Laureto Rodoni

«Die gerade Linie ist unterbrochen»
L'esilio di Busoni a Zurigo: 1915 - 1920


Una dozzina di lettere dell'esilio

Due lettere con note a ETTORE COSOMATI e al figlio RAFFAELLO


Die Schweiz ist die Zuflucht all derer,
die einen neuen Grundriss im Kopfe tragen.
Sie war und ist jetzt, während des Krieges,
der grosse Naturschutzpark, in dem Nationen
ihre letzte Reserve verwahren. [...]
Von hier, von der Schweiz aus wird sich
Europa wieder beleben.
[Hugo Ball]

Questo articolo, basato sulla relazione che ho tenuto il 24 ottobre 1998 al Monte Verità (Ascona) nell'ambito del Convegno su "La Svizzera Terra d'Asilo", è una piccola parte e il primo frutto di una ricerca in corso sull'esilio di Busoni a Zurigo. L'argomento è infatti di tale vastità e complessità che non è possibile una trattazione esaustiva in un ristretto numero di pagine. Ho quindi privilegiato solo alcuni aspetti, in primis e in modo approfondito il rapporto conflittuale ma nel contempo fecondo con la città che Busoni scelse come rifugio durante gli anni della guerra. Altri aspetti, come l'attività concertistica in Svizzera, il rapporto con il «Freundeskreis» zurighese e con gli amici rimasti nella loro patria, il modo con cui la critica svizzera ha accolto le sue opere e ha giudicato il suo modo di suonare, il suo repertorio pianistico in terra d'asilo sono stati soltanto introdotti o appena sfiorati: essi saranno approfonditi in pubblicazioni future. Quanto ai criteri filologici, i brani delle lettere busoniane scritte nella lingua originale sono citati nel rispetto rigoroso del testo. In particolare, si segnala che i numerosi errori ortografici che Busoni commette quando scrive in francese (consistenti soprattutto nella dimenticanza degli accenti) non sono stati corretti, anche quando la trascrizione è stata fatta a partire da copie dattiloscritte. Si è però evitato l'uso sistematico del [sic] per non compromettere la scorrevolezza del testo. Quasi sempre le sottolineature presenti negli originali sono state sostituite dal corsivo. Ringrazio gli amici che mi hanno incoraggiato e aiutato. Dedico questo lavoro alla memoria mio padre Oliveto, che mi ha trasmesso l'entusiasmo per la ricerca.

L'articolo completo, provvisto di 350 dense note che costituiscono quasi un testo parallelo, con innumerevoli spezzoni di inediti busoniani , è in vendita [available].


Dallo scoppio della guerra all'arrivo in Svizzera

Ai primi di agosto del 1914 Ferruccio Busoni era a Berlino e stava lavorando all'edizione delle opere di Bach per pianoforte. Non fu subito impressionato dalla notizia dello scoppio della guerra: soltanto nelle settimane successive si rese conto dell'ampiezza e della gravità di un evento che avrebbe sconvolto la sua vita sul piano umano e, in parte, su quello artistico. Convinto antimilitarista, Busoni considerava le guerre accadimenti immorali e nefandi, massacri insensati, «orrori organizzati». La vita individuale aveva ai suoi occhi un tale valore che né lo Stato né le ideologie potevano esigerla e abbreviarla. Ripugnanza, sdegno e ribellione furono i sentimenti che a poco a poco si insinuarono nel suo animo, lacerandolo: «Dovunque volgo lo sguardo» - scrisse nel breve diario berlinese - «vedo le stesse cose. In alto avidità, in basso stoltezza, in mezzo tanta sete di sangue - bestialità scatenata.» La fede incrollabile nella missione universale della cultura e dell'arte acuì il suo sconforto: egli dovette prendere atto con dolore che esse non solo erano impotenti di fronte alla barbarie bellica, ma che intellettuali e artisti europei di primo piano sostenevano il diritto dei loro governi di schiacciare gli avversari. «In questo momento non mi sento più la forza di costruire altari; di essere architetto, sacerdote e comunità solo per me stesso e in una persona» - continua Busoni nell'appunto citato e Paul Gilbert Langevin osserva acutamente a questo proposito:

Il se sent de plus en plus l'âme d'un philosophe et d'un prophète, mais sa parole se perd dans le désert. Cela n'a rien pour surprendre: un artiste qui fait de son art une religion d'où les considérations d'intérêt matériel sont absentes n'est qu'un illuminé s'il ne dispose d'aucun moyen de se faire entendre, mais devient un véritable danger quand il possède l'audience et le talent d'un Busoni. Le compositeur s'abstient scrupuleusement d'aucune prise de position politique, mais refuse de jouer en public dans un pays belligérant.

Qualche mese prima dello scoppio della guerra Busoni aveva programmato un viaggio negli Stati Uniti. Per tutto l'autunno del '14 fu titubante. Prese infine la decisione di onorare il contratto stipulato con le istituzioni musicali americane, anche per avere il tempo di riflettere sul da farsi: restare in Germania, trasferirsi in Italia o esiliarsi in un paese non toccato dalla guerra? Dall'America scrisse agli amici europei lettere intrise di nostalgia, delusione, amarezza e dubbi: questi stati d'animo non incrinarono tuttavia i fermi propositi di portare a compimento i suoi progetti artistici. Durante l'estate il profondo disgusto nei confronti degli Stati Uniti gli fece prendere una decisione irrevocabile: tornare in Europa e stabilirsi in Svizzera, in terra d'asilo quindi.
È opinione corrente che si sia trattato di esilio volontario. Ma il problema è più complesso di quel che possa apparire a prima impressione. Busoni fu definito da Paul Bekker una «Grenznatur», ossia un uomo e un artista di frontiera, al confine non soltanto tra esecuzione (l'attività di pianista e di direttore d'orchestra) e creazione (l'attività compositiva), tra il culto della tradizione (Bach, Mozart, Liszt, Verdi…) e l'anelito verso il nuovo (la politonalità, l'atonalità, i terzi di tono...), ma anche e soprattutto tra la cultura germanica e quella latina: la profonda assimilazione di queste due culture in ogni ambito (musicale, letterario, pittorico, architettonico...) non determinò, almeno in apparenza e fino allo scoppio della guerra, dissidi o lacerazioni interiori né sul piano umano, né su quello artistico; anzi, come acutamente rilevò Willi Schuh,

die Spannung zwischen romanischem und germanischem Wesen wurde in ihm ebenso fruchtbar wie die zwischen klassischer und romantischer Geistigkeit und wie manch andere noch, die dem an Widersprüchen reichen Bild seiner Persönlichkeit das Sprühend-Lebendige, das im Geistigen gleichsam Vibrierende geben.

Tuttavia, sebbene dichiarasse spesso, senza esitazioni e con orgoglio, di sentirsi latino nell'animo e fosse sempre intenso, anche se tormentato e contradditorio, il legame con l'Italia e le sue istituzioni musicali, Busoni aveva maggiore familiarità con la lingua, la cultura e la forma mentis germaniche. La padronanza del tedesco (da lui stesso definita «eine Sprache in der ich mich sicherer bewege»), in particolare del registro aulico-letterario e dei sottocodici artistico-estetici, era superiore a quella dell'italiano e delle altre due lingue, francese e inglese, di cui pure aveva un'ottima conoscenza: egli scrisse infatti i saggi teorici, i libretti d'opera e gran parte delle lettere in tedesco e non prese mai seriamente in considerazione la possibilità di tradurre in italiano i testi che avrebbe poi musicato, proprio perché la sua limitata competenza nell'ambito del linguaggio poetico non gli consentiva di raggiungere risultati esteticamente soddisfacenti.
Se il tedesco (lingua e tradizione letteraria) stava alla base della sua creatività, non altrettanto riconoscibile era la sua patria, poiché amava definirsi cittadino del mondo o, più spesso, d'Europa. Inoltre, seppure in maniera diversa rispetto all'amico Rilke, se non altro perché il viaggio (la tournée) era una delle componenti essenziali della sua professione di pianista, Busoni era un viandante inquieto, tormentato, incapace o non disposto a mettere radici in una patria istituzionale. Come Rilke, riteneva che il luogo della nostra nascita fosse di fatto provvisorio e che il vero luogo della nostra origine spirituale non si potesse ridurre a formule etniche, poiché esso si compone in noi a poco a poco, grazie all'esperienza di vita, alla formazione, alla cultura ma soprattutto all'arte.
Egli, tuttavia, in tempi in cui la profetica «gefahrdrohende Miene» manniana si era trasformata in violenza bruta, non poteva non tener conto del contesto storico in cui viveva ed era anche per lui inevitabile una "scelta di campo". Nella drammatica situazione provocata dalla guerra, il concetto di patria non gli era quindi estraneo ed è indubbio che quella d'elezione (la Germania) avesse per lui una rilevanza maggiore rispetto a quella istituzionale (l'Italia). Ciò non significa ovviamente riproporre la «consunta storia di una sua germanofilia»: significa soltanto affermare che egli, in quel periodo storico, non avrebbe potuto vivere stabilmente in Italia, sia per l'arretratezza culturale del suo paese, sia per il modo col quale venivano gestite le istituzioni musicali, sia per i gusti musicali del pubblico italiano, «mal educato alla purezza, ed incapace di riconoscere in essa la grandiosità e la perfezione», sia infine perché ciò avrebbe compromesso irreparabilmente i suoi rapporti futuri con la Germania, con Berlino in particolare.
Questa consapevolezza, unita all'intima convinzione che «l'esilio [...] non è penoso come vivere soli in patria», non soltanto lo indusse, ma lo costrinse a stabilirsi in un paese non belligerante, equidistante dalle due nazioni che ormai lo consideravano con ostilità e dalle quali era contemporaneamente respinto, come persona non grata. Se è esagerato definire coatto il suo esilio, non mi sembra d'altra parte plausibile considerarlo del tutto volontario: nel caso di Busoni, queste due componenti, benché antitetiche, paradossalmente coesistono. Dipendente dalla sua volontà fu semmai la scelta del luogo in cui trascorrere gli anni della guerra. Ed egli scelse la Svizzera perché essa si trova nella "sua" Europa e non era martoriata dalla guerra: infatti, fedele alla sua tradizione secolare, «aveva notificato agli Stati belligeranti la ferma decisione di rimanere neutrale».

Busoni lascia definitivamente gli Stati Uniti ai primi di settembre del 1915 insieme alla moglie Gerda e al secondogenito Raffaello. Sbarca a Genova il 10 settembre esausto e ammalato; si reca poi a Milano dove resta due settimane in attesa del passaporto per poter uscire dall'Italia. Nel frattempo il Conte di San Martino, presidente dell'Accademia di Santa Cecilia, gli offre la nomina di professore di pianoforte a Roma. Busoni decide di non accettarla, dichiarando di non essere adatto per una tale mansione, ma anche di ritenerla non sufficientemente prestigiosa. In realtà, tali motivazioni sono secondarie se confrontate con quelle, in parte inconfessabili, elencate in precedenza. Ottenuto il passaporto, parte per Losanna dove Émile Blanchet, pianista e compositore, suo ex allievo, lo ospita. Ne informa subito la baronessa Jella Oppenheimer:

Ora sono qui, convalescente; sto riacquistando le forze per prendere delle decisioni. Per il momento poco posso decidere, così poco come tutti gli altri. Quanto va perso! Ma tento di fare quello che posso e a New York sono riuscito a fare alcune cose che non sono del tutto da buttar via! Infatti: che cosa, se non l'arte, sopravvive a tutte le guerre?

Avverte acutamente in questo periodo la mancanza di una patria. In una lettera scritta qualche giorno dopo da Zurigo, Busoni confida alla baronessa: «Ella dice che non ho segnato confini angusti alla mia patria, ma in realtà il risultato è che non ho alcuna patria (ne vado prendendo coscienza qui). Così soffro doppiamente.» Tuttavia, dopo poche righe, si nota che il suo stato d'animo, incupito dalle incertezze, comincia a rasserenarsi:

Sono stato accolto qui con grandissimo affetto e ho trovato degli amici in persone da cui non me lo sarei aspettato, di modo che la mia mancanza di una patria appare alleviata in un paese, in cui non avevo posto grandi speranze. [...] La mia vecchia anima, quasi scomparsa in America, vibra in me come nei tempi andati. Prendiamo questo momento come un nuovo inizio. Questa volta proprio definitivo.

Anche ad Arrigo Serato esprime sorpresa per il modo con cui è stato accolto: «La piccola Svizzera, a cui mi credevo perfettamente estraneo, fece a gara per rendermi omaggio, appena mi seppe soggiornante dentro i suoi confini; ne sono sorpreso e riconoscente.» Questa calorosa accoglienza e la consapevolezza che la Svizzera, il primo paese in cui trovava «un atteggiamento di assoluta incomprensione di fronte alla guerra», gli avrebbe offerto tranquillità e lavoro, lo indussero a restare.

