IV

IL RITORNO A BERLINO

1920: settembre - dicembre

 

Nel luglio 1920 Leo Kestenberg, consulente in ambito musicale del Ministero prussiano della cultura della Repubblica di Weimar offre a Busoni, suo ex maestro di pianoforte, la direzione di una classe superiore di composizione all’Accademia delle Arti [Akademie der Künste] di Berlino. Benché Busoni fino a quel momento abbia prodotto molto come compositore, trascrittore, pensatore, la sua fama si basa ancora soprattutto sulla sua attività di pianista virtuoso e di insegnante di pianoforte. La carica offertagli da Kestenberg rappresenta quindi per lui il più alto riconoscimento come compositore.
Fu questo uno dei motivi che lo indusse a tornare a Berlino. Ma ve ne furono altri: la Staatstoper stava allestendo la rappresentazione delle sue due opere «Arlecchino» e di «Turandot» e Busoni desiderava assistere alle prove. Inoltre, poiché la situazione politico-sociale a Berlino era tesa e preoccupante, Busoni temeva per la propria abitazione, che [lo scrisse a Isidore Philipp nel luglio del '20] riteneva minacciata: timore tutt'altro che lieve tenendo conto dell'importanza che per lui avevano la sua ricchissima e raffinata biblioteca, i quadri d'autore, tra cui, non lo dimentichiamo, La città che sale (misteriosamente scomparsa e poi riapparsa qualche mese dopo il suo rientro; forse messa al sicuro da Ludwig Rubiner che ha occupato l'appartamento di Busoni nel 1919), Il Lutto e il suo Ritratto, tutte opere di Boccioni [cfr. Caro e terribile amico] e il suo Musikzimmer con i due Bechstein. La Germania, infine, si era dimostrata la nazione più orgogliosa di lui, certamente più dell'Italia:
«Finora, per diverse ragioni, l'avevo negletta [la Germania], per non dire evitata. Non voglio tediarti con l'enumerare le tante forme di simpatia, d'impazienza, di rimprovero, di fiducia con le quali mi si esorta a rivenire. E non ci si ferma a parole; mi si offre la scelta di qualunque posizione o intrapresa ch'io proponga o desideri. In primo luogo un posto all'Accademia dello Stato, per la suprema classe di Composizione, posizione di prima autorità, indipendente da qualunque superiore e da ogni prescrizione. Se una cosa simile fosse avvenuta a Roma, non avrei indugiato un secondo a decidermi.» [Lettera ad Arrigo Serato, Londra, 27 giugno 1920].
Tutti questi fatti lo convincono ad eccettare la proposta di Kestenberg [cfr. anche l'autobiografia di quest'ultimo Bewegte Zeiten. Il contratto che gli viene proposto è di grande prestigio:
- si trova a capo di una grande scuola
- è in una posizione eminente della nuova Germania
- lo stipendio è elevato
- ha sei mesi liberi per i suoi suoi viaggi.
Considera tuttavia il rientro a Berlino come un esperimento e non esclude la «tragica» possibilità di dover traslocare di nuovo.
Il 9 settembre del 1920 parte, solo Gerda rimarrà a Zurigo ancora un paio di settimane), salutato alla stazione di Zurigo dai fedelissimi amici, commossi fino alle lacrime. «A 54 anni sto incamminandomi di nuovo verso l'ignoto!», scrive a I. Philipp due giorni prima della partenza. Annota il Dent, a proposito del rientro a Berlino:

«Busoni had good reason to be nervous about returning to Berlin. He had departed in January 1915 from a Berlin that was imperial and confident of victory, a Berlin fermenting with hatred for everything foreign and especially for everything that expressed the Latin spirit. As the war went on, he had been the subject of malignant criticism in the German press.» [p. 250]

Quando arriva a Berlino, trova una città molto cambiata, la cui insolita effervescenza non manca di contagiarlo:

«La caduta del Reich, il nuovo corso politico nato sulle ceneri della disfatta, la crisi economica e un diffuso stato di incertezza in ogni campo avevano apportato radicali rivolgimenti anche nell'ambiente della cultura e dell'arte, favorendo però, sia pur disordinatamente, la rinascita di nuove iniziative e di nuovi movimenti. Busoni l'aveva previsto già durante la guerra, in una lettera al marchese Casanova che suona anche sinistramente profetica» [SABLICH, P. 54; lo stralcio della lettera al Marchese (3 novembre 1918) è riprodotto nell'articolo Il carteggio tra Busoni e il Marchese di Casanova pubblicato in questo sito].
Busoni vive il rientro nella suo 'locus amoenus' , abbandonati da cinque anni, come una resurrezione:
«Non sono ancora da due ore a Berlino, e ti devo scrivere immediatamente. [...] Come ho detto, si vede la città prima dall'alto e si scende poi in una grande spirale, per cui l'abitato a volte scompare, a volte è di nuovo visibile, e sempre più vicino. Alla stazione un trambusto! La vettura letto era disposta normalmente, l'arrivo in orario. - Finora ho visto Berlino solo tra le 8 e le 9 del mattino, col bel tempo... Il portinaio della nostra casa mi ha accolto come un padre. L'appartamento è tenuto in modo sorprendente e mi sembra così bello e ricco!... Devo raccogliermi un poco...

Pomeriggio. C'è uno strano contrasto tra l'abbigliamento modesto, spesso povero e la disinvoltura con cui vengono accettati gli alti prezzi!... In complesso non posso ancora dare un giudizio. - Questa lettera è tutta sconnessa, non te ne devi meravigliare; perchè non ho le idee ben chiare e sono un po' emozionato. Ma l'appartamento è meraviglioso. Tutto risplende! - Un po' anche il tuo F. [Lettera a Gerda, 11 settembre 1920]

«Sono seduto nella mia biblioteca - 'la cité des livres', dice A. France e (per quanto posso giudicare sommariamente) vi ritrovo ogni volume al suo posto; carta, inchiostro, penna, insomma tutto il necessario per scrivere è pronto. Ho esitato a entrare in questa stanza e mi sono deciso a farlo appena questa mattina. E' domenica e piove. Così rimango buono buono a casa... Qua dentro è stupendo. Purtroppo non altrettanto fuori di qui. Bisogna ricominciare la lotta per tenere alta la nostra concezione dei valori. Dopo l'America e Zurigo - ora Berlino. - Eppure neanche oggi posso dire una parola definitiva. Vedrai. Se non andrà - dovremo scegliere qualche cosa di diverso. Ma son sempre ancora persuaso che è necessario tentare, riprendere la casa, affrontare l'esame. Per sapere tutto. Penso di lavorare molto: mi concentrerò. Giotto mi manca terribilmente... Sì, sono contento di lavorare. - Persino di riprendere ex-novo il pianoforte. La prima notte è trascorsa passabilmente. Sembra che il Buddha sia fatto di carne viva; che debba cominciare a muoversi. Spesso mi vien fatto di credere che si muova davvero. - E questo è tutto, per oggi. Domani ti scriverò di nuovo... [Lettera a Gerda, 12 settembre]
«Sono uscito pochissimo. (Ho tanto da fare e ne sono molto contento)... E' come un sogno pensare che son di nuovo qui già da quattro giorni. - Aspetto con impazienza il tuo arrivo. Ho ricevuto con batticuore la tua letterina così affettuosa, tanta gioia mi ha dato. Grazie. Domani scriverò più a lungo. Vi abbraccio con tanto affetto, te, Benni [il figlio primogenito Benvenuto di 28 anni] e Lello [Raffaello di 20 anni]...» [Lettera a Gerda, 14 settembre]

L'ambiente ritrovato lo invita subito al lavoro. Conclude la «Toccata» per pianoforte (KiV 287) iniziata a Zurigo, uno dei vertici della sua produzione pianistica, con elementi che confluiranno nella partitura del «Doktor Faust»:

«Oggi - finalmente! - ho terminato la 'Toccata' - effettivamente con data e firma. - Sento che potrei lavorare, se mi si lasciasse in pace! - Perchè l'essere a casa mi dà veramente l'ispirazione... Piovono lettere. Ho una sensazione di 'vacanza', per la fine della 'Toccata', e sono anche affaticato." [Lettera a Gerda, 16 settembre]

Inizia subito dopo la composizione del «Tanzwalzer für Orchester», op. 53, KiV 288, che pure utilizzerà per la composizione del «Doktor Faust».

