SILVIA SCHLENSTEDT

IL PAESAGGIO LETTERARIO NELLA BERLINO
DEI PRIMI ANNI VENTI

Il curatore di questa Website ringrazia di cuore la prof.ssa Silvia Schlenstedt per il generoso permesso di pubblicazione di questo suo saggio, nell'ambito di un progetto per ricordare la figura e l'opera del musicologo Sergio Sablich prematuramente scomparso il 7 marzo 2005.

TEXT AUF DEUTSCH AM ENDE DER ÜBERSETZUNG


Per farsi un'idea del paesaggio letterario nella Berlino dei primi anni '20 bisogna pensare a una topografia caratterizzata da forti contrasti e a un clima sottoposto a rapidi e violenti cambiamenti. Riflettendo su come fosse possibile dare quest'idea in una breve relazione senza rimanere troppo sulle generali o limitarsi a un mero schizzo, ho deciso di non parlare della vita letteraria in sé ma di metterla, possibilmente, in relazione col vero e proprio oggetto di questo convegno, cioè con Busoni. Da storico della letteratura quale sono, non sta a me parlare di Busoni musicista; mi propongo invece di descrivere, dal punto di vista della letteratura, l'ambiente in cui venne a trovarsi a Berlino, la sfera culturale in cui operò e i circoli con cui fu in contatto.
Prima di descrivere il paesaggio letterario della capitale della giovane Repubblica di Weimar intorno al 1920, cioè nel momento in cui Busoni tornò a Berlino (settembre 1920), dobbiamo domandarci: che cosa non era ormai più attuale e non caratterizzava più la situazione? Tra il novembre 1918 e il settembre 1920, in meno di due anni, i mutamenti erano stati così violenti e precipitosi, che bisogna averne cognizione per poter capire lo scenario degli anni posteriori al 1920. Prima di tutto mi occuperò dunque di questi avvenimenti. Apparteneva già al passato, per esempio, il "Rat geistiger Arbeiter"
[Letteralmente: Consiglio (nel senso di soviet) dei lavoratori dello spirito, cioè delle lettere e delle arti] manifestazione emblematica del diffuso desiderio degli intellettuali di prender parte attiva al rinnovamento della società; della preistoria di questo "Consiglio" fa parte l'attivismo degli anni dell'anteguerra e della guerra, il "Bund zum Ziel" [Lega per (raggiungere) lo scopo] fondato ne 1917, chiamato poco dopo "Aktivistenbund" [Lega degli attivisti], di cui Kurt Hiller fu promotore, organizzatore e presidente. Il nucleo centrale di questi attivisti era costituito per lo più da giovani scrittori espressionisti che discutevano, nell'Annuario dello "Ziel" e in altri periodici, del modo in cui la cultura e l'intellettuale avrebbero potuto acquistare influenza e potere: contro la guerra, per l'affermazione delle libertà del cittadino e soprattutto per il libero sviluppo dell'individuo. Quanto questo desiderio fosse diffuso alla fine della guerra,, ma anche vago, risulta evidente dalla costituzione del "Rat geistiger Arbeiter", che avvenne nei giorni della rivoluzione di novembre e avrebbe dovuto affiancarsi ai "Consigli degli operai" e "dei soldati". Nella cerchia degli scrittori si andava da Heinrich Mann e Arthur Holitscher agli espressionisti Ludwig Meidner, René Schickele, Rudolf Leonhard, Kasimir Edschmid; dall'importante editore degli espressionisti Kurt Wolff fino a Sigfried Jacobsohn, direttore della "Weltbuhne". L'idea era che gli intellettuali dovessero rivestire un ruolo di guida politica, senza tuttavia acquistarselo prendendo parte alle organizzazioni politiche e alle lotte rivoluzionarie delle masse; dovevano cioè agire come una specie di "camera alta" affiancata alle istituzioni, un'aristocrazia dello spirito libero non democraticamente eletta, ma autonominatasi. Questa idea, sostenuta soprattutto da Hiller, era irreale e inadatta a creare una coesione. Fu propugnata con appelli enfatici, guerre di principio e dispute; ma come il programma dovesse venire realizzato praticamente sul piano politico rimase talmente oscuro che già dopo pochi giorni e settimane si giunse alle dimissioni dal Consiglio e al tracollo ufficiale a Berlino. Jacobsohn, che aveva pubblicato il programma del Consiglio il 21 novembre nella sua "Weltbühne", dette le dimissioni il 12 dicembre: "con un idealismo ignaro e un'innocenza celestiale", scriveva, era stato creato un 'gruppo di discussione' e ci si era preoccupati di fare distinzioni concettuali, di stilare statuti, senza però voler fare politica pratica [Siegfried Jacobsohn, Kurt Huller. In: "Weltbuhne", anno 1918, fascicolo 2, pag. 567]. La critica dei radicali di sinistra facenti capo alla rivista "Die Aktion" di Franz Pfemfert fu molto più aspra; essi rifiutavano il carattere elitario, la separazione dai movimenti di massa e la pretesa di fare da guida; invece di usurpare il principio dei "Consigli" volevano aiutare a far trionfare la dittatura dei Consigli del proletariato. Negli argomenti portati in favore e contro il "Rat der geistiger Arbeiter" vengono allo scoperto i problemi essenziali dell'epoca di sovvertimento, tra la fine del 1918 e la primavera 1919: questi problemi si presentavano a tutti gli scrittori tedeschi che volevano impegnarsi politicamente e che dovevano ridefinire la loro posizione nelle lotte.
