GIAN MARIO BORIO

OGGETTIVISMO E NUOVA CLASSICITÀ
IN PAUL HINDEMITH E FERRUCCIO BUSONI



1. Il fatto che Busoni nel 1920, delineando i caratteri dell'imminente sviluppo della musica, parli di "Nuova Classicità" e non di Neoclassicismo non risponde a una scelta stilistica o retorica. La differenza tra i due termini non sta tanto nella nomenclatura quanto nell'oggetto stesso. Nuova Classicità e Neoclassicismo non sono affatto sinonimi, anche se almeno dal punto di vista dell'estetica quest'ultimo pretese di seguire da quella. Il Neoclassicismo in ogni arte è contraddistinto da un richiamo più o meno esplicito a stili o forme di un certo passato che, essendosi consolidatisi come classici, vengono riconosciuti quali modelli imperituri e insuperabili. A differenza del Neoclassicismo nelle arti figurative che si appellò all'antichità greca e romana come modello normativo accettato universalmente, il Neoclassicismo musicale raramente si riferisce a quel periodo che comunemente è designato come classico, cioè la scuola viennese di Haydn, Mozart e Beethoven. Il classico a cui si richiama il Neoclassicismo musicale è una entità elastica e mutevole che può andare dai mottetti di Palestrina allo stile preclassico di Pergolesi. Mentre inoltre il classico in letteratura e architettura è indice di forma bella e compiuta, tensione verso una perfezione formale in cui il particolare è integrato senza attriti nella totalità dell'opera, il Neoclassicismo musicale, adottando procedimenti non dissimili da quelli descritti dai formalisti russi, demolisce l'unità data, estranea gli elementi tra di loro, ne parodizza il senso [Cfr. R. STEPHAN, Der Neoklassizismus, in AA.VV., Funk-Kolleg Musik, vol. I, a cura di C. Dahlhaus, Fischer Taschenbuch Verlag Frankfurt a. M., 1981, pp. 307-331]. Al posto di una totalità cresciuta organicamente dal basso subentra un pensiero combinatorio che si fonda su una concezione meccanicistica della musica.
Questi aspetti, che fanno da presupposto alle opere di Stravinskij successive al periodo russo, sono estranei sia alla poetica sia alla prassi compositiva di Busoni: "Per 'nuova classicità' intendo il dominio, il vaglio e lo sfruttamento di tutte le conquiste di esperienze precedenti: il racchiuderle in forme solide e belle... Questa arte sarà allo stesso tempo vecchia e nuova" [*].
Se il prefisso "neo" o l'aggettivo "nuovo" è riferito alla Classicità e non al Classicismo, ciò comporta una differenza concettuale che non va ricercata al di là dell'oggetto. In Busoni "Nuova Classicità" non è un concetto epocale né espressione di un ritorno a un modello universalmente valido. Essa manifesta piuttosto la quintessenza del suo atteggiamento estetico: l'ideale stilistico di bellezza, perfezione, equilibrio formale e serena stabilità. Questo atteggiamento non è imitativo, cioè rivolto al passato (sebbene Bach sia riconosciuto da Busoni come colui che più di altri incorporò questo ideale), ma funge da idea regolativa ed assume senso solo nella prospettiva del futuro.
La classicità a cui si appella Busoni è una posizione estetica: se Stravinskij parte da un'estetica anticlassica per lavorare con materiali classici, o meglio arcaici, Busoni muove da un'estetica classica per lavorare con mezzi moderni. La classicità in Busoni non è quindi da intendersi come adozione di stili e materiali del passato che, nel processo compositivo, verrebbero estraniati in conformità a quella prassi formalistica che vede nel montage la possibilità di utilizzare "ancora una volta un materiale consumato" [V. SKLOVSKIJ, Kunst als Verfahren, in AA.VV., Texte der russischen Formalisten, vol. I, a cura di J. Striedler, München, 1969, p. 91]. Essa è invece parte di un'Ontologia della musica che si fonda sull'essenziale "unità" dell'arte musicale al di là delle ripartizioni, storicamente determinatesi, dei vari generi e stili. Per unità della musica Busoni intese "l'idea che la musica è in sé e per sé musica, e null'altro, e che essa non si divide in generi diversi" [BUSONI, Lo sguardo lieto. Su questo tema cfr. C. DAHLHAUS, Von der Einheit der Musik. Bemerkungen zur Ästhetik Ferruccio Busonis, in "Deutsche Universitätszeitung", Göttingen, 1956, p. 19]. II fatto che il superamento dei generi di rado si concretizzi nelle opere di Busoni non esclude che esso permanga come forza propulsiva dell'intenzione estetica.
L'idea che in una "Nuova Classicità" il compositore possa disporre di stili e forme di epoche diverse deriva in Busoni dalla sua personale esperienza con l'opera di Bach e non dal bisogno di reagire al declinante Romanticismo tramite il ricorso a modelli conosciuti e pertanto sicuri. Quando parla di "un'arte che sarà allo stesso tempo vecchia e nuova", egli allude al fatto che nella musica dell'avvenire, cioè di un tempo che sorge e si sviluppa a partire dalle istanze del presente, perderà senso l'opposizione vecchio/nuovo, essendo l'intero passato universalmente presente. Per questo Busoni può essere annoverato in quella eterogenea corrente del pensiero musicale moderno che, respingendo l'opposizione storicistica tra progresso e regressione (formalizzatasi più tardi nella Filosofia della musica moderna di Adorno), percepisce l'intrinseca "incontemporaneità" di fenomeni musicali contemporanei, cioè la presenza in un dato momento storico di molteplici fenomeni artistici che provengono da altre epoche e valgono come "storia non ancora compiuta" [1]. Come ha osservato Zofia Lissa, la coscienza storica nella musica a partire dall'inizio del secolo si manifesta come "senso della pluralità dei sistemi del pensiero musicale" e ha come correlato compositivo un pluralismo di stili e mezzi espressivi [Z. LISSA, Musikalisches Geschichtsbewusstsein - Segen ode, Fluch?, in: Z. LISSA, Neue Aufsätze zur Musikästhetik, Wilhelmshaven-Locarno-Amsterdam 1975, p. 145]. Esso è funzione della architettura formale e non ha nulla a che vedere con la stilizzazione neoclassicistica. Busoni sembrò intuire questo fatto già nel 1921, quando in una lettera al figlio puntualizzò che "Nuova Classicità" non significa "qualcosa che si rifà al passato": "La mia idea (o piuttosto sensazione, necessità personale più che stabile principio) è che nuova classicità significhi compiutezza in duplice senso: come perfezione e compimento. Conclusione di tentativi precedenti" [*].