Ma l'esilio ha prostrato il suo fisico e logorato i suoi nervi. «Eppure Busoni - osserva Sablich [p. 65] - si apprestava a vivere questa estrema stagione della vita con serenità e con la ferma convinzione che si dovesse comunque guardare avanti; che si trattasse, come sempre, di un nuovo inizio. In questo senso, non era cambiato: era solo diventato più triste e solitario.» Scrive infatti a Gerda il 21 settembre:

«Tutto sommato, queste settimane sono state le più difficili della mia vita: mi meraviglio di aver conservato ancora tanta armonia e sono contento di poterlo dire. Mi riposo a modo mio, mi dò da fare in biblioteca ed esco un po' nel tardo pomeriggio... Ho fatto un abbozzo di programma per i concerti, cioè: serate di pianoforte solo e tre serate orchestrali con musiche mie. Per il momento non vorrei fare di più.»

Per non turbare l'incanto e per restare in incognito, esce di casa solo verso sera, come risulta dalla precedente lettera. Non vuol veder nessuno, nemmeno i più fedeli amici, desideroso di ritrovare se stesso, di riallacciarsi spiritualmente al Busoni di cinque anni prima:

«Oggi sono venuti gli [omissis]. Son io che son cresciuto, o loro che si sono tutti rimpiccioliti? - Tento di sbarrare la mia porta, ma qualche cosa continua sempre a filtrare. - E' uno stato di cose curioso. Poiché 'ufficialmente' sono ancora sempre 'in incognito', non posso sapere che piega prenderanno le cose.» [Ibidem]

Il lavoro sembra un rimedio contro l'ansia e la depressione piuttosto che il frutto dell'entusiasmo. Una profonda crisi spirituale è infatti in agguato. La lettera del 21 settembre a Gerda la fa presagire. I suoi amici sono preoccupati. Scrive Dent a questo proposito:

«The future was still undecided, and he was haunted almost to agony by the sense that the greater part of his life lay behind him and that the remaining years must be put to their fullest and most intense purpose. His friends became anxious. One took it upon herself to telephone to Gerda at Zurich and beg her to come to Berlin at once. Busoni was extremely annoyed when he discoveredthis; it was perfectlysenseless, he said, and most unjustifiable. 'You must do exactly what you yourself think necessary,' he wrote to Gerda. It was characteristic of his unfailing consideration for his wife, and his unfailing confidence in her judgement. She arrived in a few days.» [p. 252]

Busoni si confida con I. Philipp:

«Sì, è penoso. Io sono qualcosa fra il Don Chisciotte e l'Ebreo Errante. Ho ricevuto una cartolina da Lello, entusiasta di Parigi. Aver vent'anni ed essere a Parigi è certamente più piacevole che... l'opposto. Mah! La vita non è divertente! Perché mi teneste lontano da Parigi? Non avrei fatto del male a nessuno!... Una riflessione politico-sociale: Suppongo che sia piuttosto pericoloso maltrattare un cane affamato.» [Lettera citata in GUERRINI, p. 150]

A Jarnach scrive alla fine di settembre:

«Un po' alla volta comincio a scrivere agli amici. Per tutto il tempo che Gerda non era ancora qui, mi sono chiuso in un ermetico isolamento morale e sociale; mi godevo la solitudine e andavo su e giù per il mio appartamento in cui riscoprivo cose dimenticate, risalutavo le cose presenti alla memoria, e non mi mancavano le occupazioni. [...] Le mie condizioni intellettuali sembrano essere normali. Ben diverso è invece il mio stato d'animo, che sembra strano a me stesso e non del tutto comprensibile. Divento molto solitario e mi meraviglio che gli altri non si accorgano della strada che è stata percorsa in questo lasso di tempo. Le singole persone e l'intera città. - La maggior parte delle prime sono rimaste al punto dove le avevo lasciate. Ma proprio coloro che si sforzano di non rimanere indietro mi sembrano immiseriti: sono quelli con cui mi capisco meno, perché siamo cambiati sia io che loro; mentre il tono dei meno pretenziosi lo conosco dai vecchi tempi e - facendomi forza - posso conformarmici. Di sera Berlino è tetra. Nessuno esce per proprio piacere. Alle dieci di sera, quando un tempo 'incominciava il bello', ora tutto è morto. [...] Se si guarda alle cifre, i prezzi sono fantastici. In realtà, però, io vivo ancora dei 500 franchi che ho portato con me e che a Zurigo sarebbero già finiti da un pezzo. Domenica mattina. [...] Non riesco a liberarmi dalla malinconia. Devo ricominciare a combattere, conservare il mio livello e mantenere la mia sicurezza di giudizio e il mio senso dell'umorismo. Sono le rudi fatiche che non si notano dall'esterno. E' un'autodisciplina che consuma gran parte delle forze. - I primi due giorni Gerda era allegra e quasi felice. - Ora è più quieta. - Mi sembra assolutamente impossibile che un uomo solo possa risollevare tutto quel che è sprofondato; e sono estremamente riluttante ad accettare la realtà. Quali saranno i miei pensieri e i miei sentimenti alla fine della stagione? Intanto è già arrivato il furgone dei mobili: il suo contenuto, scaricato in casa, mi lega ancor più strettamente a Berlino.»

