo compleanno egli scrive a Gerda:

È con immensa gioia che penso al mio ritorno. Sento che sta cominciando il mio più importante periodo, quello che sarà il definitivo.

Qualche mese dopo, nella tranquillità di Berlino e a mente fredda, l'analisi busoniana dell'America è impietosa:

La mia opinione su questo paese si è di nuovo modificata notevolmente. Non solo non ho fiducia che vi si possa verificare un'ascesa culturale, ma credo che il punto più alto sia già stato oltrepassato. Ciò che gli Americani hanno fatto dopo aver oltrepassato questo punto porta in un deserto morale. Si chiama: sfruttamento pratico (come fine a se stesso) e godimento grossolano della vita. Dato che non vi esiste riflessione su altri problemi (quelli della morale, della religione e dell'arte), l'America si presenta come un medioevo fornito di macchine e di eletticità! «A great country»! - Sì, buon Dio, e come Lui l'ha creato; sebbene senza usignoli e senza vino. L'ingenuità potrebbe riconciliare, se non fosse così sfacciata - ma lasciamo perdere. [A Egon Petri, 12.7.1911]


NASCITA DI ARLECCHINO (1912)

Tornato a Berlino, «quel centro importante che costringe a creare, che aiutandoti a progredire ti isola, ma che con la sua gioia di vivere ti fa diventare socievole», il 22 maggio comunica a Petri di aver portato 75 pagine di partitura della Brautwahl all'incisore. Da una parte è molto appagato del lavoro compiuto e che sta continuando, e della quiete ritrovata («è il periodo più bello della mia vita: è primavera, sono libero e sano e profondamente grato al destino, con una certa emozione», scrive a Irma Bekh, dall'altra è molto rattristato per la morte di Mahler («Un artista vero e un caatere meraviglioso. Che purezza in quell'animo!», avvenuta quattro giorni prima. Certamente è questo, per Busoni, un momento di intensa attività creativa, o per lo meno di fervidissimo travaglio d'arte.

Il 17 luglio scrive a Gerda:

Ho letto le lettere di Balzac e la «Speranza nel Buddismo».
Io, per me, sono arrivato al punto di considerare dottrine, filosofie e religioni come opere d'arte, e mi metto dalla parte del predicatore più abile. Non posso credere che il singolo, preso nella massa del popolo, ne diventi più felice e più saggio. Trovo che il ciabattino della Bibbia, delle «Mille e una notte» o di Roma antica, è sempre lo stesso ciabattino. E son sempre gli stessi gli artisti, i sacerdoti, i soldati, le cortigiane. Il lanzichenecco che mena colpi furiosi brandendo la Bibbia nella mano sinistra, equi-vale al Saraceno che taglia teste invocando Maometto.

Il giorno dopo:

Ti prego di accogliere con pazienza questo piccolo saggio:
In complesso ho avuto una opinione molto alta del nostro tempo e l'ho considerato anche artisticamente interessante. (Ma le impressioni penetrano nella nostra anima così intrecciate con la disposizione personale del momento, che si possono distinguere solo più tardi, quando la disposizione momentanea ha perso la sua forza). Ma ora vedo nel nostro tempo una vera strapotenza dei suoi 'tre granai', cioe: del danaro - dell'industria - dello sport.
Inoltre c'è la minaccia del lavorio giudaico: che vuole estrarre dalla massa singoli individui e schiacciare tutti gli individui nella massa. Danaro e socialismo tenteranno di divorarsi a vicenda come «Siegfried e Fafner, Fafner e Siegfried» - l'industria con i suoi nobili scopi di buon mercato, rapidità, produzione in serie, è una Donchisciottata...

E il 28 luglio a Petri:

[...] è con un gran sospiro di sollievo che oggi ho potuto scrivere sulla partitura: fine della prima parte del secondo atto. E stato un lavoro massacrante; ho riscritto molto. Ho lavorato un'ora intera alle due ultime battute, ne sono proprio orgoglioso. Che cosa sarebbe il talento senza il senso critico? È davvero talento?

Il 15 agosto Stock gli comunica di aver concluso la strumentazione della Fantasia contrappuntistica e gli presenta un giovane intellettuale ebreo che sarà un punto di riferimento culturale durante l'esilio a Zurigo: Ludwig Rubiner. I progetti, i dubbi, le indecisioni, si alternavano e si agitavano nell'animo suo, come sempre avviene nel vero artista alla vigilia di grandi creazioni.

Il 9 settembre si trova a Varese e scrive a Petri:

Stasera si dà qui (per laprima volta) Madama Butterfly, e io ci vado: «in tempo di carestia il diavolo mangia mosche» (in francese: faute de mieux on couche avec sa femme ). (Ahimé, io non ho nemmeno mosche da mangiare: sono loro che mangiano me!). - Oltretutto ho bisogno di ascoltare musica e da una cattiva orchestra si impara molto: da suono nasce suono e spero che mi faccia superare la stasi nella Sposa sorteggiata. Mancano 50 pagine e non vado avanti!!

Alla fine di dicembre, dopo un invito a un concerto sinfonico, esprime le sue amare considerazioni a Petri: «Quella forma di ammannire la musica che chiamiano concerto, mai mi aveva tanto ripugnato!»