Una posizione importante ebbe in tutto ciò René Schickele, che aveva redatto in Svizzera il più importante periodico letterario del pacifismo, i "Weisse Blatter". In una lettera (inedita) a Busoni (i "Weisse Blätter" avevano pubblicato più volte suoi scritti, in Svizzera, per esempio nell'ottobre 1918 il libretto del Doktor Faust) Schickele definisce anche il suo periodico quando scrive: "Sono felice che, malgrado tutte le cose disgustose che Le sono capitate, Ella pensi ai"Weisse Blätter". Essi sono stati infatti [...] per cinque anni l'ultimo e non trascurato centro di raccolta degli intellettuali europei, di quella cerchia culturale occidentale delle eterne province del Sacro Romano Impero, la sostanza delle quali non può essere devastata o addirittura annientata né da guerre né da trattati di pace. Vive cola indistruttibile ciò che è spiritualmente giovane e luminoso in Occidente"
[Lettera di René Schickele a F. Busoni del 23.5.1919. In: "Briefnachlass Busoni in der Musikbibliothek der Deutschen Staatsbibliothck Berlin"]. L'idea di una vita dello spirito indipendente quale traspare da queste parole era stata precedentemente esposta nella rivista da René Schickele con una chiara argomentazione politica in diretto riferimento al corso della rivoluzione in Russia e in Germania: ma mentre dava il benvenuto alla prima rivoluzione borghese del febbraio 1917, Schickele metteva in guardia dall'«esempio russo» e assicurava: "Spero in una rivoluzione che non si avvalga di altra violenza che non sia quella dei cuori, della persuasione e del buon esempio" [René Schickele, Der Konvent der Intellektuellen. In: "Die Weissen Blatter", 5 (1918) 2, pag. 104]. Passava poi a un'accesa polemica contro la teoria e la prassi della violenza rivoluzionaria. Anche dopo la cruenta controrivoluzione a Berlino, dopo le battaglie del gennaio 1919, dopo l'assassinio di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht, che non avrebbe voluto, Schickele continuò a sostenere un ideale non rivoluzionario del socialismo affermando che la sua utopia era il "socialismo più radicale" e che un bel giorno esso si sarebbe realizzato con la "resistenza passiva" e con la "conversione" [René Schickele, Durch die Blume eines Privatbriefes. Ibidem, 6 (1919) 1, pag. 6 e segg.]. Conseguenza di questo ripiegamento su un ideale astratto dalle lotte reali e dai bisogni vitali delle masse fu che Schickele rinunciò molto presto al suo impegno politico: dopo la fine dei "Weisse Blatter" nel 1920 non ebbe più parte alcuna nelle discussioni teoriche.
"Cambiare il mondo, come dice Rubiner; e, a suo tempo, io ero entusiasticamente d'accordo": così si legge nel saggio di Schickele della fine del 1918 Revolution, Bolschewismus und das Ideal. Rubiner era un compagno d'esilio in Svizzera, da cui nella fase rivoluzionaria lo divedevano fondamentali posizioni di principio. Rubiner, egli scrive, ha ora scelto la violenza e così le sue "preoccupazioni da letterato" si sono trasformate nel "principale problema del momento", in una "ultima spiaggia"
[Ibidem 5 (1918), 6, pag. 110]. Dal 1910 fino al periodo della rivoluzione Rubiner fu una delle figure che maggiormente influenzarono gli espressionisti: il suo saggio del 1912 Der Dichter greift in die Politik (Il poeta interviene nella politica) fu il segnale della strada da imboccare.