I primi mesi a Zurigo

Ai primi di ottobre si trasferì a Zurigo, dove affittò un appartamento in Scheuchzerstrasse 36.
Perché non rimase a Losanna? Perché la scelta cadde su Zurigo e non su Basilea (dove abitava l'amico musicista Hans Huber), su Ginevra (dove insegnava un altro grande amico, José Vianna Da Motta), su Berna (dove conosceva il compositore e direttore d'orchestra Fritz Brun) o su altre città svizzere? La risposta è contenuta in una lettera inedita all'amico parigino Isidor Philipp: «J'ai choisi Zurich pour mon séjour, la ville étant au présent la plus international de la Suisse, et parce qu'elle m'offrait plusieurs occasions artistiques.» In effetti Zurigo, dopo lo scoppio della guerra, «era uscita dal suo silenzio ed era diventata da un momento all'altro la più importante città europea, centro di tutte le correnti intellettuali.» Lo scrittore franco-tedesco Yvan Goll, definì «aufregende Jahre» e «eine grosse bedeutende Zeit» il periodo della Grande Guerra sulle rive della Limmat, mirabilmente rievocato da insigni testimoni, quali lo stesso Goll, Stefan Zweig, Leonhard Frank, Hans Richter, Hugo Ball, Elias Canetti e Otto Luening. Se sono ben note le efficaci e commoventi pagine che Zweig, amico di Busoni, dedicò a Zurigo, meno conosciute sono le testimonianze degli altri artisti citati. Tutti mettono in rilievo la relativa, ma per quei tempi eccezionale e quindi molto apprezzata, libertà di parola e di azione di cui l'artista godeva in questa città. Scrisse per esempio Leonhard Frank:

Hier schien selbst in der Luft etwas zu sein, das es in Deutschland nicht gab, die Menschen in den Strassen hatten eine andere Haltung und blickten anders, und der Gesichtsausdruck war ruhig. Es schien, als hielten sie das Grundrecht, zu leben und zu sein, wie sie waren, für eine Selbstverständlichkeit. War es Freiheit? Auch die würgende Armut, die den Rücken krümmt und das Auge trübt, schien es hier nicht zu geben, auch der Trambahnschaffner hatte eine gesunde Gesichtsfarbe und ein klares Auge. War hier die Verteilung der Güter vernünftiger? Jedenfalls schienen hier, in der demokratischen Schweiz, die Menschen frei zu atmen. [...] Auch aus Frankreich und Deutschland trafen mehr und mehr Kriegsgegner ein, die glaubten, in der Schweiz wirksamer gegen den Krieg arbeiten zu können. Die fremden Vögel, aus den verschiedensten Gründen durch den Krieg in die Schweiz gespült, hatten das Strassenbild, besonders in der eleganten Bahnhofstrasse, verändert und mit Unruhe durchsetzt. Hotels und Cafes waren überfüllt.

Yvan Goll, più di trent'anni dopo rievoca commosso la magica atmosfera che si creava in uno dei locali pubblici frequentati da intellettuali e artisti:

Gerade in dieser Rotunde des Café Terrasse schienen mir von allen Ecken liebe Schatten herüberzuwinken mit denen wir die aufregenden Jahre von 1914 bis 1918 durchlitten und durchlebten. Am linken Ecktisch die Else Lasker-Schüler, die ich vom Café des Westens in Berlin noch kannte, wo ich zur Schar und zum Gefolge des Prinzen von Theben gehörte: ein paar Wochen lang war ich ihr Favorit gewesen. Nicht fern von ihr der schöne prophetische Ludwig Rubiner, der Seiten aus seinem «Mensch in der Mitte» vorlas - am Abend, in der Hadlaubstr. Als unser Nachbar, gab er seine Anmerkungen in privatestem Kreise. Am Nebentisch, im Terrasse, war der gewittrige Leonhard Frank aufgestanden, dessen Buchtitel «Der Mensch ist gut» die züricher Literatenwelt verblüffte. Kam da nicht Albert Ehrenstein, seinem provisorischen Irrenhaus entsprungen, in dem er vor allen Kriegspflichten geschützt war? Hugo Ball und Emmy Hennings schauten flüchtig herein. Aber Tristan Tzara, der drüben in der Schifflände wohnte, lancierte mit sicherem Blick seine Dada-Bewegung. Wilhelm Lehmbruck liess sich selten blicken und Elisabeth Bergner erlebte, nicht hier, aber im nahen Stadttheater, ihre ersten Erfolge. Ich wundere mich immer, warum noch niemand über diese Zeit geschrieben hat.

Non solo l'inusitato aspetto internazionale della città convinse Busoni a stabilirsi sulle rive della Limmat: anche la presenza di Volkmar Andreae, insigne musicista e dinamico operatore culturale, che il grande pianista conosceva superficialmente e con cui era in contatto per motivi di lavoro dal 1907, influì non poco sulla sua decisione. Infatti la citata lettera a Philipp così continua: «[Zurich] m'offrait plusieurs occasions artistiques, par exemple la direction de la seconde moitié des Concerts d'Abonnements, pendant laquelle le chef d'orchestre regulier est appelé à son service militaire. (Le Dr. Andreae est commandeur de Bataillon.)»
Questo colto e lungimirante musicista, figlio di madre italiana ma di solida cultura germanica era «temperamentally attracted towards Busoni's Italian character» e divenne subito, dall'ottobre del '15, un insostituibile punto di riferimento nella città del rifugio non solo sul piano artistico e professionale, ma anche su quello umano. «Dispregiatore di ogni meschina vanità personale», come lo definì Guido Guerrini, capì immediatamente quale importante ruolo culturale avrebbe potuto svolgere Busoni sulle rive della Limmat e, senza esitazione, si adoperò affinché l'esule fosse integrato nella vita musicale cittadina e messo nelle condizioni migliori per svolgere tutte le sue molteplici attività culturali e artistiche:

Wenn ich an Ferruccio Busoni zurückdenke, erinnere ich mich vor allem [...] an den Besuch Busonis im Jahre 1915, wo er erklärte, dass er sich entschlossen habe in die Schweiz überzusiedeln, und uns Schweizer bat, ihm Obdach zu gewähren. Vorher hatte ich Busoni nur als Künstler und geistvollen Menschen gekannt. Hier kam er als Mensch, der, von den Kriegswirren gehetzt, tränenden Auges um Hilfe bat. Noch selten hat mich ein Ereignis so ergriffen und zugleich erfreut: ergriffen durch die Unbeholfenheit dieses grossen Mannes, erfreut, Busoni nunmehr den Unsrigen nennen zu können.

Volkmar Andreae fu una sorta di tenace ma discreto e paziente regista dell'attività di Busoni a Zurigo. Dopo poche settimane, grazie al suo carisma, non ebbe difficoltà a convincere l'orchestra della Tonhalle, di cui era direttore stabile, a eseguire informalmente una composizione che Busoni si era portato dall'America, per permettergli di affinarne l'orchestrazione. Egli diresse regolarmente e con convinzione i più importanti pezzi sinfonici dell'esule, tra cui due prime assolute; gli agevolò i contatti con la Tonhalle e intervenne in prima persona quando si presentavano problemi legati alle date dei suoi recital o al suo onorario. I frequenti incontri in Scheuchzerstasse 36, nella villa dello stesso Andreae, nei ritrovi pubblici della città e alla Tonhalle, la leale collaborazione artistica e la stima reciproca fecero nascere un profondo rapporto di amicizia che le divergenze di opinione su questioni musicali non riuscirono mai a incrinare. «Andavamo d'accordo, penso» - gli scrisse Busoni nel 1923 - «e, in fondo, abbiamo vissuto cinque anni in un'unione spirituale, che non si può cancellare dalle nostre biografie!»
Forse Andreae si mise in contatto con Busoni mentre questi si trovava ancora a Losanna proponendogli attività concertistiche e direttoriali piuttosto allettanti, artisticamente e finanziariamente, in tempo di guerra:

Mi hanno offerto un ciclo di quattro serate di pianoforte a Zurigo, e lo stesso a Basilea. Altro ciclo di quattro concerti sinfonici a Zurigo come direttore d'orchestra, più tre scritture regolari come solista a Zurigo, Basilea e Berna: tutte in un fascio e formando una concatenazione di mie esecuzioni musicali. E quel che vale assai: il tutto fu risolto nel corso d'una mezz'ora! Queste quindici serate comprenderebbero uno spazio di tempo dal 15 gennaio al 4 d'aprile. Io ho accettato in massima, riservandomi la libertà di ritirarmi, qualora i progetti di Roma si rivelassero più importanti.

In questo periodo non soltanto sembra attribuire maggiore importanza a impegni concertisti in Italia, ma riaffiora anche il desiderio di stabilirsi nella sua patria se gli venisse offerto un incarico prestigioso, come risulta da questa lettera a Serato: «Capirai che io non verrei a Roma per far ivi una parte secondaria e che sarebbe peccato di sopprimere le mie capacità e possibilità artistiche, che ora si trovano nel loro pieno sviluppo.» La risposta dell'amico violinista, pur sfumata, lascia però adito a poche speranze: «L'ambiente musicale che qua si va formando, lo credo abbastanza buono ma si riuscirà a dare vita a tutte le buone intenzioni?» Dall'Italia Busoni si attendeva, con trepidazione, un segno di riconoscimento del suo ruolo nell'ambito del rinnovamento della musica italiana. Anche questa speranza si sarebbe ben presto rivelata un'illusione:

Mi addolora di esser tenuto lontano da un movimento di cui, per le mie massime musicali, dovrei trovarmi alla testa, mi addolora di vedere abbreviarsi di ora in ora il tempo, che la mia vita mi lascia a disposizione per un tal compito, e temo che si faccia tardi. [...] Ma l'Italia, teme essa di compromettersi, quando si accinge a rendermi un po' di giustizia, così in parentesi?

Sulla base dei documenti citati in precedenza, non si può escludere che Busoni, nel suo intimo, fosse consapevole del fatto che, dopo la negativa esperienza bolognese, i suoi tentativi di riavvicinamento all'Italia per svolgervi un ruolo musicale di primo piano, si sarebbero rivelati vani poiché i tempi non erano ancora maturi: «le pesanti barriere delle diffidenze, degli equivoci nazionalistici» - osserva Michele Porzio - «riducevano Busoni a un alfiere appena mascerato della cultura tedesca.» Dalle lettere di questo periodo si ricava inoltre l'impressione che avanzasse richieste difficilmente accettabili, come se desiderasse inconsciamente che fossero rifiutate.
Definitivamente accantonato il progetto di stabilirsi a Roma, torna a concentrare i suoi sforzi nell'organizzazione dell'attività concertistica per la primavera del '16. Il 19 novembre può finalmente comunicare a Serato di essere riuscito «a distribuire le date in modo da non mancare a nessun invito».

I primi mesi dell'esilio in terra elvetica si snodano quindi nello sforzo di abbattere la parete di solitudine, di isolamento e di dolore che la nuova situazione ha innalzato. Il musicista è proteso verso il futuro e aperto al mondo circostante: egli si sforza di ricreare una nuova rete di relazioni, approfondendo da una parte la conoscenza con persone che prima della guerra non appartenevano al suo Freundeskreis (V. Andreae, H. Huber e J. Vianna Da Motta), dall'altra instaurando nuovi legami di amicizia, in particolare con il Marchese Silvio della Valle di Casanova e il musicista franco-spagnolo Philipp Jarnach.

Busoni conobbe il Marchese a Zurigo ai primi di dicembre. Diversi i motivi che lo indussero a entrare in contatto con questo poliedrico Kulturmensch: la sua raffinata cultura germanica, il fatto che fosse pianista, allievo di Liszt a Weimar, e che possedesse una cospicua collezione di autografi lisztiani, tra i quali la prima versione della Danse macabre, di cui Busoni voleva curare l'edizione. Da questo breve incontro zurighese nacque una solida e profonda amicizia, fondata sulla reciproca stima, che si consolidò ulteriormente durante la permanza di Busoni a Pallanza nel giugno del 1916, nonostante le divergenze in ambito estetico.

Saputo da Carl Flesch che l'insigne pianista si trovava a Zurigo, Philipp Jarnach gli scrisse una lettera l'8 dicembre, manifestandogli il grande desiderio di conoscerlo personalmente: «Ich hege den grossen Wunsch, Sie persönlich kennenzulernen, und würde mich unendlich freuen wenn Sie mir gestatten, Sie zu besuchen.» L'incontro avvenne sicuramente nel corso dello stesso mese e fu molto importante per la vita di entrambi i musicisti, sia sul piano umano, sia su quello artistico. Jarnach divenne ben presto, nonostante la giovane età (nel 1915 aveva 23 anni) non solo un prezioso assistente del compositore, ma anche una sorta di alter ego del maestro, sostituendo in questo ruolo il pianista Egon Petri, che abitava troppo lontano da Zurigo in quel periodo. Busoni fu subito colpito dall'intelligenza del suo giovane assistente e dalla facilità con cui si destreggiava nei meandri delle sue composizioni. Ne fece un efficace ritratto in una lettera a Vianna Da Motta nel giugno 1917, dopo più di un anno di amicizia e collaborazione:

È spagnolo di nascita, educato a Parigi e di mentalità tedesca, ha un'intelligenza che a una grande rapidità unisce una grande chiarezza nell'afferrare e ordinare le idee. Mi è stato di aiuto, ha fatto la riduzione per canto e pianoforte delle due opere e le insegnerà anche ai cantanti; infatti, su mia proposta, è stato assunto dal Teatro municipale di Zurigo. [...] Inoltre gli piace molto la 'teoria', e spesso spiega a me i miei lavori. Parla un francese perfetto e un tedesco da persona colta. - Voilà Philippe! (È un ottimo pianista).

Qualche mese dopo, Jarnach inviò al maestro una lettera che documenta l'importanza del loro incontro e della loro conseguente amicizia:

Ich vergegenwärtige mir genau wie es war, als ich das erste Mal zu Ihnen kam: sie traten im entscheidenden Moment in mein künstlerischen Leben, im Augenblick wo ich, im Besitze einer gewissen Kompositionstechnik gelangt, ziemlich ratlos im Chaos jüngsten Überlieferungen hin und her schwankte. Sie lehrten mich vor allem das Eine: die unabänderdlichen Wertmesser der Kunst zu erkennen. Das hätte mir aber kein Andere schenken können.

