PAUL OP DE COUL

IL LIBRETTO DI "DOKTOR FAUST".
DAI PRIMI ABBOZZI AL TESTO DELLA PARTITURA

Il curatore di questa Website ringrazia di cuore il prof. Paul Op de Coul per il generoso permesso di pubblicazione di questo suo saggio, nell'ambito di un progetto per ricordare la figura e l'opera del musicologo Sergio Sablich prematuramente scomparso il 7 marzo 2005.


Introduzione - "Fare di un personaggio di spicco, di carattere storico e proverbiale, legato al magico e al misterioso, il nocciolo della mia opera, era per me al tempo stesso un desiderio e un principio", scriveva Busoni nel 1922, nella prefazione alla partitura di Doktor Faust [Wesen and Einheit der Musik. Neuausgabe der Schriften und Aufzeichnungen Busonis, revidirt und ergänzt von Joachim Herrmann, Berlin 1956, p. 99]. Prima di questa scelta definitiva, numerosi personaggi di rilievo e di natura leggendaria gli erano parsi degni di essere presi come punto di partenza per un dramma musicale. La serie comincia con Merlino e finisce con Dante, passando attraverso Ahasvero, Aladino, Don Giovanni, Faust e Leonardo da Vinci.
L'idea di scrivere un'opera avente come protagonista Merlino risale probabilmente agli anni Ottanta del secolo scorso, nel periodo in cui Busoni componeva una fantasia da concerto per pianoforte su temi dell'opera Merlin di Carl Goldmark traendone contemporaneamente una partitura per canto e pianoforte. Qualche anno più tardi, verso il 1892, Busoni scrisse un progetto di libretto, oggi verosimilmente perduto, Ahasvers Ende. Tuttavia Edward J. Dent, the poté raccogliere notizie su alcune scene di quest'opera, ne ha lasciato un riassunto nella sua biografia di Busoni
[Edward J. DENT, Ferruccio Busoni. A Biography, London 1993, p. 291-292]. Dieci anni più tardi, era la volta della commedia Aladin dell'autore danese Adam Gottlob Oehlenschläger, alla quale egli pensava di ispirarsi non per un'opera ma per ciò che definiva "un lavoro complesso in cui si mescolano teatro, musica, danza [e] magia" [Ferruccio Busoni, Briefe an seine Frau. Hrsg. von Friedrich Schnapp. Mit einem Vorwort von Willi Schuh, Zürich-Leipzig 1935, p. 53 (lettera del 10 febbraio 1902)]. Busoni utilizzerà la musica composta per Aladin nel Concerto per pianoforte, terminato nel 1904. Poco tempo dopo, egli inizierà l'adattamento del testo di Oehlenschläger. Proprio come Ahasvers Ende, anche questo frammento è perduto.
Nel 1906, Busoni progetta di scrivere una musica di scena per il dramma di Tirso de Molina su Don Giovanni; pare anche che egli abbia considerato l'idea di comporre un'opera su questo stesso argomento. Come però riconoscerà nel prologo di Doktor Faust, furono i pregi musicali del Don Giovanni di Mozart a distoglierlo da questo progetto. Analogamente, fu per rispetto verso Goethe che egli non realizzò il progetto di scrivere una musica di scena per il Faust di quest'ultimo.