Lunedì 30 settembre parte per l'Inghilterra [cfr. la lettera a Gerda, infra], dove tiene alcuni recitals (a Glasgow, Edimburgo, Leeds, Liverpool, Londra):

«I miei recitals personali erano tutti esauriti, le serate con Kreisler sono state meno buone. Kreisler ha suonato molto bene, con molta prudenza. Non ha specialità violinistiche. È in fondo, una simpatica persona e con me si è comportato in modo eccellente. Questa volta ci intendiamo benissimo.» [Lettera a Gerda, Londra, 6 ottobre]

La sera del 5 ottobre assiste a una rappresentazione di una pièce di Strindberg. Efficacissimo il resoconto che ne fa a Gerda:

«La 'Danza macabra' di Strindberg è un lavoro potente, quasi demoniaco. Al primo sguardo sembra la descrizione di un matrimonio mal riuscito ; ma poi ci si accorge che tutto gira intorno al carattere del marito. E' naturale poi che la moglie, che sta con lui più spesso, più a lungo e più vicino degli altri, subisca più fortemente l'influenza del marito; ma non è, soprattutto, la storia di un matrimonio... Il lavoro mi ha preso fortemente e irradia una suggestione paurosa: se ne resta annichiliti (come si usa dire). Eppure non lo giudico 'un'opera d'arte' e non so nemmeno se ne è giusta la forma drammatica. [...]» [IBIDEM]

A Londra incontra Wilhelm Backhaus, che gli racconta un aneddoto su Anton Rubinstein:

«Rubinstein aveva annunciato a Liverpool una serata beethoveniana e una serata chopiniana. Alla sera beethoveniana, vuoto assoluto e Rubinstein partì senza aspettare la seconda serata ('in questo villaggio non suonerò mai più'). - Quando Backhaus fu a questo punto della narrazione; scosse il capo scontento e osservò: 'penso che sia stato un errore'. - 'Che cosa intende?' dissi molto divertito e un po' sorpreso - 'Per la serata chopiniana la sala era tutta venduta' finì con rassegnazione. - (E ci si meraviglia che si rimproverano ancora a Rembrandt i cattivi punti riportati a scuola!).» [IBIDEM]

Il 9 ottobre, alle sei del mattino, è di nuovo a Berlino e inizia la preparazione dei due recitals previsti per il mese di novembre [cfr. infra]. Intanto Carl Krebs, critico musicale e segretario della Akademie der Künste lo attacca ferocemente: «[...] un critico locale [...] mi addita come la vergogna della Berlino musicale. Queste sono le accoglienze di cui godo qui.» Il grande musicologo Paul Bekker, amico ed estimatore di Busoni, ne prende le difese. [Cfr. la lettera a Jarnach, 30 ottobre] In questi giorni si stanno svolgendo le prove del suo Concerto per pianoforte, solista Eduard Erdmann. Verrà eseguito alla fine del mese: «The critics" - scrive il Dent [p. 254] were inclined to be supercilious over this ambitious effort; Busoni made no comment except to say that he was profoundly touched by such enthusiasm and enterprise.»
A Jarnach comunica anche che «le feste nel parco alla Corte di Parma [inizio dell'Hauptbild del «Doktor Faust»] sono venute al mondo. Saranno 30 grandi pagine di partitura avanti di arrivare alla prima parola del libretto; ne ho scritte già 16. E' già il terzo lavoro che sono riuscito a fare a Berlino. Come mi succede spesso, sono lavori interconnessi, e li impiego alternativamente per l'opera principale.»