Alla fine del 1915, nonostante l'imponente mole di lavoro che aveva svolto e le nuove amicizie che aveva allacciato, Busoni fece un bilancio amaro del primo anno di esilio. Scrisse infatti a Petri il giorno di Santo Stefano: «Dal tuo angolino tranquillo, non puoi capire che cosa significhi essere scaraventato di qua e di là! Essere privati di tutte le nostre care, belle abitudini, interrompere quello che si era felicemente iniziato. E ancora è andata in modo relativamente tollerabile.» E il giorno di San Silvestro a Edith Andreae: «[...] ho trascorso ormai un anno ininterrottamente lontano dalla Sua città. Se anche non significasse altre che la rinuncia a una cara abitudine, sarebbe già molto. Ma è di più. Spero che la Sua vita non ne sia stata altrettanto sconvolta.»

Il leitmotiv epistolare della linea interrotta

Il frammento epistolare che intitola questo articolo, nel suo contesto riferito agli anni che Busoni trascorse lontano da Berlino a causa della guerra, palesa proprio questa condizione di sofferenza interiore, di disagio esistenziale, che fu sempre latente durante l'esilio e che affiorava cronicamente provocando sconsolati ripiegamenti su se stesso (soprattutto quando si rendeva conto che la speranza di un rapido ritorno in Germania si affievoliva sempre più) oppure scatenando amari sfoghi epistolari o verbali dinanzi ad allievi e amici, «agghiacciati testimoni» - come scrisse Jakob Wassermann - «del suo dolore e della sua titanica ribellione contro un evento mondiale che gli appariva del tutto insensato»:

Der Gedanke, dass Italien, sein Vaterland, und Deutschland, seine geistige Heimat, miteinander Krieg führten, war ihm nahezu unerträglich. Er fühlte sich hüben und drüben unverstanden oder doch missverstanden und war zerrissen zwischen zwei Sehnsüchten, die sich nicht erfüllen liessen.

Busoni, pur trovandosi in un paese non belligerante, sentì sulla pelle, ma anche nelle viscere la "pesantezza" di quei tempi lugubri: perciò la sua angoscia non era soltanto connessa al terrore di un'afasia creativa che avrebbe potuto colpirlo, come colpì altri artisti in quel tempo, per esempio Rilke e Wolf Ferrari; essa era anche, e forse soprattutto, suscitata dalla sua acuta sensibilità immersa nelle tragedie di allora:

Ah, questi benedetti nervi strapazzati dalla guerra! Ognuno ne è tocco, secondo la sua indole. Fra i miei amici uno, a quarant'anni, ha abbandonato la sua professione di musicista e si dedica all'acquarello - un altro si è fatto psico-analitico; il poeta Rilke, che fù [sic] da me una settimana fà [sic], non ha scritto neanche un verso durante questi cinque anni; il romanziere Wassermann, che vidi ierl'altro, è inaccessibile al punto da far pena a chi lo ascolta; pur essendo rimasto attivo e lucido.

Anche la miseria, conseguenza inevitabile degli eventi bellici, lo scuoteva sin nel profondo del suo animo. Fu per esempio a tal punto impressionato dagli scioperi del 1919 in Inghilterra, che scrisse ad Ettore Cosomati: «Nessuno trova la capacità di concentrarsi e d'astrarre dalle miserie che lo circondano, che lo seguono ad ogni passo della vita giornaliera.»
Se poi si aggiungono la forzata lontananza dall'ambiente domestico e dalle «Gewohnheiten», ossia dall'insieme delle abitudini che rendono gradevole e insostituibile un luogo; l'interruzione coatta del rapporto vivificante con la propria città, con gli amici, con i volumi della raffinata biblioteca privata; infine l'impossibilità di fare lunghi viaggi, di esplorare le grandi città, appare chiaro il significato che «unterbrochen» assume se riferito alla «gerade linie» della sua vita: sul piano esistenziale l'esilio fu senza dubbio un troncamento che provocò una dolorosa lacerazione interiore. «Mein Leben hat einen Riss, und oft erkenne ich es kaum als das eigene», scrisse per esempio a Kestenberg nell'ottobre del '15. Metafore come Riss, Amputation, wegschneiden, unterbrechen, gerade Linie, ligne droite, filo della vita, troncare, amputare e altri vocaboli semanticamente in relazione con il concetto di "interruzione", possono essere considerati i tasselli centrali di un vero e proprio lessico dell'esilio, una sorta di sottocodice linguistico, di cui Busoni si serviva nelle parti introspettive delle lettere agli amici più cari, scritte a partire dal gennaio del 1915.
Pur avendo dichiarato con rabbia, in America, che non si sarebbe mai rassegnato alla criminale amputazione della sua vita, le conseguenze che questo troncamento ebbe sulla sua stabilità psichica, sulla sua identità e sulla sua Weltanschauung furono, soprattutto nei primi tempi, devastanti: come uomo, Busoni si rese conto improvvisamente di non avere una patria in cui riconoscersi e di cui in quel tragico momento sentiva il bisogno; come Kulturmensch cominciò a vivere drammaticamente l'appartenenza a due culture diventate ormai antitetiche nel contesto storico in cui si trovava. «A chi appartengo?» - chiese un giorno angosciato a Stefan Zweig. - «Quando la notte sogno, mi accorgo al destarmi di aver parlato in sogno in italiano. Ma se poi scrivo, penso parole tedesche.»

Questi furono alcuni dei motivi che incrinarono sin dai primi mesi il rapporto di Busoni con la città del rifugio, sebbene essa gli garantisse tranquillità e lavoro e, come detto, la vita culturale e artistica fosse in quegli anni ricca ed effervescente come mai lo era stata prima.
L'evento culturale più importante del periodo bellico fu senza dubbio la nascita del
dadaismo. Pur non condividendo i principi teorici su cui questo movimento artistico d'avanguardia si fondava, Busoni partecipò, come spettatore, ad alcune serate ed ebbe anche l'occasione di discutere su problemi artistico-estetici con artisti dada:

Als ich ihm [...] vorgestellt wurde, sass er vor dem Hauptbahnhof in Zürich auf dem Rande des weder alten noch romantischen Kaspar Escher-Brunnens. [...] An diesem Brunnen empfing er. Wir standen um ihn herum: Rubiner, Hardekopf, Musiker und Schriftsteller, und diskutierten über Kunst und Krieg, Musik und Menschen.

Si trattò comunque di coinvolgimenti sporadici, che lo lasciarono indifferente, poiché, e il fatto è molto significativo, nelle numerosissime lettere di quel periodo non si trovano resoconti o accenni a quelle serate o agli incontri con i dadaisti. Zurigo, unanimemente considerata in quegli anni «the international cultural center of the world», gli appariva troppo piccola, provinciale, prevedibile, «velata di noia». Tutta la Svizzera era ai suoi occhi «eine Art Sanatorium» e già nel 1917 confidò a Da Motta che non aveva quasi più nulla da offrirgli. Busoni era inoltre infastidito dalla mentalità angusta degli zurighesi e degli svizzeri in genere. Da Parigi, a guerra conclusa, scrisse infatti a Jarnach:

Dopo la vita da sanatorio di Zurigo, Parigi ha un effetto liberatorio. [...] Lo stile di vita libero e signorile è per me come un ritorno a casa, tanto mi è familiare e tanto a lungo mi è mancato. Qui non si tien conto di quanti anni ha una persona, né di quanto spende, né se è visto in compagnia di una signora, né se sale in automobile. Io sono stato allevato in questo stile da gran signore, e non ho mai potuto assuefarmi all'idea che sia biasimevole, come pretendono gli zurighesi. Sin da piccolo mi è stato insegnato a non dar mai a vedere se fossi ricco o povero. (Ero povero e mi ritenevo ricco). E questo calcolare fino al centesimo quanto uno possiede e come si comporta nella vita pubblica e privata, è estremamente offensivo. È una prassi normale in Svizzera, persino ufficiale.

Lo irritavano infine il perbenismo, l'eccessiva prudenza, l'immobilismo, a proposito del quale scrisse: «[...] il cambiamento di temperatura <è> l'unico cambiamento a cui si assista qui.»
Zurigo, apparendogli sotto la luce deformante dell'amarezza e della rabbia impotente, divenne una sorta di capro espiatorio del suo disagio e della sua sofferenza interiore. Solo sporadicamente appaiono nelle lettere apprezzamenti per la presenza di grosse personalità: «Alle Nationen und Berufe sind im Augenblick hier versammelt» - scrisse nell'estate del '16; - «das gibt ein gutes Publikum und ein lebhaftes Bild.» E l'anno seguente: «[...] molte eccellenti e rinomate persone sono qui riunite. In questo momento Z[urigo] è una città importante.» Ma subito dopo aggiunse un significativamente sospeso «ciò nonostante...» che rivela come la mancanza della "sua" Berlino fosse per lui incolmabile.
Paradossalmente a Zurigo aveva nostalgia dei lunghi, spesso detestati viaggi a cui lo costringeva la sua attività di pianista; quei viaggi, quasi sempre sfibranti, che gli rubavano sì il tempo per la composizione, ma che gli permettevano di tanto in tanto di tuffarsi nei labirinti delle grandi città, dove a ogni momento può prodursi l'«evento»: «le due cose che amo» - scrisse nel 1912 invidiando Dickens - «sono l'esercizio dell'arte e le indagini sulla metropoli.» Il fatto che metta sullo stesso piano arte e indagine sulla metropoli credo che consenta di chiarire un altro motivo del suo disagio a Zurigo, giacché la città sulla Limmat non si poteva certo definire una metropoli a quei tempi. Soprattutto Londra e Parigi gli mancavano e non è un caso che dopo la fine della guerra scelse come meta dei suoi concerti proprio queste due città. Saprà tuttavia riconoscere, al momento della partenza per Berlino, il ruolo fondamentale che Zurigo ebbe sulla sua vita e sullo sviluppo della sua arte.

La produzione musicale, teorica e letteraria

Il lavoro era spesso la sua àncora di salvezza, nei momenti di sconforto:

Sto lavorando alla mia "opera": ma non sono un monaco che dalla finestra della sua cella vede sempre lo stesso cespuglio - e scrive scrive. Comunque, sono contento di avere questo compagno - questa nuova opera in divenire - di cui mi posso occupare quotidianamente come mi piace, e che prende continuamente forma sotto le mie mani.

Infatti sul piano della creazione artistica la «gerade Linie» non subì evidenti lacerazioni o interruzioni. Busoni era era ben determinato a continuare con tenacia il percorso artistico iniziato con la Wendung (nel senso di svolta stilistica) del 1907. Dagli Stati Uniti si porta l'abbozzo di un breve, intenso e rarefatto lavoro sinfonico costruito su un tema degli indiani d'America, il Gesang vom Reigen der Geister (KiV 269): iniziato nell'agosto del 1915, lo concluderà a Zurigo nel dicembre successivo. Con grande determinazione e impazienza riprende la composizione del capriccio teatrale Arlecchino. Interrotta durante il soggiorno del compositore a Pallanza nel mese di giugno, verrà ripresa subito dopo il rientro a Zurigo e conclusa con intima soddisfazione ai primi di agosto. In una lettera alla Klinckerfuss Busoni chiarisce meglio che altrove il significato di questa sua breve opera:

Vorgeworfen wird mir im Arlecchino, dass er hönisch und unmenschlich sei, indessen ist diese Schöpfung aus dem ganz gegensätzlichen Drang hervor entstanden: aus dem Mitleid mit den Menschen, die es sich einander schwerer machen als es sein sollte und könnte, durch Egoismus, durch eingefleischte Vorurteile, durch die dem Gefühle entgegengehaltene Form! Deswegen kommt man im Arlecchino (und diese Absicht ist erreicht) nur zu einem schmerzhaften Lachen.