Nel 1912 Busoni ricevette l'offerta di scrivere una musica di scena per Franziska, la parodia di Faust di Frank Wedekind. Trovò l'idea interessante e abbozzò anche qualche pagina di musica; tuttavia, riflettendo sulla proposta, giunse alla conclusione di dover rifiutare quel progetto, soprattutto perché rischiava di influenzare negativamente il suo proprio progetto su Faust.
L'idea di comporre un'opera incentrata su Leonardo da Vinci e Dante nacque dall'ambizione dello stesso Busoni di scrivere un'opera italiana "nazionale". "Mi auguro di poter dare a questa Italia scrive alla moglie, nel 1908, da Verona - un'opera nazionale come quella che Wagner ha donato alla Germania e come qui non esiste ancora. Sento di esserne capace e che questo deve diventare lo scopo della mia vita"
[Ibidem, p. 159-160 (lettera del 9 settembre 1908)]. Busoni si immerge così nella lettura di Vasari e del romanzo di Mereikovskij, Leonardo da Vinci. Egli pensa di fare di Leonardo una sorta di figura centrale simile all'Hans Sachs dei Maestri Cantori di Wagner. Il comportamento di Leonardo alla corte degli Sforza gli richiama alla mente il ruolo di Faust nello spettacolo di marionette presso il Duca di Parma. Agli inizi del 1909, Busoni continua a parlare di questo progetto in alcune lettere; più tardi, il silenzio circonda questo argomento e Leonardo non ricompare fino al 1913. In questo stesso periodo, però, affiora anche l'idea di un'opera su Dante.
"È stato il cinema a darmi quest'idea - scrive Busoni da Londra - quando ho visto sullo 'Strend' il manifesto di un film,
L'inferno di Dante. Non ho intenzione di fermarmi all'inferno, né di avventurarmi in cielo, ma terminerò piuttosto sull'incontro con Beatrice. [...] E, naturalmente, in italiano" [Ibidem, p. 272 (lettera del 25 gennaio 1913)]. Poco più tardi, egli doveva abbandonare anche questo progetto poiché, tutto sommato, trovava più interessante l'argomento di Leonardo. Decise quindi di prendere contatti con Gabriele D'Annunzio, e durante l'estate del 1913 si incontrò con lui a Parigi per discutere del libretto. "Sulle prime egli non voleva considerare seriamente l'eventualità di mettere sulla scena un Leonardo da Vinci", scrive Busoni. Solo quando si profilò l'idea di un "Faust italiano" come motivo centrale, D'Annunzio intravide delle reali possibilità. "Non un Leonardo fedele al suo modello storico, ma un Leonardo simbolico", indica il compositore riassumendo le parole del suo interlocutore, e continua: "Bisogna che vi si aggiunga l'elemento mistico. Una serie di quadri privi di un nesso drammatico", per poi concludere soddisfatto: "Era proprio di questo che volevo convincerlo" [Ibidem, p. 278 (lettera del 23 giugno 1913)].
Sebbene la collaborazione progettata fosse destinata a non tradursi in realtà - nessuno dei due partners credeva davvero alla realizzabilità dell'impresa - la discussione con D'Annunzio continuò a esercitare suggestione su Busoni: "Leonardo, il Faust italiano", si legge nel suo Diario agli inizi del settembre 1914
[Ibidem (nota dei 27 dicembre 1914)]. Tre mesi e mezzo passano, ponendo fine al lungo periodo di entusiasmi e pentimenti. Leonardo scompare di scena per far posto definitivamente a Faust.

