BENEDINO GEMELLI

RIFLESSIONE SUL TEMA:
FORMAZIONE UMANISTICA
E FORMAZIONE SCIENTIFICA:

ANTITESI O INTEGRAZIONE?


17.3.2001

L'incontro di questa mattinata, dedicato alla riflessione sui modelli delle due culture, umanistica e scientifica, a confronto fa idealmente seguito all'incontro del 13.5.2000 incentrato sull'attualità delle lingue classiche.
La necessità di proporre un tale tema di riflessione nasce, ancora una volta, dalla constatazione dell'evidente crisi originatasi tra le due modalità del sapere, quella cosiddetta umanistica, e quella cosiddetta scientifica. Un equilibrio, divenuto sempre più instabile negli ultimi decenni, fa decisamente pendere il piatto della bilancia dalla parte del sapere 'scientifico'. Abbiamo anche noi adottato, dando un titolo alla nostra mattinata, una dicitura ormai consueta ma credo che la dicotomia tra 'umanistico' e 'scientifico' non stia esattamente in questi termini. Varrebbe forse la pena, tutt'al più, istituire una contrapposizione tra cultura umanistica e cultura tecnologico|industriale, dal momento che, a mio modo di vedere, ciò che è realmente 'scientifico' rientra nel concetto di 'umanesimo', e ciò che è radicato nella cultura genuinamente 'umanistica' non può prescindere da parametri di 'scientificità'.
Eppure nell'immaginario collettivo sembra esserci sempre meno posto per quelli che sono i presupposti di base per lo sviluppo delle due culture: una genuina predisposizione alla riflessione ed all'elaborazione del pensiero. Una tale predisposizione richiede tempo e richiede spazi diversi da quelli che comunemente la società è disposta, oggi, a concedere, in nome del profitto immediato. A poco a poco, ma sempre più velocemente negli ultimi decenni, la mentalità contabile ha preso campo anche nell'ambito dell'educazione pubblica, creando rapide e talora improvvise, quando non improvvisate, riforme. L'idea che la scuola debba essere il riflesso della società porterà ben presto ad una società senza idee, dal momento che rischia di venir meno una fonte preziosa di riflessione e di maturazione critica quale appunto dovrebbe essere la scuola di ogni livello di età, ciascuna col contributo che le è peculiare. E' anche probabile che comunque le idee da qualche parte vogliano e debbano continuare a formarsi, ma sembra proprio che un certo tipo di idee e di ideali stia per andarsene dalla scuola.
In questa stonatura generale di orchestrali e di professori si è ulteriormente acuito il contrasto tra i saperi dalla società giudicati utili e quelli giudicati inutili. Le discipline 'scientifiche' godono ancora di un certo favore da parte dell'opinione comune, le discipline ritenute 'culturali' ed 'umanistiche' vengono avvertite come inutili, non idonee a formare le qualità necessarie per sentirsi in sintonia coi tempi. Osservando più da vicino le cose, si può poi ancora notare che le discipline 'scientifiche' vengono viste con occhio compiacente se mettono in mostra dei risultati che concorrono non tanto ad ampliare il recinto del nostro sapere quanto, invece, a produrre tecnica e tecnologia che possa rimpiazzare, con qualche piccola variante, la tecnologia del giorno che non è ancora finito.
In questo senso credo che la disposizione genuinamente speculativa, teoretica, delle discipline 'scientifiche' si trovi in una crisi dalla matrice comune a quella delle discipline considerate 'umanistiche', cioè superflue ed oziose. Se, ad esempio, la matematica non ha i problemi di identità delle lingue classiche, ciò è dovuto in buona parte a due fattori: in primo luogo, e potrebbe essere una provocazione discuterne, la matematica continua ad essere obbligatoria fino a diciannove anni; in secondo luogo è ritenuta indiscutibile la sua utilità per produrre tecnica tradizionale e d'avanguardia. Pochi, nella società media, sono disposti a comprendere la necessità di investire risorse per coltivare l'aspetto teoretico di quelle discipline che producono, per i più, una novella «magia naturale»: se G.B. Della Porta vivesse ai nostri tempi vedrebbe esauditi molti dei suoi desiderata esposti nei venti libri di Magia Naturalis .