2. Un secondo elemento caratterizzante dell'idea di "Nuova classicità" è la rivalutazione della melodia che, in seguito alla concezione tematica dei romantici, si era progressivamente fissata sul susseguirsi dei gradi armonici senza riguardo alla sua linearità: "Conto anche come elemento della 'Nuova classicità' il distacco definitivo del tematismo e il rinnovato impiego della melodia (non nel senso del motivo orecchiabile) quale dominatrice di tutte le voci, di tutti gli impulsi, supporto dell'idea e generatrice dell'armonia, in breve: della polifonia sviluppata (non complicata) al massimo" [*].
Questo problema era stato riconosciuto anche da Paul Bekker nel saggio dei 1925 Neue Musik [Pubblicato in P. BEKKER, Neue Musik, Berlin, 1926. II libro è dedicato a Busoni], uno dei primi lavori musicologici miranti a una presentazione delle correnti della nascente musica moderna. Bekker aveva indicato nella ricostruzione della melodia il problema fondamentale che la musica moderna aveva ereditato dall'Ottocento. Nella evoluzione che va dal periodo classico alla dissoluzione tonale il nostro sentire musicale è diventato sempre più un percepire armonie, tanto che non riusciamo neanche più a immaginarci una melodia indipendentemente dal substrato armonico. Le cose andavano ben diversamente ai tempi di Bach in cui l'armonia era subordinata al decorso melodico. Secondo Bekker, questo rapporto di subordinazione si rivelò già nella scrittura del basso generale: le armonie non erano segnate, ma semplicemente accennate con le cifre del basso. L'insorgere di problemi relativi al contrappunto e alla conduzione orizzontale delle voci tra il 1910 e il 1920 coincide con un momento particolare della ricezione delle opere di Bach. In questo contesto è sintomatico l'atteggiamento di Ernst Kurth che nel suo Grundlagen des linearen Kontrapunkts [E. KURTH, Grundlagen des linearen Kontrapunkts. Bachs melodische Polyphonie, Berlin, 1917] fonda la melodia bachiana su una concezione energetica e motorica delle linee. Inoltre, proprio in quegli anni, un altro musicologo di rango, August Halm, concepiva il suo fondamentale testo Von zwei Kulturen der Musik che si imperniava sulla contrapposizione tra una "cultura" armonico-tematica della musica, rappresentata da Beethoven, e una "cultura" melodicopolifonica, rappresentata da Bach [Cfr. A. HALM, Vom zwei Kulturen der Musik, München, 1913. Non è probabilmente un caso che un dualismo di tal fatta si presenti, sebbene con valenze diverse, anche in Bekker in quale distinse tra musica "organica", cioè vocale, polifonica, strutturata nel tempo, e musica "meccanica", cioè strumentale, armonica, spaziale (cfr. P. BEKKER, Organniche und mechanische Musik, Berlin, 1928)]. La diversa ricezione dell'opera di Bach da parte di Busoni e da parte della scuola di Vienna consiste proprio nel potenziamento del pensiero "lineare" di Bach in Busoni e nella relativizzazione dello stesso nella scuola viennese. Nella trascrizione di Webern della Fuga ricercata dall'Offerta musicale le linee melodico sono frantumate e ripartite su vari strumenti; oltre a ciò i lunghi archi dinamici, il tendersi e distendersi del tempo come in un lungo respiro, i frequenti ritardando e accelerando nonché i cambi nel mondo di attacco comportano la rottura dell'unità. A rigore di Webern non si può neppure parlare di trascrizione, ma di "ri-composizione", la quale sola permette il manifestarsi di quella distanza storica con l'originale che Webern nella sua sobria coscienza musicale è ben lungi dall'occultare. Busoni invece, partendo da una concezione unitaria della musica, intende la trascrizione come continuazione, completamento e perfezionamento dell'originale. Metafisicamente estraneo alla "coscienza storica" in musica, Buoni acuisce la capacità di dissolvere il senso di estraneità delle opere del passato, di ripristinare uno stadio precedente della coscienza musicale, coniugandolo in un tempo e modo differenti.

