BENEDINO GEMELLI

L'ATTUALITÀ DELLE LINGUE CLASSICHE:
BILANCI E PROSPETTIVE


Lugano, 13.5.2000, a cura della
Delegazione della Svizzera Italiana
dell'Ass. It. di Cultura Classica


TESTO CON NOTE A PIÈ DI PAGINA

________________________________________________________
L'attualità delle lingue classiche, oggetto del nostro incontro, sarebbe parsa ovvia e scontata fino a pochi anni fa e non avrebbe avuto bisogno di attenzioni particolari per arrivare alla conclusione che le lingue classiche hanno una loro ragion d'essere ed una loro giustificazione a tutti i livelli. Nel giro di pochi anni la tesi dell'attualità e dell'utilità delle lingue classiche si è invece trovata a dover fare ricorso a strategie di difesa le quali, seppur condotte con onestà e pertinenza, non sempre hanno necessariamente convinto coloro che potrebbero essere i potenziali fruitori delle lingue classiche oppure coloro che reggono le sorti della politica culturale e scolastica. Le varie riforme del settore medio e medio-superiore, non soltanto le ultime e non soltanto in Svizzera, hanno continuamente eroso alle lingue classiche uno spazio che si riteneva invece loro garantito e si ha l'impressione che ormai l'azione di disboscamento stia per giungere ad un limite di non ritorno. Società e scuola interagiscono ed è ormai la società a dettare alla scuola le condizioni di una sua giustificazione agli occhi della spesa pubblica. Sembra in altri termini giunta all'esaurimento anche quella spinta ideale che per secoli ha coniugato la crescita culturale con la crescita civile, e non solo economica, delle società che guardano al futuro con la memoria dell'esperienza del passato. È pure comprensibile che in questo clima si siano indeboliti, su un piano più generale, anche altri modi o esigenze di approccio ad una realtà veramente globale: l'idea della necessità della storia antica, della filosofia e dell'arte antica, del mito, oltre alle letterature antiche, come componenti essenziali per la formazione intellettuale e culturale di chi intende svolgere il proprio mestiere, qualunque sia la professione, con la consapevolezza che il destinatario finale è pur sempre l'uomo e la sua umanità. Alla comprensione dell'HUMANITAS possono certamente offrire un contributo determinante le lingue e la cultura antica in generale.
Ciò che può offrire una visione umanistica della realtà si è cercato di sintetizzarlo nei dieci punti del «manifesto» che vi viene oggi presentato. D'altra parte non è qui la sede per ripercorrere analiticamente le tappe di incivilimento culturale che vanno dai poemi omerici fino alla rinascita delle lingue e della cultura classica, rinascita che risale soltanto a qualche secolo fa, anche se la distanza sembra, improvvisamente da qualche anno a questa parte, molto maggiore. Anche il debito di molte discipline nei confronti della cultura classica si evince sinteticamente dal «manifesto» a vostra disposizione. Ribadisco soltanto che la chiave di accesso a queste molte discipline continua a risiedere, lo si voglia o no, nelle lingue classiche.
Mi sia concesso di portare, a mo' di isolato esempio tra gli infiniti altri, tre situazioni che possono mettere in luce da un lato la rapida evoluzione del tempo culturale, dall'altro il fatto che le lingue classiche hanno ancora qualche cosa da offrire proprio in quelle aree predilette dal nostro tempo.
1] Nel secolo della nascita delle ideologie scientifiche i messaggi di portata generale sono stati affidati essenzialmente alla lingua latina. Per limitarmi ad un vessillifero di questa epoca, quando Fr. Bacon volle dare, a diciotto anni di distanza, una sistemazione definitiva alla materia dell'Advancement of Learning (1605) , lo fece tradurre in latino rifondendolo nel De Dignitate et Augmentis Scientiarum (1623) convinto che un'opera scritta in una lingua moderna sarebbe risultata ben presto effimera. Il suo biografo, nella prefazione, precisa:
Anzi ripetutamente era solito dire che i libri scritti in lingua moderna non molto dopo avrebbero fatto fallimento («decocturos»). Ormai pubblica dunque la sua traduzione, elaborata da alcuni uomini alquanto insigni per eloquenza, corretta anche dalla sua personale revisione.
