FERRUCCIO BUSONI

LETTERA A MARCEL REMY


Pubblicata da Friedrich Schnapp col titolo Ferruccio Busoni: «Brief an Marcel Remy, Musikkritiker und Korrespondant des Brüsseler 'Courrier musical' in Berlin, in 'Zeitschrift für Musik', Lipsia, XCIX, n. 12, dicembre 1932, in una sua traduzione dall'originale francese che non abbiamo avuto modo di riscontrare [una copia della lettera in francese è alla Zentralbibliothek di Zurigo - LR]. È una lettera inviata a Marcel Remy, corrispondente da Berlino del «Courrier musical» di Bruxelles, in risposta alla sua recensione d'un concerto di Busoni.

LO SGUARDO LIETO, pp. 157-158


Stimatissimo signore e amico,
ho letto il Suo scritto sul mio concerto di Berlino, e La ringrazio cordialmente. Ma mi sento obbligato ad una spiegazione e approfitto dell'occasione per esprimerLe alcune considerazioni sulle mie esecuzioni e sull'interpretazione in genere.
Se crede ch'io abbia intenzione di «modernizzare» le opere che io suono, Ella parte da un presupposto falso. È il contrario. Nel ripulirle dalla polvere della tradizione io cerco di farle «giovani» - tali, quali furono sentite nel momento in cui uscirono dalla testa e dalla penna dell'autore.
La Patetica, sonata ai suoi tempi quasi rivoluzionaria, deve suonare «rivoluzionaria» - né si può mettere passione bastante nell'Appassionata, vetta dell'espressione passionale della sua epoca. Nel mio modo di suonare Beethoven io cerco di avvicinarmi alla libertà, alla nervosità umana, che distinguono le composizioni del Maestro in opposizione ai suoi predecessori. Mi faccio presente il carattere dell'uomo Beethoven, ho riflettuto a quello che ci si riferisce del suo modo di suonare; per questa via mi sono fatto un ideale, che erroneamente si definisce «moderno», e che in realtà non è se non «vivente». - Così come con Beethoven mi comporto con Liszt e in questo - abbastanza stranamente - qua mi hanno dato ragione, là torto. Le stesse idee - per venire al caso nostro, mi hanno guidato al Prélude, Choral et Fugue del maestro Franck.
Io non posso convenire che Franck sia più moderno di Beethoven. E questo qualcosa che chiamano «moderno» esiste poi davvero? Per me ci sono soltanto spiriti grandi e piccoli, opere buone e cattive. In Franck il cromatismo è un personale sentimento dell'armonia, ch'Ella troverà più sviluppato in Bach che in Beethoven: segno che non si tratta d'una questione di progresso o d'epoca. I «sospiri» nel recitativo della Sonata op. 110 mi sembrano più umani e perciò meno «classici» di analoghi luoghi in César Franck. E persino la fuga di Beethoven è meno conforme alla teoria di quella del maestro belga.
Quando ebbi studiato il contenuto puramente musicale del pezzo di Franck, mi posi la questione del suo significato psicologico e quindi dei mezzi necessari ad esprimerlo. Altrettanto poco ho sentito suonare quest'opera dall'autore o dai suoi contemporanei che quelle di Beethoven. Tuttavia so (e anche se non lo sapessi, avrei dovuto intenderlo) che Franck non possedeva sui suoi mezzi e i suoi effetti un'autorità cosi sicura come quella di Beethoven. Me lo hanno dimostrato Chopin e Liszt nelle loro composizioni per pianoforte. Una frase strumentata «fortissimo» si può suonare con dolcezza, ma non con molta forza un pezzo orchestrato «pianissimo». Si possono mettere le sordine alle trombe, ma non eroicizzare i flauti. Ne abbiamo un esempio nel Corale di Franck, dove si richiedono tre diversi livelli di sonorità senza che la realizzazione pianistica muti; credo di aver corrisposto all'intenzione del Maestro mutando io la «strumentazione».
Potrei dimostrarLe la logica di alcune modifiche minori, s'Ella avesse la bontà di seguirmi una volta con la carta alla mano mentre io Gliele suono al pianoforte.
Temo di avere scritto un francese barbarico, ma sono certo ch'Ella mi capirà.
Con i migliori saluti mi dico, caro Remy, il Suo devoto

Ferruccio Busoni

__________________________________________________________________________________