3. Sono proprio le opere gravitanti intorno all'idea di "Nuova Classicità" a fornire gli esempi più significativi di questa riconiugazione di un passato, anche remoto, nel presente. La "Nuova Classicità" non equivale a una nuova posizione estetica che Busoni avrebbe preso negli anni Venti allo scopo di temperare i toni troppo avanguardistici dell'Abbozzo, bensì è un'idea che si palesa ad intermittenza già nella sua produzione precedente, pur senza essere ancora racchiusa in una formulazione concettuale. Il corale di Bach Wie wohl ist mir, o Freund der Seele, le cui Variazioni concludono la Seconda sonata per violino e pianoforte del 1898-99 (l'ideale "opera prima" di Busoni), diventa oggetto dell'Improvvisazione del 1916 che adotta il procedimento, diffuso come esercizio nelle maggiori scuole pianistiche europee del secolo scorso, della libera improvvisazione su una certa tecnica del passato o sullo stile di un determinato compositore. La Fantasia contrappuntistica del 1910 (Edizione maggiore) e del 1922 (Quarta versione) si pone l'ardito obiettivo di terminare l'Arte della fuga, giungendo però a una totalità organica autonoma che, in sé, ha ben poco a spartire col modello. Tutte queste opere non vanno intese né come stilizzazione né come metamusica o musica al quadrato. In nessun caso esse si riconducono a un commento in note del testo originale o perseguono l'ideale di un "aggiornamento" o attualizzazione di contenuti, giudicati non più adeguati all'orecchio moderno.

Nel contesto della "Nuova Classicità" va annoverata pure la Sonatina n. 5 del 1919, detta Brevis, che porta significativamente il sottottolo "In Signo Johannis Sebastiani Magni". Busoni stesso la considerò come una "Freie Nachdichtung" della Fantasia e Fuga in re minore, BVW 905. In tale definizione sono sintetizzate la libertà nel trattamento del materiale, la discendenza dall'originale e la ricostruzione poetica, la riscrizione o ricreazione della "poesia" stessa utilizzando, per così dire, un'altra versificazione e una diversa sintassi. Del brano di Bach Busoni ha mantenuto le dimensioni formali (la Fantasia comprende 21 battute nell'originale e 25 nella versione di Busoni e la Fuga 60 battute in entrambe le versioni), il contrappunto a tre voci, il tema della fantasia e quello della fuga. Se tuttavia si confrontano le battute iniziali delle due opere, si può osservare che in Busoni il tema dell'Andante è inserito soltanto a partire da batt. 4 (precisamente nella voce intermedia), mentre nelle prime tre battute si disegna una figura di settime e quarte diminuite costruita simmetricamente in orizzontale e verticale. Questa figura, che erroneamente è stata considerata come "invenzione soggettiva" di Busoni [H. MEYER, op. cit., p. 240], sta in rapporto di derivazione molto mediata con le prime tre battute della partitura bachiana. Il mi bemolle di partenza corrisponde da un lato alla seconda frigia dell'accordo di sesta napoletana che compare nella Fantasia bachiana e, dall'altro, in congiunzione verticale col fa diesis forma l'intervallo di cornice dell'accordo di settima diminuita, dominante sulla subdominante (sol mi), affermando in questa ambiguità la localizzazione subdominante del bicordo. Nella terza unità della stessa battuta si trova il bicordo do diesis-si bemolle che è anch'esso la cornice di un accordo di settima diminuita, questa volta dominante sulla tonica che è annunciata nell'immediato inizio con il raddoppio di ottava re-re.
Questa cadenza mascherata termina, esattamente come Bach, con la triade si bemolle maggiore (seconda unità di batt. 3 in Busoni e terza unità di batt. 2 in Bach), cioè sul sesto grado, creando una cadenza d'inganno.
Se si prende in considerazione il lavoro tematico a cui è sottoposta l'intera composizione, si vede come questo motivo venga dapprima inserito nella fuga (batt. 14, inizio del tempo binario) per poi essere intrecciato con elementi della stessa per varie battute (in particolare nelle batt. 34-36 vengono sovrapposti nelle tre voci i tre temi, quello dell'Andante, quello della fuga e il motivo busoniano). Nel finale, dopo che si sarà dissolto il tema dell'Andante, ricomparirà ancora una volta, fedelmente ripetuto, il motivo iniziale sfociando nell'accordo conclusivo di la maggiore che, essendo la dominante di re minore, sancisce il carattere aperto, della Sonatina.