I primi abbozzi - Busoni stesso fissa al dicembre 1914, poco tempo dopo la dichiarazione della prima guerra mondiale, il primo progetto del libretto. Un manoscritto datato, che si trova tra le carte del compositore (Deutsche Staatsbibliothek, Berlin - [ex] DDR), dimostra invece che il primo abbozzo risale al 1910. Questo manoscritto contiene due quadri ricavati da alcune scene del Faust per marionette nella versione pubblicata da Karl Simrock (1846). Si tratta anzitutto del monologo di Faust nel suo studio, del suo dialogo con il genio del bene e quello del male e della scena tra Faust, Wagner e i tre studenti di Cracovia. Quest'ultima scena costituirà il Preludio I della versione definitiva del libretto. Il secondo quadro contiene il progetto per il Preludio II, ossia la scena dell'evocazione dei demoni e il patto con Mefistofele. Il testo dell'Intermezzo - la scena nella cappella della cattedrale di Wittenberg - risale al 1912, come testimoniano le annotazioni del diario .
Quando nel 1914 Busoni, cercando i suoi appunti su Leonardo, ritrovò questi abbozzi, tutta l'incertezza degli anni precedenti scomparve improvvisamente. In pochi giorni il piano del libretto era pronto. "Lutero è all'origine di quest'idea", troviamo annotato nel Diario. Questa osservazione, che sulle prime può apparire enigmatica, rimanda al testo teatrale di August Strindberg, Lutero. L'usignolo di Wittenberg, alla cui rappresentazione Busoni aveva appena assistito a Berlino. In quel testo, il Dottor Giovanni ovvero Faust viene presentato come compagno e seguace di Lutero: un riferimento, questo, destinato a svolgere un ruolo importante nel libretto di Busoni.
Soltanto alcuni frammenti del lavoro redatto nel 1914 sono stati conservati
[Berlino-(ex) DDR, Deutsche Staatsbibliothek, Musikabteilung, Busoni-Nachlass]; insieme ad essi, si trovano anche delle annotazioni che riflettono la concezione d'insieme dell'autore. Da questo materiale superstite è possibile trarre i seguenti elementi:

- Busoni aveva intenzione di far cominciare l'opera con un prologo prununciato da Mefistofele, in qualità di proprietario di un teatro di marionette, a sipario ancora calato. Questo prologo doveva riassumere il monologo di Faust nel suo studio, sicché quest'ultimo episodio poteva scomparire.

- Le scene ispirate al teatro dei burattini dovevano svolgersi davanti a un sipario ed "eventualmente essere sottolineate da un leggero accompagnamento musicale", secondo la formula di Busoni.

- Busoni mirava a una distinzione netta tra la finzione e la realtà, tra l'elemento comico e quello serio. E opportuno riportare per intero il passo corrispondente dei suoi appunti di lavoro:

L'opera si articola in due componenti: il reale e l'irreale, il concreto‑popolare e l'inafferrabile, lo spirituale. L'elemento materiale (e quindi comico) si rappresenta davanti a un sipario senza fondale; il sipario alla tedesca è aperto sui lati per lasciar vedere le scene idealistiche (e pertanto serie). Va da sé che soprattutto questa parte dell'opera sarà accompagnata dalla musica.

Del progetto di libretto ci rimane:

- Il prologo di Mefistofele in qualità di proprietario di un teatro di marionette;

- Un frammento di ciò che poi diverrà il primo quadro (il quadro di Parma): dall'accoglienza del Duca di Parma e della sua consorte da parte del Ciambellano, fino all'evocazione a opera di Faust di alcune figure bibliche (Salomone e la regina di Saba, poi Sansone e Dalila, e infine Giuditta e Oloferne);

- Qualche rapida annotazione riguardante la scena finale dell'opera, durante la quale Mefistofele, come guardia notturna, scopre il cadavere di Faust.

Il progetto di testo per le strofe destinate a diventare poi il prologo recitato (Il poeta agli spettatori) non vedrà la luce che nell'estate del 1915.

Le versioni del 1918 e del 1920 - Il libretto fu pubblicato nell'ottobre 1918, con il titolo Doktor Faust. Poème à mettre en musique, sulla rivista espressionista svizzera "Die Weissen Blatter" [Doktor Faust. Dichtung für Musik, in "Die Weissen Blätter" V/4, 1918, p. 11-29]. Un confronto tra la versione a stampa e i progetti precedenti riguardanti l'azione e il testo conduce alle seguenti conclusioni:

- Sono scomparsi: il prologo di Mefistofele, le scene del teatro di burattini, il monologo di Faust nel suo studio e il suo dialogo con il genio del bene e con quello del male.

- I progetti di testo dei due Preludi e dell'Intermezzo sono stati ripresi pressoché alla lettera, salvo qualche dettaglio.

- Il frammento del primo quadro che ci è pervenuto è rimasto quasi immutato. La sola differenza rilevante riguarda la scena dell'evocazione, durante la quale Faust, invece di Giuditta e Oloferne, fa comparire Salomé, San Giovanni e il carnefice.