Busoni trascorse invece i primi due mesi del 1912 nella «sua» Berlino, immerso nella frenetica attività musicale della metropoli prussiana. Il 19 gennaio la Gesellschaft der Musikfreunde dedicò un concerto esclusivamente a sue composizioni: un evento artistico importante per il musicista italiano che, felice e onorato, si sentiva sempre più legato alla sua patria d’adozione. Tra il pubblico «attento e pronto al riconoscimento» c’era anche Arnold Schönberg, con cui Busoni era in quel periodo in stretti rapporti. Qualche settimana dopo ricambiò la cortesia partecipando, con una ristretta e qualificata cerchia di persone
(Anton Webern tre pianisti allievi di Busoni: Louis T. Grünberg, Eduard Steuermann e Louis Closson), a un concerto di musiche da camera schönberghiane, organizzato dal compositore stesso, al Choralionsaal. Alla fine di febbraio, ebbe anche l’occasione di ascoltare una conferenza del musicista viennese su temi stimolanti per le sue ricerche in ambito musicale ed estetico. Subito dopo scrisse un articolo in cui, riferendosi al concerto con musiche sue e alla conferenza di Schönberg, proclamava l’indipendenza dai modelli e dai dettami delle scuole e manifestava, come Boccioni nella lettera sopra citata ma con toni più pacati e meno sofferti, una completa devozione all’arte:

Il creatore tende, in fondo, solo alla perfezione. E mentre cerca di armonizzarla con la propria individualità, una nuova legge involontariamente sorge. Nel concetto del «creare» è contenuto quello del «nuovo»; per questo la creazione differisce dall’imitazione. Si segue un grande modello con la massima fedeltà se non lo si segue: giacché il modello è grande in quanto si allontana da ciò che l’ha preceduto. In questo senso Arnold Schön-berg ha parlato a una piccola cerchia di persone quando ha dimostrato di quanto poco aiuto sia la teoria della composizione. Questa insegna ciò che è già noto. Ma il creatore vuole l’ignoto. [...] Per me l’opera d’arte è lo scopo supremo di ogni aspirazione umana.

All’inizio di marzo lascia Berlino per recarsi a Londra, dove, oltre che esibirsi come pianista, visita (il 18) la mostra dei futuristi. Molto impressionato dalla pittura di Boccioni, ne acquista l’enorme dipinto La città che sale.

Sono stato a vedere i Futuristi e ho avuto una forte impressione da alcune cose. Per quanto non mi sentissi perfettamente bene e fossi un po' nervoso, ero molto ricettivo. Boccioni mi sembra il più forte; ha un quadro: La ville qui monte che è veramente grande. - Eccellente è anche Uscita dal teatro di Carrà. E infine il Ballo del Pan-pan al Monico di Severini, pittore che mi sembra molto disuguale... Ti ho voluto dire qualche cosa su questo argomento, finchè l'impressione ne è ancora viva in me. (Purtroppo vedo diventare già antiquati anche questi pittori). Ad ogni modo mi ha rinfrescato e rallegrato...

Qualche giorno dopo si trasferisce ad Amburgo per sovrintendere alle prove del suo primo, imponente lavoro teatrale (Die Brautwahl), di cui ha scritto anche il libretto. Quest’opera «comico-fantastica» in tre atti e un epilogo nacque sotto il potente influsso del Falstaff di Verdi, delle opere di Mozart, dell’opera comica italiana settecentesca, e tenne occupato il maestro per ben sei anni, dal 1906 al 1911.

Il 28 marzo scrive a Egon Petri:

[...] se un'opera, che (fino al suo completamento) stava interamente in una testa, viene poi spartita tra 100 e più teste, è naturale che nel travaso qualcosa del suo contenuto vada versato. Comunque ci si potrà fare un'idea della Sposa sorteggiata. L'orchestra rimane sempre il più forte avversario del compositore non intendo parlare personalmente, ma di come l'artista la impiega). È una favola (che passa da una bocca all'altra e ognuno ripete senza pensarci) che oggigiorno tutti sappiano strumentare bene. Non appena si tratta di espressione personale e di un nuovo compito, i problemi continuano a presentarsi a ogni passo. Strauss e Mahier me l'hanno confermato. Invece di fronte al palcoscenico - dove pure sono un novellino mi sento assolutamente disinvolto. Dipende certo dal mio sangue italiano. Qui sono quasi di casa e ho il controllo della situazione. - L'esperienza e la 'routine' di un regista mi fanno ridere. Tutto ha un che di infantile: si danno tante arie ma non impressionano nessuno.
Credo - se non è già troppo tardi - che vi potrò apportare ancora qualche miglioramento.