Non è solo il continuo offuscamento del paesaggio armonico e la relativizzazione delle funzioni armoniche, ma soprattutto la conversione della concezione improvvisativa della Fantasia di Bach in un pensiero tematico, che fa di questa Nachdichtung uno strumento di disvelamento dell'«ignoto», di ciò che non è ancora decodificato ma già iscritto nell'opera di Bach. La decodificazione attuata da Busoni consente di proiettare con repentini colpi d'occhio l'immagine del passato in un futuro che - quasi ci si trovasse in una "figura sferica del tempo" [L'espressione è stata usata da B. A. Zimmermann nell'illustrazione dei suoi Soldaten] - diventa per il ricettore intercambiabile col passato e col presente. In modo analogo, commutando l'«avanguardia» di ieri nell'avanguardia di oggi: Busoni procedette nella Fantasia contrappuntistica per la quale ebbe a dire: "Ho creduto di lavorare nello spirito di Bach, mettendo al servizio del suo piano le estreme possibilità dell'arte odierna - quale organica continuazione dell'arte sua, come le estreme possibilità dell'arte del suo tempo erano diventate mezzo di espressione per lui stesso" [*]. Tale procedimento non fa che confermare il principio dell'Ermeneutica, secondo il quale in tradizioni attive non vige una cieca autorità che si impone sempre e comunque senza riguardo al soggetto della conoscenza, bensì la loro sostanzialità subisce decisivi mutamenti nel corso del processo di ricezione.

4. La "Nuova Classicità" di Busoni si inserisce nella generale reazione antiespressionista della vita musicale tedesca che ha i suoi rappresentanti in Krenek, Hindemith e Weill. Il tratto antiespressionistico di Busoni si era già manifestato nella controversia sulla trascrizione contenuta nel carteggio con Schönberg. Nella trascrizione concertistica del secondo dei Tre pezzi per pianoforte op. 11 di Schönberg (1909) Busoni sembra presupporre l'esistenza di una sostanza oggettiva dell'opera che nell'impiego del pianoforte non verrebbe adeguatamente evidenziata e la possibilità di esprimere in modo più completo le intenzioni dell'autore che altrimente rimarrebbero offuscate. La critica di Busoni era rivolta principalmente al carattere "laconico" e "ascetico" della scrittura sconberghiana [Der Briefwechsel zwischen Arnold Schönberg und Ferruccio Busoni 1903-1919, a cura di J. Theurich, in "Beiträge zur Musikwissenschaft", 19 Jg., 1977, p. 172]. Tuttavia è proprio il tipo di espressione conciso, frammentario, ristretto, quasi sommesso a dare a queste prime composizioni di Schönberg quell'impronta particolare che contraddistingue l'Espressionismo musicale. Nella sua risposta Schönberg insisté sull'intrinseca impossibilità di giungere al livello di perfezione nella sfera estetica: i contorni perfetti, lineari, levigati, le giuste misure sono caratteri che non si trovano né nel Bello di Natura né nel Bello artistico. Per Schönberg la musica deve essere innanzitutto "espressione della sensibilità": non bisogna "costruire, ma esprimere!!" [Op. cit., p. 171]. Egli mira a un'arte pienamente intenzionale, il suo obiettivo non è quello di realizzare un'idea formale, architettonica o estetica, ma "di liberare il flusso delle mie sensazioni inconsce da ogni elemento inibitorio" [Op. cit., p. 177]. Come contromovimento si afferma nel pensiero busoniano l'esigenza di un oggettivismo musicale: "Un terzo elemento (della nuova classicità, n.d.R.), non meno importante, è il rinnegamento della sensualità e la rinuncia al soggettivismo (la via verso l'oggettività - il ritrovarsi dell'autore di fronte all'opera - una via di purificazione, un cammino duro, una prova dell'acqua e del fuoco), la rinconquista della serenità..." [*]. La categoria di oggettività è usata qui in pane in senso polemico come bisogno di purificazione dagli involucri sentinientalistici e dalle eruzioni patetiche della musica tardo-romantica che in Germania aveva il suo capofila in Hans Pfitzner. Tale atteggiamento antiromantico non è comunque riducibile alla sola personalità di Busoni, ma è indice di un generale cambio di prospettiva nella musica tedesca degli anni Venti: nel potenziamento del carattere espressivo attuato da Wagner e proseguito nelle opere atonali da Schönberg si intravvedeva un processo di soggettivizzazione della musica e di allontanamento dal concreto Erlebnis umano.
La categoria di oggettività è intesa da Busoni come correttivo all'inflazionamento dei gesti espressivi nella prospettiva di una musica post-espressionistica, ma non nel senso dell'abbandono del carattere di opera della composizione. Nella deformante assunzione del termine di oggettività da parte della Neue Sachlichkeit si crea un'antitesi tra due tendenze che dopo di allora non saranno più conciliabili: la costituzione di un'arte che, proprio rifiutando di essere soggettiva, pretende di mantenere il carattere auratico dell'opera e il formarsi di un'arte che si presenta come negazione dell'autonomia estetica incorporando la musica nella vita. La tendenza all'opera post-auratica [2] è una delle componenti fondamentali dell'evoluzione musicale del nostro secolo. Essa si manifesta in varie forme di irruzioni della realtà nell'opera presenti in Ives, Varèse e in tutta la scuola americana. La musica di Hindemith degli anni Venti, di un periodo che va dal Secondo Quartetto al Cardillac, più che avere come obiettivo l'assunzione del reale nell'opera aspira a reinserire la musica nella vita [3], pervenendo a una sorta di "funzionalismo musicale". Questo funzionalismo è caratterizzato, come ha osservato Dahlhaus [C. DAHLHAUS, Musikalischer Funktionalismus, in C.D., Schönberg und andere. Gesammelte Aufsätze zur Neuen Musik, Mainz-London-New York-Tokyo 1978, pp. 57-82], da cinque elementi che si possono raccogliere in altrettante antitesi: oggettivismo contro metafisica dell'arte, richiesa di funzionalità contro il principio dell'autonomia, ricezione attiva opposta all'ascolto contemplativo, la concezione artigianale del lavoro compositivo contro l'estetica del genio, l'idea della prassi (anche politica) contro l'ideale borghese della Bildung. È quasi superfluo osservare che questo spostamento d'accento sull'oggetto visto come strumento, sulla visibilità del costrutto e sulla partecipazione al processo trova la sua configurazione teoretica più pregnante nel primato della Zuhandenheit (utilizzabilità) sulla Vorhandenheit (semplice presenza) decretato da Heidegger nell'Analitica esistenziale di Essere e tempo.
Mentre nell'estetica e nell'opera di Busoni permangono motivi romantici, la posizione di Hindemith negli anni Venti si precisa come deciso e coerente antiromanticismo. Nella prima delle Kammermusiken, un ciclo di opere composte tra il 1921 e il 1928 emblematiche per questo atteggiamento, mancano gli strumenti che erano stati prediletti dai compositori romantici come i corni, l'oboe e i tromboni. Gli archi perdono la loro funzione espressiva e di accrescimento della tensione drammatica, diventando strumenti ritmici. Ed è proprio la ritmica ad occupare una posizione ben più rilevante che non l'armonia o la elaborazione tematica. Essa, attendendosi unicamente alle unità di battuta (semiminime, crome), assume un carattere regolare, motorico, quasi meccanico. Questa fattura la distingue radicalmente dalla poliritmica tardo‑romantica che, valendosi della sovrapposizione di metri diversi, creava una ritmica indeterminata e fluttuante.
Ma è soprattutto l'organico strumentale di questi complessi, la loro propensione alla forma concertante, la stringatezza dell'espressione che ne fa un prodotto eccentrico al di fuori della concezione tradizionale della musica da camera. Il carattere raccolto, intimo e soggettivo proprio della musica da camera dell'ottocento fino alle Bagatelle weberniante è revocato a favore di un'esecuzione ludica, trasparente e priva di ridondanze. Tutto ciò che non è immediatamente percettibile e afferrabile dall'orecchio è espulso da questa musica. Dalla parte del fruitore, alla distanza propria dell'ascolto contemplativo della musica romantica o di quello riflessivo della musica espressionista si sostituisce la vicinanza all'oggetto. Se poi questa vicinanza implichi la "fruizione nella distrazione" [Cfr. W. BENJAMIN, op. cit., p. 46] dell'arte postauratica o forme di identificazione emotiva non è qui il luogo da discutete.