Le annotazioni riguardanti la parte finale dell'opera sono troppo frammentarie per permettere un confronto; è tuttavia possibile ricostruire, da una delle lettere di Busoni alla moglie (31 marzo 1915), l'idea originaria. Ammalato, deluso e tormentato dalla propria coscienza, Faust muore di un attacco cardiaco; Mefistofele appare nelle vesti di una guardia notturna, scopre il cadavere, constata laconicamente: "è stato un incidente", se lo carica sulle spalle e così esce di scena. Non si tratta più di maledire Faust ma di sbarazzarsene. In questa stessa lettera, Busoni insiste sul carattere quotidiano dell'evento. Il diavolo non ha più niente a che fare con la vicenda: Mefistofele non è più la personificazione del Male, ma una semplice guardia notturna, e alla vista del cadavere di Faust si comporta nel modo prevedibile per una guardia notturna coscienziosa, sgombrando il terreno dalla salma.
Nel suo intimo, comunque, Busoni non era pienamente soddisfatto di questo finale, e infitti il 30 settembre 1917 scriveva a sua moglie: "Nonostante tutto, sono ancora alle prese con il finale del libretto, in attesa di un istante di felice ispirazione"
[Briefe an seine Frau, cit. p. 324]. L'attesa non fu lunga, come mostra il facsimile delle ultime due pagine del manoscritto originale del libretto, in data 4 ottobre 1917. (Questo facsimile è stato pubblicato da Jakob Wassermann nel suo In Memoriam Ferruccio Busoni, 1925). Il finale, originariamente di un crudo realismo, si è trasformato in una scena altamente simbolica e mistica. Il facsimile contiene il testo del monologo di Faust a partire dal momento in cui egli si rivolge, in tono d'invocazione, al figlio che ha avuto dalla Duchessa di Parma e lascia la propria vita in eredità al bambino morto. Le sue ultime parole sono: "io, Faust, una volontà eterna". In un primo tempo era stato scritto: "io, Faust, un'Idea eterna".
La parola "Begriff" (idea) è cancellata e sostituita da "Geist" (spirito); a sua volta, però, "Geist" è cancellato e sostituito da "Wille" (volontà). Mentre la voce della guardia notturna (Mefistofele) annuncia la mezzanotte, il bambino risuscitato si alza, ormai uomo, con in mano un ramo fiorito. La guardia notturna esce lentamente di scena, portando sulle spalle il cadavere di Faust.
Il tema del bambino, che svolge in questa scena un ruolo così importante, non è isolato ma appartiene ad un insieme strutturato i cui altri elementi sono: Gioventù, Pasqua e Primavera. In ogni parte dell'opera, iniziando dalla Symphonia, appaiono uno o più di questi motivi; essi rappresentano il "Prinzip Hoffnung", per usare un termine di Ernst Bloch, il principio che regge il pensiero di Busoni e costituisce la spinta della sua attività creatrice. In Doktor Faust si verifica esattamente il contrario di ciò che avviene in un'opera contemporanea di Hans Pfltzner, Palestrina (1912-15). Nelle sue Betrachtungen eines Unpolitischen, Thomas Mann rileva: "[...] la sua simpatia non va al nuovo, ma all'antico, non all'avvenire, ma al passato, non alla vita, ma"
[Thomas MANN, Politische Schriften und Reden I, hrsg. von Hans Bürgin, Frankfurt a/M-Hamburg 1968, p. 314] ed ecco, attraverso una citazione di Pfitzner, Mann fornire la parola-chiave "[...] in Palestrina tutto è proteso verso il passato, ciò che vi regna è la simpatia nei confronti della morte" [Ibidem, p. 316]. Al contrario, l'essenza di Doktor Faust risiede nella simpatia per la vita.
Nell'ultimo Quadro, i quattro temi ricompaiono ancora una volta insieme. Troviamo la parola "gioventù" nella serenata ironica degli studenti al nuovo Magnifico Rettore, Wagner. All'inizio della seconda scena, il coro annuncia il giorno del Giudizio universale. (La musica di questo brano è attinta dalla cantata pasquale di Bach Christ lag in Todesbaden). È questa l'ultima occasione offerta a Faust di ottenere il perdono. In base alla fede della sua infanzia, egli spera di salvarsi compiendo delle buone azioni; decide così di donare tutto ciò che rimane dei suoi beni a una mendicante. Ma sarà proprio questa mendicante, nella quale riconoscerà la Duchessa di Parma tipico capovolgimento da Giudizio Universale, questo dei primi che diventano gli ultimi - a offrirgli il regalo più bello: un figlio suo. Faust è del tutto disorientato e vuole entrare in chiesa per implorare l'aiuto divino; ma come un angelo vendicatore, l'ombra del Soldato gli vieta l'accesso. Disperato, egli si inginocchia allora ai piedi di un crocifisso, con il bambino morto tra le braccia. Lo sgomento di Faust tocca il culmine quando il Crocifisso si trasforma in Elena. Solo allora Faust rientra in sé, ormai convinto che non potrà ottenere la grazia divina, che il diavolo non ha più niente da offrirgli e che per compiere il suo dovere egli dovrà contare solo sui propri mezzi. Dopo essere penetrato nel cerchio magico da cui aveva invocato i demoni al principio del suo viaggio immaginario, Faust lascia la vita in eredità al figlio.

