ROBERTO FERTONANI

PRESENZA E ASSENZA DI GOETHE
NEL "DOKTOR FAUST" DI FERRUCCIO BUSONI


Roberto Fertonani e Sergio Sablich in memoriam.


Le notizie storiche su Georg o Johann Faust [Sul Faust personaggio storico il lavoro più recente è quello di G. MAHAL, Faust. Der Astrologe, Alkimist und Wunderheiler Johann Georg Faust. Leben, Wirken und Zeit des grosses deutschen Magiers, Munches 1985] sono piuttosto scarse: visse fra il 1480 e ii 1540, dividendo la sua attività fra gli umili doveri del maestro di scuola e le più esaltanti pratiche della magia, che gli suscitarono contro i giudizi, per lo più malevoli, di contemporanei illustri come Lutero e Melantone. Certo il Faust storico non immaginava quali vette avrebbe toccato il suo personaggio per il cumulo di invenzioni, popolari e letterarie, che, per un processo di concrezione, avrebbero esaltato e diffuso il suo mito oltre i confini della Germania, ma senza falsarne i connotati, che rimasero sempre saldamente ancorati alle loro radici teutoniche. La fantasia e la tradizione, tuttavia, spinsero Faust oltre i confini della Germania: nella Storia del dottor Faust ben noto mago e negromante, pubblicata dallo Spiess [J. SPIESS, Historia von D. Johann Fausten, Frankfurt am Main 1587. Esiste anche una pregevole edizione italiana Johann SPIESS, Storia del dottor Faust ben noto mago e negromante, a cura di M.E. D'Agostini, Milano 1980], vediamo il famigerato mago a Napoli, Venezia, Padova e Roma, dove riesce a beffarsi del papa, al quale sottrae, per incantesimo, piatti prelibati per mangiarli tutto solo sul colle del Campidoglio. Ma se questi scherzi erano destinati a suscitare lo stupore della folla di lettori dei Faustbücher e degli spettacoli dei Faustpuppenspiele, il versante dell'interesse specificamente letterario della sua figura trascurava questi giochi di prestigio, per concentrarsi invece sul suo valore simbolico, esistenziale: la sazietà delle umane cose e insieme la disponibilità a vendere l'anima al diavolo, per avere il privilegio di protrarre su questa terra il miracolo dell'esistere nei suoi vertici più entusiasmanti e nei suoi abissi demoniaci. Da Marlowe a Goethe, da Friedrich Müller a Friedrich Klinger, il peccato di Faust potrà dannarlo per sempre o lasciargli aperto lo spiraglio della salvezza, ma le costanti che lo inducono al famigerato patto con Mefistofele, non mutano con la trasmigrazione del mito da autore ad autore, dall'opera elisabettiana fino al Novecento, quando il personaggio ha in sé la facoltà di trasformarsi in puro pretesto, come in Mon Faust di Valéry, oppure di ritornare alle sue origini più autentiche come nel libretto del Doktor Faust di Ferruccio Busoni. Dal diario tenuto dall'artista fra il 1909 e il 1914, utilizzato dal Dent [E.J. DENT, Ferruccio Busoni, London 1974, cap. XVI, "Doctor Faust", pp. 290-313 e S. SABUCH, Ferruccio Busoni, Torino 1982, pp. 223 e sgg.], e dall'epistolario di Busoni, possiamo seguire con relativa sicurezza l'iter della genesi della stesura del testo. Scrive Busoni in data 21 dicembre 1914: "Come febbricitante, e in sei giorni, ho scritto il primo abbozzo del Doktor Faust, nel periodo fra lo scoppio della guerra e i preparativi a un viaggio sull'oceano [per gli Stati Uniti] verso la fine del 1914". Sappiamo che fra le carte del Busodi-Nachlass, custodito alla Deutsche Staatsbibliothek di Berlino Est, su carta intestata all'Hotel des Trois-Rois di Basilea, è conservato il primo abbozzo dell'opera di Busoni, in data 31 agosto 1910. D'altra parte risalgono proprio a questo anno le prime annotazioni di diario, fra le quali risulta quella del 9 dicembre che dice: "F. (aust.)? Dal punto di vista letterario troppo difficile, a causa del confronto con Goethe. A meno di fare cosa completamente diversa".