5. Nella sua monografia su Hindemith [Cfr. C. SCHUBERT, Hindemith, Hamburg, 1981, p. 36-56] Gisether Schubert ha osservato quanto sia rischioso applicare un termine come quello di Neue Sachlichkeit, che era stato coniato per le arti figurative, in un ambito inoggettuale come quello della musica. In questa obiezione però non si tiene conto che tale termine non designa tanto l'oggettualità di quest'arte quanto la oggettività e che pertanto si riferisce a un determinato atteggiamento estetico e non semplicemente all'imperativo della "fedeltà all'oggetto". I parallelismi tra una musica che critica in maniera così radicale ogni aspetto sentimentale, simbolico e trascendentale e uno stile pittorico realistico che ricerca la legalità immanente del mondo cosale respingendo la dinamica dei sensi non sono né esigui né secondari.
La definizione Neue Sachlichkeit, parafrasata dalla sfera politica, fu adottata dal critico d'arte G.F. Hartlaub che nel 1925 organizzò una mostra itinerante con opere di Dix, Grosz, Kanoldt, Schrimpf, Davringhauser e Radziwill. La legittimità di un termine così generale per un insieme piuttosto complesso di tendenze, che comprendeva il verismo socialmente impegnato (Dix, Grosz), il neoclassicismo e il "realismo magico", fu messa in discussione già al suo nascere. Più cautamente Franz Roh nel suo omonimo libro parla di "Post-espressionsimo" [F. ROH, Nachexpressiemismus, Magicher Realismus. Probleme der neuesten europäischen Malerei, Leipzig 1925. Sulla stessa linea interpretativa cfr. E. UTITZ, Die Überwindung des Expressionismus, Stuttgart 1927], indicando l'impulso alla riabilitazione del carattere imitativo e rappresentativo della pittura, alla riconsiderazione della realtà nella sua visibilità - in luogo della deformazione espressionista. Rilevante è comunque che quest'arte oggettivistica non implica un semplice ritorno al figurativo, ma mira alla riproduzione geometrica, profilata, lineare della realtà.
L'orientamento verso una rappresentazione oggettiva e lineare della realtà ha il suo correlato musicale nelle elementari figurazioni melodiche e nell'andamento ripetitivo della ritmica della musica da camera di Hindemith. Nel Finale della Kammermusik n. I, intitolato enfaticamente 1921, vengono citati elementi non nobili, banali, cascami del mondo musicale. E la musica jazz americana che negli anni Venti faceva la sua comparsa in Europa, esercitando una serie di influenze sui compositori della musica "seria" (Krenek, Stravinskij, Weill), ad essere introdotta con atteggiamento naturalistico, quasi fotografico. L'introduzione di questi elementi lascia tracce non indifferenti sulla tecnica compositiva. Il gruppo strumentale utilizzato dalla Kammermusik n. I è composto da quattro fiati, numerose percussioni, pianoforte, harmonium e cinque archi. Le parti sono distribuite in tal modo che, soprattutto nei movimenti veloci, si evidenzia la distinzione tra "sezione ritmica" e "sezione melodica" caratteristica dei complessi jazz. Il sottofondo ritmico sincopato in continua tensione, che nel jazz viene prodotto dalla batteria, dal contrabasso pizzicato e dal pianoforte, è qui realizzato tramite un cambio di finzione degli archi e del pianoforte. I cinque archi suonano sempre coordinati, creando una ritmica motorica e regolare; il pianoforte, quando non viene usato in modo percussivo e in contrattempo, delinea un sottofondo costante, ricco di cromatismi.
La presenza dell'estraneo e eteronomo infrange l'unità della musica, contribuendo alla rottura dell'aura e alla revoca del carattere di opera. Nella sua regolarità, scarnezza e semplicità l'elemento estraneo produce una violenta contrazione al complesso edificio della musica culturale europea. Come ha osservato lo Schubert, "nella sua fattura questa musica non conta tanto su un ascolto attento quanto su un ascolto deconcentrato; in questo modo essa è il corrispondente musicale di quell'arte che è orientata alla continua riproducibilità e a cui sono sufficienti pochi pregnanti e sorprendenti dettagli" [G. SCHUBERT, op. cit., p. 32].