2] Maestro nel compiere operazioni di questo genere fu Tho. Hobbes: lo cito perché la sua traduzione, dal greco in inglese, della Guerra del Peloponneso di Tucidide , la prima traduzione che volesse essere fedele al testo, pubblicata nel 1628, costituisce una prova evidente di quanto fosse (e sia) significativo meditare sulla storiografia antica per maturare concetti di portata filosofica generale, sfociati poi, in questo caso, nel Leviatano. Credo che la Prefazione di Hobbes al «suo» Tucidide costituisca una stimolante introduzione a Tucidide anche per gli allievi del Liceo. Val forse la pena di ricordare che è pure importante e significativa la traduzione dei poemi omerici fatta da Hobbes, e ricordare che all'età di otto anni egli traduceva in versi latini la Medea di Euripide. A nessuno mai venne in mente di far arrestare per questo i suoi genitori o i suoi insegnanti, oppure di darlo in affidamento ad un'altra famiglia.
3] Sulla questione del latino ha meditato diffusamente John Locke, nell'opera Some Thoughts concerning Education (1693). Sono ancora oggi pagine stimolanti: come deve comportarsi il precettore? Quale metodologia di insegnamento? A chi sono dirette le lingue classiche? Per Locke è indispensabile offrire all'animo dei fanciulli il senso della novità ed alimentare la loro fantasia, evitando i pedantismi da vecchia scuola di retorica. Il severo impianto grammaticale va riservato piuttosto a chi si orienta per la specializzazione («scholar») e non a chi ha bisogno delle lingue classiche per la propria educazione di «gentleman». Non dimentichiamo che Locke fu docente di lingue classiche al «Christ Church College» di Oxford.
Al di là di questi esempi rimane comunque il dato di fatto che la cosiddetta «rivoluzione scientifica» parla necessariamente e soprattutto Latino. In pratica tutta la letteratura scientifica e di fondazione del metodo della «rivoluzione scientifica» è scritta oppure è leggibile in latino, dai trattati più importanti fino alle monumentali raccolte di lettere tra gli scienziati ed i filosofi del Cinque-Sei-Settecento, epistole che hanno veramente fondato la «République des Lettres» .
Solo per citare qualche nome, si pensi all'imponente edificio delle opere di Joh. Kepler, alla sconfinata erudizione greca e latina che trasuda dai tomi di Pierre Gassend, al fascino delle epistole latine di Descartes o alla lingua dei suoi Principia Philosophiae: sottigliezze metafisiche e recentissime osservazioni sperimentali si intersecano e si dispiegano attraverso lo strumento antico ed aggiornato del latino. Si pensi a Newton, fautore e buon conoscitore delle lingue classiche; Newton ha eretto un duraturo monumento a sua volta ‘classico’: alludo ai Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, oltre ad una buona parte della sua monumentale epistolografia, in inglese ed in latino. Per chiudere il secolo, è doveroso ricordare come anche il genio di Leibniz abbia spesso scelto il latino come strumento di espressione e di comunicazione : non era una moda, non era una comodità per superare la confusione delle lingue nazionali, era semplicemente la profonda convinzione che un pensiero rigoroso, che necessiti in un certo momento di ‘un’ vocabolo e di nessun altro, ha a sua disposizione in maniera del tutto naturale un tesoro, un thesaurus, vastissimo: i concetti inventati dai greci da un lato, la lingua e lo stile latino dall’altro.
In questo senso le lingue classiche hanno ancora molto da dire a scienziati e filosofi che vogliano indagare con consapevolezza le radici del pensiero scientifico, antico e moderno. Già Lucio Russo (professore di Calcolo delle probabilità all'Univ. di Roma), nel suo Segmenti e bastoncini. Dove sta andando la Scuola?, un'agile analisi incentrata sul declino culturale della scuola italiana a seguito delle ultime riforme, afferma:
Per la ricostruzione dell'unità della cultura sarebbe molto più importante reintegrare nello studio della civiltà classica la formazione del metodo scientifico, ad esempio facendo leggere nelle scuole autori anche come Euclide, la cui opera andrebbe commentata anche nel corso di storia della filosofia. L'importanza del latino sarebbe inoltre molto più chiara agli studenti se potessero usarlo anche per leggere la letteratura scientifica e filosofica dell'Europa moderna, che continuò a usarlo fino al Settecento.