È verosimile l'ipotesi che, dopo i primi timidi tentativi di fissare per iscritto le due scene del monologo nella Studienzimmer di Faust e dell'arrivo dei tre studenti di Cracovia e quella del secondo Vorspiel, la presenza incombente dell'esempio goethiano abbia rimosso, o per lo meno resa problematica in Busoni, l'idea di realizzare un suo Faust, e che il fatto di avere rivisto, nel 1913, un Faustpuppenspiel, lo abbia convinto che i suoi timori erano infondati e che la versione dei Puppenspiele poteva aiutarlo a trovare una sua via originale, per salvarlo dal rischio di una troppo pedissequa dipendenza dal modello goethiano. Tanto più che proprio al testo di un Puppenspiel, Doktor Johannes Faust. Puppenspiel in vier Aufzugen, pubblicato nel 1846 da Karl Simrock
[Vedi V. ERRANTE, Il mito di Faust, volume primo, Firenze 1951. Ricco di notizie il capitolo: "Il personaggio decaduto", pp. 195-229. Sulla edizione del Simrock vedi la nota 33 a pag. 402. Citiamo da Doktor Johannes Faust. Puppenspiel in vier Aufzügen, Hergestellt von Karl Simrock, Wien und Leipzig, s.d.], Busoni si era ispirato nel suo primo tentativo di scrivere una sua versione del Faust nell'agosto del 1910. Il musicista lavora ancora al suo testo, come risulta dalla versione del 1918, apparsa sulla rivista svizzera "Die weissen Blatter", diretta da René Schickele, con il titolo Doktor Faust. Dichtung für Musik, seguita da una ulteriore edizione uscita a Potsdam nel 1920. Nell'ultima fase del suo lavoro gli furono di grande aiuto i consigli del poeta espressionista Ludwig Rubiner e, negli anni che Busoni dedica alla composizione del suo Doktor Faust, non trascura di ritoccare e modificare il suo testo, abbreviandolo per adattarlo alle esigenze della musica; anche Philipp Jarnach, che si assunse il compito di concludere l'opera rimasta interrotta dalla morte di Busoni, intervenne con tagli sul testo lasciato dal maestro; la redazione definitiva omise anche due stanze, che Busoni aveva scritto nel 1922 e the dovevano servire da epilogo, in corrispondenza con le stanze della Symphonia iniziale.
Per sgomberare il terreno da ogni equivoco, si dovrà osservare che il Doktor Faust di Busoni è totalmente dissimile, nei suoi scopi e nei suoi risultati, da operazioni di riduzione della materia faustiana consacrata da Goethe, che è dovuta, nell'Ottocento, a Gounod e a Berlioz. Nel libretto di Busoni è felicemente realizzato il principio della concordia discors; da un lato Busoni costruisce, scena per scena, il progetto di un Faust peculiare e inconfondibile scegliendo, dall'enorme materiale disponibile, quegli elementi che servono a dare al suo libretto una struttura unitaria, secondo un criterio che avevano seguito anche Marlowe e Goethe, dall'altro al modello goethiano è riservato il compito di pietra di paragone a conferma della alterità del suo Doktor Faust. Il poema di Goethe inizia con una "Zueignung" nella quale le forme labili delle figure, che hanno accompagnato il poeta fin dalla giovinezza, lo commuovono ricordandogli il passato; anche Busoni apre il suo libretto con una serie di ottave - alle quali aggiunge di suo due versi conclusivi a rima badata - che hanno una finzione speculare rispetto a Goethe, nel senso che anche questa Symphonia di Busoni riflette la storia della genesi del suo lavoro. La differenza è che, mentre Goethe non aveva desistito dall'idea di un Faust, Busoni aveva percorso un iter più incerto e tormentato. Sappiamo che aveva esitato a lungo, prima di fissarsi sul suo personaggio, fra Merlino e Ahasvero, Don Giovanni e la Franziska di Wedekind, Leonardo da Vinci e la Divina Commedia. Ma nella Symphonia che porta la didascalia "Vespro di Pasqua e germogli di primavera", sono citati, a esempio, due soli di questi personaggi, il mago Merlino e Don Giovanni. Il mago Merlino che, se nella tradizione italiana è noto soprattutto dal canto terzo