Tra Rubiner e Busoni ci fu un rapporto molto vivo, di cui vorrei occuparmi più particolareggiatamente dato che la documentazione è rimasta finora quasi sconosciuta. Rubiner pubblicò un articolo impegnativo, Ferruccio Busonis Musikästheik, già nel 1910 (dunque già prima dell'edizione tedesca del saggio di Busoni uscita nel 1916 presso l'Insel-Verlag). Vi prendeva con vivacità le parti dell'artista, del quale, secondo lui, i critici berlinesi non si degnavano di parlare o che perseguitavano con odio e diffidenza, e concludeva: "Si legge questo libro con sorpresa e partecipazione perché preannunzia valori gravidi di futuro, i quali sono diventati ovvi per la nuova generazione or ora"
[Ludwig Rubiner, Ferruccio Busonis Musikästhetik. (aus: Der Demokrat 32/1910). In: Rubiner: Der Dichter greift in die Politik. Ausgewählte Werke 1908-1919. Lipsia 1976, pag. 116]. Dalla corrispondenza conservata nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino est non risulta quando Busoni e Rubiner, di quindici anni più giovane di lui, si conobbero personalmente; da una lettera di Rubiner del gennaio 1913 si ricava che a quel tempo si conoscevano già. Il rapporto diventa importante negli anni dell'esilio svizzero, durante il quale il dialogo e la corrispondenza si fanno più intensi. Quando nel 1917 Pfltzner attacca Busoni come "pericolo futurista", Rubiner prende le parti di quest'ultimo; trova l'attacco grottesco e definisce Pfitzner "il fantoccio pangermanico della musica" [Lettera di Rubiner a F. Busoni del 28.5.17. In: "Briefnachlass in der Musikbibliothek der Deutschen Staatsbibliothek Berlin"]. Si constata qui come per il poeta della generazione più giovane Busoni sia un importante punto di riferimento contro un nazionalismo ancora accoppiato in arte col tradizionalismo e in favore dell'internazionalismo della cultura.
Possiamo mettere in risalto soltanto alcuni aspetti della vasta corrispondenza. In primo luogo Rubiner diventa un interlocutore di Busoni nel corso del processo di creazione del Doktor Faust; suggerisce delle idee ed è il destinatario di un'importante lettera dell'aprile 1918 in cui Busoni espone le sue vedute sul Secondo Faust. In secondo luogo invertendo le parti, Busoni diviene un partner importante per Rubiner, il destinatario dei suoi sfoghi mentre egli lavora al dramma Die Gewaltlosen (I non-violenti), pubblicato a Berlino nel 1919: sfoghi su se stesso e su problemi artistici in generale. In tutta questa corrispondenza l'opera di Busoni - documento "del Suo mirabile senso di umanità" - assume un ruolo così importante per il poeta che egli scrive al compositore: "Ella ha apportato alla mia condotta di vita la 'correzione' (proprio come si fa quando si corregge un dipinto) di un grande senso della realtà". E al tempo stesso - e questo è un terzo elemento - le lettere testimoniano che Rubiner vuole incoraggiare, smuovere Busoni e, intrattenendo con lui un dialogo sui massimi problemi, infondergli un po' della sua fiducia nell'influenza che l'artista può esercitare esprimendosi pubblicamente. Dal maggio al settembre 1917 Rubiner pubblicò a Zurigo lo "Zeit-Echo" (L'eco dei tempi), rivista battagliera improntata a un pacifismo di sinistra che (come è detto nel programma) voleva dar voce solo a "istanze di una coscienza europea". Rubiner tentò di reclutare anche Busoni, scrivendogli a proposito della rivista: "Verrà sicuramente il momento in cui anch'Ella vorrà dire una parola che serva ad indirizzare gli avvenimenti mondiali secondo il Suo desiderio. Non dobbiamo credere che una tale parola resti senza effetto." A un possibile scetticismo egli ribatte: "La parola di un genio dell'umanità guida sempre i cuori, suscita sempre degli echi, diventa sempre qualcosa di reale nel mondo". Nella convinzione "che una parola uscita dalla Sua bocca colpisce con una forza mille volte superiore a quella dei soliti discorsi impersonali dei politici di professione", Rubiner asserisce: "Se sapesse quanti sono coloro che Ella ha confortato e aiutato, la cui indipendenza interiore può venir rafforzata da una Sua parola!"