In una lettera a Gisella Selden-Goth, Busoni le confessava che questo finale mistico era il risultato dei suggerimenti di Ludwig Rubiner (1881-1920) [Fünfundzwanzig Briefe. Eingeleitet und hrsg. von Gisella Selden-Goth, Wien 1937, p. 28 (lettera dei 14 maggio 1920)]. Poeta, drammaturgo e pubblicista, questi era un portavoce del movimento dell'«attivismo», una diramazione radicale politicamente a sinistra dell'espressionismo. Per quanto ne so, nella letteratura riguardante Busoni non si è mai preso in considerazione il rapporto tra Busoni e Rubiner. Essi si conobbero a Berlino nel 1910 e abitarono entrambi a Zurigo durante la guerra. Nel periodo bellico, Rubiner maturò una fede sempre più viva in un mondo nuovo e in un Uomo Nuovo. (Non dimentichiamo che quello dell'Uomo Nuovo è uno dei principali temi dell'espressionismo). Quando Rubiner parla del rinnovamento, egli intende un rinnovamento nato dallo spirito, dall'Idea. L'Idea morale è per lui il principio rivoluzionario per eccellenza.
Tra le carte di Busoni conservate alla Deutsche Staatsbibliothek (Berlin [ex] DDR), si trova un documento rimasto finora sconosciuto e che testimonia uno scambio d'idee tra Rubiner e Busoni a proposito del finale di Doktor Faust. Si tratta di una lettera di Rubiner a Busoni datata 7 ottobre 1917, ossia tre giorni dopo che Busoni aveva fissato definitivamente il testo della scena finale. La lettera comincia così: "Sono molto felice di essere stato da Lei messo al corrente del finale. Non posso naturalmente accettare l'idea di esserne in qualche modo responsabile, anzitutto per ragioni personali, ma anche, in secondo luogo, per ragioni oggettive: l'idea del finale, di cui mi ha parlato, è troppo profondamente radicata nello spirito di tutta l'opera e corrisponde troppo alla Sua personalità perché si possa parlare anche solo di un'iniziativa. - E se le conversazioni fossero davvero state condotte, da parte mia, con 'severità', ne sarei profondamente rammaricato. Che in un momento così importante della Sua vita, in un punto così importante della Sua opera [...] io Le abbia esposto senza riserve il modo in cui concepisco e vedo la scena, è una questione completamente diversa. Se non fosse così, dovrei ritenermi indegno di quel sentimento d'amicizia di cui tanto mi rallegro e che mi rinfranca! - Anzi, è successo piuttosto il contrario: un uomo al pieno apogeo del suo genio e un'opera la cui concezione abbraccia davvero l'intero destino umano mi spingono a un riconoscimento assoluto della verità che - nell'ardore del sentimento! - può momentaneamente schiacciare la natura piacevole della discussione.
Va da sé che 'verità' non significa mai, per me, critica, opinione o idea (tutte e tre dannose, a mio parere). Ritengo che si tratti invece di spiegare e di far progredire lo sviluppo dell'organismo spirituale nato da una creazione. [...] E adesso spero di venire presto a trovarla e di ascoltare il finale!".
Malgrado la modestia di Rubiner, il finale dell'opera nacque certamente sotto l'influsso delle sue concezioni utopiche riguardanti l'Uomo Nuovo. Possiamo anche suppone che sia stato Rubiner ad attirare l'attenzione di Busoni sul ruolo che, in questa prospettiva, avrebbe potuto svolgere il figlio di Faust e della Duchessa di Parma. Ciò è tanto più probabile in quanto Rubiner, in quello stesso periodo, stava scrivendo un testo teatrale, Die Gewaltlosen (1917-18), incentrato sulla nascita dell'Uomo Nuovo. Si tratta di un dramma espressionista di carattere predicatorio, paragonabile per tono ai drammi contemporanei di altri autori, come ad esempio Ernst Toller e Fritz von Unruh
[Cfr. Eberhart LÄMMERT, Das expressionistische Verkündigungsdrama, in: Der deutsche Expressionismus. Formen und Gestalten, hrsg. von Hans Steffen, Göttingen 1965, p. 138-156]. Nelle scene finali del dramma di Rubiner, i Pacifisti sacrificano la loro esistenza e offrono così testimonianza della forza della non-aggressione. Il loro martirio illumina il popolo e lo spinge a fraternizzare: "I capi sono morti. Ma nella tua dedizione riconosci il loro spirito: eternamente viva tra noi agisce la loro volontà immortale!" [Ludwig RUBINER, Der Dichter greift in die Politik. Ausgewählte Werke 1908 - 1919, hrsg. und mit einem Nachwort von Klaus Schuhmann, Leipzig 1976, p. 147]. Nell'ultima scena, poi, il Giovane afferma: "Io sono agli inizi. In quest'ora sono appena nato [...] Orsù, la tua vita ricomincia oggi. Siamo dei compagni. [...] dobbiamo andate avanti! La nostra strada attraverserà ancora molti paesi" [Ibidem, p. 150].
La morte dei Pacifisti e la sopravvivenza eterna del loro "spirito" e della loro "volontà" mostrano un'analogia sorprendente con la morte di Faust e la sopravvivenza della sua "volontà" in suo figlio. Degna di nota è anche la corrispondenza testuale tra la nostra citazione di Rubiner e il monologo finale di Faust, che termina con le parole: "io, Faust, una volontà eterna". Ma non può sfuggire a nessuno nemmeno la differenza tra le due scene finali. Il tema dell'affratellamento non svolge alcun ruolo in Busoni. Egli non proclama alcuna utopia sociale, né offre in prospettiva il paradiso terrestre; ciò che egli propone è solo la possibilità di un progresso.
D'altronde le ultime parole di Faust, nella loro versione definitiva ("io, Faust, una volontà eterna") risalgono solo al 1918, come testimonia una lettera di Rubiner a Busoni del 1º ottobre dello stesso anno: "Sì, proprio così", approvava a proposito della sostituzione di "Begriff" con "Wille"
[Berlino-(ex)DDR, Deutsche Staatsbibliothek, Musikabteilung, Busoni-Nachlass].

