SYMPHONISCHES TONGEDICHT

Fra il marzo e l'aprile del 1908 Ferruccio Busoni, allora quarantaduenne, redasse quelle «Osservazioni sulla successione dei numeri d'opus nelle mie composizioni» che costituiscono un punto di riferimento insostituibile per chiunque intenda accostarsi alla sua attività di compositore. In quello scritto non solo forniva utili schiarimenti sulla catalogazione dei lavori composti fino ad allora, dall'«Ave Maria» op. 1 del 1877 alle «Elegie» per pianoforte dei 1907, ma li raggruppava allo scopo di precisare ordinatamente le fasi dei proprio processo di maturazione. Osservando la divisione in tre periodi (Fanciullezza, dal 1877 al 1884, Giovinezza, fino al 1898, e Maturità, appunto fino al momento della stesura del catalogo) possiamo notare come tutte le opere sinfoniche presenti in questa pubblicazione* appartengano alla seconda e alla terza fase. Naturalmente a maggior ragione devono essere considerate opere mature il Rondò arlecchinesco e il Tanzwalzer, composti rispettivamente nel 1915 e nel 1920, quindi dopo lo scritto ricordato.
A chiarire una numerazione altrimenti disorientante provvede lo stesso Busoni ricordando come fino al diciassettesimo anno di età avesse già dato alle stampe i suoi Juvenilia compresi fra i numeri d'opus dall'1 al 14 e dal 30 al 40, come negli anni successivi avesse poi colmato i numeri mancanti e, per non creare uno squilibrio nella logica evoluzione del suo cammino artistico, avesse fatto seguire una seconda serie di numeri dal 30 al 40 aggiungendovi, per distinguerli dagli altri, la lettera a. Si spiega in questo modo la collocazione del
Symphonisches Tongedicht, composto nel 1893 rielaborando una precedente «Fantasia da concerto» inedita per pianoforte e orchestra, e pubblicato come op.32a da Breitkopf & Hartel nel 1894. Nello stesso anno il lavoro fu eseguito per la prima volta a Boston da Arthur Nikisch. Opera dunque situata alle soglie di quello che Busoni considerava il periodo della sua maturità artistica e, limitatamente ai lavori dati alle stampe, il suo secondo saggio sinfonico dopo la Symphonische Suite op. 25 del 1888. Il titolo di 'Poema sinfonico' contribuisce a precisare i modelli tenuti presenti, che sono facilmente identificabili con Liszt e Strauss. Siamo insomma ancora all'interno di quella concezione tardoromantica della musica a programma che Busoni osteggerà lucidamente nei suoi scritti estetici della maturità. Più dei riferimenti letterari premessi alla partitura (alcuni versi di Leopardi e Lenau) lo dimostra la realtà di una musica dove il linguaggio armonico è chiaramente mosso nell'orbita dell' epigonismo wagneriano e dove il turgore della strumentazione spesso inclina a una ricerca dell'effetto eclatante e dei gesto retorico. Alla prima parte, aperta dal fugato su un sofferto disegno cromatico discendente, segue una sezione mediana turbinosa e guerresca che sfocia in uno sconsolato epilogo, come nel «Don Giovanni» di Strauss, digradante verso la chiusa sommessa col pizzicato degli archi. Pur mostrando motti difetti di struttura, il «Symphonisches Tongedicht» rivela la mano di un musicista già padrone dell'orchestra e soprattutto interessa per cogliere i contatti giovanili di Busoni con quel mondo che presto avrebbe radicalmente rinnegato. Nel 1894, dopo la grande rivelazione dell'ascolto del Falstaff, Busoni scrisse a Verdi una lettera traboccante di entusiasmo nella quale annunciava l'invio della partitura del suo ultimo lavoro sinfonico. Ma quella lettera non fu mai spedita e quindi non ci è dato conoscere il giudizio che Verdi avrebbe espresso su quel convulso saggio di assimilazione del verbo wagneriano. [Dal booklet redatto da Giuseppe Rossi contenuto nel cofanetto BONGIOVANNI Symphonisches Tongedicht (1 March 1893) Silvano Frontalini / Minsk Philharmonic Orchestra / BONGIOVANNI GB5509/10-2]


Ma è nel campo dell'orchestra che Busoni compie in questi anni [fine anni '80 - inizio anni '90] esperienze decisive. Il Symphonisches Tongedicht op. 32a rappresenta un importante momento di rottura, una punta isolata di ardito sperimentalismo che appare sotto il segno di una contraddittorietà tipica delle opere di questo decennio. Concepito nel 1888-89 come Fantasia da concerto per pianoforte e orchestra, fu rielaborato nel 1893 per orchestra e dedicato ad Arthur Nikisch, che lo eseguì con la sua orchestra a Boston nel 1894. Già il titolo programmatico di «poema sinfonico» indica che il modello di Busoni è Strauss: e inconfondibilmente straussiani sono il linguaggio armonico e la stessa scrittura orchestrale, turgida e dilatata a masse sonore di grandi dimensioni. Non manca neppure il riferimento a un programma letterario, anche se Busoni si limita a premettere alla partitura alcuni versi genericamente pessimisti di Lenau e di Leopardi. L'aspetto problematico di quest'opera, quasi un compendio di tutto ciò che Busoni in seguito rifiuterà e bollerà come contrario alla musica, non può mancare di destare perplessità. In effetti il Symphonisches Tongedicht è un unicum nella produzione di Busoni, forse un tributo allo stile dell'epoca e ad autori che lo avevano colpito anzitutto per la loro sfrenata abilità e fantasia (come appunto Liszt, Strauss e il «profetico» Berlioz); più probabilmente il risultato del desiderio di confrontarsi con la forma e il linguaggio dominanti in quel periodo, per affinare il mestiere e guadagnarsi un nome come compositore. Ma le contraddizioni non si fermano qui: per un certo tempo Busoni tenne in grande considerazione questo suo lavoro, al punto da decidere di allegare la partitura appena stampata alla famosa lettera a Verdi del 1894, nella convinzione di aver con essa «costituito una raccomandazione e una legittimazione di fronte a Lei» (proprio con un'opera ispirata da un seguace di Wagner! Chissà cosa avrebbe risposto Verdi, se la lettera e la partitura fossero state davvero spedite). In seguito cambiò del tutto parere, e se non arrivò a ripudiare l'opera giovanile, la giudicò retrospettivamente espressione di «un'epoca malsicura » della sua evoluzione artistica.
[Sablich, pp. 153-154]