Il 4 aprile disquisisce sulla scrittura letteraria in una lettera a Petri. In questo periodo, tra una prova e l'altra della Brautwahl, legge avidamente l'Ève future di Villiers de l'Isle-Adam, restandone molto colpito:

Il libro L'Ève future esce molto dall'ordinario; nel suo miscuglio di sottigliezza di pensiero e di barocchismo di dubbio gusto; di originalità sbalorditiva e di frequenti reminiscenze; inoltre notevole per me, perchè contiene una serie di considerazioni che io stesso avevo fatto in precedenza.
La derivazione da Poe (Ligeia), Hoffmann (L'uomo di sabbia) e Wagner (evocazione di Kundry da parte di Klingsor) è evidente.
[L'Eve future] è di una originalità unica e di un indirizzo di pensiero che va molto in fondo.
[A Gerda, 2.4.1912]

Di queste sue letture non può non informare il suo alter ego, Egon Petri, in termini ben più espliciti (5.4.1912):

[...] leggo in questi giorni un libro - un libro! - (si intitola - L’Eva futura) che mi mette completamente a terra. È il libro più crudele che sia mai stato scritto, e se non fosse a tratti tanto straordinariamente brillante e 'ben scritto', meriterebbe l'anatema di un censore. È del mio ammiratissimo Villiers de l'Isle Adam. In questo libro, in cui un Edison 'idealizzato' parla ininterrottamente per 300 pagine... vengono dimostrati i vantaggi di una donna 'artificiale' in confronto a una donna viva. Le teorie sgomentevoli esposte via via nel discorso, sono scoraggianti fino a indurre alla rinuncia. La cosa tragica per me è che in quest'opera diabolica trovo sviluppate le mie proprie opinioni fino all'ultima - insospettata - conseguenza e io stesso ne sono inorridito.
Forse a molti, alla maggior parte, fa un effetto umoristico. Ma la vita è breve e insignificante: perché prenderla sul serio?

E il giorno dopo:

Ho finito di leggere quel libro diabolico. Mi ha spossato più delle prove! Un mitico inventore costruisce una donna artificiale e dirnostra che è da preferire a qualsiasi donna viva. Ogni obiezione è prevista e rintuzzata fino in fondo: alla fine entra in azione anche il misticismo e confonde completamente la ragione già scossa. Ci si mette le mani nei capelli e non si ha più nulla a cui appoggiarsi e a cui credere. Un libro abominevole, e di una tale illusoria forza di persuasione, che il lettore rinuncia alla sua propria opinione. Eppure devo dire: così vorrei poter comporre! Nonostante evidenti reminiscenze (da Poe, Hoffmann e R. Wagner) è di un'originalità unica. È strano che un'opera del genere rimanga quasi sconosciuta!

Durante il periodo delle prove Busoni rilasciò una breve intervista al Piccolo di Trieste, in cui, oltre che parlare della sua nuova opera, manifestava generiche simpatie per il futurismo e annunciava il recentissimo acquisto de La città che sale. Probabilmente quest’ultima notizia era già di pubblico dominio in Italia poiché Boccioni e Marinetti alla fine di marzo avevano fatto pervenire ai direttori dei principali giornali italiani un volantino propagandistico in cui, tra l’altro, si elencavano anche i nomi degli acquirenti di quadri futuristi a Parigi e a Londra.
Il 7 aprile Gerda arriva ad Amburgo.
La prima mondiale della Brautwahl ebbe luogo allo Stadttheater di Amburgo il 13 aprile 1912, il giorno dopo l’arrivo di Boccioni a Berlino:

Berlino 12 Aprile 1912

Illustre Maestro,
Appena giunto per la Nostra Esposizione futurista, mi sono reca-to a casa Sua per avere l’onore e il piacere di fare la Sua conoscenza e ringraziarla della compera da Lei fatta del mio quadro «La ville qui monte» [La città che sale].
Ho avuto il dispiacere di saperla ad Amburgo fino al 18 corrente.
Non so se io sarò qui per quel giorno, perché desidero tornare a Milano per lavorare. Con grande rincrescimento, Illustre Maestro, sono costretto a inviarle tutta la mia affettuosa riconoscenza per la spinta che Lei ha generosamente data al mio avvenire!
Nella speranza che la mia opera avvenire possa fare onore alla nostra cara Italia, a Lei che così gloriosamente la rappresenta invio il mio fervido e riverente saluto!
Umberto Boccioni


Rientrato a Berlino proprio il 18 aprile, Busoni si prepara per una nuova tournée in sei città italiane.
A Bologna assiste a uno spettacolo di marionette rappresentata dalla Compagnia di Armando De Rossi, che si proponeva di far rivivere il repertorio della Commedia dell'arte del '500 francese. La Compagnia si chiamava appunto «delle Maschere», e la commedia rappresentata aveva per titolo a L'«Inutile precauzione». La parte di Arlecchino era sostenuta dall'attore Emilio Picello, reputatissimo, la cui arte colpì Busoni:

L'Arlecchino era una figura di grande effetto; era impersonato da un attore che gli conferiva un carattere quasi monumentale. Mai la comicità terra terra dei tedeschi...

Nella stessa lettera Busoni esprime un profondo disagio intellettuale che spesso lo coglie nella sua patria:

I miei pensieri che si sforzano di spingersi in avanti, vengono respinti indietro di alcuni secoli a ogni cantonata. È difficile concentrarsi sul futuro in un paese che deve ancora raggiungere il presente. (Fra parentesi, l'espressione 'spingere verso il futu-ro' è errata e miope; sarebbe meglio dire: strappare dal passato).