 

Dal punto di vista formale la Kammermusik n. 1 ricorda la Suite del periodo preclassico. L'atteggiamento antimoderno di Hindemith si rivela anche in questa predilezione per il procedimento che, citando Blume, chiamerei della Fortspinnung, cioè dell'intreccio, della concatenazione di elementi autonomi, privi di ogni relazione strutturale tra di loro - procedimento che si trova in opposizione a quello dell'Entwicklung, dello sviluppo organico degli elementi [4]. Le diverse sezioni dell'opera o anche le parti di un singolo movimento non stanno in dialettico rapporto di derivazione e sviluppo, ma si susseguono secondo criteri di opposizione o contrasto. Un procedimento analogo è adottato anche nel Quartetto d'archi n. 2 op. 16, nel primo movimento del quale Hindemith, rinunciando alla canonica forma sonata, espone ben quattro gruppi tematici che riappaiono uno dopo l'altro e in ordine inverso in un'arbitiaria concatenazione che non dà luogo a nessun sviluppo in senso tradizionale. Il principio della giustapposizione di parti autonome, levigate e integrate nella struttura musicale, riposa sui medesimi principi dell'architettura funzionalista: componenti prefabbricate vengono combinate in un allineamento di membri omogenei che produce l'apparenza di un'universale eguaglianza.


 