[Lettera di Rubiner a Busoni. Senza data (1917), ibidem]. Nello stesso senso, in una lettera del 17 aprile 1918 Rubiner cerca di indurre Busoni a pubblicare il testo del Faust in volume: "Ma certo non presso Breitkopf & H.?!!! No! O Insel-Verlag o Kurt Wolff (o Cassirer)"; "non per sottoscrittori, ma per molti [...] per la grande cerchia di persone che aspettano proprio le Sue parole scritte per dar loro ascolto [...]. [Questo] stupendo poema musicale metafisico avrà uno straordinario effetto sui lettori" [Lettera di Rubiner a Busoni dei 12.4.1918, ibidem]. Alla fine della guerra Rubiner torna a Berlino (tra l'altro poteva usufruire dell'appartamento di Busoni in piazza Viktoria-Luise) e svolge subito una parte importantissima nella vita letteraria. In veste di consulente editoriale della casa editrice - Kiepenheuer ha grandissima parte nel plasmarne la fisionomia, riuscendo anche ad ottenere il consenso di Busoni a pubblicarvi il Faust; già la prima lettera da Berlino che si è conservata tratta della faccenda. Per dare un'idea del tipo di relazione che correva tra il giovane espressionista politicamente impegnato e Busoni, citerò una lettera di Rubiner e una di Busoni. Rubiner l'8 giugno da Berlino: "Le cose sono qui tutte in movimento e non avrei voluto perdere nulla di questo flusso portentoso. Stanca e rende felici. - E poi: ho visto, trovato uomini giovani, belli, che prima non c'erano, mai, mai così. Finalmente esseri che appartengono alla nostra specie, consapevoli - parlano la nostra lingua - ed è per loro che in anni passati si è pensato, si è sentito - (in solitudine)..." [Cartolina postale di Rubiner a Busoni del 8.7.1919, ibidem]. Una lettera di Busoni a Rubiner del 29 novembre 1919, da Londra, sembra quasi una replica:

"Con la caduta dei principi aristocratici la massa imponente e misteriosa si scompone in esistenze e interessi minuscoli e comuni; almeno qui a Londra non posso riportare un'altra impressione". Busoni paragona l'immagine di altri tempi con quella presente e trova: "La gente è effettivamente più brutta, meno elegante, la sua espressione è sfacciata e volgare, non si cura più del bon ton e spesso lo ignora del tutto... Non è ancora matura per l'indipendenza, prevalgono gli istinti brutali che devono venir controllati rigidamente. Lo stesso errore che commetto io quando tengo prediche sulla musica presumendo che la media della gente abbia la mia stessa preparazione, lo commettono i riformatori della società. Mi piace la loro fiducia e il loro idealismo ma, se illuminare la gente su fatti artistici non minaccia la vita di nessuno, illuminarla sulle faccende dell'ordinamento sociale può sovvertire ogni cosa"
[Lettera di F. Busoni a Rubiner del 29.11.1919, ibidem].

Queste parole si trovano alla fine del dialogo epistolare: Rubiner morirà tre mesi dopo. Quanto profondamente e con quale passione egli avesse assimilato le esperienze del sovvertimento rivoluzionario in Germania e soprattutto in Russia, risulta dalle sue ultime pubblicazioni del 1919: l'antologia Kameraden der Menschheit: Dichtungen der Weltrevolution da lui curata, (il documento più importante della poesia tedesca di quel tempo insieme con la raccolta Menscheitsdämmerung, in cui Kurt Pinthus offre un più ampio quadro complessivo dell'espressionismo) e Die Gemeinschafl. Dokumente der geistigen Weltwende, composta di testi che vanno da Barbusse e Leonhard Frank a Upton Sinclair, da Marat e Karl Man al Manifesto dell'Internazionale comunista e in cui Rubiner incluse anche uno scritto di Busoni. Come risulta dalla nota introduttiva, il curatore colloca pionieri come Busoni in un processo globale di rivolgimento spirituale, il cui sbocco sarà un reale sovvertimento e inevitabile traguardo ciò che Rubiner definisce "la formazione della comunità produttiva degli uomini, al di sopra di tutti i confini". La raccolta contiene

testimonianze di uomini che hanno visto nel cambiamento del mondo lo scopo della loro vita. Ci sono i disperati, gli scettici di animo gentile, gli oppositori; tutte persone in posizione isolata nella loro società... che hanno dovuto far prendere alla loro rivolta vie diverse da quelle dell'azione diretta: i creatori del nostro atteggiamento critico. Inoltre i ribelli dello spirito, che portarono un rivolgimento nella coscienza del mondo... Infine i rivoluzionari sociali, i teorici del movimento popolare, coloro che organizzarono le azioni di massa e i loro storici, i portavoce del proletariato, i creatori della nuova cultura mondiale socialista, la quale... si colloca al di là del mondo borghese dei nostri giorni... [Die Gemeinschaft. Dokumente der geistigen Weltwende, a cura di Ludwig Rubiner, Potsdam 1919, pag. 5].