Un disagio che gli impedisce addirittura di continuare le composizioni in cantiere («non trovo qui la concentrazione necessaria»). Sulla via del ritorno, a Basilea, scrive una lettera a Petri in cui fa un bilancio del soggiorno italiano:

La piccola tournée di concerti è stata animata e brillante. Anche se non ha aggiunto nulla all'immagine incompleta che la mia patria continua a farsi di me. Rimango l'eccellente «Concertista», professione che per inciso occupa il quarto e ultimo gradino nella scala di coloro che praticano la musica; l'ordine è: Compositore, Cantante, Direttore d'orchestra, Strumentista. [...] Si trova quest'Italia a un nuovo inizio o definitivamente alla fine? - Nella elite c'è intelligenza su-periore e cultura, ma la percentuale di stupidità (degli imbecilli [in italiano nel testo]), di leggerezza e di ignoranza è spaventevole. Aggiungi l'americani-smo nel mondo degli affari e dello sport, il quale, nelle aspettative degli ottimisti, dovrebbe infondere nuova forza. Un ideale confuso di 'smart business man' e 'lawn tennis parties' cancella il carattere tipicamente italiano... dov'è andata l'arte figurativa, questa figlia legittima del paese?

Il 20 maggio arriva a Berlino e sulla sua scrivania trova «tre bellissimi volumi del Marlowe [il Faust - testo e introduzione]», un regalo di Edward Dent : «Essi mi sproneranno - scrive al suo futuro biografo - ad occuparmi [...] del problema del Faust, che formerà probabilmente il mio lavoro principale.» Frattanto i miei pensieri stanno tornando intorno a un'altra opera, alla quale vorrei accingermi nella estate prossima.» Non è chiaro a quale opera alluda il Maestro? Si sa però che nel gennaio del '13 Busoni traccia appunti per un canovaccio di libretto, «Il segreto», tratto da Villiers de l'Isle-Adam. Ma, veramente mefistofelica, la tentazione di Faust si riaffaccia da un'altra finestra, sotto forma di un invito a comporre intermezzi musicali per la commedia di Frank Wedekind, Franziska, che è per l'appunto una parodia del Faust di Goethe. Dopo qualche dubbio l'offerta è dedinata, ma l'idea del «Faust» germina sempre e continuerà a germinare per molti anni ancora.

Il 5 agosto scrive a Gerda alcuni pensieri sulla religione:

Dov'è la domenica nel calendario della natura? - Ciò nonostante, ossia, sebbene questa istituzione umana sia in parte di origine religiosa, l'esser 'credenti' non è sempre dannoso... (Il male è: l'ipocrisia e l'intolleranza verso gli altri).
Infatti che danno porta 'credere' e a che cosa serve non credere? Quando - dopo molte lotte - riuscii a far penetrare in me la dottrina materialista, credevo di aver raggiunto chissà quali meraviglie, e non fui più felice, piuttosto meno! E come andò con la filosofia di Schopenhauer? - anche peggio. La religione è - così mi sembra - come il vestito; ognuno lo deve tagliare secondo il suo corpo e portarlo senza scandalizzare troppo il passante, anzi in modo che a questi esso sembri piacevole. -

Dopo aver concluso la Sonatina Seconda e altre opere minori, sempre nell’agosto del ‘12 Busoni lascia Berlino per recarsi a Parigi dove incontra per la prima volta Gabriele D’Annunzio, tramite lo scrittore Vollmöller. È il primo contatto tra i due grandi uomini costantemente attratti l'uno dall'altro, costantemente divisi da idealità artistiche in assoluta opposizione. Sull'incontro, lasciamo la parola al Maestro:

La sera andammo all'Hotel Meurice, rue de Rivoli 5 un albergo sontuoso. D'Annunzio ci ricevette con cordialità mondana, in frack e scarpini da ballo, e in compagnia di due signore e di due signori de la haute société. C'era tra questi una bellissima italiana di una gentilezza innata, il cui nome dava una ebrietà quasi sensuale a Gabriele. Si chiama donna Beatrice di Toledo, marchesa di Casafuerte, e certo il suo nome suona come un intero lavoro teatrale di Calderon. I quattro si ritirarono subito, dopo l'usuale: “J'ai vous ai applaudi” e “quand vous reviendrez à Paris...” e restammo in tre con l'Olimpico. D'Annunzio è simpatico, pensa con rapidità e vivacità, narratore affascinante - un po' “profumato”, ricercato e, allo stesso tempo, ogni tanto timido e imbarazzato.
Ci raccontò del suo ultimissimo lavoro, che è scritto “sul corpo” (alla lettera) di M.lle Rubinstein [bio] e che, per la molta parte

mimica e danzata, ha bisogno di tanta musica, quanto una pantomima. E raccontando ciò, sviluppò una tale pompa di immagini e di colori, che si restò incantati, anche se alla fine dovemmo confessarci che aveva fatto passare davanti ai nostri occhi soltanto una sfilza di quadri, di costumi e di cerimonie.
Fece capire che avrebbe gradito che io gli scrivessi la musica... Ma Vollmoeller mi disse in seguito che sarebbe una fatica senza risultato. Non crede a D'Annunzio come drammaturgo. (Egli [D'Annunzio] dipende molto dall'idea del successo, da ciò il suo smisurato rispetto per Wagner e... persino per Puccini!). D'Annunzio e io ci separammo molto cordialmente e con più di un progetto in germe, e sono stato molto contento di questo incontro. Così ho compiuto la mia piccola missione e posso ritornare senza fretta verso casa....