6. Nella primavera del 1924 in Germania vennero scongiurati il collasso sociale e lo stato di emergenza grazie all'intervento della finanza americana: il piano Dawes, che con crediti a lunga scadenza fece da regolatore alla questione della riparazione dei danni di guerra, assicurò una "relativa stabilità" economica e politica alla Repubblica di Weimar. La ragione economica, che sembrava avere domato i contrasti sociali, insieme al credo nel "socialismo bianco", diffuso in seguito alla traduzione tedesca delle memorie di Henry Ford, alimentava l'illusione di un'armonia tra capitale e lavoro senza trasformazioni nei rapporti di produzione. La Berlino di quegli anni, una città che negli insediamenti di Siemensstadt e Britz vedeva la realizzazione dei progetti di Walther Gropius e di Bruno Taut e sotto l'influsso di nuovi spiriti quali Furtwängler, Schreker, Krenek, Scherchen e Erdmann [5] si preparava a diventare il centro portante della nuova musica tedesca, è stata considerata da Bloch come la città più "contemporanea" con il decorso della società tardo-capitalistica [Cfr. E. BLOCH, Übergang: Berlin, Funktionen un Hohlraum, nel già citato Erbschaft dieser Zeit, pp. 212-227]. Nella sua architettura, nella sua costituzione sociale e nel suo stile di vita si palesano i segni di un processo di desostanzializzazione dell'esistenza. È una città "oggettiva", sempre nuova, "costruita nel vuoto". La "metropoli degli impiegati" rappresenta per Bloch la più esorbitante concretizzazione del principio della Sachlichkeit, una razionalità apparente che maschera "l'anarchia dell'economia e del profitto". Qui il vuoto è così laccato che finisce per splendere e dare l'illusione dell'ordine. Rigettando l'ornamento il pensiero oggettivista ha, secondo Bloch, preso come modello formale il perfetto funzionamento della macchina che è diventato "fine a se stesso" e, in quanto sostituto dell'ornamento, è stato elevato a ornamento a seconda potenza, vale a dire a rafforzamento e abbellimento della facciata.
Mentre tuttavia Bloch, ignorando Hindemit, identifica nell'Edipo Re di Stravinskij l'«eco del tempo», il «vuoto sonoro» che rappresenta l'«autendca falsa coscienza dell'epoca» [Op. cit., p. 236], Paul Bekker aveva intravisto già nel 1925 nella critica al soggettivismo da parte di Hindemith un riflesso della "trasformazione del pensiero economico" [P. BEKKER, Hindemith, in "Musikblätter des Anbruch", n. 7, 1925, p. 58]. Quello che Bekker si lasciò sfuggire è che nell'apoteosi della "funzione" è iscritto anche il consolidamento di quel "carattere affermativo della cultura" che, secondo Marcuse [Cfr. H. MARCUSE, Über den affirmativen Charakter der Kultur, in H.M., Kultur und Gesellschaft, vol. I, Frankfurt a.M., 1965], perpetua la scissione delle attività umane in lavoro fisico e intellettuale, in mondo empirico e spirituale. Il volgersi a forme musicali preclassiche in Hindemith risponde al desiderio di una relazione genuina, immediata con le forze primarie dell'Essere: il ritmo costante e ostinato, la polifonia combinatoria, il virtuosismo ludico non celano la loro discendenza da fenomeni naturali, fisici e meccanici. Infine la serenità di questa musica, sempre ostentata e enfatizzata, non ha nulla in comune con la serenitas dell'umanesimo illuminato che da Haydn in poi appartiene al patrimonio della musica occidentale. Essa è, come ha rilevato Adorno nella controversia con Stuckenschmidt del 1930 [Cfr. STUCKENSCHMIDT e ADORNO, Kontroverse über die Heiterkeit, in "Musikblätter des Anbruchs", 1930, ristampato in ADORNO, Gesammelte Schriften, vol. 19, Frankfurt a.M., 1984, pp. 448-452], indice di un'ideologia positiva che, anziché rispecchiare lo stato oggettivo della realtà, come pretenderebbe, smercia l'apparenza di una comunità linguistica della musica e di un vero ordine sociale che come tali non esistono. Essa è "musica stabilizzata" [Cfr. ADORNO, Die stabilisierte Musik, in Gesammelte Schriften, vol. 18, Frankfurt a.M. 1984. Analogamente: H. EISLER, Relative Stabilisierung der Musik, Zu P. Hindemiths "Cardillacs" in der Krolloper, in "Die Rote Fahne", 11 Jag., n. 154, 3 luglio 1928].
Il pensiero musicale di Busoni si sviluppa, come quello di Hindemith, a partire dal rifiuto del soggettivismo espressionista e della disgregazione della forma e con la prassi di Hindemith condivide il richiamo al mondo musicale preclassico, soprattutto a Bach che funge per entrambi da prototipo. In nome della serenitas anche Busoni si oppone a quella musica che sa dare unicamente una rappresentazione negativa, problematica, raccapricciante dell'esistenza umana. Tuttavia queste apparenti convergenze, che si precisano più che altro via negationis, nascondono una divergenza reale. In Busoni è assente ogni immedesimazione con la Maschinerie così come non v'è traccia di impulsi primitivisti e naturalisti [6]. In luogo della riduzione all'essenza semplice e indomata del movimento originario Busoni opta per un'estensione della musica a tutti quegli aspetti che in lei vigevano ognora come momenti "ignoti" ["Eppure l'ignoto esiste - si tratta solo di afferrarlo. Non esiste vecchio e nuovo. Esiste solo ciò che è noto e ciò che non lo è ancora", in F. Busoni, Abbozzo, p. 40], non ancora esplicitati. L'oggettivismo di Busoni, filtrato all'esperienza della "Nuova Classicità", è mantenimento e potenziamento di quella trascendenza che appartiene alla musica stessa e non può essere sostituita dai sismogrammi del soggetto. La sua musica si oppone sia al simbolismo romantico sia alla platonica duplicazione del reale per mezzo dell'arte: evitando ogni simultaneità coi sistemi di produzione e riproduzione dell'esistente, costituisce il tentativo di realizzare, nelle condizioni della modernità musicale, ancora una volta un'opera d'arte auratica. Se questo tentativo possa avere seguito o anche solo ragione d'essere, può decretarlo solo l'odierno stato delle forze produttive della musica e la storia degli effetti della sua opera, una storia finora più frustrata che realmente svolta.