Dunque in questo dilagare della cultura contabile e della cultura del datore di lavoro si assiste, nel mondo della scuola, di riflesso, ad una progressiva emarginazione di intere discipline oppure allo svuotamento di contenuti operato su altre. Nascono per contro, nella società, nuovi ed aggressivi orientamenti, di per sé legittimi nel loro diritto ad esistere, meno legittimi quando pretendono di sostituire e di esaurire i canoni culturali che hanno garantito un senso al percorso di una civiltà. Visto dal versante 'umanistico' il panorama è poco incoraggiante. Intere generazioni di giovani 'maturati' portano seco un diploma ignorando bellamente, e non per colpa loro, l'esistenza (cito a caso) di Omero, di Saffo, o di Sofocle, oppure i fatti salienti della storia antica. Mi sovviene quanto narra Platone nel Timeo , a proposito del viaggio di Solone nella provincia egizia di Sais:
Ora Solone diceva che, giunto colà, vi fu ricevuto con grandi onori, e che, avendo interrogato sui fatti antichi i sacerdoti più dotti della materia, trovò che né egli né alcun altro Greco sapeva, per così dire, niente di tali cose. E una volta, volendo provocarli a parlare di fatti antichi, prese a dire degli avvenimenti che qui si credono i più antichi, e favoleggiò di Foroneo, ch'è detto il primo uomo, e di Niobe e, dopo il diluvio, di Deucalione e di Pirra, com'erano sopravvissuti, e passò in rassegna i loro discendenti, e ricordando i tempi tentò di calcolare la data degli avvenimenti di cui parlava. Ma uno di quei sacerdoti, ch'era molto vecchio, disse: - O Solone, Solone, voi Greci siete sempre fanciulli, e un Greco vecchio non esiste!- E avendo udito, Solone gli chiese: -E come? Che è questo che dici?- -Voi, riprese quello, siete tutti giovani d'anima, perché in essa non avete riposta nessuna vecchia opinione d'antica tradizione, nessun insegnamento canuto per l'età.
Dover faticosamente scoprire di non aver scoperto in realtà nulla, mentre si era convinti del contrario, e di non aver pensato nulla di nuovo è la condanna alla quale stiamo avviando intere generazioni di futuri veloci tecnici che sapranno navigare certamente, tuttavia in un mare di cui ignorano la possibile estensione e profondità.
Ben difficilmente riusciamo a capire il presente se non ci orientiamo nel passato, se non abbiamo gli strumenti e la lingua per dialogare con i millenni che ci hanno preceduto. Concedetemi di citare al riguardo una illuminante sintesi di Thomas Stearns Eliot:
Nell'epoca nostra, quando gli uomini sembrano sempre più portati a confondere la saggezza con la dottrina e la dottrina con l'informazione, e a cercar di risolvere i problemi della vita in termini d'ingegneria, sta sviluppandosi una nuova specie di provincialismo che forse merita anch'esso un nome nuovo. E' un provincialismo non di spazio ma di tempo; per cui la storia non è che la cronaca delle invenzioni umane via via superate e messe da parte, e il mondo proprietà esclusiva dei vivi, una proprietà di cui i morti non possiedono azioni.
Ma è davvero necessario un conflitto tra una visione umanistica ed una visione scientifica nel campo teorico e pratico dell'attività umana, o non è piuttosto un falso conflitto alimentato per indebolire le migliori energie di entrambi i versanti, per limitare sempre più l'originalità dei modi di pensare di una umanità altrimenti poco incline alla massificazione?
Prescindiamo dall'ideale di humanitas che si ritrova in Cicerone, autore la cui lettura, anche in traduzione, potrebbe ispirare ai giovani un certo interesse per l'educazione civica e per la cosa pubblica, interesse che paga un pesante tributo al vuoto culturale nel quale sovente si ritrova il giovane in età scolare. Ricerchiamo questa humanitas in un ambito più assimilabile dai moderni: l'architettura. Basta leggere la parte introduttiva al De Architectura di Vitruvio per rendersi conto di come, senza pregiudizi, nel ritratto ideale dell'architetto confluiscano molteplici discipline, tutte in funzione di un fine pratico:
egli deve essere versato nelle lettere, abile disegnatore, esperto di geometria, conoscitore di molti fatti storici; nondimeno abbia anche cognizioni in campo filosofico e musicale, non sia ignaro di medicina, conosca la giurisprudenza e le leggi astronomiche.
È interessante notare per quale motivo Vitruvio consigli la filosofia: Proprio questo insegna la filosofia, a non essere avidi e a non avere il pensiero sempre fisso al guadagno, ma piuttosto a salvaguardare decorosamente la propria dignità, godendo di una buona fama.
