IN ATTESA DELLA CRONOLOGIA...


LA BIOGRAFIA DI GUIDO GUERRINI

QUINTO VIAGGIO IN AMERICA
(gennaio-settembre 1915)

RICOSTRUZIONE DI QUESTO SPEZZONE
BIOGRAFICO DI LAURETO RODONI


Il 20 gennaio giunge a New York insieme a Gerda e ai due figlioli. Il pensiero della guerra lo assilla e lo tormenta. Scrive a Egon Petri:

Che cosa ci aspetterà ancora? Questo stato d'incertezza, dopo dieci anni d'ininterrotto e costruttivo lavoro al clima della mia più vitale energia, è il più duro colpo da sopportare.

L'America fa al Maestro accoglienze grandiose, ma queste non bastano a riconciliarlo con gli americani. «Anche in guerra, l'Europa è di gran lunga migliore!». Immaginarsi poi la depressione morale durante i concerti nel West, che si protraggono per più di due mesi! E al suo ritorno a New York trova le cose ancora peggiorate. Vi sono colà più di venti grandi pianisti (fra cui Bauer, Friedberg, Grainger, Hambourg, Hofmann, Joseffy e persino Saint-Saëns), col resultato che «nessuno va più a sentir concerti di pianoforte».
Nonostante le fatiche e le preoccupazioni, il Maestro ha portato a fine il «Clavicembalo», le «Goldberg Variations» e, di proprio, la «Fantasia indiana» [in realtà già conclusa e interpretata a Berlino nel corso del 1914, n. d. c.] e il «Rondò arlecchinesco».
Nel maggio, anche l'Italia essendo entrata in guerra, Busoni decide di rientrare in Europa. Lo trattengono ancora per qualche mese insistenze di amici (che gli fanno sperare fra l'altro in una esecuzione dell'«Arlecchino» al Metropolitan) e lusinghe di impresari. A fine settembre, lasciato in America il figlio Benvenuto (che, nato a Boston, aveva diritto di cittadinanza americana), riparte con Gerda e Lello [Raffaello] per l'Europa. Non può più contare sul suo posto di Bologna, perché nel frattempo fra lui e l'Amministrazione Comunale è avvenuta completa rottura. Busoni ha chiesto ai bolognesi una collaborazione «materiale» che è al di là delle loro possibilità finanziarie; l'amministrazione a sua volta ha preteso da Busoni un'assistenza e una presenza che la sua fama e la sua posizione di concertista non gli consentiranno mai. Così, dopo vari «ultimatum», egli è stato sostituito.
Il Maestro spera di ricevere da qualche altra città italiana l'invito che gli consenta una decorosa sistemazione. Ma unica offerta è quella di una misera classe di pianoforte al Liceo Santa Cecilia in Roma. Se ne sente avvilito ed offeso, e cerca rifugio altrove.
A Bologna però, - deve essere detto - rimane un gruppo di fedeli. Sono quegli stessi che dalla sua morte non cessano di operare perché in Italia sia divulgata l'opera di Lui.


Laureto Rodoni

Prima dell'esilio

Dunque alla fine del 1914 Busoni prende la decisione di onorare il contratto stipulato con le istituzioni musicali americane, anche per avere il tempo di riflettere sulla sua situazione. Dopo aver concluso con inabituale rapidità e frenesia il libretto del «Doktor Faust» [«Mi è venuto tutto d’un fiato e senza esitazioni, come se fossi ispirato», scrive nel suo diario il 2 gennaio], il 3 gennaio parte improvvisamente e precipitosamente [«Ich muss, noch heute, reisen.» (Archivio L. Rodoni, Biasca)] con tutta la famiglia per Genova, nutrendo la speranza che la crisi venga presto superata e che, non appena sia passata, potrà di nuovo condurre, sono parole sue, una vita più consona alle sue inclinazioni e al dovere verso se stesso.È costretto a far tappa a Zurigo. Questa sosta forzata, a cui fa allusione in una lettera a Egon Petri del 10 gennaio, scritta dalla nave, e in cui si augura, a partire dal momento del suo ritorno, di «proseguire soltanto in linea retta», è come un segno del destino, un seme che germoglierà nell’autunno successivo, quando la scelta di un luogo dove stabilirsi, di «una piccola isola per salvarsi dal diluvio universale» [Lettera del 29 marzo 1915 a E. Petri, nº 189, p. 277] sarà urgente e improrogabile. Lascia l’Europa con questi incertezze e interrogativi:

Mi metterò in viaggio con sentimenti ben diversi da quelli che nutrivo quando firmai il contratto; prendo con me i miei ragazzi e rimane l'ansiosa domanda: in che stato ritroverò il paese che lascio? Chi mi mancherà? Quando potrò riprendere il filo della mia vita? E infine, come potrà riprendersi l'Europa e quanto tempo ci vorrà? Temo che noi non vedremo il nuovo culmine.
[A Jella Oppenheimer, 11 settembre 1914]

L’America lo attira sia perché è lontana dalla guerra, sia per i guadagni che la tournée gli procurerà. Ne è però respinto dalla pericolosità della traversata, dall’idea di lasciare a Berlino tutto incustodito [l'appartamento, la biblioteca, i quadri d'autore…], ma soprattutto dal fatto che «nella grande stalla della libertà al di là dell'oceano» [lettera a K. Sobernheim, 16 settembre 1914] non si è mai trovato a proprio agio.
Il 20 gennaio giunge a New York. Il pensiero della guerra lo assilla e lo tormenta in continuazione. Scrive a Egon Petri:

Che cosa ci aspetterà ancora? Questo stato d'incertezza, dopo dieci anni d’ininterrotto e costruttivo lavoro al clima della mia più vitale energia, è il più duro colpo da sopportare.

L'America fa al Maestro accoglienze grandiose, ma queste non bastano a riconciliarlo con gli americani: «Anche in guerra, l'Europa è di gran lunga migliore!». A New York trova le cose ancora peggiorate. Vi sono là più di venti grandi pianisti (fra cui Bauer, Friedberg, Grainger, Hambourg, Hofmann, Joseffy e persino Saint-Saëns), col risultato che «nessuno va più a sentir concerti di pianoforte».
Dall’America scrive agli amici europei lettere intrise di nostalgia, delusione, amarezza, dubbi:

[...] non riesco a vincere la sensazione di perdere qualcosa di insostituibile, e la Sua descrizione dello splendore di Berlino mi rende insopportabile il mio detestato esilio.
[A E. Andreae, 23 giugno]

In questo momento a Berlino è sera, tra le 9 e le 10. La vedo girare l’angolo del Nollendorfplatz e mi rammarico (tanto!) di non poterLa incontrare. [A H. Leichtentritt, 15 agosto]

Je souffre de ne pouvoir revoir mon habitation, qui contient tout ce que j’ai ramassé pendant 20 ans de séjour à Berlin; de voir interrompre l’exécution de projets bien initiées, qui représentaient le fruit d’un temps aussi longue, on peut dire le résultat d’une vie. [A Isidor Philipp, 27 maggio]

Non può immaginare quanto limitato e limitativo sia questo paese. Dover trovare sempre e soltanto in se stessi ogni stimolo, ogni bellezza, ogni umanità, produce una rabbia dolorosa, tutto quel che ne vien fuori è grigio, non dissimile dalla ‘teoria’, senza vita e senza scopo. [A E. Andreae, 23 giugno]

Quando non si è più padroni dei propri movimenti, la vita non è più nulla. Non importa se ciò sia dovuto a malattia, età, carcere o... ai mezzi gloriosi dei tempi presenti. [Ibidem]

Sono tanto solo e isolato. [A H. Lanier, 2 luglio]