Il musicista è incantato dalla rapidità e vivacità di pensiero del poeta, dalla «pompa di immagini e di colori» che sviluppa nei suoi racconti. I due artisti si separano «molto affettuosamente, con più di un progetto in germe».
In un colloquio che D'Annunzio ebbe con Vittorio Gui nel 1937, il Poeta narrò che Busoni andava spesso a visitarlo a Marina di Pisa, durante il tempo in cui D'Annunzio scriveva «Le Laudi»; e che in una di tali visite il Maestro scoppiò in pianto sulla tastiera, perché si sentiva tragicamente solo e incompreso.
Tornato a Berlino, Busoni si prepara per le abituali, logoranti tournées autunnali e primaverili.

Ecco alcuni significativi stralci da lettere dell'autunno 1912 trascorso a Berlino, con puntate a Londra e in Russia:

L'uomo è costruito tutto proteso in avanti, per avanzare e guardare innanzi; indirizza (e deve indirizzare) lo sguardo verso i suoi figli e non verso i suoi genitori. Lo impariamo dai nostri figli. [A Hugo Leichtentritt, 4.9.1912]

Per quel che riguarda il vedere fantasmi, non è un fenomeno di cui si possa senz'altro negare l'esistenza. Posta l'onnipresenza del tempo (che è più difficile negare che ammettere), una persona particolarmente dotata potrebbe percepire, in un momento di speciale chiaroveggenza, un individuo di un 'altro' tempo; naturalmente non come fantasma, ma come è in quel dato momento. Se ciò ti sembra dilettantismo, vorrei ricordarti che in questo campo ne sappiamo tutti altrettanto poco.
Uno dei pochi articoli molto ben scritti del Meyer[s Konversationslexikon] tratta l'occultismo con grande serietà: vale la pena di leggerlo. Capisco benissimo il tuo metodo scientifico-empirico, ma si può seguire un'ipotesi aprioristica. - I due metodi sono sempre esistiti.
[A Egon Petri, 7.9.1912]

Sono arrivato in questo momento [a Londra]. Questo ingresso è sempre emozionante. La differenza tra la città in cui si abita e quella in cui si torna ripetutamente è simile a quella tra 'matrimonio' e 'relazione extra-coniugale'. Specialmente in un luogo che non si finisce mai di esplorare, come questa Londra, quel che è sempre eccitante è l'aspettativa di nuove sorprese nel bel mezzo di ciò che ci è già noto... Rifletta un momento: neanche il più diligente degli scrittori potrebbe finir di raccontare in tutta la sua vita quel che avviene qui contemporaneamente in un minuto! Ci vorrebbero almeno sette milioni di frasi. [A Edith Andreae, 30.9.1912]

Questa settimana [a Londra] è stata molto faticosa; (se potessi almeno liberarmi del senso di 'vergogna' quando suono in pubblico!). Mi sembra di aver nuovamente cambiato modo di suonare. La prima sera mi sono osservato e ho fatto una collezione di critiche. Manca sempre qualche cosa! - La mia Sonata per violino comincia a piacere (per es. a Kreisler); a me piace sempre meno. Vi sono alcuni buoni momenti, sentiti - per il resto un lavoro pulito.
La vita sempre più breve, la meta sempre più lontana - compito inumano! Enfin, purché ci se ne si renda conto!
[A Petri, Londra, 6.10.1912]

Nella stessa lettera riferisce a Petri di aver letto la Danza macabra di Strindberg «che mi ha fatto grande impressione». Ne ha scritto più a lungo a Gerda. A Helsingfors [Helsinki] rievoca il periodo giovanile vissuto in questa città:

Donne invecchiate prendono persino quel coraggio che non avevano avuto in gioventù, fanno rivivere inclinazioni soffocate sul nascere; esprimono quel che avevano sulla punta della lingua 20 anni fa, danno il bacio per il quale avevano fatto boccuccia 20 anni prima! E dire che io non amo guardare indietro! Che vorrei vedere in ogni giorno un nuovo inizio!
Fortunatamente il pubblico mi considera un 'debuttante', per certi versi può essere piacevole.
[A Petri, 8.11.1912]

Il viaggio in Russia, compiuto nel novembre, gli procurò nuove sensazioni e nuovi trionfi. Dopo vari anni di assenza, fu accolto laggiù 'come un principe'. Mosca lo affascinava ancora una volta con le sue italianissime architetture, Riga risvegliò in lui antichi ricordi di Helsinki. «Qualche volta mi piacciono queste piccole città coi loro quieti sagrati, i sentieri contorti e i vecchi fabbricati. Ma poi vengo a una strana conclusione: tutte queste cose le preferisco nel ricordo. La memoria è una grande artista, per la sua facoltà di trascurare i meschini dettagli...»
Nel suo giro incontrò ovunque vecchi amici, ne fece di nuovi. Un gruppo di ammiratori lo seguiva, lo circondava, lo importunava. Era ossequiato da musicisti d'ogni calibro e dai maggiori salutato da pari a pari. Cesare Cui, vecchio di 78 anni, lo ascoltò e si congratulò con lui. Il grande critico Robert Freund scrisse con entusiasmo sulle composizioni busoniane. Con Hermann Wetzler (il direttore d'orchestra) parlava di Toscanini e della sua memoria. Wetzler pensava che si trattasse di memoria visiva. Toscanini cioè riteneva la fotografia della partitura, come essa era stampata. Un fotografo nel cervello.
Glazunov, Nikisch, Bloch, Hofmann, Rachmaninof, Scriabin lo andarono a visitare. Il numero dei concerti aumentava per via. Dovette suonare persino per gli allievi del Conservatorio di Pietroburgo. [Guerrini]


NASCITA DI TURANDOT

A Londra, al Teatro San Giacomo, nel gennaio del 1913, fu eseguita la commedia «Turandot», con musiche di scena di Busoni. Esecuzione infame.

