LUISA ZANONCELLI

CAUSE PRIME E CAUSE SECONDE DELL'APPRODO
DI BUSONI ALLA NUOVA CLASSICITÀ

Il curatore di questa Website ringrazia di cuore la prof.ssa Luisa Zanoncelli per il generoso permesso di pubblicazione di questo suo saggio, nell'ambito di un progetto per ricordare la figura e l'opera del musicologo Sergio Sablich prematuramente scomparso il 7 marzo 2005.


Si è fatto ricorso ad un lessico di origine neoplatonica, caro ad Avicenna e poi alla Scolastica perché ben serve per spiegare l'orientamento filosofico, ispirato a un platonismo ingenuo e senza solide basi culturali, di Busoni. Cause prossime, dunque, e cause remote di una concezione della musica racchiusa in una formula programmatica che invoca un momento di pausa, nella ricerca e nella sperimentazione, per fare il punto sulla situazione e rendere stabili le conquiste raggiunte.
La parola d'ordine, la formula, dichiara la propria natura compromissoria nell'uso di una vecchia categoria, la classicità, rimessa in circolazione aggettivata come "giovane". Il rifarsi all'antico per andare avanti è scelta comune a tutti coloro che si schierano contro l'avanguardia, contro la musica che mette a disagio e dai diseguali esiti estetici. In questo senso Busoni, negli anni Venti, mostra lo stesso bisogno d'ordine e di chiarezza che anima tanto il Neoclassicismo quanto la nascente dodecafonia.
Le cause immediate sono dunque nella necessità di prender posizione contro l'anarchia espressionista e i risultati non ancora soddisfacenti, nell'allargamento del campo, nelle due diverse direzioni del superamento della scala per semitoni e dell'utilizzazione del rumore.
Della Nuova Classicità sono dichiarati presupposti fondamentali l'idea dell'unità della musica un rinnovato impiego della melodia e la musica assoluta, cui conseguirà la proclamazione dell'opera (del melodramma) come forma unica e universale dell'avvenire. Queste premesse delimitano il settore delle conquiste precedenti da sottoporre a vaglio, da sfruttare, da "racchiudere in forme solide e belle", da portare a compimento. Il primo principio è di natura estetica, e concerne la neutralità semantica della musica; il secondo è di natura tecnica, e riguarda i procedimenti compositivi; il terzo lo stile: rinuncia al soggettivismo e alla descrittività. Rappresentano l'esito di riflessioni che Busoni portò avanti e maturò nel corso di decenni, sulle quali non intende ritornare e attorno a cui chiede anzi che lo "spirito di opposizione" faccia quadrato.
Le cause remote sono allora nell'elaborazione di questi temi, insieme all'amore per la forma, in cui Busoni riconosce la propria ascendenza latina e da cui il concetto di classicità è inscindibile. Come si sono sviluppati questi temi, da quali punti di partenza e attraverso quali discussioni? Risultano innanzi tutto, con estrema evidenza, radicati nell'estetica romantica, che Busoni conosce in parte anche per lettura diretta, e segnati da un eclettismo che non arretra neppure di fronte a contraddizioni, se il ragionamento lascia prevedere una interessante possibilità di sviluppo: perché Busoni, più portato alla prassi che alle teorizzazioni, ama soprattutto arrivare rapidamente ad istruzioni subito applicabili, a dare una risposta alla domanda: che fare?

1. La forma
Nel senso della forma e della capacità di dar forma è racchiusa l'essenza del genio artistico. Sin dall'inizio il concetto di forma non viene però definito con chiarezza: nell'Entwurf (in cui Busoni si stacca progressivamente dalla forte influenza hanslickiana palese nello scritto Dell'intelligenta musicale del 1885), esso viene affrontato da più parti, ripreso e indagato in rapporto a nozioni diverse, precisato cioè attraverso uno dei suoi tradizionali contrari che cambiano nei vari contesti. A sua volta la forma serve a precisare altri termini dal senso vago per quanto filosoficamente pregnanti.