All'inizio di ottobre del 1916, siccome lo Stadttheater di Zurigo poneva difficoltà alla rappresentazione del lavoro a causa della sua breve durata (circa un'ora), Busoni prese «una decisione sbrigativa» per completare la serata: il desiderio di formare un dittico operistico che avesse validità per il futuro lo indusse a sfruttare il materiale e l'argomento della Turandot-Suite (KiV 248), musica di scena risalente al 1905 e destinata ad accompagnare la pièce teatrale omonima di Gozzi. Dal 13 ottobre al 13 novembre Busoni scrisse il libretto e il piano musicale dell'opera. Poi, con impressionante disinvoltura, adattò il testo alla musica di scena. All'inizio di marzo, la partitura era quasi terminata. Il titolo che collega i due lavori teatrali è «La nuova Commedia dell'arte»: «Esso» - spiega Busoni - «si riferisce alla re-introduzione delle maschere italiane nell'azione.» La prima rappresentazione delle due opere ebbe luogo allo Stadttheater di Zurigo l'11 maggio 1917: Busoni era sul podio; tra i molti amici del compositore c'era anche Ermanno Wolf Ferrari, che fu profondamente colpito da Arlecchino.
«L'errore che commettono tutti, amici e avversari», - scrisse a M. Corti quatto anni dopo, in occasione delle rappresentazioni berlinesi - «sta nel considerare le due operine come stile e risultato finale e definitivo delle mie creazioni; mentre in verità esse non sono che un "intermezzo", quasi uno scherzo, un mio divago, un riposo, per economizzare le forze, che si accingono a un compito superiore.» Alla fine di questo frammento compare un altro leitmotiv epistolare del periodo dell'esilio: la composizione del Doktor Faust intesa come «còmpito superiore». Quasi sempre il titolo o il tema dell'opera, soprattutto nel lungo periodo dell'elaborazione concettuale e letteraria del monumentale progetto, dal 1910 al '17, non fu mai, forse per scaramanzia, menzionato. Anche durante la composizione Arlecchino, e di altri lavori coevi, i suoi pensieri e le sue preoccupazioni erano spesso rivolti al suo Faust. Nonostante avesse concluso il libretto alla fine del '14, a Zurigo continuò instancabilmente le ricerche sul mito in ambito sia letterario sia musicale: un foglio scritto a Pallanza il 4 giugno del '16 documenta la sua pressoché perfetta conoscenza delle fonti. Dopo aver abbozzato sulle rive del lago Maggiore il primo piano musicale dell'opera, compose tre mesi dopo alcuni "Skizzen". Questi primi tentativi musicali attorno alla figura di Faust furono concepiti nel dolore per la tragica morte del pittore Umberto Boccioni, a cui Busoni era legato da profonda amicizia. La composizione vera e propria venne però iniziata dopo le rappresentazioni zurighesi di Arlecchino e Turandot, a partire dal 13 luglio 1917. Concluso alla fine di settembre il "Vorspiel I", in cui fece confluire parte del materiale tematico della Sonatina seconda, scrisse a Gerda:

Ho ripassato oggi, con tutta l'oggettività possibile, la nuova partitura e ho trovato che è tra le mie cose migliori. [...] <Essa> mi terrà aggiogato per parecchio tempo, ed è per me anche il simbolo della fine della guerra. Il cerchio si chiude ancora una volta. Avrò però ancora da fare con la chiusa del libretto. Devo aspettare che mi venga l'idea felice.

Il «glücklicher Einfall» gli sarà suggerito da Ludwig Rubiner, appartenente al suo Freundeskreis. Le lunghe discussioni con il giovane e sfortunato scrittore tedesco condussero Busoni verso un finale differente rispetto a quello concepito nel 1914, finale che nacque sotto il potente influsso delle concezioni utopiche riguardanti l'Uomo Nuovo sviluppate dallo scrittore nell'opera teatrale che stava scrivendo in quegli anni a Zurigo: Die Gewaltlosen. Lo "Szenisches Intermezzo" è datato 13 dicembre 1917. Pure conclusa in questo periodo la "Symphonia iniziale". Gran parte del "Vorspiel II" fu composto nel primo semestre del 1918; di questo periodo è anche il Lied des Mephistopheles, la cui musica verrà adattata a un altro testo ("Dort war ein dummer Herzog..."), pure cantato da Mefistofele, nel "Zweites Bild". Nel settembre 1918 Busoni può annunciare ad alcuni amici che metà dell'opera (1500 battute) è terminata. Nel mese successivo viene pubblicato il libretto, con il finale suggerito da Rubiner, sulla rivista Die weissen Blätter, diretta dall'amico René Schickele. All'inizio del 1919 comincia la composizione di due pezzi per orchestra Sarabande und Cortège, sottotitolati "Studien zu Doktor Faust": la Sarabande, infatti, costituirà, leggermente abbreviata, il secondo intermezzo dell'opera; nel Cortège sono già presenti quasi tutti i temi che introducono la scena alla corte di Parma.

Altre notevoli composizioni appartengono al periodo dell'esilio: la Sonatina in diem nativitatis Christi 1917 per pianoforte, KiV 274 il Divertimento per flauto e orchestra, KiV 285 e il Concertino per clarinetto e piccola orchestra, KiV 276: soprattutto le ultime due sono il frutto, insieme ad Arlecchino, della profonda riflessione teorica che culminò nella lettera aperta a Paul Bekker sulla Junge Klassizität, un importante tassello nella storia del pensiero musicale del Novecento.

Anche la riflessione teorica sulla musica continuò a Zurigo senza soluzione di continuità. Basti pensare che la seconda, ampliata e definitiva edizione dell'Abbozzo di una nuova estetica musicale, fu redatta e pubblicata nel '16. Del '17 è la breve ma pregnante lettera aperta a Pfitzner che completa e precisa il suo pensiero in ambito estetico e del '20 la citata lettera a P. Bekker. Risalgono al periodo dell'esilio anche alcuni brevi saggi su Bach e Liszt, connessi ai lavori filologici su questi autori di cui Busoni si occupava da più di un ventennio. Da menzionare infine un coraggiosissimo articolo in memoria dell'amico pittore Umberto Boccioni, morto prestando il servizio militare nell'agosto del '16.

Sul piano letterario, come detto, rivede e finalmente pubblica il libretto del Doktor Faust, scrive altri tre libretti: due per sé (Turandot e Der Arlecchineïde Fortsetzung und Ende mai musicato); Das Wandbild per Jarnach (sarà però musicato da Othmar Schoeck ).

L'attività concertistica

Alla fine di settembre del 1916, Hans Huber ricevette da Busoni una lettera contenente anche questa confessione: «Malvolentieri, sempre più malvolentieri mi metto al pianoforte per tenermi in esercizio [...]. La prospettiva di un ciclo impegnativo di 4 concerti a Basilea mi mette di fronte [...] a un lavoro notevole di strimpellamento, e mi distoglie per molto tempo dalla mia "alba".» Emerge da queste righe un altro aspetto della complessa e contradditoria figura di Ferruccio Busoni: la difficoltà a trovare un sereno equilibrio tra le molteplici attività musicali in cui era impegnato, quelle connesse alla riflessione teorico-filosofica sulla musica, al lavoro filologico, ma soprattutto alla composizione e quelle che facevano capo al pianoforte. L'insegnamento di questo strumento, lo studio per tenersi in esercizio e l'esibizione in pubblico (che comportava quasi sempre lunghi e logoranti spostamenti) lo distoglievano infatti dal lavoro di composizione, che considerava «lo scopo supremo di ogni aspirazione umana.» L'attività di concertista per Busoni occupava soltanto il quarto e ultimo gradino nella scala di coloro che praticano la musica. Da ormai molti anni l'inevitabilmente lungo e inteso lavoro sul pianoforte non lo arricchiva più sul piano spirituale: «Ho dovuto interrompere di nuovo la partitura della mia opera» - scrisse sei anni prima allo stesso amico basilese - «e in compenso devo arrabattarmi sui pezzi di Chopin. Non è un nutrimento nuovo e fecondo per lo spirito, e comincio a coltivare seriamente l'idea di piantare in asso il mio mestiere manuale e digitale.» A questo proposito, P. G. Langevin osserva che Busoni «tout comme Liszt en 1848, considère sa carrière de virtuose comme définitivement depassée, mais les évènements lui refusent le hâvre que son grand aîné avait trouvé à Weimar.»
Il conflitto interiore provocato dall'inconciliabilità tra pianoforte e composizione e la rabbia per il tempo sprecato sulla tastiera non gli impedirono però, soprattutto nei primi tempi, di essere intimamente soddisfatto e felice dei trionfi che il pubblico gli tributava dopo ogni sua esibizione. Ciò che scrisse a Robert Freund, conclusa la serie dei concerti appena citati, è in palese contrasto con il contenuto della lettera indirizzata a Huber: «I concerti di Basilea sono bell'e passati, fonte di grande gioia per me e per gli ascoltatori.» Ma col passare del tempo gli amari sfoghi incentrati sulla sua poco amata attività di pianista divennero sempre più frequenti, tanto da poter essere considerati anch'essi un leitmotiv epistolare. E la gioia per i clamorosi successi di pubblico e per le recensioni quasi sempre favorevoli e spesso osannanti non riusciva ormai più a mitigarne l'intensità.
In Svizzera avrebbe potuto ridurre l'attività concertistica, ma la sua situazione economica, molto precaria soprattutto a partire dall'estate del 1916, non glielo consentì. Per esempio, nel settembre del 1918 Busoni chiese a Biolley un prestito perché voleva dedicarsi per 3 mesi al Doktor Faust: è questa la prova inconfutabile che egli non poteva vivere senza suonare il pianoforte. I motivi dei suoi problemi finanziari non sono del tutto chiari: in primo luogo vi era certamente la difficoltà, in tempo di guerra, di attingere al conto in banca berlinese o milanese. La sua passione per il libro raro e raffinato (ne acquistò un migliaio a Zurigo), il desiderio di finanziare la rappresentazione del suo Faust, l'acquisto di quadri (i Boccioni, gli Oppenheimer ) nell'estate del 1916 e di una armonica a calici, l'alto tenore di vita, la cronica incapacità di gestire razionalmente il denaro (che disprezzava), alcune operazioni finanziarie e contrattuali errate del suo banchiere di fiducia berlinese, la sua innata generosità furono certamente altri motivi, che in parte giustificano il prestito, per quei tempi piuttosto ingente di 150.000 marchi (circa 21.200 franchi svizzeri) alla Kantonalbank di Zurigo dove Albert Biolley era impiegato.
Quindi Busoni fu costretto a suonare spesso il suo strumento in terra elvetica. L'impossibilità o il rifiuto di uscire dai confini gli fecero almeno risparmiare il tempo dei lunghi ed estenuanti viaggi attraverso l'Europa. Siccome a Zurigo viveva senza segretario e Konzertagent, nei primi tempi Busoni fu impresario di se stesso; a partire dall'autunno del 1916, A. Biolley ricoprì questo ruolo con umiltà ed efficienza, senza pretendere nulla in cambio. Egli divenne l'organizzatore dei suoi recital pianistici nelle città svizzere, soprattutto nei cantoni francesi. Al termine dell'«Odyssée helvético-pianistique 1917-1918», il grande pianista ringraziò l'amico per l'impegno profuso e, dopo averlo pregato di perdonargli le difficoltà e le seccature che gli aveva causato, concluse: «C'était une rude leçon de contrepoint que je Vous ai donné! Je m'etonne que Vous n'avez pas pris la fuga (la fuite).» L'attività pianistica si concentrò soprattutto a Zurigo e a Basilea. Ma toccò anche altre città: Berna, Sciaffusa, Winterthur, Lucerna, Ginevra, Neuchâtel, La Chaux-de-Fonds. Un anonimo recensore scrisse, per esempio, dopo il recital del 21 marzo 1917 in quest'ultima città:

D'une haute stature, le buste bien découplé, sa belle tête encadrée de cheveux blancs, la figure fine, où brille le feu sacré, Busoni s'avance avec majesté et prend place au piano. Et, dès la première note c'est, dans la salle archicomble, un silence religieux. La face illuminée, le maître fait pleuvoir les notes en tempête. C'est tantôt la viole d'amour qui chante, c'est tantôt l'orchestre dans sa plénitude déchaînée. Quand retentissent les dernières notes de la "Valse de Faust", dans une polyphonie formidable, l'enthousiasme, dans la salle, tient du délire. Cinq fois, le maître est rappelé. Cinq fois, il salue, sourit... et repart au grand désappointement du public, qui eût aimé l'entendre encore. Deux heures d'un effort musculaire inouï lui valent bien de pouvoir se reposer. On a dit et redit les qualités transcendantes de Busoni, sa technique merveilleuse, la beauté de l'interprétation, la vélocité vertigineuse du doigté, et que savons-nous encore? C'est l'artiste, dans l'acception pleine et supérieure du mot. Devant un tel prodige, la critique, désarmée, écoute, admire et se tait. C'est par là que nous eussions dû commencer.

Memorabili furono le quattro serate monografiche zurighesi e basilesi nei primi mesi del '16, dedicate rispettivamente a Bach, Beethoven, Chopin e Liszt e, tre anni dopo, il ciclo di cinque "Concerti popolari", diretti da V. Andreae, che avevano lo scopo di illustrare la storia e lo sviluppo del Concerto per pianoforte. Un'impresa titanica, certo «non nuova ma ancor più accresciuta nelle proporzioni e nelle scelte, un'altra di quelle prestazioni eccezionali per impegno e obiettivi a cui Busoni aveva abituato i suoi contemporanei.»

A guerra conclusa, scelse ovviamente una metropoli - Londra - per la sua prima tournée all'estero. Ma aspettò quasi un anno prima di decidersi a lasciare la Svizzera:

Vers la fin de septembre je me rendrai en Angleterre pour "recommencer" la vie interrompue. La "tournée" s'accomplira dans les conditions exactes "d'avant la guerre". De facto: rien n'a changé; les hommes n'ont pas sû tirer un enseignement de la grande leçon. Comme dans cette stupide forme de la Sonate classique, on revient, après un developement [sic] mouvementé, paisiblement à la première tonalité, au beau thème, comme si rien ne se fusse passé! Et tout se termine en des cadences conventionnelles. [...] Il y a quatre ans, que je n'ai pas revu le monde! Il y a cinq ans, que j'ai vecu en une intime hostilité envers ce monde éloigné et évité. En le jugeant devenu sauvage, je suis peut-être devenu sauvage moi-même. - D'autre part je crois que mon art s'a subtilisé, et qu'il exprime tout ce qu'il reste de "bon" en moi.

Partì da Zurigo il 18 settembre. Fece tappa a Parigi, non per tenere dei concerti, ma per render visita al grande amico Isidor Philipp con cui aveva sempre mantenuto contatti epistolari. Il 26 settembre era sicuramente a Londra. Vi rimase fino all'11 dicembre. Si recò poi a Milano tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio del 1920. All'inizio di marzo ripartì da Zurigo per Parigi. Soggiornò di nuovo in Inghilterra per tre settimane da metà giugno all'inizio di luglio. L'accoglienza fu trionfale ovunque, tranne che a Milano, dove venne anche insultato per non aver scelto di dimorare nella sua patria durante la guerra. Ritornò poi a Zurigo senza aver ancora nulla deciso quanto alla sua destinazione futura. Solo alla fine di luglio accettò la nomina alla prestigiosa Akademie der Künste berlinese come professore di composizione.