dell'Orlando Furioso, nella cultura tedesca era di casa, dopo che agli inizi dell'Ottocento era stato introdotto da Dorothea e Friedrich Schlegel. Nato da un demonio e da una vergine, dalla sua origine diabolica Merlino aveva tratto solo il potere sovrumano di prevedere il futuro, e incarnava la lotta trionfante del bene sul male; Don Giovanni - che Busoni abbandona per l'ombra minacciosa del confronto con Mozart - era invece l'esempio più conclamato della vittoria dell'istinto negativo su ogni sentimento umano; entrambi i caratteri hanno in sé tratti che giustificano la direzione verso la quale si muoveva Busoni nella sua ricerca di un tema per il suo opus maximum. Nelle ottave di perfetta fattura metrica e ritmica, nelle quali ritorna l'eco non solo del trapianto di questa strofa in terra tedesca, ma soprattutto del modello italiano dell'Ariosto e del Tasso, Busoni confessa le ragioni della sua scelta e della scelta del Faust dei Puppenspiele. Il testo edito dal Simrock, che fu il vademecum di Busoni fin dal 1910, rappresenta la fase epigonale dei Puppenspiele; contamina elementi dei Faust popolare con richiami squisitamente letterari, tanto che nella scena d'apertura la voce di sinistra è una eco dell'angelo cattivo, la voce di destra dell'angelo buono, che aprono la Tragical history of doctor Faust di Marlowe. Busoni procede nella sua opera di selezione con assoluto spirito di indipendenza, valendosi della seconda del Puppenspiel, con Wagner che annuncia a Faust l'arrivo dei tre - studenti (Vorspiel I) venuti da Cracovia, l'università cattolica che rivela l'ideologia protestante nei primordi del mito di Faust. La chiave per l'arte magica, il titolo del libro che gli viene portato si precisa in Busoni in Clavis Astartis magica, e, oltre al libro, gli studenti gli danno la chiave per aprirlo e un documento che conferma la proprietà di Faust. Mentre nel Simrock una parte di rilievo spetta agli intermezzi burattineschi di Kasperle, questo personaggio, strettamente connesso con la struttura stessa del Puppenspiel, in Busoni viene soppresso perché inconciliabile con il tessuto tragico dell'opera. Mentre aderente alla fonte resta, variato solo nei particolari, il Vorspiel II che ci presenta Faust intento ad evocare gli spiriti (nel Simrock è la prima scena del secondo atto); anche due nomi dei sei spiriti Asmodus e Megaros, sono attinti dal Simrock, che usa la grafia Asmodeus e Megära. Nel Simrock Faust chiede a Mefistofele "Wie geschwind bist du?" e il diavolo risponde: "Wie der Gedanke des Menschen". In Busoni la sesta voce, che poi si rivelerà essere Mefistofele, dice a Faust: "Faust, ich bin geschwind als wie des Menschen Gedanke".
In una lettera a Gisella Selden-Goth [G. SELDEN-GOTH, Ferruccio Busoni. Der Versuch eines porträt, Wien - Leipzig 1922. Edizione italiana: Ferruccio Busoni. Un profilo, Firenze 1964, pp. 98-100], datata Zurigo 14 maggio 1920, Busoni rivendica alla sua invenzione l'Intermezzo, lo Zwischenspiel, inserito fra il Prologo II e il Quadro I dell'Azione principale.
Ma esaminiamo i fatti da vicino, nella cappella romanica della cattedrale un soldato, il fratello di Gretchen, invoca il dio biblico della grazia e della vendetta. Mefistofele induce Faust all'assassinio preventivo del soldato il quale cade sotto la spada del seduttore della sorella; Mefistofele commenta soddisfatto la riuscita del suo piano. Ma gli influssi della scena goethiana "Nacht", nella quale Faust colpisce a morte Valentino, sono di una evidenza solare, anche se Busoni accentua, trasferendo la scena in una chiesa e attribuendo al soldato la volontà di uccidere, il carattere profanatorio di questo intermezzo. Busoni, con un salto a ritroso, si stacca dal decorso del Puppenspiel e anche dalla sua atmosfera strabiliante e festosa, e ci riconduce per mano nel nucleo della vicenda che gli premeva: l'inarrestabile descensus del suo protagonista.