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[1] Cfr. E. BLOCH, Erbschaft dieser Zeit, Frankfurt a.M., Suhrkamp Verlag, 1962, p. 117. Per il problema dell'incontemporaneità mi permetto di rinviare al mio Fortschrhitt und Geschichtsbewusstsein in den musiktheoretischen Schriften von Krenek und Adorno, in Ernst Krenek, "Musik-Konzepte" n. 39-40, München, 1984, pp. 129-148. Sintomatico mi sembra il fatto che il minimo comun denominatore della generazione attiva degli anni Venti (Hindemith, Krenek, Weill), non sia né lo stile né la poetica, ma l'eterogeneità stilistica di ognuno di questi compositori. Per quanto concerne Busoni, Heinz Meyer nel suo Die Klaviermusik Ferruccio Busoni. Eine stilistische Untersuchung, (Wolfenbüttel, Zurich, 1969, pag. 197) ha insistito sulla "consapevole adirezionalità" della sua produzione. Questa "adirezionalità" sta all'origine del fatto che a un'opera ardita come la Sonatina n. 2 possono seguire opere più tradizionali come la 5 e la 6.

[2] Per la definizione dl "aura" cfr. W. BENJAMIN, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino 1966. Per la recente riflessione sull'opera "post-auratica" cfr. AA.VV., Die nicht mehr schönen Künsten. Grenzphänomene des Asthetischen, a cura di H.R. Jauss, München 1975, e H.R. JAUSS, Der literarische Prozess des Modernismus von Rousseaus bis Adorno, in AA.VV., Adorno-Konferenz 1983, a cura di L. von Friedenburg e J. Habermas, Frankfurt a.M., 1983.

[3] Già nel 1921 Adorno aveva osservato che Hindemith "sta in rapporto quanto mai intimo con la realtà, una realtà che nella musica era andata sempre più perdendo in dignità e autonomia, sia che, come in Brahms, fosse sprofondata nell'abisso della soggettivita, sia che, come in Strauss, fosse rappresentata dalla sua materialità, sciolta dalla soggettività, per mezzo di analogie psicologiche, oppure, come in Debussy, fosse intesa come riflesso mero dell'io. In Hindemith, invece, si annunzia l'aspirazione a inglobare la realtà quale componente valida nel contesto della coscienza" (Ad vocem Hindemith, in Th. W. Adorno, Impromptus. Saggi musicali 1922-1968, Milano, 1968, p. 55).

[4] In Fortspinnung und Entwicklung. Ein Beitrag zur musikalischen Betreiffsbildung (in "Jahrbuch der Musikbibliothek Peters", Leipzig 1929, pp. 51-70) Friedrich Blume considera questi due termini come espressione dell'antitesi fondamentale di ogni lavoro musicale": "L'intreccio è un procedimento di concatenazione di elementi autonomi che non stanno in relazione tra di loro, una successione di motivi che non debbono necessariamente essere affini nella sostanza e che vengono correlati solo con il loro inserimento nel nesso musicale... Sviluppo è un procedimento di graduale trasformazione di un elemento iniziale in altri elementi che gli sono affini nella sostanza e stanno in relazione con quello, è un'articolazione di motivi che formano una catena di nessi interni" (pag. 58). Come esempio di "sviluppo" citerei, tanto per rimanere nll'ambito dei quartetti d'archi degli anni Venti, la cellula motivica di partenza del IV Quartetto di Bela Bartók (I mov., batt. 11) che funge da forza propulsiva e sostanza unificatrice dell'opera, dando origine a un'infinita serie di fenomeni secondari, affini o derivati.

[5] Il n. 19-20 del 1921 dei "Musikblätter des Anbruch" è dedicato alla città di Berlino. Nel suo contributo Adolf Weismann definisce Busoni come "la forza motoria della musica berlinese da due decenni": "Busoni e Berlino. Un senza-patria per mescolanza di razze è riuscito a trovare proprio qui una patria, ha istituito una repubblica di artisti e di 'anche-artisti', ha giocato la libertà formale contro l'accademismo, la cittadinanza mondiale contro la piccola borghesia... Busoni ha provocato a Berlino una secessione di spiriti liberi" (p. 354).

[6] Hindemith e Busoni si conobbero personalmente a Berlino nel 1923. Già nel 1916 Hindemith aveva letto l'Abbozzo criticandone i tratti speculativi. Dal canto suo Busoni ebbe un rapporto distanziato con Hindemith. Nella lettera a Jarnach del 7 ottobre 1923, pur riconoscendone il talento, Busoni critica l'immediatezza della scrittura hindemithiana: "Egli compone con la stessa naturalezza con cui un cane abbaia e un gallo canta... Ciò che mi rincresce è il chiasso che si fa intorno a questo violista compositore e che lo rafforza nella credenza di avere raggiunto la perfezione."