Il «Freundeskreis» zurighese

Come detto, uno dei mezzi di cui Busoni si servì per mitigare gli effetti più devastanti dell'esilio (l'emarginazione, l'isolamento e la solitudine) consistette nel creare attorno a sé una ristretta cerchia di amici (svizzeri e stranieri in esilio). La sua abitazione in Scheuchzerstrasse 36 divenne sin dai primi mesi del soggiorno zurighese il punto di riferimento di insigni musicisti e intellettuali, «ein Sammel- und Brennpunkt regen und beschwingten geistigen Lebens, künstlerisch-menschlichen Erlebens» - scrisse Sulzberger, dove non di rado si incontravano «geistige und künstlerische Grössen aus aller Herren Länder». Ma, sempre secondo la testimonianza del giovane ed eccentrico musicista,

am unvergesslichsten bleiben die Stunden, da der Meister uns gehörte: die hellen Nachmittage, da er sich Bach und Liszt vorspielen liess; reich an lichtvoller Erkenntnis, an geistvollem Witz und sprudelnder Laune. Oder wenn er, einer plötzlichen Eingebung folgend, sich ans Klavier setzte [...] Unvergessen auch die Stunden, da wir unter der Abendlampe um den runden Tisch versammelt waren [...] Hier war die Werkstatt eines lichten, freien und beschwingten Geistes, der selbst im Nehmen der Gebende war, im Spenden aus sich schöpfte, dem das Leben und die Tage so kurz, die Kunst so lang erschien.

L'importanza che Busoni attribuiva al suo Freundeskreis emerge da molte lettere. Per esempio, nell'estate del '17, dopo essersi lamentato del fatto che da qualche tempo nessuno andava a trovarlo (ed elenca i nomi di quattro tra i suoi più intimi amici: Lochbrunner, Rubiner, Andreae, Jarnach), confidò a Biolley: «Il est dur de devoir tirer tout de soi-même, et j'ai peur que les fonds d'energie s'epuisent à la fin, comme le charbon et le sucre»: amare parole che sottintendono il ruolo di stimolo che le relazioni d'amicizia avevano anche sulla sua vena creativa. Ben più esplicito ciò che Busoni scrisse nel 1918 a Ernst Lochbrunner (ma questo messaggio di gratitudine può essere esteso a tutti coloro che gli furono vicini alleviandogli i disagi dell'esilio): «du mildertest mir diese Passions-Jahre durch Freundschaft.» E non poteva certo mancare l'omaggio, questa volta pubblico, a colui che si adoperò con grande generosità d'animo per rendere non solo sopportabile, ma anche feconda la sua lunga permanenza in Svizzera: Volkmar Andreae, a cui scrisse una commossa lettera aperta, pubblicata sulla Neue Zürcher Zeitung l'8 agosto del 1919:

Es ist vorerst Ihrer künstlerischen Einsicht zu verdanken, dass es mir überhaupt möglich wurde, in Zürich eine Aktivität zu entfalten, die Sie gütigerweise als eine anregende und wohltätige bezeichnet haben: sind Sie doch bei jeder meiner nach aussen gerichteten musikalischen Handlungen der planende und bewegende Geist gewesen. Ich werde Ihr Verhalten zu mir und zu meiner Kunstübung von nun an in meinem Herzen bewahren.

Infine, ormai a Berlino da tre anni, Busoni rievocò in una lettera a Sulzberger gli anni dell'esilio e le persone che gli furono più vicine:

Je ne regrette pas d'avoir séjourné en Suisse, dont je garde des bons Souvenirs. - André [sic] fit son possible pour me rendre son pays agréable et utile. Vous, Lochbrunner, Biolley furent (et demeurent) des excellents amis. J'ai profité des favorables conditions économiques, de la liberté de pensée, pendant la guerre, qui ne réussit pas à y toucher.

Sul piano delle relazioni umane il periodo degli Zürcherjahre fu dunque per Busoni di tale ricchezza da influire positivamente non soltanto sulla sua stabilità psichica, spesso minacciata dalle depressioni, ma anche sulla sua attività intellettuale e artistica.
Importanti furono anche i contatti con gli amici che decisero di rimanere nella loro patria e con i quali mantenne costanti rapporti epistolari. La lettera, che Busoni considerava quasi sullo stesso piano delle altre attività culturali o artistiche, fu il secondo mezzo di cui si servì per rompere l'isolamento, per effondersi verso gli altri, per uscire dalla prigione dell'esilio, per varcare, almeno metaforicamente, i confini angusti impostigli dalla guerra. Secondo la sua stessa testimonianza, ne scrisse oltre 5000 a Zurigo (circa 3 al giorno): «Que j'ai écrit de lettres! Vraiment, ma correspondence fait une partie considérable de mes oeuvres et, souvent, elle les a - forcement! - substitué.»
Ma né il Freundeskreis né le lettere potevano alleviare quella solitudine ben più greve e profonda che emerge da questa confessione alla baronessa Oppenheimer: «Mi sento sempre più solo, pur senza essermi allontanato dalle persone.» La solitudine determinata dalle circostanze, nella quale veniva a trovarsi sporadicamente a Zurigo, si sovrapponeva quindi a una solitudine radicata nel suo animo sin dai tempi della fanciullezza, acutamente descritta da Langevin:

Dans ses relations humaines comme dans son art, Busoni fut toute sa vie un être solitaire. Au temps de son enfance, ses tournées incessantes et sa maturité trop précoce lui interdisaient déja toute fréquentation avec la jeunesse de son âge. Lorsque la gloire lui eut apporté une audience universelle, il s'écarta délibérément du monde des virtuoses - "Je ne veux pas être, disait-il selon une formule aussi lapidarie qu'admirable, un commis-voyageur de la Campanella" - pour s'engager dans la voie d'un véritable apostolat où il ne pouvait, là encore, rencontrer que l'isolement. Sur ces hautes cimes en effet, qui peut planer, hormis les aigles?

Che cosa intende lo studioso francese per «véritable apostolat»? La citata lettera a Carlo Clausetti è uno dei documenti che può chiarirne il senso. Busoni, dopo aver dichiarato che l'abbandono dell'Italia in giovanissima età fu provocato dallo «stato deplorevole in cui si trovava la musica verso il 1883», scrive:

La mia attività a Berlino (interrotta del resto da viaggi internazionali) non fu che una continua lotta contro le restrizioni e la poca grazia germaniche; e le mie poche ed intime soddisfazioni nel vincere successivamente gli ostacoli e le opposizioni, mi guadagnarono costà una popolarità essenzialmente negativa. Arrivato tardi al posto di Bologna, le mie prime azioni furono di combattere ad alta voce un'inclinazione già troppo inveterata verso Wagner ed altri autori stranieri (che considero contraria alla natura italiana) e di proclamare la Musica nostra. Anche questo dispiacque in una città, che, per le sue tradizioni, si confondeva volentieri con Bayreuth.

«En tant que compositeur» - sostiene ancora Langevin - «Busoni n'a pas plus adopté l'Allemagne que l'Allemagne ne l'a adopté. Quant à son divorce d'avec la musique italienne, rien ne semblait pouvoir le combler.» Gli sferzanti giudizi sulla musica e sul gusto tedeschi, su Wagner, sul wagnerismo e sull'espressionismo, così come le pesanti stroncature della musica e dei musicisti italiani, «vassalli» degli stranieri e della loro musica, ebbero come conseguenza emarginazione ed isolamento, indifferenza e disprezzo, e lo resero anche amaramente e definitivamente consapevole che egli fu sempre, in fondo, un esule (prima, durante e dopo la parentesi in terra elvetica), non soltanto come uomo, ma anche come intellettuale e come musicista. Esule quindi anche nelle sue due patrie, quella istituzionale e quella d'elezione; metaforicamente esule anche sul piano del linguaggio (si ricordi il discorso iniziale sul tedesco quale lingua, forse suo malgrado, privilegiata). Busoni fu infatti un musicista isolato nel suo tempo, «un aigle» per riprendere la metafora di Langevin, sia come compositore, sia come pianista, sia come teorico: in tutte queste attività il suo anticonformismo, la sua originalità, la strenua e nobile difesa delle sue idee lo esposero spesso alle ferocissime critiche dei suoi avversari. «Alla sua libertà di pensiero» - sostiene Michele Porzio - «Busoni pagò un prezzo altissimo, ottenendo un riconoscimento infimo rispetto all'influsso esercitato sulla "nuova musica"».
Dalla sua parte ebbe sempre i numerosi amici che compresero la sua grandezza e il pubblico che affollava le sale da concerto in cui si esibiva come pianista e che gli tributava sempre ovazioni trionfali. Non sempre la critica che fu non di rado sconcertata dall'audacia inaudita delle sue interpretazioni.
Della sua condizione di esule permanente anche dopo la conclusione della guerra, Busoni fu tristemente consapevole, se nel 1920 scrisse a Edith Andreae: «Ich litt für die ganze Welt und wurde - heimatlos.» Zurigo, il luogo concreto nel quale visse l'esperienza dell'esilio, assume allora anche il valore di simbolo di quella condizione: una metafora di tutta la sua esistenza. Le parole che Rilke dedica all'artista nel Diario fiorentino, sembrano attagliarsi come poche altre a Busoni: «Che l'arte nelle sue vette non possa essere nazionale, vuol dire che ogni artista è nato in terra straniera; non ha patria in altro luogo che in sé. E quelle sue opere che esprimono la lingua di questo paese sono le più sue.»

Un bilancio del soggiorno in terra elvetica

Gli anni che Busoni trascorse in Svizzera furono raramente sereni. Ma, nonostante i disagi inevitabilmente connessi alla condizione di esule, la sua produzione musicale, letteraria, teorico-estetica, filologica fu enorme, addirittura sconcertante se si tien conto dell'impegnativa attività pianistica e dell'intensa vita sociale nell'ambito del suo Freundeskreis. Busoni ne fu pienamente consapevole e orgoglioso, se, nel 1920, poté scrivere a Serato: «È rarissimo riscontrare una quercia che non si piega alla bufera; è eccezionale l'artista che, lottando contro essa, segue diritto il suo cammino.» Ricompare alla fine della guerra la metafora della «gerade Linie», quella artistica però, che non subì alcuna interruzione, come se Busoni avesse voluto, rilkianamente, spezzare le catene della sua prigione con la sola forza dell'arte, «cammino verso la libertà»: «Oui, le séjour à Zurich a produit une jolie récolte: de ce coté je suis assez satisfait, par moment je me sens même artistiquement rassuré. Mais le prolongement indefini sur ce «fertile terrain» me donne quelque inquietude.»
Per riguardo verso l'amico svizzero, Busoni usa un eufemismo: in realtà, come scrisse a Philipp nel luglio del '19 non solo Zurigo ma tutta la Svizzera gli appariva ormai spiritualmente «épuisé»: «[...] la paix conclue - la ville rentre dans son état normal; je vois que, pour moi, il est temps d'en finir avec ses limites.» L'atteggiamento contradditorio nei confronti di Zurigo appare in tutta la sua evidenza confrontando questo brano epistolare con uno spezzone tratto da un'altra lettera scritta solo due mesi dopo:

Tutte le persone di un certo nome sono passate di qui, vi risiedevano stabilmente un gran numero di "isolati" e gente interessante. Tra questi Lenin... R. Rolland, Paderewski... Recentemente mi hanno fatto visita Rilke e Wassermann. Qui intanto mi sono trovato bene e mi trovo sempre meglio; attività, influenza, considerazione sono continuamente aumentate e sono culminate nella nomina a dottore honoris causa presso questa università il 30 luglio scorso.

Il paradosso, la contraddizione (o l'antitesi) e il dubbio furono certamente componenti essenziali del pensiero e della personalità di Busoni: essi contribuirono a rendere così complessa, non di rado contorta, ma nel contempo affascinante e misteriosa la sua figura di uomo e di artista. A volte si ha l'impressione che la sua somma maestria nell'arte del contrappunto trovi un riflesso anche nella "composizione" della sua vita, caratterizzata da alternanza o intreccio di posizioni, idee, sentimenti e impulsi contrari, non di rado sconcertanti.
Sconcertanti furono pure il valore e il significato che assunse l'esilio, soprattutto a partire dall'autunno del 1918 (Busoni rimase ancora a Zurigo per quasi due anni, dopo la fine del conflitto mondiale): pur restando un'esperienza dolorosa, da prigione qual era nei primi anni, l'esilio divenne una vetta da cui gli era dato osservare il mondo circostante con perspicacia ancor più folgorante rispetto all'anteguerra. Molte lettere scritte a partire dal 1919 confermano che Busoni fu uno dei più acuti e lucidi testimoni del suo tempo.
Nei confronti della Svizzera e degli Svizzeri Busoni fu spesso polemico e ironico, ma, quando prese la decisione di congedarsi definitivamente, seppe infine riconoscere con la consueta lucidità e onestà intellettuale il ruolo che le istituzioni politiche, economiche e musicali, e la gente di questa nazione ebbero sulla sua attività di musicista in senso lato. Il 23 giugno del 1920, da Londra, scrisse infatti a Volkmar Andreae:

Mi accorgo che gli anni trascorsi a Zurigo non sono rimasti senza influenza per me, all'estero; la mia posizione nel mondo musicale si è notevolmente elevata, senza intervento da parte mia; allo stesso modo come un'opera matura dentro di noi, senza che ci si pensi consapevolmente. Tanto più sono grato al Suo paese per la tranquilla attività che mi ha consentito di svolgere. Ma ora anche questo capitolo è chiuso e bisogna prender congedo, con fermezza e malinconia. Perciò il mio ritorno in luglio <a Zurigo> avrà lo scopo di fare tutti i passi a ciò necessari. La separazione non sarà facile. Ma il mio senso della forma mi dice che la durata di questo pezzo non deve essere protratta oltre il limite dovuto.