Poi, nel primo quadro dell'azione principale, attinge di nuovo alla materia del Puppenspiel, e precisamente all'atto terzo, quando di fronte alla corte di Parma esibisce le sue evocazioni e i suoi incantesimi. Salomone e la regina di Saba, Sansone e Dalila, mentre, per amore di simmetria, Davide e Golia sono sostituiti da San Giovanni e Salomè. E a questo punto si dilata l'idillio, con relativa seduzione e fuga di Faust, minacciato, da parte del duca, di morte per veleno. Nel Puppenspiel Mefistofele mette sull'avviso Faust, che aveva suscitato la gelosia del duca, con tutto il suo occhieggiare malizioso la duchessa, e del resto Faust non era nuovo a simili ambizioni se anche Maler Müller ci aveva presentato il suo Faust che, alla corte del re di Spagna, si era innamorato della regina d'Aragona. L'avventura con la duchessa, che nella prassi marionettistica era una delle tante bravate di un Faust audace e scanzonato, diviene per Busoni il nucleo di una vicenda struggente, che riassume in sé l'umanità avvilita di Gretchen e il carattere simbolico dell'unione di Faust con Elena. Noteremo che Busoni accenna a Gretchen senza nominarla in Prologo I, quando Mefistofele gli dice: "Alla tua ragazza ha portato sventura, il fratello è in agguato per toglierti la vita". Soltanto nella didascalia che precede l'intermezzo si cita per nome Gretchen e tutta la scena è basata sul proposito di vendetta del fratello che vuole vendicare la sorella offesa. Ma quello che era il nucleo del Faust. Prima parte della tragedia goethiano la cosiddetta "Gretchen-Tragodie", è collocato da Busoni in un antefatto ormai concluso, appartiene al passato, non al presente di Faust. In Prologo II, in perfetta sintonia con la tradizione faustiana, dallo Spiess al Goethe di Faust. Seconda parte della tragedia, il Mefistofele di Busoni nella taverna di Wittenberg esercita le sue arti di negromante, rievocando la figura di Elena, ma quando l'eroina greca appare nella sua splendida nudità, coperta soltanto di un velo e Faust vuole stringerla a sé, il fantasma si ritrae e si dissolve nel nulla; nell'Ultimo quadro il volto del Crocifisso, illuminato dal guardiano notturno, si trasformerà in quello di Elena, la metamorfosi sarà così fugace da sembrare l'illusione di una mente esaltata. Se Gretchen ed Elena sono dunque solo un tenue ricordo e una labile passione, l'esperienza umana e etica di Faust con l'eterno femminino si realizza totalmente con la duchessa di Parma. Sarà la magia di Faust a conquistarla. Nella taverna di Wittenberg, Mefistofele, dopo aver cantato gli amori di Faust e della duchessa, getterà ai piedi dei presenti il cadavere di un neonato morto, che poi trasformerà in un fantoccio di paglia e getterà nel fuoco. Ma, alla fine dell'opera, nella scena intitolata Ultimo quadro, nella mendicante seduta sui gradini della casa con un bambino in braccio, Faust riconosce la granduchessa.
Busoni, nell'uso insistente di una simbologia magica che accenna senza esprimersi esplicitamente, in un gioco continuo di allusioni-illusioni, da un lato usa gli stessi incantesimi sui quali sono costruite le trame dei Puppenspiele, ma, insieme, nell'incontro fra realtà e finzione, non abbandona mai la problematica morale che era stata di Goethe e, in genere, degli esempi letterari ispirati alla figura del Faust. Nella riduzione del binomio Gretchen-Elena, al solo personaggio della duchessa, vediamo un esempio della capacità di sintesi di Busoni che, turbato dalla prospettiva di musicare un dramma complesso come il Faust di Goethe, si era imposto, attraverso la brevità funzionale del libretto, di esprimere, senza tradirla, l'intera problematica contenuta nel mito.
Nella lettera che abbiamo citato di Busoni a Gisella Selden-Goth, il maestro, oltre l'Intermezzo, rivendica alla sua creatività anche il Quadro II, dove, in una taverna di Wittenberg, troviamo riuniti due gruppi di studenti, uno cattolico e l'altro protestante, un teologo, un giurista, un naturalista, Faust, Mefistofele e, alla fine, i tre studenti di Cracovia. Busoni, rivendicando a sé questa scena, alludeva senz'altro alle modalità dell'azione, alla complessità dell'intreccio. Comincia col discutere della dottrina platonica, per insistere sul destino finale dell'uomo che si disintegra nel nulla (zerfällt in nichts); a questo sconsolato nihilismo risponde un corn di studenti che afferma la priorità, su ogni altro valore, della gioia e della gioventù. Anche Faust si associa a una visione della vita come fenomeno transeunte, ma, al tempo stesso che si afferma l'inutilità metafisica della vita, i due gruppi di cattolici e di protestanti riaffermano la divergenza degli ideali e la necessità inevitabile del conflitto. Nel contesto della vanità delle cose, anche della colpa, si inserisce l'episodio del neonato morto che si rivela essere solo un fascio di paglia, e la fugace epifania del bello ideale nelle sembianze di Elena. I tre studenti di Cracovia che vengono a reclamare la restituzione da parte di Faust del libro, della chiave e dell'attestato di proprietà, gli annunciano che a mezzanotte dovrà morire.