La casa editrice Gustav Kiepenheuer diventò, anche grazie alle iniziative di Rubiner, una sede dell'arte progressista della Repubblica di Weimar e nei primi anni '20 diede la possibilità di presentarsi al pubblico ad espressionisti di sinistra, a letterati borghesi di sinistra e ad autori di tendenze socialiste. Tra i prosatori di quegli anni sono da ricordare, oltre a Leonard Frank, con le sue famose novelle Der Mensch ist gut (1918), Kasimir Edschmid, Max Herrmann-Neisse, Walter Mehring (mi limito agli autori tedeschi); tra i lavori teatrali nominerò la collana "Dramatischer Wille" con Rubiner, Georg Kaiser, Ernst Toller, Iwan Goll e altri. Al di fuori della collana il primo autore pubblicato dalla casa editrice fu Bertolt Brecht nel 1922 con Baal, sotto più di un aspetto un lavoro di carattere opposto al "Dramatischer Wille"; nel 1920 Brecht trovò felici formulazioni ironiche per esprimere la sua posizione contraria. Le cito qui perché mettono chiaramente in luce quel che accadeva in quegli anni di rivolgimenti letterari e come principi estetici e atteggiamenti di vita si scontrassero duramente e quanto differissero. Brecht dice, per esempio, che il contenuto dei Gewaltlosen di Rubiner sarebbe risultato più chiaro, più piacevole e più comodo da leggere in un saggio, essendo "un saggio guastato dalla forma drammatica"; che Wandlung di Toller è, nel migliore dei casi, "giornalismo in versi". L'uomo è un "oggetto, un proclama invece che un uomo. L'uomo astratto, il singolare di umanità". In Georg Kaiser, che presenta un' «orgia di etica», loda tuttavia la tecnica della linea drammatica ("Lo svolgimento corre inarrestabile, tende al film"); e nelle farse grottesche di Iwan Goll, che nell'evoluzione di questo scrittore sono un'autocritica del pathos espressionista, l'esatto riflesso della crisi rivoluzionaria postbellica, Brecht vede "più umanità che in Toller". "Giornalismo. Lirica da cantastorie, fotografia; un vivacissimo macchinismo" [Bertolt Brecht, Dramatitches Papier and anderes (1920). In: Brecht: Schriften zum Theater Bd. 1., Berlino-Weimar 1964, pag. 51-52]. La casa editrice Kiepenheuer, vale la pena almeno ricordarlo, svolse un analogo ruolo progressista anche nel campo delle arti figurative. Con la rivista "Das Kunstblatt" e con quella in forma di album "Die Schaffenden", l'avanguardia aveva un centro nella casa editrice, soprattutto per opera dello storico dell'arte Paul Westheim; questi, oltre a curare la rivista, partecipò anche, nel 1925, a un'altra impresa: insieme con Carl Einstein (uno dei più stimolanti cultori tedeschi di teorie estetiche, che aveva esordito come prosatore espressionista) fu il curatore dell'"Europa-Almanach", uno straordinario documento, un bilancio delle avanguardie artistiche europee del dopoguerra in cui sono presenti nelle illustrazioni e nel testo e vagliate teoricamente letteratura, musica e tutte le arti figurative fino al film e alla moda.
È emblematico per la cultura dell'epoca che la letteratura appaia qui insieme con le altre arti. Nel pensiero e nella prassi delle case editrici, delle riviste, dei teatri grandi e piccoli e persino già nella nascente industria cinematografica, la letteratura veniva accomunata alle altre arti e nella gerarchia dei valori le veniva attribuito un posto diverso da quello assegnatole a cavallo del secolo e nel periodo prebellico e bellico. Non si tratta di qualcosa di assolutamente nuovo, ma di spostamenti importanti. Non si può concepire né capire l'espressionismo senza una scambievole influenza, senza una comunione dei diversi artisti che ambivano a spazi più ampi (voglio prescindere qui da fenomeni antecedenti, per esempio dalle simbiosi artistiche nello Jugendstil). Non è dunque un caso che nei primi decenni siano frequenti gli artisti che riuniscono in sé più arti, che creano insieme immagine e parola, testo e scenografia. La dimensione essenziale che troviamo nell'espressionismo già prima della guerra e della rivoluzione, cioè la volontà di uscire dalla pratica artistica della società borghese e di superarla, nonché l'utopia di una prassi di vita rinnovata per mezzo dell'arte, conservano la loro validità anche dopo la guerra e vengono sviluppate su basi più larghe e più solide. Le discussioni tipiche di quegli anni vertono proprio su questioni come il posto che l'arte deve prendere nella vita, nel ruolo che può svolgere nel rinnovamento sociale e, su che cosa è che le dà solidità.
Esaminiamo ancora la situazione con l'aiuto di un altro esempio offertoci dalla Berlino degli anni '20, la casa editrice Paul Cassirer. Chi conosce la biografia di Busoni sa che egli aveva anche rapporti personali con Cassirer, risalenti ad anni precedenti la guerra, quando l'editore pubblicava la rivista "Pan"; questi rapporti furono ripresi durante gli anni dell'esilio svizzero. Il personaggio più importante, colui che determinava la linea seguita dall'editore, era Leo Kestenberg; egli va associato a Busoni sotto un duplice aspetto: il Kestenberg musicista, allievo di Busoni, e il Kestenberg esperto di politica culturale, il socialdemocratico indipendente, nominato direttore generale per la musica al Ministero. Fu lui che fece chiamare Busoni a dirigere un corso superiore di composizione alla Accademia statale di belle arti di Berlino. Tra gli autori della casa editrice Cassirer sono da ricordare anzitutto Ernst Barlach, Else Lasker-Schuler, Walter Hasenclever, per gli anni 1918-1923 il già menzionato René Schickele, i cui "Weisse Blätter" uscirono presso Cassirer nel 1919 e nel 1920. Anche qui dunque grandi figure della letteratura, soprattutto Barlach e Else Lasker-Schüler, che ebbero parte attiva nel rinnovamento della lingua letteraria e della forza espressiva. Essi erano contemporanei della generazione dei poeti più giovani e ribelli (i quali, a dire il vero, non erano di casa da Cassirer), ma lo erano solo per un certo verso. Artisti di questa generazione più anziana, che avevano dato la spinta decisiva alla secessione dal gusto e dalla pratica artistica dominanti, continuarono su questa loro linea con maggior ampiezza e profondità nei decenni successivi, ma sempre sotto il segno di quella concezione fondamentale che attribuisce all'arte una funzione liberatoria: concezione a cui corrispondono modi di pensare mitici e un'arte stilizzata. Quando, prendendo un nuovo avvio intorno al 1910 circa, autori della giovane generazione si sentono incoraggiati nei propri intenti da precursori come Else Lasker-Schüler (oppure da Busoni, come abbiamo visto in Rubiner, oppure - lo domando ai musicologi - Schönberg da Busoni?), li sentono contemporanei e fondano su questa base un sodalizio ideale, hanno ragione di farlo; ma trascurano, con un parziale fraintendimento, l'esistenza di specifici punti di partenza nella concezione del mondo e nell'estetica.