Ma dove andare? Roma, Bologna, Parigi, Londra o... Berlino? Le lettere scritte dopo la fine della guerra documentano che la scelta non fu facile, anche se Berlino era la città che con maggiore frequenza usciva dalla sua penna:

Ulteriori decisioni riguardo la mia vita non sono ancora ben delineate, nemmeno per me, ma spero di arrivare a veder chiaro d'orientarmi in base alle impressioni che avrò e alle osservazioni che farò in piena coscienza. C'è molto dentro di me che parla in favore di Berlino, la quale - eccetto l'Italia - è la sola città da prendere in considerazione come sede definitiva: a meno che non dovessi decidere di rimanere in Svizzera, cosa che mi attira meno di tutto, nonostante il molto che devo a questo paese. [...] Ciò che mi dovrebbe far decidere non sono ambizione né interessi economici. Ma quell'offerta che mi potrebbe convincere non è ancora venuta, dovrebbe essere definitiva e garantirmi un'estesa attività artistica.

Qualche mese prima tentò, forse per l'ultima volta, un riavvicinamento all'Italia. In qualità di compositore a quel momento «indipendente e sciolto da qualsiasi legame» (era infatti scaduto il contratto con Breitkopf & Härtel), si rivolse all'avvocato Clausetti di Casa Ricordi, chiedendogli se fosse disponibile a pubblicare opere sue, tra cui il Doktor Faust:

Oggi ho diritto di considerarmi uno dei più distinti fra i Musicisti italiani; e starebbe ora all'Italia di chiedersi, se la mia presenza costà potesse, o no, essere necessaria, o almeno utile. - Se l'Italia mi respinge di nuovo, sarò costretto - a mio profondo rammarico - di rinunziare a farne parte integra; dall'altro canto il sentirmi desiderato da Noi coronerebbe una vita pazientemente costrutta con delle intenzioni puramente artistiche. I mezzi termini, una benevola e rispettosa tolleranza, le proverbiali acclamazioni al Pianista, non basterebbero però a restituirmi al mio paese.

Nonostante questo ultimo, accorato e patetico tentativo di ottenere finalmente un riconoscimento dall'Italia, a mio parere, nel suo intimo Busoni non ebbe mai dubbi: egli non avrebbe cioè mai potuto rinunciare alla città in cui voleva ritrovare la sua turris eburnea e che era la sua musa ispiratrice: il luogo privilegiato, insomma, in cui, nelle sue estati laboriose e solitarie, gli era dato tendere verso lo scopo supremo della sua vita: l'opera d'arte.

Busoni lasciò l'appartamento in Scheuchzerstrasse 36 il 9 settembre del '20, col titolo di dottore h.c. conferitogli dalla Facoltà di Filosofia dell'Università di Zurigo nell'agosto del 1919. L'alta onorificenza gli fu attribuita non solo per i suoi meriti artistici, ma anche per gli stimoli che con la sua perspicacia e la sua sconfinata cultura letteraria e musicale seppe dare allo sviluppo culturale in senso lato della città. «Wir wissen wohl», - gli scrisse V. Andreae - «dass Sie neben Liszt und Rubinstein der grösste Pianist aller Zeiten sind. Für uns aber noch wertvoller war Ihre ganze Persönlichkeit, Ihr künstlerisches Schaffen, Ihr hoher einzigartiger Geist.»

Pochi giorni prima di partire per l'America, alla fine del '14, Busoni scrisse (»tutto d'un fiato e senza esitazioni, come se fossi ispirato» ) il testo di ciò che egli considerava il suo testamento spirituale: il Doktor Faust, l'opera da lui stesso definita «la somma di tutto quello che sento e che so». Come se fosse ispirato... o come se volesse giurare sulla sua arte, drammaticamente e solennemente, che, terminata la guerra, sarebbe ritornato, a ogni costo, a Berlino per portarla a termine. Ed è ciò che avvenne, non senza rimpianto e commozione.
Se la via dell'artista consiste anche nel «gettare un ponte dietro l'altro sopra gli ostacoli», il gigantesco ponte che collegò il «prangendes Berlin» del '14 al «finsteres Berlin» del '20, scavalcando idealmente gli «ostacoli» della guerra e dell'esilio, fu proprio il monumentale progetto del Doktor Faust. L'America dapprima, ma soprattutto la Svizzera, Zurigo, l'appartamento in Scheuchzerstrasse 36, i ritrovi pubblici della città furono i luoghi che portarono definitivamente alla luce una profonda crisi di identità, di cui l'aspetto più evidente fu, come detto, il ritrovarsi senza patria («heimatlos»), e che dovettero sostituire l'insostituibile: l'Europa intera (le metropoli, il viaggio), la Germania, Berlino, l'appartamento in Viktoria-Luise-Platz 11, il Musikzimmer, la biblioteca ). Per questo gli Zücherjahre divennero «Passions-Jahre», in cui il disprezzo per il luogo dell'esilio si alternava all'indifferenza, all'ironia, al sarcasmo, ma anche, come sempre paradossalmente, alla gratitudine e alla riconoscenza.

A Berlino lo colse una grave depressione che costrinse Gerda ad anticipare la partenza da Zurigo. La città profondamente mutata fu una delle cause:

C'est un aigle en effet, mais un aigle blessé qui, en 1920, reprend possession de son appartement de Berlin après avoir hésité à faire de Londres ou de Paris sa résidence. [...] Un sentiment d'irrépressible angoisse l'étreignit lorsqu'il rentra dans la ville où il devait mourir quatre ans plus tard: les conséquences de la guerre s'y faisaient partout sentir, le cours de la monnaie s'était effondré, la vie musicale était entièrement désorganisée, sa propre santé était compromise. Busoni écrit à Isidor Philipp le 7 Septembre 1920: "Mon coeur est brisé. J'ai laissé mes fils à l'étranger. A 54 ans, je m'engage dans l'inconnu!" Toute l'oeuvre des dernières années, pourtant entreprise avec un regain d'énergie créatrice, sera dominée par cette angoisse dont Busoni ne cherche pas à se défendre, et qui transparaît dans toute la partition du Doktor Faust.

Fu questa stessa angoscia che gli impedì di giungere alla fine del suo cammino artistico, alla meta tanto agognata: la rappresentazione del Doktor Faust. Alla battuta 489 dell'ultimo quadro Busoni depose per sempre la penna e chiuse a chiave in un cassetto la partitura, dopo aver musicato i versi: «O beten, beten, wo, wo die Worte finden?» Se la ricerca della parola intesa in senso lato (quindi anche come espressione musicale) è metaforicamente ricerca dell'identità, era destino che Busoni non portasse a compimento l'opera della sua vita.

Marcel Sulzberger così ricorda il suo Maestro, la cui «sferzante genialità», che «aveva il dono di stimolare lo spirito verso abissi di immaginazione profetica», contribuì non poco a irradiare di viva luce la città sulla Limmat nei cupi tempi della Grande Guerra:

Stets noch in später Nachtstunde standen die Fenster erhellt. Von der erhöhten Strasse konnte man ihn oft erblicken, wie er, ein sinnender Faust, über ein Buch gebeugt sass. Denn von ewigem Drange war er beseelt, und bei Dante, Cervantes, Edgar Poe oder Baudelaire ebenso zu Hause wie bei Anatole France, Vildrac oder Morgenstern. Als Gegenstück zu der straffen und gespannten Herrschergestalt am Flügel im Konzertsaal bleibt mir als Symbol seines tiefinnersten Wesens jenes abendliche Bild des sinnenden Denkers, in die enge Welt der vier Wände gebannt, aber über alle Weiten geneigt, im Drang und in der Sehnsucht nach dem Fernen, Unerforschten und Unbegrenzten:
"Da, wo du nicht bist, da ist das Glück!"


Una dozzina di lettere dell'esilio

Queste lettere, tutte inedite, sono strettamente legate all'articolo che le precede: esse quindi non necessitano di una approfondita contestualizzazione. Quanto all'aspetto filologico, non tutte sono trascritte dagli originali (la Staatsbibliotek zu Berlin dispone soltanto di copie dattiloscritte delle lettere di Busoni a Kestenberg e a Philipp). Si ribadisce che dei testi in francese è scrupolosamente mantenuta la grafia del musicista, non di rado errata, soprattutto a causa della mancanza degli accenti e che gli errori di quest'ultimo tipo non vengono segnalati con il [sic]. Le lettere a Kestenberg furono spedite a Berlino; quelle a Philipp a Parigi; tutte le altre ad amici (e al figlio minore) residenti a Zurigo.
I. BUSONI A LEO KESTENBERG

Zürich, den 12. Okt. 1915
bei Hug & Co
Lieber Leo Kestenberg,
Ihren Brief genoss ich durchhaus und weil ich bald - nach dem Empfang desselben - reiste, beantwortete ich ihn nicht. Es wird Sie vielleicht nicht überraschen, dass die Erwiderung aus der Schweiz datiert ist: in diesem Augenblick dürfte die Nachricht meiner europäischen Landung zu Ihnen gedrungen sein. - Immerhin - ich bin genau so entfernt von Ihnen, als sonst, aber Sie sind mir näher!
Hier wurde ich herzlichst empfangen, man scheint meine Anwesenheit zu schätzen und ist gewillt, sie nicht unbenutzt verstreichen zu lassen. - Aber mein Leben hat einen Riss, und oft erkenne ich es kaum als das eigene.
Gottlob, ich bin gesund und wach; mein Köfferchen ist mit M.M.S.S. gefüllt und mein Kopf beherbergt gute Pläne.
Ich werde froh sein, wenn Sie mir schreiben und würde glücklich sein, wenn Sie mich besuchen. Egon versuche ich durch Engagements hierher zu locken - obwohl ich nicht recht weiss, ob ihm daran liegt. (Es ist bald ein halbes Jahr her, dass ich Nichts von ihm erfahre. )
Benni musste in Amerika zurückbleiben, und wir sind hier zu dreien: Lello reck[en]haft aufgeschossen und fast bäurisch erstarkt.
Für den Augenblick - und vielleicht den Winter über - lagern wir in Zürich, wenn nicht bedeutende Wendungen es anders fügen. -
Leben Sie inzwischen wohl. Wir grüssen Sie (beide) auf das Freundschafstlichste.
Ihr herzlich ergebener
Ferruccio Busoni
2. BUSONI A ISIDOR PHILIPP

Zurich, 20 N[ovembre] 1915
Cher inestimable,
Je vous ai écrit deux lettres de la Suisse - la seconde assez longue et detaillée - c'est déplorable qu'elle ne vous soient parvenues. - Donc je résumerai. Arrivé de l'Amérique à Gênes le 10 Septembre, très indisposé, j'ai employé 4 semaines à remettre ma santé. De ce moment j'ai recommencé à vivre en reprenant mes habitudes de travail et d'activité. - J'ai choisi Zurich pour mon séjour, la ville étant au présent la plus internationale de la Suisse, et parcequ'elle m'offrait plusieurs occasions artistiques, par exemple la direction de la seconde moitié des Concerts d'Abonnements, pendant laquelle le chef d'orchestre regulier est appelé à son service militaire. (Le Dr. Andreae est commandeur de Bataillon.)
J'ai reçu et accepté un groupe d'invitations à Rome et à Milan, de façon que mon travail se partagera entre la Suisse et l'Italie.
J'ai terminé, resumé et envoyé à l'éditeur des oeuvres en manuscrit au nombre de six, et préparé la pubblication d'une édition complète, revue et augmentée de mes essays sur Bach, qui paraîtra en six volumes, y compris la seconde partie du Clavecin bien temperé. - Hier, j'ai pu entendre la première lecture d'un "Rondeau harlequinesque" pour orchestre.
Déjà à la fin de l'année précédente, j'avais achevé un texte qui servira à mon nouvel opéra, dont je vais m'occuper tout de suite.
Dans mon petit coffre je garde une série de languettes d'harmonium, accordées en tiers de ton. La dessus je commencerai une étude expérimentale.
Je suis bien fortuné d'entendre, que ma Fantaisie indienne sera jouée par une de vos excellentes élèves. Presentez à cette occasion, mes hommages à Pierné. Espérons que la gallerie se montrera bienveillante...! Et remerciez la jeune Dame.
Vous n'avez aucune raison de douter de mon affection, - de mon invariable attachement. Vous êtes mon meilleur ami, - (permettez-moi de vous considérer ainsi) - que j'écoute attentivement comme homme et comme artiste.
Le voyage projeté à Paris présente malheureusement plus de difficultés que je m'attendais. C'est possible, qu'au printemps je passerai en Espagne par la France.
Je vous salue de tout mon coeur et me dis
Votre très dévoué F. Busoni

