Ferruccio Busoni e Gerda Sjöstrand

divennero marito e moglie a Mosca nel 1890. «La loro fu quella che si dice una unione fortunata. Colta, molto attraente, di una bellezza non appariscente ma profonda, sensibile e riservata, energica e paziente, Gerda seppe fin dall'inizio stabilire con l'uomo che aveva scelto un rapporto da pari a pari, nutrito di reciproca fiducia e di stima, oltre che di intenso amore. In ciò le furono d'aiuto il vigore intellettuale, l'età (contava tre anni più di Ferruccio), l'indipendenza e la libertà in mezzo alle quali era cresciuta fino ad allora, a contatto con ambienti artistici diversi, non soltanto musicali. Aiutava il padre scultore in bottega e si guadagnava da vivere con le lezioni di pianoforte: attività, questa, che abbandonò subito dopo aver conosciuto Ferruccio, in conseguenza di un divertente episodio dei primi tempi di fidanzamento:

'Ferruccio desiderava molto sentirmi suonare, ma io mi ero sempre tata categoricamente. Una volta entrò di soppiatto proprio mentre io stavo suonando Bach, e si mise alle mie spalle ad ascoltarmi per un certo tempo, senza che io me ne accorgessi. A un tratto si raschiò la gola - io diedi un balzo -, si sedette al pianoforte e cominciò a imitare il mio modo di suonare con efferata crudeltà. Fuori di me, feci a pezzi con i pugni la porta a vetri che dava nella stanza attigua, mentre Ferruccio scoppiava in una gran risata. Da quel momento non toccai più un tasto.'

Da ragazza era stata a Parigi per imparare il francese e per lungo tempo in Germania, a Berlino, dove aveva recitato in circoli studenteschi, e perfino a Bayreuth. Il ricordo di tali trascorsi causò per un certo tempo a Busoni violenti attacchi di «ingiustificata e tremenda gelosia», unica ragione, nel loro incontro, di fugaci dissapori:

'La consuetudine del nostro paese di dare facilmente del tu lo irritava moltissimo. La sua gelosia aumentò per il fatto che io a Berlino e a Bayreuth ero entrata in rapporti con gente di teatro, che Ferruccio riteneva a priori immorale.'

Finch'egli visse, rimase sempre al suo fianco come una compagna fedele ma mai sottomessa, presenza viva di una venerazione composta, mai sentimentale o esibita; perciò tanto più vera. Sopravvisse a Busoni per più di sei lustri, portando con austera dignità il peso di una gravosa eredità spirituale e di anni felici passati insieme, a cui non corrispose mai un presente egualmente felice. Non pretese mai benefici morali o materiali dal fatto d'esser la vedova di uno dei più grandi musicisti del nostro secolo, neppure quando ne ebbe pressante necessità. Si spense così, in povertà e cieca, in un sobborgo di Stoccolma dove si era ritirata dopo la seconda guerra mondiale, il 3 agosto 1956, all'età di 93 anni. Senza retorica: la sua figura rischiarò la vita di Busoni di una luce sfavillante.» (SABLICH, pp. 33-34)