Nelle prime pagine dell'Entwurf, richiamandosi evidentemente ad Hegel, Busoni esamina la specificità delle singole arti mettendo la forma (qui opposto di contenuto ma anche di materia) in relazione all'essenza: la maggiore o minore caducità delle forme deriverebbe dalla loro maggiore o minore vicinanza all'«essenza dell'arte». Le forme come mezzi ed il gusto, mutano nel tempo e appaiono antiquate e superate mentre restano validi i contenuti, se ci sono: cioè lo spirito, la misura del sentimento, l'umano: sul dualismo di forma e contenuto si proietta l'opposizione essenza-accidente. Che cosa si intende per "vicine all'essenza?". Sempre seguendo le orme di Hegel, Busoni spiega che la scultura deve rinunciare all'espressione dell'interiorità, perché è incapace di riprodurre lo sguardo; la pittura rinunciare alla tridimensionalità e alla decorazione se non vuole scadere nella scenografia. Essenza significa dunque immanente al materiale: il materiale della musica è aria che vibra e consente una grande libertà formale, libertà che invece non esiste per esempio in architettura, dove dominano le leggi della statica: "L'architetto ha la sua forma fondamentale che deve procedere dal basso verso l'alto; le finestre condizionano necessariamente la struttura centrale e il tetto quella conclusiva; sono condizioni permanenti e inattaccabili." Per la musica non esistono invece leggi naturali da invocare, da cui dedurre norme per la creazione di forme: con il che si è già dato un colpo decisivo alle funzioni strutturanti dell'armonia basata sul prevalere dei primi armonici.
Nella loro diversità, le arti hanno secondo Busoni uno scopo comune: ritrarre la natura ed esprimere sentimenti umani. La musica senza contenuto, priva di programma poetico, quella che correnti a lui contemporanee a torto definivano "assoluta", non è quindi musica. Ma non è musica neppure la musica descrittiva, la musica a programma, in cui la forma si allontana dall'essenza facendo violenza alla peculiarità del materiale. Busoni indica una terza possibilità, una terza via che si collochi al di fuori e al di sopra di queste due perché, dice, la musica a programma è altrettanto limitata e unilaterale di quei disegni a tappezzeria sonora magnificati da Hanslick.
Qui però va rilevato che la semplificazione è un po' rozza e non rende giustizia all'autore de Il bello musicale, che Busoni pur conosce a fondo dal 1885 e di cui condivide ancora molte idee: l'inclusione di tutta la musica priva di un testo poetico nel genere dei disegni atta greca o dei motivi floreali da tappezzeria, che sono bellezze libere e non rappresentano un oggetto determinato, risale notoriamente a Kant. Hanslick l'aveva accolta (cap. VII) solo in rapporto "a quel liberissimo preludiare in cui il suonatore, più riposandosi che componendo, si abbandona ad accordi, arpeggi, scalette, senza compone distintamente alcuna figura indipendente"; Hanslick aveva paragonato la musica al caleidoscopio o all'arabesco in continua autoformazione, precisando però che si trattava di attiva estrinsecazione di uno spirito artistico, e aveva espressamente postulato come un'esigenza dell'arte il contenuto spirituale: "Come creazione di uno spirito che pensa e sente, una composizione musicale ha in alto grado la facoltà di essere essa stessa piena di spirito e di sentimento." Ciò the si discuteva non era quindi l'espressività dei mezzi musicali, né la possibilità di un'emozione o di un'idea extramusicale come punto di partenza di una composizione: si negava solo la legittimità di far discendere da questo momento extramusicale o da quell'emozione i criteri di un giudizio estetico.
Per quanto non corretta, in ogni caso la semplificazione di Busoni è funzionale al discorso con cui si vuoi sostenere che la forma musicale deve avere un contenuto (rappresentare la natura, esprimere uno stato d'animo). Nel 1910 egli indica quale esempio di musica come vuota forma (o meglio di non-musica) la produzione di quelli che chiama i gotici di Chicago, Bernhard Ziehn e Wilhelm Middleschulte; pur ammirando la fattura delle loro fughe, annota che "esse rimangono senza vita perché non entrano in azione quale mezzo per rappresentare un'idea poetica o uno stato d'animo"; e nel 1915, a conclusione del II volume del Clavicembalo ben temperato ripete che la fuga ha acquistato considerazione non grazie ai suoi artifici, ma al fatto che i maestri hanno saputo svilupparli con e a favore dell'idea.