3. BUSONI A LEO KESTENBERG

Zürich, 4. Juli 1916
M[ein] L[ieber] K[estenberg],
Seit gestern fasste ich wieder neuen Muth; Frau Gerda die gegen ihre Gewohnheit erkrankt war, ist wieder wohl; die Arbeit, die ich unter den Händen habe, und die mir unversehens matt und überflüssig vorkam, erhielt einen frischen Schwung durch den Eintritt eines (immer noch zuverlässigen) C-dur-Dreiklanges. -
Briefe kamen an von drei östlichen Frauen, die sämtlich in Zusammenhang stehen mit Ihnen, dem offenbaren Veranlasser dieses epistolarischen Blühens. -
Zwar findet mich der 3. Herbst vor den nähmlichen ungelösten Problemen, als wie vor 2 Jahren; zwar zögere ich noch immer vor Entschlüssen, deren Durchführung einem grauen Schicksal anvertraut werden müsste; aber das Werk schreitet vor, und an der Hand desselben werde ich weiter spinnen und (an dem Faden) die nächstliegenden Knoten lösen.
Dieses Werk, ein Intermezzo, eine der zahlreichen Brücken, die ich mir bauen musste um über Abhänge und Abgründe zu gelangen, dürfen Sie nicht mit allzu anspruchsvollen Forderungen erwarten. Es ist eine kleine Burleske, ein "theatralisches Capriccio", wie ich es unter - betitelte, eine Parodie und leichtgetöntes Bekenntinis. - Sagt Goethe im West-östlichem Divan (welcher nicht zu verwechseln ist mit dem Grunewald ), dass ein rechtes Gedicht: Wein, Liebe, etwas Waffengeklirr und nicht minder einen guten Hass als seine Bestandteile aufweisen müsste, so fänden wir das Rezept in meinem Arlecchino, (ohne ihm folgen zu wollen), angewandt.
Der Text besorgte ich mir selber, und zwar von Grund aus; denn auch die lose, absichtliche marionettische Handlung, stammt aus meinem Kopfe. Die Musik dürfte etwa zwischen der Turandot und der Brautwahl stehen; tüchtiger als jene, leichter als diese. - Möglich dass aus dieser Kreuzung ein doch abweichender Typus entstanden sei; jedenfalls ein vereinfachter.
Ihren "Bildermann" genoss ich, und danke für die überraschende Zusendung. Die Zeichnungen sind oft vortrefflich. Ich wünsche solchen Blättern eine schönere Form, z. B. durch Rand-lassen; so dass sie am Ende des Jahres ein Buch darstellten.
Schickele, L. Rubiner, Mopp (Max Oppenheimer) sind sämtlich in Zürich, doch sehe ich die beiden ertsen nie. Haben Sie Rubiner's schönen Aufsatz im Maiheft der Weissen Blätter gelesen, die mich betrifft? - Wolff-Ferrari [sic] (ein sehr lieber Grübler und Idealist) ist auch hier ansässig: er begreift nicht die Zeit, und wendet sich instinktiv ab von ihr. Ich selber finde mich immer stärker im Widerspruch mit der Betonung und dem Wesen heutigen Ideals. Nur, dass ich mich nicht abwenden kann und es nicht sehen; ausser wenn ich vor dem Notenpapier sitze. Sonst tritt es ja, bei jedem Schritt, Einem wieder entgegen! -
Was macht Ihr Theater am Bülowplatz und meine Loge an der Bülowstrasse? - Die erste der Fragen stelle ich recht ernst, und nicht ohne Absicht.
Ich grüsse Sie freundschaftlich
F.B
Allegato alla lettera n. 3: Kestenberg sul «Theather am Bülowplatz»

«So wichtig mir auch alle künstlerisch-ästhetischen Interessen waren, so waren mir alle weltanschaulich-sozialistischen Ideale gleichermassen ans Herz gewachsen. Busoni konnte es nicht begreifen, dass Sozialismus und Musik für mich eine unlösbare Einheit bedeuteten, dass mein ganzes Menschsein und mein pianistisches Wollen, Können und Handeln auf diesen beiden Säulen ruhten. Bei aller meiner Verehrung und Begeisterung für Busoni verlor ich doch nie mein selbständiges Denken und Fühlen, wurde ich nie ein blinder Nachbeter alles dessen, was er verkündete und behauptete. Ich stand fest auf meinen beiden Füssen und liess mir selbst von ihm meinen sozialistischen Glauben nicht rauben, der allerdings weit entfernt war von aller dogmatisch-wissenschaftlichen Parteidoktrin. Und so habe ich mir denn auch einen neuen Weg gebahnt, der mir die Möglichkeit bot, meine Idee von der : "Erziehung zur Menschlichkeit mit und durch Musik" praktisch und unmittelbar zu verwirklichen. Mit Hilfe der sozialdemokratischen Arbeitervereine, der Gewerkschaften, der Freien Volksbühnen, des Arbeiter-Sängerbundes, des Berliner Volkschores, des Vereins für Frauen und Mädchen der Arbeiterklasse etc. etc. organisierte ich in den Jahren von 1905 an bis Februar 1933 viele künstlerische Veranstaltungen, und ich wirkte an fast all diesen Abenden sowohl als Vortragender wie auch als Pianist mit.
Einen ganz eigenartigen und ungeahnten Erfolg hatten die alle zwei Wochen veranstalteten Mittagskonzerte in der "Volksbühne" in dem im Anfang des 1. Weltkrieges vom Architekten Oscar Kaufmann aus Arbeitergroschen erbauten "Theater am Bülowplatz", dem schönsten Theaterbau von Berlin. Dort hatte ich Gelegenheit, einen künstlerisch klaren und für ein ganzes Jahr gültigen Plan zur Durchführung zu bringen und dafür die besten in Deutschland zur Verfügung stehenden Künstler, Orchester und Chöre heranzuziehen. Jedes Konzert des grossen, 2000 Personen fassenden Hauses war bis zum letzten Platz von einer andächtig lauschenden Zuhörerschar gefüllt, die sich hauptsächlich aus der Arbeiterschaft zusammensetzte.
Diese Veranstaltungen haben im Februar 1915 begonnen. Das erste Konzert wurde von Oscar Fried, dem bekannten Dirigenten und Komponisten des "Ernteliedes" von Richard Dehmel, geleitet, und Artur Schnabel spielte das Es-dur-Konzert von Beethoven. Es ist in diesen Konzerten neben vorklassischen, klassischen und romantischen Orchesterwerken auch Kammermusik, die besonders häufig von der Kammermusikvereinigung der damals noch Königlichen Kapelle der Oper vorgetragen wurde, aufgeführt worden. Dabei war ich bestrebt, auch Werke zeitgenössischer Komponisten zur Geltung zu bringen, wie z. B. Strawinskys "Geschichte vom Soldaten", die Hermann Scherchen dirigierte. Die 2., 3. und 4. Sinfonie von Gustav Mahler standen ebenfalls in den Programmen der Matineen, wie auch Werke von Arnold Schönberg, dessen Kammer-Sinfonie zweimal hintereinander aufgeführt wurde.
Vorerst möchte ich die grossen Dirigenten nennen, die ich zur Leitung dieser Konzerte eingeladen hatte, an ihrer Spitze Richard Strauss, der wiederholt auch seine eigenen Werke auf unsere Programme setzte. Wir hatten die Freude, noch Arthur Nikisch in diesem Rahmen zu hören, ebenfalls Siegmund von Hausegger, Fritz Steinbach, Leo Blech, Erich Kleiber, Dr. Fritz Stiedry, Max von Schillings und wiederholt den schon erwähnten Hermann Scherchen. [...]
Von den Solisten seien hier nur erwähnt: Wanda Landowska, die bedeutende Cembalistin, Egon Petri, der "Die Indianische Fantasie" von Ferruccio Busoni spielte. Michael von Zadora und Gottfried Galston brachten auf zwei Klavieren Busonis "Fantasia contrappuntistica" zur Aufführung.»
4. BUSONI A DESTINATARIO NON MENZIONATO

Z[urich], 7 O[ctobre] 1916
Mon cher, excellent ami, la condition suprême (qui decidera de mon voyage en Espagne), est: d'avoir libre entrée et sortie aux frontières. Cela ne pourrat s'effectuer que par une lettre d'une haute autorité, d'un ministre. Je ne supporterais pas d'être traité en délinquent par des sbirres ; je me connais, je sais, que facilement je me révolte contre tout procedé indigne, et peut-être j'arriverais à me nuir[e] serieusement. Si Monsieur Dandelot est capable de me satisfaire sur ce point, la question des dates et des cachets se resoudra simplement. - Le mois d'Avril serait probablement favorable à mes desseins.
Pardonnez, cette fois, le ton décidé de ma lettre: c'est le sujet qui en a la faute. - Je vous embrasse.
Votre dévoué
Ferruccio Busoni
5. BUSONI AD ALBERT BIOLLEY

Cher Monsieur et très honoré ami,
je vous avais attendu Samedi et Lundi à la Couronne avec l'espoir de pouvoir vous saluer et remercier, et l'intention de vous souhaiter les bonnes vacances. On me dit que vous êtes déja parti pour la Campagne: jouissez donc des aménité pastorales et boucoliques, et revenez de temps en temps aux tourbillons sodomiques et gomorrhiens de la Capitale, divisez vous entre les rayons et les ombres - -
De Leipsic [sic] pas de nouvelles. Encore des polemiques contre ma pauvre ésthétique (j'en ai toute une collection maintenant.)
Enfin un rayon de lumière: mon oeuvre commence à prendre le semblant d'une forme.
Si ça réussie, ce sera une affaire plutôt importante.
J'avais même eu l'idée "commercielle" (etrange pour moi!) de preparer un fond d'argent pour pouvoir me presenter à un theâtre, bien armé et fourni de tous les moyens artistiques et materiels, au moment ou mon projet sera accompli.
Il s'agirait d'une quarantaine de milliers, pour les copies, les décors, les costumes, la construction d'un instrument oublié et la necessité d'avoir à disposition un jeu de cloches. - Mais je ne compte pas d'avoir terminé avant Noël 1918 - j'ai donc du temps devant moi, néammoins: tout devrait être prêt au moment donné.
La paix... estive est descendue sur les hommes de bonne volonté. Vous étiez mon dernier lieu à la société. Lochbr[unner] redevient invisible. Rubiner s'est éloigné (je crains definitivement, sans que je puisse en imaginer la raison) - pas de femmes... Andreae se tait. (Vive la solitude et le solitarisme!)
Jarnach est ravi du libretto, mais il n'en fera rien; il ne reussie pas à se débarasser d'un autre "machin" déjà commencé.
Il est dur de devoir tirer tout de soi même, et j'ai peur que les fonds d'energie s'epuisent à la fin, comme le charbon et le sucre...
Travaillons et ésperons encore!
Avec affection et respect Votre dévoué
F. Busoni
<Zurich, le>17 Juilliet 1917
6. BUSONI AD ALBERT BIOLLEY

Cher Monsieur et ami,
je reçois votre bonne et belle lettre qui m'a bien touché. J'en vous remercie de tout coeur. - Les socialistes et les ouvriers italiens protesteront contre la continuation de la guerre avec une grève generale, si la garantie de la paix ne se prononce pas avant l'hiver. Je serai assez fier, si la lumière se faisait dans mon pays, et si l'Italie «marchait à la tête de la civilisation» comme disait Napoléon III. - C'est, comme vous constaterez, la seule fois que je vous ecrie Politique; c'est parce que un petit frisson de patriotisme (justifié) m'a passé dans la nuque.
Le travail n'avance qu'à «petits pas», mais constamment: du reste chaque nouveau commencement presente d'abord des difficultés, qui me semblent insurmontables, et devant lesquelles je me sens vraiment commençant.
Ainsi, sans aucune intention systématique, mon petit môt «Beginnt jedesmal, als ob Ihr nie begonnen hättet» devient vrai. Une fois le chemin trouvé, les «pas» grandiront; on peut suivre ce procès même dans l'écriture de mes partitions.
En general je travaille maintenant avec plus de facilité. La fiancée, dont je me suis permis de vous presenter le libretto, m'a coûté trois ans; cette fois j'espère d'arriver au bout avec la moitié; quoique l'oeuvre soit plus importante.
J'ai assez parlé de moi et je me rejouie d'entendre ma femme me parler de Vous, quand elle sera revenue. Je suis sûr qu'elle se trouve très bien chez vous et je vous remercie de l'accueil et de mille autres amitiés.
Présentez mes souvenirs à Mme Biolley. Je vous salue avec affection et respect.
Votre F. Busoni
<Zurich, le> 11 Août 1917
7. BUSONI AL FIGLIO RAFFAELLO

Neuchâtel, 14 Nov. 1917
Mein lieber Lello, die Stadt hier ist so hübsch, dass ich bedauere, dass du sie diesmal nicht mit ansiehst. Auf der Höhe steht ein bemerkenswerthes Schlossgebäude mit einer an ihm anschliessenden Kirche; diese mit Kreuzgang, u[nd] rund umher Festungswällen u[nd] Zinnen: - noch gibt es viele schöne Häuser u[nd] Landsitze, und den See der fast wie eine Meerbucht wirkt.
Das Wetter ist schön. Dieses alles tröstet mich vorübergehend dafür, dass ich nicht zu Hause in Zürich, und dass ich in Zürich nicht zu Hause bin! Dass Alles nicht ist wie es sein könnte und sollte, und dass Planlosigkeit u[nd] Unstätigkeit auf die Lebensführung drücken. Jeder hat davon zu tragen und somit auch deine Entwicklung, die rasch treibt und für die Umstände noch überraschend gut sich anlässt.
Es gilt aber, dieselbe in die Hand zu nehmen u[nd] bewusster zu leiten, als es in den letzten Zeiten geschieht. Dein Talent ist gut und dein Eifer, es anzuwenden, streckenweise ganz anerkennenswerth.
Auch sehe ich ein, dass du in der Wahl und dem Umgang mit deinen Kameraden einen guten Instinkt bezeigst. Ich will Dir aber - nicht als Vater - sondern als alter Künstler sagen, dass Du dich entschliessen musst gründlicher zu arbeiten, falls Du Etwas erreichen willst, regelmässiger zu leben und mit deiner jungen Zeit hauszuhalten. Diese Zeit ist entscheidend und bis zu den zwanziger Jahren - wo erst das aüssere [sic] Leben seine Forderungen erhebt - unersetzbar für die Grundlegung aller späterer Bestrebungen. Nimm dir demnach ein Ziel vor, dass du innerhalb dieser Zeit vollenden willst, überlege Dir welches, und führe den Vorsatz ruhig aber folgerichtig durch.
Ich umarme Dich herzlichst als Dein Freund
Ferruccio
8. BUSONI A ERNST LOCHBRUNNER