In tali sodalizi esistono quindi già le premesse di un successivo allontanamento e di un avvio su strade diverse.
L'idea determinante nella cerchia della casa Cassirer era che l'arte non dovesse rendere permeabili i confini tra sfera artistica e quoti dianità sociale e politica (cosa a cui mirava invece l'avanguardia), ma che l'arte e la letteratura andassero coltivate come sfere a sé; ciò risulta chiaramente dalle frasi programmatiche che riportiamo dall'Almanacco della casa editrice "Unser Weg 1920":

Senza curarsi di attacchi da sinistra e da destra, la nostra strada porta nelle libere regioni in cui l'uomo che sognamo per il futuro svolgerà la sua vita nella gioia del lavoro artistico, libero dalle insopportabili fatiche del nostro vivere quotidiano. I nostri compagni di strada, che ci affiancano da lunghi anni senza lasciarsi influenzare dai casi alterni della politica del giorno, aderiscono tutti a questo modo di pensare [Unser Weg 1920. Ein Jahrbuch des Verlags Paul Cassirer, Berlino 1919. Citato da Paul Raabe, Die Zeitschriften und Sammlungen des literarischen Expressionismus, Stoccarda 1964, p. 204].

Dal punto di vista politico a questo programma corrispondeva un legame, per lo meno temporaneo, della casa editrice con socialdemocratici tradizionali come Karl Kautsky, Eduard Bernstein (che curò la pubblicazione delle opere di Lassalle) o Kurt Eisner. E vi corrispondeva, in funzione dell'accoppiamento delle arti figurative con la letteratura, tratto caratteristico della casa Cassirer, un rapporto proveniente da una tradizione di mecenatismo: Cassirer era un collezionista, un mecenate e un mercante d'arte che sapeva unire la sua simpatia per esempio per Barlach, per Max Slevogt e soprattutto per Kokoschka con un senso degli affari prettamente borghese. Una più ampia visione sociale dell'avanguardia non era affar suo.
Allontanarsi radicalmente dalla pratica artistica borghese, questo en quanto pretendevano i dadaisti berlinesi. Quel che aveva avuto inzio nel Cabaret Voltaire di Zurigo nel 1916 viene continuato nella Berlino rivoluzionaria, dove si passa decisamente alla provocazione politica e dove, in risposta ai segni di apertura controrivoluzionaria della Repubblica di Weimar, tutto viene acuito fino ad arrivare all'oltraggio assoluto dell'intera cultura borghese. Di conseguenza ci si allontana anche da quelli che prima erano stati i compagni di strada. In un "Manifesto del Consiglio centrale-rivoluzionario dadaistico" (Berlino 1919) si chiede "l'unione rivoluzionaria internazionale di tutti i creatori e degli uomini di cultura del mondo intero sul terreno del comunismo radicale" e quindi anche "la lotta senza quartiere contro tutte le tendenze dei così detti 'lavoratori dello spirito' (Hiller, Adler), contro il loro latente spirito borghese e contro l'espressionismo e la cultura postclassica impersonata dallo 'Sturm"
[Manifesto nel primo Numero della rivista del Dada Berlinese. In: Manifeste 1905-1933. Schriften deutscher Künstler des 20. Jahrhunderts, raccolti e pubblicati da Diether Schmidt, Dresda 1965, pp. 194-195]. Al dadaismo berlinese conferirono un'impronta particolare oltre a Richard Huelsenbeck, Raoul Haussmann e al pittore e musicista Jefim Golyscheff, firmatari del manifesto, Wieland Herzefelde e suo fratello Heartlield, Georges Grosz, Erwin Piscator, Walter Mehring, Carl Einstein e Franz Jung, i quali aderirono alla Lega Spartacus durante il periodo rivoluzionario e negli anni '20 contribuirono per larga parte nei loro diversi campi alla nascita di una tultura rivoluzionaria che si opponeva a quella borghese. Già durante la guerra Herzefelde, allora giovanissimo, aveva fondato la casa editrice Malik, dal nome del romanzo Der Malik di Else Lasker-Schüler: fatto sintomatico del problema della contemporaneità con artisti più anziani di cui ho parlato più sopra. Il gruppo intorno a Herzefelde venerava la poetessa che, dal canto suo, celebrò in versi i fratelli Herzefelde e Georges Grosz; nel 1917 Herzefelde pubblicò alcune pagine di Der Malik chiaramente contrarie alla guerra nella rivista "Neue Jugend". Tuttavia nelle edizioni Malik uscirono durante la crisi rivoluzionaria postbellica i pamphlets dei dadaisti berlinesi, l'album di satire "Gesicht der herrschenden Klasse" di Georges Grosz e la raccolta di lavori teatrali rivoluzionari. (Il "Malik" fu pubblicato da Cassirer nella raccolta delle opere complete).