Una posizione analoga assume Galeno a proposito della medicina, in un'operetta tanto breve quanto significativa: Il miglior medico è anche filosofo: Eppure se c'è qualcuno di tal fatta (scil. capace di insegnare il limite della ricchezza secondo natura), disprezzerà Artaserse e Perdicca e dell'uno non andrà mai alla presenza, l'altro lo curerà dalla malattia che richieda l'arte di Ippocrate, non vorrà però vivergli sempre assieme, curerà i poveri di Cranone e di Taso e delle altre piccole città.
Certo, potrebbe essere questa una mentalità pericolosa nel nostro tempo dove il decoroso guadagno è passato spesso in secondo piano rispetto all'avidità. Di per sé la filosofia non è un antidoto garantito, ma l'importante è porsi domande e problemi in termini corretti, anche senza pretendere una soluzione, tantomeno rapida. I processi di maturazione richiedono tempi lunghi, e ciò comporta un prezzo che il nostro tempo sovente preferisce non pagare. Per contro si anticipano i tempi della specializzazione, senza pensare che anche il vero specialista ha bisogno di una matura creatività, cultura, ed originalità.
Per uscire dall'antichità classica ed avvicinandoci agli albori di quel periodo che viene definito come 'rivoluzione scientifica' si possono ancora cogliere delle mirabili sintesi di sapere umanistico e di sapere 'scientifico'. Vorrei proporre un esempio meno noto, per esulare dai più noti Descartes, Leibniz, Newton. Penso al diario dell'olandese Isaac Beeckman (1588-1637), diario che copre un trentennio (1604-1634) e che ho sfogliato con una certa attenzione in questi ultimi tempi. Il diario alterna il latino al neerlandese e da esso emerge un personaggio straordinario: esperto di ottica e di idraulica, della fabbricazione di candele e di lenti, versato nella musica e nella geometria, addottorato in medicina, lettore in lingua originale di Galeno come pure dei medici antichi e moderni in latino, rettore della scuola latina di Dordrecht, attento lettore di Lucrezio in chiave 'scientifica', corrispondente di Descartes, Mersenne, Gassend. Tutte queste doti non gli hanno impedito di giungere a brillanti intuizioni nel campo della fisica e della matematica, riproponendo per la sua scuola il motto dell'accademia platonica: "nessuno entri sprovvisto di geometria".
Ancora tutta la medicina del Settecento riconosceva il fondamentale valore della medicina antica: si pensi alla prolusione inaugurale del proprio ordinariato che tenne nel 1701 il grande Hermann Boerhaave sulla raccomandazione di studiare la medicina ippocratica (de studio Hippocratico commendando) , oppure si pensi alla sterminata cultura scientifica ed umanistica di un grande svizzero, Albrecht von Haller .
Quando e perché si è rotto questo equilibrio o per lo meno la volontà di mirare a questo equilibrio? era necessaria e salutare questa rottura? è davvero insanabile?
Se esaminiamo le attitudini che vengono richieste ai giovani di oggi per entrare nelle facoltà di medicina a numero chiuso, occorre interrogarsi con una certa preoccupazione. Sull'arco di una intera giornata massacrante il candidato deve districarsi a scegliere, nel più breve tempo possibile e talora a caso, i «giusto» e «sbagliato» di 184 problemi che vanno dalla capacità di percezione visiva e di memorizzazione fino alla problematica dell'effetto dell'ascorbipalmitato sulla conservazione dell'olio di semi di girasole a 100 gradi centigradi (test n. 182) . Da qui dovrebbe emergere il profilo del buon futuro studente di medicina e del buon medico. Questo è possibile, ma emerge anche un'altra considerazione: l'inutilità (e forse la contraddittorietà) di un curricolo di studi superiori durante il quale l'allievo abbia imparato a porsi i problemi e non solo a risolverli, durante i quali abbia imparato a riflettere prima di avanzare delle soluzioni, e durante i quali abbia coltivato un equilibrato interesse per il versante umanistico e per quello scientifico. Siamo proprio sicuri che la medicina appartenga esclusivamente a quest'ultimo? Siamo sicuri che l'insieme di carne, ossa, sangue sia sufficiente a costituire l'uomo? Il rovesciamento di prospettiva, dalle origini della medicina ad oggi è paradossale, ma certi nodi stanno venendo al pettine.
Vorrei concludere con un auspicio che bene può convenire ad una genuina disposizione umanistica e scientifica, e concludo con una notissima affermazione del Pericle tucidideo:
noi Ateniesi o giudichiamo o, almeno, ponderiamo convenientemente le varie questioni, senza pensare che il discutere sia un danno per l'agire, ma che lo sia piuttosto il non essere informati dalle discussioni prima di entrare in azione.