Come arriva l'idea poetica a influenzare la forma? Attraverso il motivo o tema, portatore di senso, in quanto portatore di espressione. La forma musicale è già prefigurata nel tema: le leggi del suo sviluppo vi sono già date come in un seme e non devono essere distorte da un programma esteriore. Busoni cerca qui di superare il dualismo materia-forma ricorrendo a quello di causa-effetto: causa della forma è il materiale, la forma è l'effetto del materiale: la validità di questa correlazione viene confermata nel 1917 nella risposta a Pfltzncr. Si tratta del resto di una considerazione dalla tradizione autorevole: risale a Griliparzer, che nel 1831 aveva scritto nei suoi Aesthetische Studien: "Ogni tema melodico ha una sua propria legge di formazione e di sviluppo, che per il genio autenticamente musicale è sacro e inviolabile." Hanslick l'ha poi fatta sua con queste parole (cap. VII): "Il tema musicale è come un germoglio, vera materia e contenuto di tutto il pezzo. Tutto nel pezzo è libera conseguenza ed effetto del tema, tutto è condizionato e configurato, dominato e colmato da esso" [...] "Ciò che non si trova (palesemente o nascostamente) nel tema non può essere poi sviluppato in modo organico."
Quest'idea della forma prodotta dal tema, per cui risulta fortemente compromesso anche il suo carattere accidentale, è in netta contraddizione con la libertà della musica: perché non c'è nessuna libertà, ma solo costrizione nelle leggi naturali che fanno di un organismo il risultato dell'evoluzione da un seme: la libertà tanto invocata finisce per essere in pratica strettamente circoscritta dalle qualità del materiale su cui il compositore lavora. E ancor più stupefacente è la circostanza per cui il concetto di sviluppo della forma a partire dal tema si basa su un tradizionale modo di vedere il comporre, che, per esempio, esclude automaticamente la possibilità di operare nella direzione dell'atematismo. Anche l'affermazione, secondo la quale il vero creatore tenderebbe solo alla compiutezza, si inquadra in questo ordine di considerazioni. Busoni rivela comunque di aver accolto qualcosa delle discussioni sorte in relazione alla musica di Wagner sullo sviluppo organico delle forme in contrapposizione alla loro applicazione meccanica. Nell'Entwurf si parla di forma ancora nel passaggio sulla trascrizione, dove si legge: "Ogni notazione è già trascrizione di un'idea astratta; nel momento in cui la penna se ne impadronisce, il pensiero perde la sua forma originale. L'intenzione di fissare l'idea con la scrittura impone già la scelta della misura e della tonalità" [...] "A partire dal momento della scelta, l'idea musicale viene costretta a un tipo già classificato: diventa sonata o concerto."
Qui invece che in termini di forma e contenuto; accidente ed essenza, effetto e causa, si ragiona con gli opposti concreto-astratto. L'idea non è già più un seme che genera un organismo, ma un'astrazione che prende corpo, e per di più in uno schema da riempire; già divenendo suono si deteriora. La legge ora non è più immanente al materiale, ma viene stabilita dal compositore: inspiegabilmente, perché l'affermazione secondo cui nell'incontro tra la tendenza alla perfezione e l'individualità dell'artista nascerebbe spontaneamente la legge della forma non dice, nella sua genericità, nulla, e prende atto solamente di quanto di solito avviene ove non si tratti di esercitazini scolastiche.