Da questa stessa lettera veniamo a sapere che il 29 ottobre Busoni ha assistito a una proiezione cinematografica:

«Ieri l'altro ho accettato l'invito ad assistere alla proiezione di un nuovo film basato su 'El alcalde de Zalamea' di Calderón. Il genio dello spagnolo si afferma anche in questa forma: è straordinario ed emozionante come domina la vita e la scena. E di tali lavori de la Barca ne ha scritti - duecento! [...] Vede, non mancano gli avvenimenti, a cui prendo parte solo sporadicamente, data la mia vita ritirata. - Ora mi sto preparando per i prossimi recitals di pianoforte - E' difficile vivere in modo giusto. Cerco ancor sempre di impararlo.»

Nei primi tempi, dopo il suo arrivo a Berlino, Busoni era preoccupato per la sua posizione di appartenente ad un popolo ex-nemico della Germania, la cui stampa già in passato (nel 1915, quando si trovava in America) gli aveva procurato noie. Ma i fatti smentirono i suoi timori: Berlino si mostrò infatti molto ospitale nei suoi confronti, offrendogli due concerti di pianoforte nella Sala Filarmonica in novembre e tre orchestrali di tutta musica sua per il gennaio del '21. I recitals ebbero luogo il 18 e il 28 novembre e ottennero un successo trionfale:

«The two recitals [...] resulted in a triumph such as Busoni had never before experienced. It was the first time that he had given a recital in the Philharmonie, Berlin's largest concert-hall, holding three thousand or more. The hall was full and there was an amazing demonstration of enthusiasm.» [DENT, p. 253]

«I tremila posti della Sala non riuscirono a contenere il pubblico accorso che, con grande scandalo dei tradizionalisti, scoppiò di continuo in frenetici applausi, magari interrompendo l'esecuzione dei singoli pezzi. L'entusiasmo era tale che si volevano bissati tutti i numeri. [...] I concerti lasciarono un'impressione indelebile: si parlò di avvenimento storico; si proclamò e si riconfermò il Maestro come il più grande dei pianisti viventi, forse il maggiore che mai sia esistito. Busoni rientrò così da trionfatore nella vita berlinese.» [GUERRINI, pp. 150 - 151]

Poiché Londra lo attende per il febbraio del '21 e Roma per l'aprile, Busoni s'immerge nel lavoro di preparazione dei recitals previsti in queste due città. Continua inoltre la composizione del Faust: «[...] ho messo a punto 50 pagine doppie della partitura del Doktor Faust» - scrive a V. Andreae - In questi mesi non sono stato capace di fare di più, ma la coscienza non mi rimorde.» [28 dicembre] Nella stessa lettera si esprime sul suo collega Franz Schreker, insegnante di composizione alla Hochschule für Musik;
«Non conosco ancora abbastanza bene Schreker. Mi sembra che Paul Bekker abbia gran parte della responsabilità. I suoi primi passi a Berlino non sono stati felici. Ora che ne ho fatto la conoscenza mi sembra un musicista candido, senza malizia (esistono anche gli arrivisti 'onesti'?), che impiega senza un piano preciso, con entusiasmo e volonterosamente, il talento che 'la grazia divina' gli ha concesso. Pare che canti e suoni le sue opere ai suoi scolari per notti intere - e che le faccia suonare e cantare - con l'aiuto della moglie. Un ambiente familiare di ideale perbenismo. Se vogliamo, a parte alcune sfumature differenti, là di carattere austriaco, qui di carattere svizzero, anche a Zurigo c'è una persona simile [probabile riferimento al pianista D'Albert]. Nonostante tutto sono simpatici ambedue e sanno esercitare, sfruttare, il loro goffo charme...»

E subito dopo si scaglia contro un certo tipo di musica contemporanea:

«Mentre prima della guerra per i giovani e i giovanissimi era difficile farsi valere, anzi farsi ascoltare, oggi è impossibile farli tacere. Una musica di pessima fattura, che è una mescolanza di Schönberg e di Strauss, viene ora alla ribalta e trova approvazione. Penso alle Sue opere giovanili (e anche alle mie) e mi vergogno per la generazione attuale.»