Dopo il suo ritord a Berlino agli inizi del 1919 - Busoni l'avrebbe seguito nell'autunno del 1920 - Rubiner ottenne il posto di redattore presso la casa editrice Gustav Kiepenheuer. Egli propose allora a Busoni di pubblicare il libretto operistico come libro; questi accettò e il volume uscì nel 1920 [Doktor Faust. Dichtung für Musik, Potsdam 1920].
Vi si trovano solo poche varianti rispetto al testo pubblicato sulla rivista "Die Weissen Blätter": si tratta soprattutto di qualche ampliamento del testo nel Preludio II e della funzione del Prologo. In origine, esso doveva essere letto dal pubblico prima della rappresentazione; ecco perché in "Die Weissen Blatter" esso precede la lista dei personaggi e il titolo dell'ouverture. Nell'edizione Kiepenheuer, invece, il Prologo viene dopo il titolo dell'ouverture. Inoltre, l'indicazione Il poeta agli spettatori mostra chiaramente che si tratta di un prologo recitato, che fa parte integrante del testo dell'opera.

Composizione e struttura finale - Mentre componeva la partitura, i cui primi abbozzi risalgono al 1916, Busoni apportò un certo numero di mutamenti profondi al testo. In ciò, nulla di sorprendente: egli riteneva che, in un'opera, il testo debba assolutamente adattarsi alle esigenze di una struttura musicale autonoma. Sono il secondo Preludio e i tre Quadri a presentare la maggior parte di tali cambiamenti: si tratta quasi sempre di ampliamenti. Ciò che colpisce, inoltre, è che essi non riguardano solo il testo cantato, ma interessano anche le annotazioni registiche. Non vi è dubbio che, nel momento in cui componeva, Busoni potesse e dovesse avere una migliore visione scenica dello svolgimento dell'azione. L'importanza concessa da Busoni stesso alla subordinazione del testo alla musica fa sì che, involontariamente, tendiamo a interpretare gli altri cambiamenti come suggeriti in primo luogo da ragioni musicali. Tuttavia, non si può fare a meno di pensare che alcune considerazioni di ordine drammaturgico abbiano svolto talora un molo decisivo.
La versione del testo datata 1920 contiene un gran numero di possibili momenti d'arresto nello sviluppo dell'azione sotto forma di monologhi. Tali "arresti", come egli stesso li chiamava, sembravano a Busoni assolutamente indispensabili in ogni opera. Due di questi monologhi ricevettero uno sviluppo particolare: quello della Duchessa di Parma nel primo quadro ("Mi chiama come con mille voci") e quello di Faust al principio della seconda scena dell'ultimo quadro ("Conosco la dimora"). Un elemento del tutto nuovo venne ad aggiungersi al secondo quadro: la ballata di Mefistofele ("Laggiù v'era un Duca sciocco"). Raddoppiando quasi la lunghezza del monologo della Duchessa, Busoni si offriva la possibilità di comporre una grande aria in più parti. Si può considerare la ballata di Mefistofele nel secondo quadro come il corrispettivo di questa grande aria. Come a solo vocale, con qualche interruzione da parte del coro, questa ballata svolge la medesima funzione: essa costituisce un punto d'arresto, uno di quei momenti ai quali Busoni riconosceva un pregio così grande. Le aggiunte fatte al monologo di Faust mostrano chiaramente che questi è un uomo disperato. Nuovo è anche il frammento di testo che viene immediatamente dopo e nel quale le voci di un coro invisibile annunciano il giorno del Giudizio Universale. Queste due aggiunte, rispetto al testo precedentemente pubblicato, forniscono una motivazione migliore ai tentativi di Faust di ottenere la grazia compiendo opere buone.
Per quanto riguarda i dialoghi, è il dialogo tra Mefistofele e Faust nel Preludio II a presentare l'ampliamento più consistente, ottenuto con l'aggiunta di parti nuove e, al tempo stesso, con la ripetizione in forma riassunta di passi già utilizzati. Non ci è stato possibile individuare alcuna ragione di ordine musicale o formale tale da giustificare questi cambiamenti. Tutto ciò che si può dire è che essi consentono di definire più chiaramente i profili degli interlocutori e di caratterizzare con maggiore efficacia i toro rapporti reciproci.
I cambiamenti più radicali riguardano però il coro: interi brani per coro visibile e invisibile sono stati aggiunti sia nel Preludio II che nei tre quadri. Il coro diveniva così la chiave di volta dell'intera partitura. La versione del primo quadro pubblicata nel 1920 comprende solo due brani destinati al coro; la partitura vi aggiunge dei vocalizzi (durante le scene di pantomima), qualche breve esclamazione e quattro lunghi brani. E soprattutto grazie a questi ultimi che la funzione del coro come commentatore collettivo appare assai più chiaramente. Ma i passi aggiunti mostrano anch'essi una precisa giustificazione musicale, in quanto costituiscono un insieme sonoro mutevole, vivo e ricco di colore. Il potenziamento dell'immagine musicale è anch'esso, senza dubbio, una funzione importante dei brani per coro aggiunti alla scena della discussione degli studenti nel secondo quadro. Le tre nuove strofe della canzone conviviale all'inizio di questa scena svolgono inoltre un ruolo importante per quanto riguarda la struttura musicale d'assieme; ognuna di esse fa parte di un ritornello di rondò. Questo impiego di un ritornello nel coro crea una forma musicale capace di abbinare la funzionalità drammatica all'autonomia.

