Rilke e D'Annunzio a Parigi

Stamani alle dieci e comparso alla porta della mia camera, un negro e, dopo aver chiesto il permesso d'entrare, mi ha consegnato, con devota imperturbabilità, una busta violetto-scura, s'è inchinato profondamente e s'è eclissato poi silenziosamente. Ebbi il presentimento di qualcosa di straordinario, non m'ero ingannata: «Gabriele D'Annunzio sarà felice di ricevere Madame il prossimo giovedì all'Hôtel Meurice. Déieuner dínatoire alle due e mezzo.»
Una risposta non era attesa: probabilmente nessuno pensa di rifiutare un invito di D'Annunzio.
Veramente non avevo l'intenzione di andarci ma Busoni, con cui siamo stati a pranzo insieme, pensava fosse un peccato perdere l'occasione di vedere un simile théâtre paré.
«D'Annunzio sta tra il poseur e il genio,, disse, …lei avrà delle sorprese, e anche delle strane impressioni.»
I Busoni non possono partecipare al pranzo perché partono, purtroppo, già domani per Berlino, ma anche Rilke è invitato, la sua presenza da sola significa per me essere al sicuro d'ogni sorta di 'accidente', e così mi son risolta ad andare. [...]
Di quante cose si può fare l'esperienza a Parigi! Fra le altre, per esempio, una Messa cattolica ch'è insieme una specie di mostra d'eleganze, a San Sulpice, la chiesa più mondana della città. La funzione vien celebrata da sacerdoti negri, assistiti da chierici negri. I bimbi delle numerose ed, elegantissime signore " bianche ", vestiti, lussuosamente, sono accompagnati da bambinaie negre. Credo che in una chiesa della colonia tedesca del Camerun, ci sarebbero meno negri di qui, nel cuore dell'Europa. Non è un pericolo per noi? Par che nessuno ci pensi. Anche nei parchi pubblici si scorgono ovunque bambinaie negre. Si dice che sieno fidate e abbiano esigenze molto modeste. Può essere, per conto mio preferirei sapere i bambini sotto altra custodia.
Il pranzo in casa di D'Annunzio è ormai passato, e fu abbastanza strano. La disposizione volutamente originale e raffinata degli ambienti, il modo di salutare ali ospiti, l'anfitrione in sé: non riuscivo insomma a vincere l'impressione che si stesse continuamente recitando, sia pur genialmente, una commedia. Il mio vicino di tavola, un giovane diplomatico temuto per il suo spirito critico e la sua lingua mordace, mi sussurrò: «Il divino Gabriele ha oggi la sua giornata di melanconia sorridente. Non si meravigli se da un momento all'altro annuncerà, con l'aria più lieta di questo mondo, di aver voglia di togliersi la vita.»
D'Annunzio aveva alla sua destra una bellissima signora dai capelli bruni, vestita esoticamente, con dei magnifici orecchini di brillanti. Alla sua sinistra gli s'era 'attaccata' una gìovinetta molto snella, che arrossiva tutta quando il poeta le rivolgeva la parola. Tirava in qua e in là nervosamente la sua camìcetta di merletto bianco e sembrava che stesse per scoppiare in lacrime da un momento all'altro; nessuno sapeva perché. Si parlava in francese, D'Annunzio domina questa lingua rnagistralmente e sa tenere una brillantissima conversazione.
Sulla grande lastra di vetro, che copriva la tavola invece della tovaglia, erano stati posti, per ornarla, dei cavallini di porcellana bianchi e neri; ci furono offerti degli aperitivi in bicchierini diafani d'un grigio fumo e di forma romana; prima che fosse servita la minestra, il padron di casa si scusò perché non aveva un vero cuoco, ma una monaca andalusa, ch'era fuggita da un convento di Madrid per rifugiarsi da lui. Aveva però il vantaggio, diceva, di benedire sempre le pietanze, sicché i suoi menus riuscivano sempre perfetti!
Che egli stesso credesse poi a quel che raccontava, nessuno lo poteva sapere. Quest'uomo singolare recita alla perfezione le parti più svariate. A volte arrossisce come un fanciullo, ride come un bambino, poi parla in tono mesto, come fosse un vecchio in fin di vita, a volte s'infiamma come un estatico adolescente. Se il suo fisico fosse così perfetto come il linguaggio della sua poesia, si comprenderebbero meglio allora tutte quelle donne che lo adorano. Ma quest'uomo che s'avvicina alla vecchiaia, avvizzito, vanitoso, dà piuttosto un'impressione di tristezza. Sembra la caricatura di se stesso.
Dopo il pranzo venne servito nello studio, del caffè turco, acqua ghiacciata e tè di fiori di verbena; D'Annunzio mostrò agli ospiti un cofano di stile antico, in cui serba la sua famosa collezione di profumi. Gli oggetti più preziosi sono un flacone di vero olio di rose, che fu di Lucrezia Borgia - e la boccetta da profumi di Machiavelli!
Tutte le signore spasimavano d'ammirazione. Detti un'occhiata a Rilke, che pareva come trasformato nella sua ombra e che, sottile e grigio, s'era sprofondato in una gran poltrona. Soltanto i suoi occhi chiari davan segno di vita nel volto immobile, ed osservavano ora con ironia, ora con tristezza tutto quel traffico intorno a lui.
Dissi a D'Annunzio che il suo «Sogno d'un mattino di primavera», un libro che avevo letto a quindici anni, m'era rimasto nella mente come il più stupendo modello di lingua italiana, e che avrei desiderato che questa musica di parole fosse resa accessibile, in una perfetta traduzione, anche a lettori tedeschi. Mi rispose che, secondo lui, tutte le traduzioni risultavano difettose, ma che i sentimenti con cui una ragazzina aveva accolto «nel suo cuore puro come un fiore» il Sogno, erano come una benedizione imperitura che un poeta doveva custodire nel più segreto altare della sua anima: come una fiamma benedetta - esclamò d'un tratto in italiano.
Non saprei dire se s'inebriasse ad ascoltar le sue parole o se veramente provasse una specie di soddisfazione o di gioia - l'impressione che ebbi della sua persona rimase, in ogni caso, ambigua.
Ma la sera di quel giorno si concluse in maniera ben diversa: più schietta e grandiosa, quando Rilke mi lesse alcune delle sue «Nuove poesie»! Quante ce n'erano ch'io ancora non conoscevo: «L'interno delle rose», «La pantera», «Il carrossello», «Venezía», «Le fontane di Roma»....
Cos'è tutto lo sfarzo, tutto lo splendore linguistico delle strofe dannunziane, certamente ammirevoli, in confronto alla purezza del mondo poetico di Rilke? Non sarebbe forse augurabile che solo persone pure di cuore comprendessero il mondo di Rilke? [«Rilke e Benvenuta», pp. 129 ss.]