In questo Quadro II notiamo, come vuole Busoni, una presenza più che tangibile di elementi di originalità compositiva, e tuttavia gli echi del Faust goethiano sono più che evidenti nell'atmosfera della taverna, così simile a quella della cantina di Auerbach e dell'evocazione di Elena. Anche qui il Faust di Goethe costituisce un termine di confronto nella sua globalità, senza distinguere la prima dalla seconda parte della tragedia, e forse nel testo di Busoni gli echi dei singoli motivi sono più avvertibili quanto più l'insieme si distacca dal modello goethiano; anche se, da una prospettiva più ampia, sia Goethe sia Busoni restano ovviamente ancorati alla medesima tradizione, all'interno della quale possono muoversi nelle loro priorità selettive. Anche l'ultimo quadro (Letztes Bild) alterna temi tràditi e innovativi: mentre si avvicina mezzanotte, l'ora del redde rationem, Faust si trova su una piazza che raccoglie in sé tutti i luoghi e i simboli del suo tormentato iter esistenziale. Siamo in una strada di Wittenberg, tutta coperta di neve, come il villaggio in cui arriva l'enigmatico K. del Castello di Kafka, in un paesaggio intonato con il rigor mortis dell'ora estrema. A destra la casa che era di Faust e dove oggi vive Wagner, l'ex famulus divenuto Rector Magnificus, a sinistra l'ingresso alla Cattedrale, e all'angolo un Crocifisso a grandezza naturale. Sui gradini della casa Faust intravede, in una mendicante con un bambino in braccio, i tratti della duchessa, mentre il volto del Crocifisso si trasmuta per un istante in quello di Elena. La piazza è un microcosmo dei luoghi e dei personaggi che segnano il destino di Faust; a lui è precluso di entrare in chiesa, ma proprio qui, ai piedi del Crocifisso compie la sua ultima opera di magia: dal bambino morto risusciterà un giovane con un ramo fiorito nella mano destra. E il principio della entelechia goethiana per cui ogni azione che abbia come meta la perfettibilità di Faust sarà solo interrotta dalla morte, perché verrà continuata dal giovane. L'ultima parola, dopo il trapasso di Faust, sarà detta da Mefistofele: "Sollte dieser Mann verunglückt sein?" Oltre al dubbio espresso in forma problematica, Busoni stesso precisa che questo "verunglückt" può essere inteso in due modi, sia come "dannato" sia come "vittima di una disgrazia". Ma la presenza del giovane con il ramo fiorito, colloca l'epilogo di Busoni nella scia del Faust goethiano, e agli antipodi della sentenza che viene pronunciata nel Puppenspiel: "Fauste, Fauste, in aeternum dannatus es" e ripresa nel griso angosciato del morente: "Verdammt? Verdammt in die Ewigkeit? Ich bin vernichtet!" Così, se Busoni aderisce per determinate, singole situazioni alla vicenda del Puppenspiel, per sfuggire al paragone insidioso con il Faust per eccellenza e per non peccare di Hybris - come aveva osato Kleist che si era proposto di strappare l'alloro dalla fronte di Goethe - il significato del Doktor Faust non diverge da quello espresso alla fine dei poema drammatico goethiano. Se è vero che la nostra è l'epoca della perdita di ogni certezza, l'intento di Busoni non poteva essere più attuale. "Il dubbio è entrato nel teatro d'opera", ha scritto Dallapiccola riferendosi al Faust di Busoni; ma si tratta di un dubbio positivo, che non spoglia il destino di Faust della sola speranza possibile contro le tentazioni del nihilismo più intransigente.
Ai critici non è sfuggita l'alta qualità letteraria del libretto di Busoni: se Wladimir Vogel [W. VOGEL, Doktor Faust von Busoni (1925), p. 104] parla di un testo di una pregnanza da proverbio, in quanto riconduce la lingua a una monumentalità originaria che non è soggetta al tempo e alle sue mode, e di una chiarezza dialettica, che è accessibile quasi a tutti, e il Dent scrive che "Il poema è in se stesso un'opera letteraria di forza e di immaginazione straordinarie" [E.J. DENT, op. cit., p. 304]. E di questo era consapevole anche Busoni stesso, che volle pubblicare il suo lavoro con il titolo Doktor Faust. Dichtung für Musik. La scelta del linguaggio è senz'altro subordinata alla sua funzionalità di libretto, ma ha anche un valore autonomo: la limpidità espressiva, con l'uso discreto di qualche sapiente arcaismo, rifugge dall'intento di attualizzare a ogni costo il mito, e ci trasporta al tempo stesso in un'aura e metastorica, come se Busoni volesse suggerirci questo concetto:. "È una favola antica ma, spettatore, non illuderti: questa vicenda tocca da vicino anche te".