Una orchestra di una ventina di esecutori, che sonavano da cani; parti ripetute 4-5 volte di seguito; altre tagliate via; il tutto eseguito nello stile del varietà. E poiché certe volte vi era poca musica, per le esigenze del regista, venivano intercalati, fra la mia musica, pezzi di Saint- Saëns e di Rimsky-Korsakow!... Potevo io oppormi all'esecuzione? Il produttore disse che aveva pagato, ed ebbe ragione. Rivolgermi alla legge? Contro chi?... Prima che la causa fosse portata a termine, la stagione sarebbe finita. Che cosa penseresti di una «Turandot» come opera, in italiano, dal Gozzi?
Addio, Gerda. Il tuo Ferruccio che sta attraversando un momento di grande incertezza.

E in altra lettera, scoraggiato dalle traversie per l'esecuzione di «Turandot»:

Ho scritto un aforisma: le composizioni pel teatro dovrebbero essere scritte, ma non rappresentate.

Da autentico artista, il Maestro, anche questa volta, si consola delle amarezze che gli procura l'Arte, dedicandovisi ancor più intensamente. Sta lavorando al Nocturne symphonique e ne è soddisfatto.

Col Nocturne Symphonique dovrei considerare momentaneamente conclusa la serie dei lavori preparatori; col che non è detto che 'cammin facendo' non continui ad arricchire il mio vocabolario musicale.
Ma considerando la mia età e il grado della mia maturità, credo di non dover esitare oltre ad affrontare un lavoro capitale e monumentale, verso cui, in fondo, ha puntato tutto quel che ho fatto fino adesso. E allo stesso tempo vorrei far rifluire il corso
della mia vita di nuovo verso la sua sorgente e tentare che la mia opera più importante sia importante anche per l'Italia. Ma bisogna saper mettere le mani su un argomento vitale, per colpire insieme tutti i cuori e tutti i cervelli. [A Gerda, Londra, 25.1.1913]

Al musicologo Draber scrive ironicamente:

Certo ora ho imparato un po' a comporre, ma non ho ancora imparato a comportarmi da compositore. Bisognerebbe iniziare un nuovo corso di studi - e io sono rimasto indietro in tante altre cose che devo ancora imparare...!
Bene, caro Draber ... comincio a capire: si fa lentamente strada in me, tardi - ora che il cammino della mia vita volge alla fine - la convinzione che, dato che non si può plasmare il mondo secondo le proprie idee, si... dovrebbe plasmare se stessi a seconda del mondo. Cosa che certo la maggior parte delle persone fa con zelo e con ciò vien data loro ragione, mentre hanno tutti torto.
[21.1.1913]

Ma la sua salute non sempre regge alle fatiche che gli impongono i concerti e l'inflessibile norma di lavoro. Si concede un breve riposo nei dintorni di Londra, e ingiunge al suo agente di tenerne segreto l'indirizzo. Ciò è causa di un non lieve incidente con la Società Filarmonica; la quale aveva offerto al Maestro l'esecuzione di qualche suo lavoro. E il Maestro aveva proposto la «Fantasia Contrappuntistica». Come è detto ben chiaro nella edizione di questo lavoro, Busoni scrisse la «Fantasia contrappuntistica» come composizione astratta, cioè all'infuori di ogni proposito strumentale o coloristico. Musica fine a se stessa, senza alcuna considerazione esecutiva. La prima stesura, quasi ineseguibile, fu scritta per pianoforte, e la seconda, redatta in seguito dal Maestro per due pianoforti, rimane una delle opere più significative e poderose del genere contrappuntistico. Middelschulte ne fece una trascrizione per organo, e lo Stock di Chicago finalmente l'orchestrò. Ma il direttore della Filarmonica non sapeva nulla di tutto ciò, né Busoni aveva creduto opportuno di informarlo. Alle prove d'orchestra l'autore, che non aveva ancora avuto tempo e modo di esaminare la partitura dello Stock, accorgendosi che in vari punti l'orchestra non risultava a dovere, cominciò a proporre modificazioni, a chiedere correzioni, a suggerire cambiamenti, proprio come se si trattasse dell'opera di un altro. I presenti non riuscivano a spiegarsi tutto ciò, ignorando che il Maestro non era l'autore della partitura. Busoni invece, con quella sua particolarissima ingenuità di fanciullo, aveva proposta l'esecuzione della «Fantasia» proprio per «provarla» e sentirne l'effetto, tanto più conoscendo per prova l'abilità di quella orchestra. A queste peripezie si aggiunga ancora che, in causa del celato indirizzo, il direttore d'orchestra aveva ricevuta la partitura all'ultimo istante, così da essergli mancata la possibilità di esaminarla e studiarla. All'atto pratico, un po' per le ragioni dette, un po' per l'impossibilità materiale di apportare alle parti d'orchestra tutte le modificazioni richieste, ma sopratutto per la eccessiva lunghezza e difficoltà del lavoro, si dové rinunciare all'esecuzione. Né il Maestro acconsentì a sostituire quella composizione con altra, come gli era stato proposto. Aveva voluto «sentire» la «Fantasia», e lo scopo era stato raggiunto, anche se negativamente.