Oui, j’ai travaillé et je travaille. Je ne peux pas en faire moins, et au même temps ce continuel travail abstrait, ‘à l’azur’ (comme on dit en italien) m’exaspère. [A I. Philipp, 27 maggio ]

Per quanto tempo dovrò continuare a condurre questa triste esistenza? È molto dura. [A E. Petri, 12 aprile]

In una lettera a I. Philipp del 15 maggio parla di «indécision orageuse et opprimante pour tous ceux qui sentent et pensent». Tuttavia, mantiene fermi propositi di portare a compimento i suoi progetti artistici:


Cerco di lavorare, ma il lavoro rifugge da me. Ho però progetti ben fermi. [A Émile Blanchet, 17 marzo]

Non sono ancora abbastanza vecchio per rinunciare, non più abbastanza giovane per perdere le occasioni. Non mi rassegnerò mai a questa criminale amputazione della mia vita. [A E. Andreae, 23 giugno]

Néammoins je ne desespère pas. [...] C’est curieux à voir, et même surprenant, comment l’art ne se laisse abattre, et comment, seule, elle survit les époques historiques, qui, d’elles, prendent leurs noms. Ainsi la Renaissance et l’Empire. - Et l’amitié, et l’amour et l’avenir perpetuel - voilà qui ne cesse jamais. [A I. Philipp, 15 maggio]

Je continue à travailler, (je mêne la vie d’un savant) mais cette application m’obsède... [A I. Philipp, 5 luglio.]

Compone durante la primavera il «Rondò arlecchinesco» op. 46, KiV 266, dopo aver terminato la seconda parte del «Clavicembalo ben temperato», KiV B 25 e altre Bearbeitungen bachiane. Inoltre rivede la «Fantasia Indiana» per pianoforte e orchestra, op. 44, KiV 264, iniziata nel 1913, conclusa nel 1914 ed eseguita per la prima volta a Berlino nel marzo del '14:


J’ai presque terminé un ‘Rondeau harlequinesque’ pour orchestre, morceau qu’on pourrait appeler ‘carricature sérieuse’ comme l’est Don Quijotte ou sont les compositions de Goya.[Lettera a I. Philipp, 5 luglio]

Uno dei motivi per cui trascorre l’estate in America è proprio la stampa del «Clavicembalo…», col quale credeva «di aver concluso il lavoro della sua vita su Bach.» [A H. Leichtentritt, 15 agosto].
L’impossibilità di allestire «Arlecchino» a New York lo induce alla decisione di lasciare al più presto l’America
:

[...] questa, e altre delusioni, mi hanno convinto a rimanere fermo nel mio proposito di lasciare il Suo paese. [...] la partenza, quando avverrà, sarà definitiva. [Ad H. Lanier, 17 maggio].

Ainsi je ne pense qu’à revenir en Europe, pour travailler aux fortification artistiques, autant qu’il m’est donné de le faire.
[A I. Philipp]

Che io possa restare in America ora è escluso e anche, come temo, che possa rientrare a Berlino.
[A H. Leichtentritt, 15 agosto]

Il soggiorno americano gli è stato talmente insopportabile da essere definito nella lettera del 23 giugno a Edith Andreae «esilio detestato». Il bilancio negativo non riguarda solo la sua quinta e ultima tournée, bensì tutte le precedenti quattro:

Ognuna delle cinque visite è stata una delusione, e ogni volta sono tornato con fede e aspettative rinnovate. Ho cercato di dare il meglio di me, ma l'hanno rifiutato pretendendo la mediocrità. Il risultato (e non poteva essere altrimenti) è stato insoddisfacente per ambedue le parti.
[A H. Lanier, 6 agosto]

All’inizio di settembre torna in Europa con Gerda e il secondogenito Raffaello. Benvenuto resta invece negli USA perché, essendo nato a Boston, ha la doppia nazionalità.