SERGIO SABLICH

ANALISI DI «ARLECCHINO»

PROLOGO

PRIMO TEMPO

1. INTRODUZIONE, SCENA E CANZONETTA

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Quanto alla struttura musicale, Busoni si servì di un certo numero di pezzi chiusi raggruppati in varie parti a se stanti per caratterizzare i personaggi e le situazioni sceniche, senza rinunciare a stabilire una sottile e «teatrale» continuità all'azione. L'atto unico è suddiviso in quattro parti o tempi (Busoni usa il termine «Satz», proprio della musica strumentale e sinfonica), intitolati rispettivamente

«Arlecchino come maschera»

«Arlecchino come guerriero»

«Arlecchino come marito»

«Arlecchino come vincitore».

Esso è incorniciato da due monologhi, recitati, del protagonista, il quale, nel corso di tutta l'opera, si esprime o parlando o nella forma dello «Sprechgesang»:

nel primo, recitato davanti al sipario e introdotto dalla stessa fanfara che apre il Rondò arlecchinesco, Arlecchino espone quasi rapsodicamente il tenue argomento della vicenda, anticipandone dunque all'ascoltatore l'intreccio, e passa poi la mano al direttore d'orchestra per l'attacco della vivace, coloratissima Introduzione (qui si presentano in rapida successione i principali spunti musicali dell'opera); nel secondo, che precede la danza íinale con gli sberleffi del vittorioso eroe, Arlecchino riassume invece la morale della favola: se una morale può darsi, essa dimostra che sa farsi valere «solo colui che con le proprie forze seguendo i suggerimenti del cuore e con vigile mente sceglie la via diritta; chi si accontenta, se gli riesce, di restare fedele a se stesso; chi anche in vesti rattoppate serba la sua interezza e non si inchina a nessuno, come ho provato su di me io stesso»; non mancando di lanciare, prima di augurare a tutti «buona notte», una frecciata ironica ai «signori critici d'arte e di giornale, miei giudici benevoli».
Fra questi due estremi, dove a parlare è l'autore stesso travestito da Arlecchino, la vicenda si svolge in una successione ininterrotta di numeri chiusi, attraverso i quali Busoni sembra quasi voler riassumere tutte le principali forme operistiche, da quelle tradizionali a quelle, a lui particolarmente care, della marcia, della danza, della pantomima cantata. Ad ognuna di esse sono associati non soltanto un determinato tipo di situazione scenica o di personaggio, ma anche una nota specifica, ora caricaturale, ora profondamente seria, ora di semplice immediatezza, ora piena di riferimenti e di ammiccamenti. In altre parole, la forma scelta nasce dal momento in cui si trova l'azione e dallo stato d'animo dei personaggi che vi intervengono, come se di questi fosse una naturale emanazione (di qui la continuità del rivestimento musicale); ma è anche oggetto di critica in quanto convenzione, schema preesistente dal quale la musica, sia attraverso la parodia, sia attraverso l'elaborazione dei dati compositivi, tende sempre a distaccarsi e a oggettivarsi.
A ciò concorrono anzitutto le abbondanti citazioni, dirette o indirette, di cui il lavoro è costellato. Ne troviamo alcuni esempi già nella «Scena e Canzonetta» che, con l'Introduzione, costituisce il primo numero dell'opera. Allorché Ser Matteo del Sarto (baritono), tutto preso dalla lettura della sua prediletta «Divina Commedia» mentre è intento a cucire davanti alla sua casa (e si tratta nientemeno che del Canto di Paolo e Francesca), si estasia a tal punto da sentir nascere in sé un irrefrenabile impulso musicale ed evoca perciò il nome del divino Mozart, dall'orchestra zampilla gaiamente un frammento dell'Aria «Fin ch'han dal vino» del «Don Giovanni», sul quale il canto di Ser Matteo, giunto alle parole fatali «La bocca mi baciò tutto tremante», si distende prima in liriche effusioni e poi in moralistiche chiose letterarie: la musica sottolinea efficacemente questi diversi piani della situazione e dell'indole del personaggio, con un effetto reso ancor più eloquente, da un punto di vista teatrale, dalla controazione di Arlecchino impegnato nella conquista della bella Annunziata (personaggio muto), di lui moglie.
Un altro caso, questa volta di distacco dall'azione e di commento in termini puramente musicali, si ha poi nella melodia vocalizzata fuori scena su «la la la», eco chiarissima della chiusa del «Rondò arlecchinesco», attraverso cui Arlecchino, dopo aver annunciato a Matteo in un serrato dialogo l'arrivo dei «barbari» e averlo rinchiuso mezzo morto di spavento in casa sua, si allontana soddisfatto dei progressi della sua impresa.
Sergio SABLICH, «Busoni», Torino, EDT, 1982, pp. 209-211