ANCORA DANTE E LEONARDO

Londra, 25 gennaio 1913

(Busoni a Gerda).

Questa lettera sarà un piccolo documento circa un'idea che può essere, per me, molto importante. Al presente mi sembra di poter affermare che col «Notturno Romantico», la lista dei miei lavori preparatori è completa (il che non significa che col mio «quotidiano progresso» io non possa arricchire continuamente il mio dizionario musicale). Considerando la mia età e il mio sviluppo musicale, penso che potrei, senza esitazione, intraprendere il mio lavoro «principale e monumentale» verso cui tutti i miei lavori precedenti hanno mirato. Vorrei però indirizzare il mio torrente verso la sua vera foce tentando che la mia opera principale sia importante anche per l'Itaiia. Ma occorre che il potere di presa sia molto evidente, se si vuol raggiungere cervelli e cuori con un unico strale! Questo è ciò che Wagner intese fare coi «Nibelungi», opera però relativamente estranea al popolo tedesco... L'Italia ha Dante, che è ugualmente apprezzato da tutti ed è popolare nonostante la sua grandezza; anche fuori d'Italia. Il cinema mi diede l'ideavedendovi a «L'Inferno di Dante»... Ma io non mi fermerei all' Inferno, come pure non azzarderei il Paradiso, ma giungerei soltanto all'incontro con Beatrice. Piazza della Signoria, con Dante seduto sul gradino su cui egli suoi abbandonarsi ai suoi sogni, scena caratteristica dell'ambiente e dell'epoca e, forse, con Beatrice che passa. Poi, circa sei quadri coi più salienti episodi: Ugolino, Paolo e Francesca, un paio di scene con masse, e finalmente l'ascensione con Beatrice. E, beninteso in italiano....

Un mese dopo, da Cassel:

Vedrò s'è il caso di scrivere a D'Annunzio. Penso che forse l'idea di un «Leonardo» sarebbe migliore che quella di un «Dante». Ma tu hai ragione: Moi, je raisonne trop. Credo, dopo tutto, che queste interruzioni di lavoro servano a maturarmi e a chiarirmi a me stesso...

In attesa che gli eventi lo maturino, e più che altro per tenere il cervello in esercizio, il Maestro schizza uno Scenario per Balletto, di cui il titolo sembra dover essere «La Danza della vita e della morte». Il canovaccio, tracciato in ogni particolare e pieno di scene affascinanti, avrebbe poi dovuto essere, nella maggior parte, rivestito di musiche già esistenti e adattate per l'occasione [Questo canovaccio è contenuto nelle sue linee maestre in una lettera del 6 marzo alla moglie].
D'Annunzio, intanto, risponde con telegramma alla lettera di Busoni, invitandolo ad un incontro.
E questo avviene il 22 giugno a Parigi, nell'abitazione del Poeta, Via Bassano, 11. Il Maestro ce ne offre i particolari in una spassosissima lettera. D'Annunzio, pallido e assorto, drappeggiato in un kimono giapponese, appare a Busoni come a Mefistofele che riceve lo scolaro». E gli annuncia che sta proprio scrivendo un libro intitolato «L'uomo che rubò la Gioconda». Gli confida quindi, con tutta serietà e con abbondanza di particolari, che il quadro della «Gioconda» (rubato giorni prima al Museo del Louvre) è in suo possesso; lo stesso ladro glie l'ha consegnato nella sua Villa d'Arcachon. Così egli ha vissuto per ben quattro giorni con «Gioconda»; la quale però, e non sa spiegare per qual misterioso incantamento, al quinto giorno è svanita, così che sulla tela è rimasto soltanto lo sfondo. «E nello sfondo ií sorriso di lei»...
Questo d'annunzianissimo racconto aveva forse lo scopo di «abbagliare» il musicista o di farlo trasecolare? Ma Busoni era empolese, cioè due volte toscano. Il racconto lo divertì immensamente; ma gli fece anche comprendere, una volta di più, come gli ideali d'arte suoi e del Poeta fossero inconciliabili in un'opera d'arte quale Busoni sognava il «Leonardo». Né d'altra parte sembrò che D'Annunzio approvasse nemmeno il soggetto, poiché durante il colloquio ebbe a dire: «Né a Gesù né a Leonardo oserei prestare le mie parole».
Il Poeta si opponeva a questo dramma sopratutto per la mancanza di passione e di sentimento in Leonardo. «È un cervello nato da uno scheletro, come una luce accesa dentro una lanterna». Ma quando Busoni gli espresse l'idea di fare di Leonardo un «Faust italiano, egli cominciò a intravvederne la possibilità. «Non un Leonardo storico, ma simbolico. Il Mistico deve aleggiare su tutto. Una serie di quadri senza connessione drammatica».
A questo colloquio ne segue un altro. Ma da quanto ce ne riporta il Maestro, possiamo dedurre che i due cervelli, seppure entrambi ottimi conduttori d'elettricità, messi a contatto non davan scintilla.
La relazione di questo incontro una sola cosa ci conferma: che il chiodo fisso di Busoni era pur sempre uno solo: «Faust».