Con la bipolarità concreto‑astratto Busoni si lascia attrarre nell'orbita del Platonismo, nel quale rientrano l'immagine dell'armonia eterna e dell'opera d'arte come rappresentazione dell'idealità del tempo. Nell'armonia eterna si ha il risuonare di tutte le melodie possibili: quelle che si sono trovate (cioè trascritte in suoni concreti) e le altre, che non si udranno mai. Busoni, però oscilla tra Platonismo e Aristotelismo, sovrapponendo l'idea dell'eterna armonia all'infinito in potenza, contrapposto all'infinito attuale, e cercandone l'impossibile mediazione nel concetto di compiutezza: il numero delle melodie possibili in base a un sistema scelto è infatti determinato (come calcolabile è il numero di tutte le possibili serie dodecafoniche: 479.001.600). Nel passaggio dal possibile al reale, nel materializzarsi, il suono astratto cozza contro i limiti degli strumenti e postula perciò una continua evoluzione dell'arte, un'evoluzione che viene vista come un progressivo approssimarsi dell'armonia eterna: in questo quadro però l'attività dell'artista risulta descritta come una successione di scoperte (favorite dallo sviluppo delle tecniche) e non di invenzioni; per recuperare l'atto geniale, Busoni ripiega allora sulla "creazione dal nulla di una forma", in palese contraddizione, ancora una volta, con l'idea di forma organica, per cui il musicista è solo lo strumento che realizza, lungo strade tracciate deterministicamente, quanto in germe contenuto nel tema.

2. L'unità della musica
L'idea dell'unità della musica si ricollega alla sua sostanziale asemanticità. Nel 1910 Busoni aveva riflettuto sull'opportunità di riconoscere un valore di eccezione a marce e danze, le quali sembrano mantenere sempre il loro significato convenzionale; ma alla fine decide di tornare più o meno alle considerazioni del 1885, pronunciandosi per la "neutralità" della musica, cui contesto e destinazione attribuiscono il senso: dall'originaria posizione hanslickiana era passato insomma al parziale recupero dell'univocità del contenuto dell'idea musicale, che ha il suo punto di partenza nell'idea poetica; ma l'idea poetica talvolta si scontra con la convenzione, che le attribuisce una connotazione esteriore che non è la sua. Qui la riflessione si complica per l'indifferenza con cui Busoni sceglie il secondo termine della correlazione: forma è infatti opposto di contenuto, sentimento, stato d'animo, espressione, significato, umanità soggettiva: tutte le sottili distinzioni the classificano le sottospecie dell'estetica eteronoma in qualche modo trovano un'eco nei suoi scritti, al pari dell'estetica hanslickiana. Ne discende la circostanza che tanto nelle tesi di Bekker quanto in quelle di Pfitzner si riscontrano momenti discrepanti ma anche convergenze: la forma come sviluppo organico dal motivo musicale in Pfitzner, il primato dell'idea poetica in Bekker. Dall'illogico tentativo di conciliare la neutralità della musica con l'univocità semantica (per quanto eccezionale) della melodia emergono riflessi e stratificazioni di tesi romantiche in tutta la mancanza di rigore della loro rielaborazione: con la neutralità della musica siamo infatti a Wackenroder, cui risalgono molti altri motivi dell'estetica di Busoni, come per esempio la sacralità della musica, la sua capacità di essere immagine della vita, specchio del cuore e di esprimere l'essenza dei sentimenti, l'artista visto come strumento dell'arte. Nell'Ottocento, la neutralità della musica (la sua "colpevole innocenza") venne variamente considerata un vantaggio o un difetto: in quest'ultimo caso, per porre rimedio alla sua ambiguità, si rendeva necessaria la sua unione con un testo. E, in definitiva, la scelta dell'opera come unica forma musicale dell'avvenire rappresenta un approdo a Wagner, che sulla neutralità della musica la pensava allo stesso modo. Ma in Busoni è un esito dettato dalla prassi che più che dell'esigenza di eliminare contraddizioni sul piano teorico: è l'impiego, per il Docklor Faust, di brani composti in precedenza a mettere in discussione l'idea della forma come crescita organica e dell'univocità dell'espressione musicale.