Nel 1920 la così detta "Kunstlump-Debatte" permise di afferrare in modo esemplare il contrasto dei principi estetici e mise in chiara luce il paesaggio letterario di Berlino. Il dibattito nacque così: nel marzo del 1920 gli oppositori di destra della Repubblica avevano tentato tu eliminarla col putsch di Kapp e ci sarebbero riusciti se uno sciopero generale e il ricorso alle anni degli operai non l'avessero difesa. Durante gli scontri un quadro di Rubens della Pinacoteca di Dresda venne danneggiato; al che Kokoschka rivolse un appello a tutti i contendenti sia di destra sia di sinistra in un manifesto in cui chiedeva che in futuro non ci fossero più sparatorie davanti alla Pinacoteca e che le sorti ne venissero decise sui campi di tiro per non mettere in pericolo il "sacro patrimonio" dell'arte. Heartfield e Grosz risposero a questa manifestazione di autonomia artistica apolitica con un aspro attacco, chiamarono Kokoschka un "Kunstlump", e cioè un "pezzente dell'arte", e lo definirono "personaggio emblematico, le cui opinioni sull'arte coincidono con la mentalità dell'intera burocrazia artistica, dei mercanti d'arte e con l'opinione pubblica". Con l'attacco contro Kokoschka volevano colpire quella che secondo loro era la "mentalità dell'intera borghesia" che colloca l'arte "al di sopra della vita della classe operaia" e ne fa un lusso estetico. D'altronde si approvava anche una guerra aperta contro quel tipo di cultura e di arte, nocive, che servirebbero solo a opprimere i poveri, e ci si poneva il compito di "affrettare il crollo della cultura degli sfruttatori. Ogni indifferenza è controrivoluzionaria!"
[John Heartfield-George Grosz, Da Kunstlump. In: "Der Gegner", 10 (I920), p. 49-55]. Questo attacco diede il via a una vivacissima polemica che si estese dai "Weisse Blätter" fino alla "Rote Fahne". Qui vi si può solo accennare; fu una prima polemica a cui seguirono altre nel cono delle quali i punti di vista si differenziarono.
Vogliamo portare un ultimo esempio per illustrare quanto, nella fase iniziale della Repubblica, gli avvenimenti politici facessero cambiare agli scrittori il modo di intendere il proprio ruolo nel moto della storia e quanto, in quegli anni, la presa di posizione degli intellettuali fosse influenzata dalle lotte politiche: l'esempio è quello di Alfred Döblin, tornato dalla guerra nella Berlino della rivoluzione di novembre, animato da speranze nel rinnovamento della società. Dal 1919 al 1921 pubblicò noterelle satiriche di attualità nella "Neue Rundschau", la rivista della rispettabile casa editrice S. Fischer (a cui appartenevano autori come Gerhart Hauptmann, Hofmannsthal, Thomas Mann, Wassermann ecc.); il suo era un giornalismo che travalicava gli orizzonti della casa editrice. Nei contributi pubblicati in raccolta nel 1921 sotto il titolo "Der deutsche Maskenball" si tira una specie di bilancio con frasi come le seguenti: "Abbandonando la politica i borghesi hanno tradito la cultura, sì, rinunciare alla politica è un tradimento della cultura... Ora si vede da dove proveniva la disperazione degli artisti che hanno prodotto negli ultimi anni spinti dall'odio del borghese; quella disperazione che continua fino ad oggi e spinge al nichilismo. Si capiscono gli artisti dell'una parte, che ritengono l'arte priva di importanza e mettono al primo posto il mondo dei sentimenti e la lotta per essi, e quelli dell'altra parte, per i quali l'arte è quasi un gioco esteriore. La borghesia ha perso la partita... Amici della repubblica e della libertà, da questa parte, a sinistra! Al fianco dei lavoratori!"
[Alfred Döblin, Republik (1920). In: Die Vertreibung der Gespenster. Autobiographische Schriften. Betrachtungen zur Zeit. Aufsätze zu Kunst und Literatur, a cura di Manfred Beyer, Berlino 1968, p. 199].