Sempre a Parigi, il Maestro incontra Marinetti e Boccioni da cui riceve la spiegazione di quella che era l'arte futurista di allora e in particolar modo la «scultura futurista».
E sembra che il Maestro non solo sappia penetrare la nuova teoria, ma la condivida in parte, <pur essendo> uno dei più ferventi ammiratori del Boccioni. A conclusione delle sue impressioni di quei giorni, scrive: «Paragonato con 'questa' arte e con l'incarnazione di Monna Lisa amante di D'Annunzio, il «Pierrot Lunaire» di Schönberg è un'insipida limonata».


LA FANTASIA INDIANA

Segue un periodo di intenso lavoro creativo e meditativo. Come tutti i veri artisti, Busoni sente, negli anni della piena maturità, che soltanto l'essenzialità ha un autentico valore e che ogni inutile ciarpame, formale o interiore che sia, appesantisce e immiserisce l'opera d'arte. L'aver dedicato tanta parte della propria attività spirituale allo studio di Bach non lo ha fuorviato. Egli anzi si allontana gradualmente da ogni forma contrappuntistica o polivoca per immergersi sempre più a fondo nell'armonia, intesa come sostegno di una grande melodia. Anche in questi anni, pur lavorando al II volume del «Clavicembalo ben temperato» (del quale darà infine una interpretazione quasi diremmo «divinatoria», indicando allo studioso ciò che dell'opera vi è «al di là» della nota scritta), si allontana ancor più dallo stile bachiano. Attraverso la «Berceuse» e il «Notturno sinfornico», già ci offre la visione della sua nuova maniera. Ora poi, con la «Fantasia indiana», questa nuova estetica si afferma e si fa più palese. L'italiano, con la sua necessità di esprimersi orizzontalmente e non verticalmente, con nel sangue la tradizione della melodia armonica, urge in lui sempre più imperioso. La «Fantasia indiana» non si serve, è vero, di melodie all'italiana, ma di temi indiani; pure se ne serve alla maniera nostra: voce che canta, sopra un sostegno puramente armonico. Il lavoro procede faticosamente, perché i temi da trattare sono di scarso rendimento musicale e spesso di corto respiro. Occorre «lavorarli» e manipolarli liberamente, sia pure togliendo ad essi una parte del loro sapore esotico. Ma intanto la partitura cresce limpida e tersa, quasi sempre trattata a strumenti puri, cioè escludendo impasti ed amalgami. Musica, in somma, fine a sé stessa.
Le pesantezze della partitura wagneriana, allora modello al novanta per cento dei musicisti, gli fanno orrore. Levigatezza, trasparenza, eleganza sono base della sua nuova maniera. La sua mente si rivolge, come abbiamo detto, alla melodia anziché al contrappunto, ma «la melodia» è già intesa da lui in modo nuovo e moderno.

Sto di nuovo fissando qualche pensiero sulla melodia... Melodia assoluta: una sequenza di intervalli ascendenti o discendenti, che siano organizzati e muovano ritmicamente. Essa contiene in sé un'armonia latente, riflette una maniera di sentire. E tutto ciò può esistere senza dipendere da un testo a cui chiedere espressione e senza accompagnamento di voci. All'atto della realizzazione, la scelta del tono e dell'istrumento non porta alterazione alcuna alla natura del suo essere. La melodia, da prima indipendente, si unì successivamente all'armonia accompagnante e più tardi si mescolò con essa inseparabilmente. Recentemente lo scopo della musica polifonica (che è sempre in progresso), fu quello di liberarsi da questa unità. In contradizione alle convinzioni profondamente radicate, deve esser mantenuta nella polifonia quella melodia che si espande continuamente, che cresce in vastità e capacità d'espressione e che alla fine deve divenire il più potente elemento della composizione.

Questa concezione, fissata nel 1912, quando cioè una parte dei più raffinati musicisti conducevano una vera crociata contro la melodia, in esclusivo favore del sinfonismo e dell'espressionismo, ci conferma sulla precocissima visione busoniana di quello che, a distanza di trent'anni, doveva divenire canone fondamentale dell'estetica musicale. In una parola, Busoni seppe prevedere, predire e realizzare, anticipandole di sei lustri almeno, le basi della musica a noi contemporanea.
Il 13 maggio 1913 a Milano esegue per la prima volta la Sonatina seconda (tra il pubblico vi è anche Boccioni). Dopo la metà di giugno si reca a Parigi dove incontra di nuovo il pittore e D’Annunzio. A Busoni non sarebbe dispiaciuto collaborare con il poeta. Aveva in mente di scrivere un’opera con Leonardo come protagonista. Ma questo progetto non fu condotto in porto, anche per l’enorme diversità di temperamento e di culture dei due artisti. Di ritorno a Berlino, Busoni riprende e conclude la partitura del Nocturne Symphonique per orchestra, secondo «studio» per il Doktor Faust, dopo la Sonatina seconda.

BUSONI A BOLOGNA

IL LIBRETTO DEL «DOTTOR FAUST»
(24-31 Gennaio 1914)
Prima di salpare, però, e proprio in quegli otto giorni fra Natale e Capo d'Anno del 1914, l'idea originale, quella che doveva essere «tutt'altra cosa» da quella di Goethe, sorse d'un tratto nella mente del Maestro, e il libretto del «Dottor Faust» fu scritto di getto. Egli poteva partire per il Nuovo Mondo con un'opera di più sul telaio, l'opera che dové essere la sua ultima e la sua maggiore.