3. La centralità della melodia
Su questo punto non ci sono ripensamenti: nel 1885 Busoni aveva definito il contrappunto la forma puramente musicale, in contrapposizione alla forma "proporzionale" di cui si valgono anche le altre arti; nel 1911 individuava nella polifonia la strada per realizzare l'armonia moderna; nell'Autorecensione del 1912 ripercorre il cammino che l'ha portato al rinnovamento del senso armonico per mezzo di una libera polifonia. E quanto sta scritto in proposito nella prefazione al Doktor Faust si trova già nell'introduzione al II volume del Clavicembalo ben temperato, del 1915, dove la musica contemporanea è fatta derivare da Bach in quanto "con consapevolezza sempre crescente cerca di diventare sentimento che si fa musica tramite la polifonia". A conclusione della stessa opeca si legge: "Per l'ultima volta annunzio per la musica la vittoria della melodia su qualsiasi altra tecnica compositiva: la polifonia universale sarà l'ultima conseguenza del melodismo, come generatrice dell'armonia e portatrice dell'idea [poetica]. "Ma non bisognava, avvertiva, fare confusione: si tratta di qualcosa di completamente diverso dalla pseudopolifonia della musica neoespressionista (1921), nella quale l'armonia "chiamata cacofonia dagli avversari e atonalità dai seguaci sostiene una parte privilegiata essendo stata ridotta a sistema".

4. La musica assoluta È il terzo presupposto della Nuova Classicità: nel 1885 significa ancora solo musica strumentale, il cui esempio più elevato è il quartetto d'archi. Nell'Entwurf si parla di musica assoluta in relazione al superamento della simmetria: in generale, scrive Busoni, i compositori si sono avvicinati alla vera natura della musica soprattutto nei brani di preparazione e di congiunzione (preludi e transizioni) "nei quali credettero fosse loro concesso di trascurare la simmetria e sembrano respirare, senza saperlo, liberamente"; si ruota sempre attorno al problema della forma. Nell'enunciazione dei principi della Nuova Classicità, invece, musica assoluta diviene quella che rinnega la sensualità e rinuncia al soggettivismo. La critica al soggettivismo compare anche nel 1923 in un giudizio su Bach, di cui si afferma che ha calore senza sensualità, temperamento senza nervosismo; e ancora su Wagner in rapporto a Beethoven e su Beethoven in rapporto a Mozart: il soggettivismo è dunque un portato negativo dell'arte romantica, un difetto che va tolto decisamente di mezzo. Questa denuncia è già chiaramente prefigurata nell'Entwurf nella discussione su stile, gusto e soprattutto economia, controllati da sentimento, intelligenza e senso dell'equilibrio: il richiamo era diretto, con tutta evidenza, alla musica postwagneriana e preespressionista e la loro attenzione per la sensualità. La denuncia della sensualità della musica non è isolata attorno al '20, e la si ritrova estremizzata nelle posizioni di Hauer, che ne individua il veicolo più pericoloso nel timbro, teorizzando la limitazione al pianoforte, su cui cerca di riprodurre, decantato, il colore di tutti gli altri strumenti ridotto all'intervallo tra suono fondamentale ed armonico più tipico.
Quindi, per Busoni, musica assoluta è inizialmente la musica strumentale, priva di testo; poi è assoluta la musica sciolta dalla simmetria e dal formalismo, ma anche dall'assenza di significato o di un contenuto; infine, assoluta è la musica depurata da un eccesso di espressione, soggettività e sentimentalismo. La medesima formula assume nel tempo valori diversi ed anche contrastanti.
La sua pregnanza filosofica, che appunto in quanto filosofica si presta all'ambiguità, mantiene sempre il discorso tra il ragionamento e l'immagine poetica. Ma, oltre a un giocare con le parole, si ha a che fare con una continua correzione via via che i problemi concreti si pongono.