Ma anche qui, per certi aspetti, non siamo di fronte ad una novità assoluta: già U. von Wilamowitz nel suo Griechisches Lesebuch , concepito come antologia tematica per i Ginnasi, inseriva testi concernenti la matematica e la meccanica (Euclide, Archimede, Erone di Alessandria), oltre alla geografia, alla medicina, ad atti ufficiali ed a lettere private della Grecia ellenistica: ciò non mancò di suscitare irritazione presso le organizzazioni dei docenti di Ginnasio. Wilamowitz sopportò male la riforma scolastica del 1900 (che faceva seguito a quella del 1890), voluta innanzitutto dal Kaiser Guglielmo II, orientata verso una scuola più pratica e che istituiva, accanto al Ginnasio col Greco, anche un Ginnasio senza la necessità del Greco. Wilamowitz volle storicizzare lo studio del Greco, svincolandolo dal puro ideale etico-estetico coltivato nell'Humanistisches Gymnasium nato al principio dell'Ottocento dall'impostazione di Wilhelm von Humboldt.
Aggiungo che proprio dieci giorni fa è stato presentato il volume, curato dal Prof. G. Reggi, contenente gli atti di un corso di aggiornamento per i docenti di lingue classiche del Cantone, aggiornamento incentrato sugli aspetti della civiltà materiale (libro, scrittura, agricoltura, medicina) nel mondo antico . Personalmente ho proposto agli allievi dell'ultimo anno testi dall'Architettura di Vitruvio e dalla Medicina di Celso, con un soddisfacente riscontro; anche Erone di Alessandria si presta ad essere presentato agli studenti di Greco senza la necessità di particolari conoscenze matematiche o fisiche da parte del docente di lingue classiche.
Ho scelto poc'anzi appositamente tre esempi dall'area inglese. Bacon, Hobbes, Locke conoscevano innanzitutto la loro lingua, quindi le lingue classiche. A pochi secoli di distanza c'è il rischio che giunga a compimento un rovesciamento paradossale nella storia della paideia europea, ancora più paradossale in area neolatina: la gioventù scolastica viene posta in pratica, nel migliore dei casi, dinnanzi ad un dilemma: o le lingue classiche (e qui il greco in particolare ha un ruolo da subalterno) o le lingue moderne, l'inglese soprattutto, con una drastica riduzione nella possibilità di una reciproca scelta tra lingue antiche e moderne. Per contro sono aumentate per tutti i discenti le dimensioni, le esigenze e la portata di quelle discipline che conducono anche ad una applicazione tecnologica. Tutto questo ci fa concludere che potrebbe essersi rotto un tradizionale equilibrio nella formazione culturale dei giovani, e che sia entrato in una crisi più generale un modello culturale che per brevità definiamo 'umanistico'. In questa affannosa corsa agli strumenti di difesa e di offesa, più che alla formazione vera e propria, in questa sorta di contesa di tutti contro tutti occorre fermarsi un poco a riflettere per capire se si possano ancora stabilire delle gradualità, delle priorità, e soprattutto quali, nel percorso formativo dell'individuo. Occorre capire se abbia ancora un senso, una utilità ed una possibilità l'aspirazione ad una formazione umanistica ed in quale misura le lingue e la cultura classica possano e debbano contribuirvi.
È questo il tema sul quale ci apprestiamo a riflettere, con senso critico ed autocritico, partendo anche dagli stimoli che sicuramente emergeranno dagli interventi dei nostri cinque ospiti che ringraziamo vivamente per aver accettato di dare avvio alla riflessione, comunicandoci la loro personale esperienza sul senso delle lingue classiche e della loro sopravvivenza.