Mein lieber Freund Ernst,
mit Zögern u[nd] dankbar nehme ich den schönen Band Liszt in Empfang, der zu den übrigen 70 meiner Sammlung, vervollständigend, - von deiner freundlichen Hand - kommen soll. Wann werde ich diese Einreihung vollführen dürfen? Diese Frage, die uns täglich beschäftigt, drängt sich heute herrischer auf, da wir zum ersten Male 1918 schreiben. Damals, vor genau 4 Jahren, plante ich eine festigende Ruhe für mein Leben; heute stehe ich vor einem zweifelhaften Wiederbeginnen!
... «vielleicht zum Heile...?» wie Faust sagt.
Wollen wir es so deuten für uns Alle, u[nd] fangen wir meinetwegen von vorne an; nur: gebt uns die Möglichkeit dazu! -
Auch Dir besonders, lieber Ernst, der Du mir diese Passions-Jahre durch Freundschaft mildertest, wünsche ich die Wendung, deines Lebens, die du ersehnst.
Der Clavier Abend hat Dich als ganzen Künstler gezeigt, als den besten deines Landes.
Glück auf!
Dein Ferruccio Busoni
<Zürich>, 1. Januar 1918

Deiner Frau Mutter Dank u[nd] Gruss.
9. BUSONI AD ALBERT BIOLLEY

Zürich, 28 Novbr. 1918
Cher Monsieur Biolley,
Erlauben Sie, dass ich auf Ihren werthen Brief vom 25. deutsch antworte; eine Sprache in der ich mich sicherer bewege, und die Sie gleich gut beherrschen. - Ihren Brief habe ich wiederholt gelesen; die Absicht, in der er abgefasst, ist eine offenbar freundliche und verpflichtet mich zu Dank; allein ich habe seinen Inhalt nicht ganz ergriffen. Soweit dieser mir klar geworden, will ich darauf erwidern.
Ihre Berechnungen - in einer Tabelle dargestellt - sind theoretisch korrekt und einwandlos. - Allein, in das Praktische übertragen, wecken sie ganz bestimmte Bedenken; die sind nicht weniger unanfechtbar. - Gäbe ich 70 Konzerte jährlich, - und dies für die Dauer von 10 Jahren - so träte ich mit dem 700. Konzert in mein 64. Lebensjahr, physisch u[nd] moralisch derart erschöpft, dass die angehäufte Million mir nicht mehr nützen könnte; nachdem ich somit die zehn vorausgegangenen Jahre auf eine sehr unkluge Art verausgabt hätte!
Das Ende wäre da: ein Ende, das in Widerspruch stünde mit meiner ganzen Lebensführung und dessen ich mich überdies noch zu schämen hätte. - Bis hierher aber, hatte ich noch nie Ursache mich schämen zu müssen, und hatte selbst Grund auf Einiges stolz zu sein.
Sie werden sagen: wenn ich Ihren Plan zurückweise, so muss ich lernen oekonomisch mich einzuschränken. Auch hierin behalten Sie theoretisch Recht. - Ihre Worte «j'estime que, pour que Vous puissiez vivre de votre petit train habituel» bedeuten - in einer unverhüllten deutschen Übersetzung - : «wenn Sie Ihr Schlaraffenleben so weiter zu führen gedenken», so weit ich in die Sübtilitäten des französischen sprachlichen Geistes eingedrungen bin.
Und so sehr ich Ihre Freunschaft dankbarst anerkenne, cher Monsier Biolley, so muss ich doch Ihnen das Recht absprechen, eine solche Sprache zu mir zu halten. - Ausser Ihrer gütigen Besorgtheit um mich, die eine solche Sprache... verständlich macht, kommt in diesem Momente der Umstand hinzu, dass ich Ihr Schuldner bin; und ich empfinde darum Ihre Bemerkung in doppelter Stärke u[nd] Deutung.
Es ist eine Beobachtung, die anszustellen ich häufig genug Gelegenheiten hatte: dass die Gesellschaft von einem Künstler das Ungewöhnliche für die Kunst erwartet und selbst fordert, - dass sie, jedoch, sogleich daneben verlangt dass er - derr Künstler - in allem übrigen sich «gewöhnlich» benehme, dem Gewohnten sich füge. Das ist natürlich unvereinbar.
Aber woraus ersteht diese Forderung nach einer sochen Unterordnung? ...allein aus dem Begriffe des Geldes.- Denn gesellschaftlich und moralisch sieht man dem Künstler Manches nach - (u[nd] das Letztere ist sogar ein grobes Mis[s]verständnis: weil eine grosse Kunst nur aus einer grossen moralischen Höhe sich erheben kann -) anders steht dagegen das Urtheil in Betreff von Finanzfragen. Der reichere Kaufherr klopft dem ärmen Künstler regelmässig auf die Schulter und fühlt sich an Klugheit und in der Situation überlegen.
Nun weiss die Kunst von Gelde ebensoviel als wie ein Hund vom Sonntag, und wenn sie doch darum erfahren und wissen muss, so ist dies die Schuld jener Anderen, die dem Künstler es an= und nachrechnen.
Deshalb hielte ich dafür, dass diejenigen die das Geld ersonnen haben, die es schätzen und besitzen, - dass sie solche Menschen, die es nicht schätzen und nicht besitzen, - u[nd] die dennoch arbeiten und schaffen, - mit diesem Gelde ausstatten müssten. Es ist nicht die Schuld des Künstlers, dass die Anderen so viel werth darauf legen. Wenn ein Stadt Rath Reinlichkeit fordert, so hat er für Reinlichkeitseinrichtungen zu sorgen. Nicht der Kranke hat das Hospital zu bauen, sondern die Sanitätsbehörde.
Und, jetzt, worin besteht die moralische Überlegenheit des Reicheren? Ist es eine grössere Kunst finanziell reich zu werden, als geistig? - Es gibt so viele Millionäre und so wenige Künstler zu gleicher Zeit! - Mit anderen Worten: man kann nur auf einen der beiden Zwecke hin arbeiten - zu beiden reicht das Leben nicht - und von den beiden scheint der finanzielle Erfolg der leichtere zu sein, da er so sehr viel häufiger sich einstellt. - Die Kunst selbst zum Zwecke der Bereicherung auszuüben ist unmoralisch, in sich selbst widersprechend, - und Sie denken hierüber nicht anders.
Dieses Alles hatten wir von einander nicht erfahren, wenn der Krieg nicht ein Jedes aus der Regel gebracht hätte. Sie würden niemals über meine wirtschaftlichen Verhältnisse informiert worden und ich wäre nicht in die Nothwendigkeit gerathen, mir nach Zürcher Begriffen von Anstand und Gesetztheit billige Wahrheiten sagen zu lassen.
Von Kind auf habe ich meine Eltern, dann mich selbst, dann meine eigene Familie würdig erhalten, ohne Schulden zu machen und ohne um Hilfe zu bitten; und habe gleichzeitig es zu Wege gebracht, meine Begabung zu pflegen, zu entwickeln und mir einen Namen zu verdienen. So brachte ich es zu 50 Jahren, und ich glaube nicht dass ich akzeptieren darf, dass man mich jetzt bevormunde.
Ich bitte Sie, mir die unumgänglich nöthige Zeit gewähren zu wollen um unsere kleine Angelegenheit zu ordnen, worauf ich geschäftlich - aber niemals moralisch aufhören werde, Ihr Schuldner zu sein.
Ich hoffe zuversichtlich, dass es mir gelingen wird, für den Kleineren übrigen Rest meines Lebens, Sie in Keiner Weise zu enttäuschen; und dass Ihnen einige Freuden und gar keine Sorgen durch mich zu Theil werden.
Ihr herzlich und dankbar ergebener
Ferruccio Busoni
10. BUSONI A ETTORE COSOMATI

Carissimo Professore,
Le sono riconoscente della lettera e del telegramma. Quella data già dal 23 Luglio; ma anche senza rileggere la data mi sentivo colpevole d'un ritardo, che Lei scuserà benevolmente. Ebbi ed ho tante cose da terminare e molte da iniziare; l'agosto precipita verso il Settembre [sic], e la mia partenza - disabituato come sono ai viaggi - mi sembra imminente e mi rende un po' nervoso. Ah, questi benedetti nervi strapazzati dalla guerra! Ognuno ne è tocco, secondo la sua indole. Fra i miei amici uno, a quarant'anni, ha abbandonato la sua professione di musicista e si dedica all'acquarello - un altro si è fatto psico-analitico; il poeta Rilke, che fù [sic] da me una settimana fà [sic], non ha scritto neanche un verso durante questi cinque anni; il romanziere Wassermann, che vidi ierl'altro, è inaccessibile al punto da far pena a chi lo ascolta; pur essendo rimasto attivo e lucido.
Gli austriaci soffrono il peggio.
Fecero bene coloro che si rifugiarono in Isvizzera. Però Lei, in quella benedetta Zuoz, fra la pioggia e la neve, mi fa compassione. Speriamo che il tempo abbia fatto volta faccia, auguro il Caldo per il Suo fisico ed il Sole per la Sua arte. - Se mi riesce di terminare in tempo quella parte della mia partitura, che mi sono prefisso di presentare all'Andreae, verrò quasi certamente a raggiungerLa. - Siamo ben curiosi della «novità» riguardante Aldo! Da anni Annorum non tenni Carte da Visita. Ora dovrò farmene fare, ed appunto avevo pensato all'Aldo per farne una cosettina artistica. Ne desidererei una concepita così:
Ferruccio Busoni
Chevalier de la Légion d'honneur
Doctor phil. hon. causa
ed un'altra senza i titoli. -
Inviai una lettera aperta alla N. Z. Z. in risposta alla simpatica apostrofe dell'Andreae; ma fino ad oggi non si sono curati di stamparla.
Il «quadernino» mi sta a cuore. Se il Faust si eseguirà in forma di Concerto (il Prologo e l'Intermezzo) - il fascicolo del programma conterrà il testo, una prefazione ed i Suoi disegni (Ne parli all'occasione coll'Andreae).
In ogni caso mi rallegro di rivederla e saluto Lei ed i suoi affettuosamente.
Suo devotissimo F. Busoni
<Zurigo>, 8 Ag. 1919
11. BUSONI A ETTORE COSOMATI

<Zurigo>, 6 S[ettembre] 1919
Caro Professore,
Partirò probabilmente il 18 di questo mese, e conto di rivederla entro i prossimi 12 giorni. - Pessime notizie dall'Italia! «Se Ella venisse» (mi scrive il Marchese di Casanova) «non potrebbe più ripartire; tutti i permessi essendo rigorosamente vietati per periodo indefinito.» - Non si capisce più niente.
Ma mio figlio Benvenuto sarà qui fra brevissimo! Che consolazione dopo tanti stenti! Non mi par vero, e non voglio ancora lasciarmi andare alla contentezza. - Spero veder il Benni avanti la mia partenza.
Saluto Lei ed i suoi con stima ed affetto Suo d[evotissi]mo
F. Busoni

12. BUSONI A ISIDOR PHILIPP

Zurich, 31 Juillet 1920
Mon cher ami Philipp,
maintenant c'est decidé, j'irai à Berlin. - Voilà d'abord les raisons:
- mon habitation est menacée, si je ne me montre pas présent -
- je dois assister aux répétitions de mes opéras -
- je suis débiteur d'une visite personnelle et artistique -
- j'ai accepté la classe de maîtrise en composition à l'Academie de l'Etat: donc, j'y vais, je suis obligé d'y aller; mais je considère l'entreprise toujours comme experiment, (presque une épreuve) et déjà j'envisage la tragique possibilité d'un nouveau déménagement.
Je me suis reservé la liberté de six mois, du 1 Janvier jusqu'à la fin de Juin - pour mes projets de Paris, Londres et Rome.
J'aimerais fixer d'abord Paris, comme point de depart. Je vous prierai donc d'avoir la grande bonté et patience de vous occuper des dates. Je pense que les deux concerts à la Société du Conservatoire, les deux avec Pierné et deux ou trois récitals formeront une série plus que suffisante - si ce n'est déjà trop.
Ces jours ont été assez énervants, avec ses conferences et discussions, les doutes et les décisions. -
Jeté hors de toute possibilité de concentration; je suis incapable de travailler. Il faut vite en finir, pour ------ recommencer, et ainsi da Capo al fine...
Nommez-moi les morceaux proposés aux concerts d'orchestre, je les ai oubliés.
Je vous souhaite un bon repos à St. Bernard. Embrassez-moi Marcelle (si elle est là) comme je vous embrasse (par amour ou par force).
Votre affectueusement dévoué
F. Busoni