Come conclusione vorremmo presentare alcuni tratti speciali della vita letteraria di Berlino intorno al 1920. Una cosa ci colpisce: sono anni di transizione, la cui specificità sta nel fatto che fenomeni appartenenti a epoche diverse si presentano contemporaneamente. In ciò che viene presentato al pubblico le epoche si sovrappongono. Con questo intendo qualcosa di diverso da posizioni concettuali ed estetiche diverse che si affiancano, concordano o si oppongono, come succede comunemente nella vita letteraria; di diverso cioè da una scala di punti di vista che va da quelli tradizionali borghesi a quelli d'avanguardia e di sinistra, per esempio dalle edizioni Fischer fino allo "Sturm" o all"Aktion" o, nel campo teatrale, dal "Weisse Heiland" di Gerhart Hauptmann nel Grosses Schauspielhaus al "Masse Mensch" di Toller alla Volksbühne fino al Cabaret della "Wilde Bühne" dove Walter Mehring presentava le sue satire d'attualità dove, alla fine dei 1921, anche Brecht scandalizzava il pubblico con le sue Ballate. Sovrapposizione delle epoche significa che da un lato molto di ciò che era nato durante la guerra in Germania ed era stato soffocato dalla censura per le sue tendenze pacifiste o di critica sociale e non aveva potuto farsi valere, appariva soltanto ora in pubblico, in forma di libro, di rappresentazione teatrale. E d'altra parte gli avvenimenti del tempo, rivoluzione, controrivoluzione, putsch di Kapp, inflazione ecc. chiedevano agli intellettuali una riflessione e una presa di posizione, provocavano rapidi mutamenti nelle concezioni sociali, nella determinazione della funzione dell'arte e nel linguaggio artistico. Tutto ciò si estrinsecava in una vasta pubblicistica e in nuove opere letterarie. Questi due fatti insieme davano origine a un paesaggio letterario pieno di contraddizioni in cui cose più vecchie uscivano contemporaneamente a cose nuove e, tra l'altro, anche a cose nuove che cercavano di ritrattare alcuni dei precedenti punti di vista più avanzati. Ne è un esempio Heinrich Mann. Egli era una figura importante di scrittore democratico, che con le sue analisi sociali era stato per molti un rappresentante esemplare e incoraggiante di scrittore impegnato. La censura impedì la pubblicazione in tempo di guerra del suo romanzo Der Untertan (Il suddito); quando esso uscì dopo la fine della guerra raggiunse in sei settimane una tiratura di 100.000 copie e rimase un successo popolare. Contemporaneamente a questa satira sociale e al suo effetto sul pubblico uscirono saggi di Heinrich Mann in cui egli dichiarava la sua adesione alla repubblica, ma, al tempo stesso, esprimeva concezioni sociali anacronistiche, invocando un centro che si sarebbe dovuto trovare con un accomodamento tra i lavoratori più poveri e i borghesi più ricchi; inoltre aggiungeva un'aspra polemica contro il principio dei "consigli" e l'ordinamento socialista. Una simile idealizzazione del raggiunto status quo deluse molti autori impegnati che avevano visto in Heinrich Mann il loro antesignano, e così si formarono nuovi fronti.
Sovrapposizioni analoghe si possono osservare anche nell'espressionismo letterario. Esso arrivò a influenzare in misura più ampia la vita culturale pubblica soltanto negli anni del dopoguerra; soprattutto nel teatro raggiunse il pubblico soltanto allora, in parte però anche in forme originate dalla situazione prerivoluzionaria e che a questa corrispondevano per la concezione del mondo e per la loro estetica. E ora esse venivano ritrattate in altri lavori dai medesimi autori. È significativo che alla stessa epoca articoli e saggi sostenevano ripetutamente: l'espressionismo è morto! Ma al tempo stesso esso non era soltanto più che presente nel campo letterario; anzi, i buoi inviti a rinnovare i rapporti tra arte e realtà nonché il linguaggio dell'arte non avevano affatto perso di vigore.
Il quadro che abbiamo tratteggiato mutò soltanto negli anni 1923-24, quando con la fine del dopoguerra incominciò una nuova fase. Può darsi che Wassermann si riferisse all'esperienza di questa singolare sovrapposizione delle epoche quando, nel 1924, dopo la morte di Busoni, definì l'artista con cui era stato legato da amicizia per quasi vent'anni "fenomeno conclusivo di un'epoca, figura iniziale di una nuova"
[Jakob Wassermann, In memoriam Ferruccio Busoni. In: Wassermann: Lebensdienst. Gesammelte Studien Erfahrungen Reden, Berlino 1928, p. 4 (trad. it. in Sergio Sablich, Busoni, Torino 1982, p. 310)]. Sembra, questa, una formula penetrante per significare che proprio in quegli anni la transizione da un'epoca all'altra si effettuava anche nelle singole persone.

(Traduzione di Laura Dallapiccola)