Conclusione
Il manifesto estetico della Nuova Classicità poggia in definitiva su concetti poco chiari, usati senza troppo rigore, sviluppati da Busoni in modo non lineare nell'arco di oltre un trentennio, in una sempre fallita aspirazione alla coerenza: mutare le definizioni invece dei termini, è un povero espediente per mantenere il contatto con una tradizione illustre che non si riusciva a considerare morta. E la contraddizione già contenuta nell'Entwurf a rendere possibile quella the rappresenta indubbiamente una marcia indietro: lì abbiamo infatti anche esempi delle infinite possibilità di una musica liberata, qui invece l'inequivocabile intenzione di escludere, dai risultati su cui riflettere, gli esiti delle ricerche più originali e di porre gli altri al servizio di un rilancio dell'opera italiana. Si è spesso parlato di Busoni come di uno dei padri della Nuova Musica; ma bastano davvero, ad avvalorare questo giudizio, un'invocazione fumosa all'anarchia e al superamento delle regole di scuola, o le generiche parole di incoraggiamento ad Hába? No, come non basta qualche scambio di idee avvenuto, ma in quali circostanze?, con Varèse. Se poniamo mente al fatto che Varese rivendica tra le concezioni basilari su cui fonda il suo modo di comporre l'abolizione della melodia, per lo sgradevole gravame di narratività che inevitabilmente si trascina dietro; che considera l'opera un genere definitivamente tramontato; che esplora il campo dei rumori e indica alla musica il compito di rappresentare lo spazio, e non di esprimere sentimenti o ritrarre la natura; se poniamo mente a tutto questo comprendiamo in che misura le conversazioni tra i due musicisti siano potute risultare stimolanti: perché è proprio l'esito delle poetiche, assolutamente inconciliabili, a precisare il senso.
Da quanto siamo andati sin qui dicendo risulta:

1) fino al periodo che precede la prima guerra mondiale Busoni presenta tesi che, per quanto confuse, in qualche misura si sintonizzano con le esigenze di alcuni movimenti o di alcuni musicisti isolati innovatori: e la sintonizzazione avviene attraverso la sia pur contraddittoria richiesta della liberazione della musica da qualsiasi forma predeterminata: "Io credo al suono astratto, alla tecnica senza ostacoli, all'illimitatezza dei suoni.
Perciò ogni sforzo deve tendere a che sorga verginalmente un nuovo inizio";

2) durante il periodo bellico, probabilmente anche per giustificare psicologicamente la sua posizione di uomo incapace di scegliere, Busoni riprende in considerazione essenzialmente il problema formale: problema formale è anche quello che gli permette di adattare il suo atteggiamento nei confronti della guerra nei termini di un atteggiamento estetico e quindi etico, e dunque impossibilitato a incorrere in un giudizio di falsità o di verità. Di qui l'inevitabile rivalutazione, (dell'elemento formale); si trattava di vedere come uscirne nel modo meno indecoroso: non è un caso, né niente di assolutamente abissale, ma il tentativo di risolvere profondi complessi di colpa, la circostanza che Busoni cerchi Berlino per riproporre l'antica opera italiana, vada cioè a sostenere una tesi nel posto meno adatto, per continuare ad essere isolato e poter così, nella peggiore delle ipotesi, lasciarsi come indicazione ai posteri nella figura del grande incompreso. Ma l'obiettivo finale, "il vaglio e lo sfruttamento di tutte le conquiste di esperienze precedenti, il racchiuderle in forme solide e belle" può essere raggiunto proprio perché, probabilmente in modo involontario, già nell'Entwurf era stata lasciata aperta la porta anche a questa soluzione.
E pertanto la Junge Klassizität ha anche, tra le cause prime, l'origine di un processo ludico consistente nel tentativo di uscire dall'antinomia del teorizzare in tedesco pensando in italiano; e tra le cause seconde un tentativo di autocritica, di insegnare, mezzo Eckhart e mezzo Faust, che l'ora del misticismo non è quella espressa in italiano (cioè quella che volge al desio e ai naviganti intenerisce il core) ma quella inesistente del trapasso improvviso, senza tramonto e senza alba, realizzata sul palcoscenico della magia. E questo spiega anche la musicale sessuofobia, indubbio penoso retaggio delle depressioni e dell'ipomaniacalismo euforico causati, e in un circolo vizioso combattuti, dalla più antica delle medicine, sì che il cerchio magico vorrebbe tenere lontani i demoni della ciclotimia e nello stesso tempo essere la sua rappresentazione sublimata.