In tutti i suoi cambiamenti Busoni non procedette che a un solo taglio in sé degno di nota. Si tratta della scena del Preludio II nella quale Faust interroga i demoni a proposito della loro velocità. Nelle due versioni pubblicate del libretto, i demoni sono sette; nella partitura, invece, ne rimangono solo sei. La quarta voce di demone, quella di Astaroth, risulta soppressa. Questa soppressione ebbe luogo quando la musica corrispondente era già stata composta, come si può vedere da un frammento di partitura basato sul testo originale e che ci è stato conservato [Bertino- (ex) DDR, Deutsche Staatsbibliothek, Musikabteilung, Busoni-Nachlass 345,2]. Naturalmente, è facile supporre che Busoni abbia eliminato quelle 33 battute perché trovava la scena troppo lunga; è lecito tuttavia dubitare che fosse proprio questo il motivo decisivo. Sembra assai più probabile che egli volesse così risolvere un problema inerente alla composizione. Nella versione definitiva della partitura, ognuna delle voci di demone viene ad essere separata dalla seguente di un registro: il primo demone è un basso, l'ultimo, Mefistofele, un robusto tenore. Nel frammento eliminato non vi è in pratica alcuna differenza tra l'estensione massima di voce del terzo (Asmodeo) e del quarto demone (Astaroth). È indubbio che la mancanza di una differenza chiaramente percepibile tra l'altezza di queste due voci impedisse all'interrogatorio di raggiungere un climax; in questo risiede, senza dubbio, la causa principale del taglio.
Il responsabile degli altri due tagli non è Busoni ma Philipp Jarnach (1892-1983), che terminò l'opera dopo la morte di Busoni. Il primo riguarda la scena di Elena nel secondo quadro. Jarnach elimino le seguenti parole di Faust:

Ti afferro
e tu svanisci
oh, sofferenza!

Inoltre, egli non tenne conto di una didascalia importante, resente nelle due versioni a stampa del libretto:


Faust si accosta alla figura. Questa si scansa ripetutamente e, ciò facendo, esegue una sorta di danza misurata. Faust la segue a seconda dei suoi movimenti. Quando alla fine egli crede di afferrarla, la figura svanisce
[Doktor Faust 1918 (cfr. nota 10), p. 26; Doktor Faust 1920 (cfr. nota 19), p. 45].

Busoni intendeva quindi far eseguire a Elena una danza lenta. Sopprimendo la danza, Jarnach doveva necessariamente modificare anche la didascalia.

Il secondo taglio riguarda il monologo finale di Faust nell'ultimo quadro. Jarnach riteneva che quel monologo fosse troppo lungo ed eliminò quasi un quarto del testo; un intervento, nella migliore delle ipotesi, discutibile. In effetti, senza le parole in cui Faust si dice ormai liberato da Dio, come dal Diavolo, non si comprende più la necessità in cui egli si trova di violare quella soglia per poter compiere il suo ultimo gesto: far risuscitare il suo bambino morto. Il taglio viene così a ledere la portata umanistica ed atea della scena finale e, di conseguenza, dell'intera opera. Questa constatazione rappresenta di per sé un argomento assai forte a favore della sostituzione della composizione di Jarnach con una scena finale in cui il testo di Busoni venga conservato nella sua integrità.

(Traduzione dal francese di Laura Callegari)