Guido Guerrini
DIE BRAUTWAHL

(IL SORTEGGIO DELLA SPOSA o
LA SPOSA SORTEGGIATA)


ANALISI MUSICALE


ATTO I


PARTE I

L'opera s'inizia con un brevissimo e vivace preludio, su pedale, con movimento ascensionale di semicrome e, nei bassi, l'enunciazione di un I tema che farà poi qualche altra apparizione. Un secondo temetto a crome, saltellante e rossiniano, si sviluppa brevemente, e tre rapide scalette discendenti chiudono il pezzo, che predispone assai bene.
Quattro battute d'introduzione ed eccoci alla I Scena: «Il Caffè». Una Banda sulla scena suona la Marcia del «Mosè» di Rossini. Su di essa si svolge il duettino Voswinkei-Edmondo. L'orchestra s'inserisce gradatamente nella musica rossiniana, deformandone volutamente il procedere armonico e introducendovi un piccolo tema, brioso, che riapparirà poi essenziale. Tutto questo primo brano è delizioso e teatralissimo. Il pezzo che segue, più caricaturale che buffo, ha un'evidente derivazione falstaffiana. È un breve dialogo, argutamente punteggiato dall'orchestra, che ci porta a una specie di Ballata di Voswinkel, chiara, sana, vocalmente efficace, di taglio e di sapore rossiniani.
Alla seconda scena, l'entrata di Albertina, cambia lo stile. Il musicista raffinato si svela, l'arguzia e la satira lasciano il posto alla «lirica». Ritmi e armonie si fanno poetici e la melodia vi si stende sopra. (Melodia, s'intende, sempre... busoniana). Ma è per poco. Dopo la presentazione, i due giovani s'intendono subito e la musica ritorna scorrevole, elegante e leggermente gaia. Ed ecco, altra piacevole sorpresa, il concertino sulla scena che suona un Minuetto delle Danze tedesche di Mozart. Questo ritorno alla.semplicità settecentesca dà riposo e lena. Il terzettino, sulla musica mozartiana, si snoda facile e piano. Poi, anche questa volta, l'orchestra busoniana vi siinsinua; i procedimenti si fanno arditi; pur rimanendo ligi alla ritmica del Minuetto; i passaggi armonici divengono preziosi, la musica si stacca a poco a poco dallo stile settecentesco per cercare autonomia propria nello stile modernissimo.
Ad accogliere gli approcci dei due amorosi, il movimento ternario si allarga e si amplifica. Anche lo stile muta nuovamente: a quello italiano o classicheggiante, subentra inavvertito il «Lied» tedesco. Il 6/8 dà nel primitivo romanticismo; le voci, che avevano fino ad ora proceduto «all'italiana», si fanno «tedesche». Salti di terze, di seste, di ottave, quasi mai procedimenti graduali. Continue «arsis» danno qualche affannosità al discorso, sia pure amoroso. Anche l'armonia si fa spuria e leggermente intorbidata.
Il ritorno di Voswinkel rimette le cose a posto. I ritmi si riaccendono e vivificano, lo stile ritorna quello sano di partenza. Una trovata, poi, la ripresa, nei «gravissimi»; del tema della Marcia del «Mosè», canticchiata dall'euforico banchiere; e su quello un lieve e fugace accenno al tema d'amore, che chiude la scena in maniera deliziosa.
L'entrata di Leonardo suggerisce ora, e non sappiamo quanto opportunamente, un procedimento wagneriano. (È dei pochissimi, che poi si faranno sempre più rari nella produzione del Maestro, ed è anche più di forma che di sostanza). Se ne libera poco dopo (all'«Allegro sostenuto») e la comicità ritorna, chiara e settecentesca.
Il mutamento di scena, con l'apparizione della Torre, è indovinato e strumentato con somma originalità. Il duetto che segue, fra Leonardo e Thusman, è una fra le più indovinate pagine dell'opera. Anche in questa è palese l'influenza di Falstaff; palese nella fattura, nei colori, nella strumentazione, nella vocalità. La comicità, sempre contenuta e controllata, è più sardonica che buffonesca. La figura di Thusman assume una caricaturalità veramente geniale. Variano continuamente ritmi e atteggiamenti, ma si mantiene coerentissimo lo stile. Né troppo se ne discosta all'«apparizione» di Albertina alla finestra della Torre, per la quale il musicista sa mantenere una pseudo-serietà che non distacca l'animo dal sorriso. La parentesi, d'altra parte, è brevissima e lo stupore del maturo spasimante assume toni di irresistibile comicità. C'è, nella musica che accompagna Thusman, il borioso, il tronfio, il pavone funzionario borghese, così che il carattere ne esce scolpitissimo. La chiusa del quadro poi, che su un vivo movimento di crome parte da un fortissimo per svanire in un soflio, senza per altro diminuire la gaiezza ritmica, è genialissima.

PARTE II

«Andante sostenuto in modo giudaico ». Una nenia ebraica ch'è un vero ritratto di Shylock. L'ebreo Manasse è in scena. Questa pagina (ch'è fra le più personali, e che fu poi trasferita nella Suite) è costruita nella forma del basso ostinato e gioca su un tema cromatico, piagnucoloso e petulante, e su una melodia orientaleggiante che ne forma lo scheletro lirico.
Al levarsi del sipario, e all'entrata di Thusman e di Leonardo, la musica si schiarisce e si anima, ma il primo tema ebraico non si perde. La prima parte di questo terzetto si trascina un po' artificiosa, seppur scorrevole. Riprende di nuovo vita quando Thusman annuncia di voler prender moglie e gli altri due lo motteggiano. Il tema ebraico passa ai bassi, efficacissimo, mentre sopra si susseguono scale cromatiche ascendenti alternate ad accordi cromatici, fino a che si sbocca nell'«Allegro a cappella» già udito, chiaro e riposante. Più volùto il 6/8 seguente, ma sempre elaborato con mano abilissima. E ancor più stanco l'«Allegretto ponderato » (quasi di Minuetto). Ritorna gaiezza al «Molto moderato, ma scherzando» nella scena in cui Thusman legge il brano del Thomasius, pezzo scorrevole e alerte, che prepara assai bene il contrasto con la «Raccapricciante storia del falsario ebreo Lippoldo». Questa, che parte ancora una volta dal tema ebraico, ci porta poi a poco a poco in un'atmosfera magica e oscura, strumentalmente suggestivissima, per ravvivarsi in movimento e in luce sinistra al 6/4. Il crescendo psicologico è ben dosato e teso, e l'effetto musicale raggiunto. Scenicamente il brano ci sembra un po' statico come tutto ciò che in teatro si basa sulla parola e non sull'azione.
La timida parentesi di Thusman (che vuol pur sapere chi fosse la donna dell'apparizione) è riposante, anche se di scarso significato. Il finale invece, con belle sonorità sgargianti, con ritmi franchi, con solide armonie e con un vitalissimo gioco contrappuntistico, è luminoso e piacevole. A un certo punto si ripresenta il tema della Marcia del «Mosè» (in la bem. min.) ad accordi secchi e a frammenti, spassosissimo. Felice pure la ripresa del tema del Preludio e la scena di magia fra Leonardo e Manasse che portano, con travolgente foga, alla chiusa dell'atto.

ATTO II


PARTE I

Il Preludietto è costituito da uno strampalato valzer (che ci ricorda, e forse prepara, il bellissimo Tanzwalzer, op. 53) e da un tema di Marcia. (Li risentiremo tutti e due durante il racconto di Thusman).
Il carattere dominante di questo atto (e lo denuncia appunto il Valzer) è quello viennese. Cosicché lo stile contrasta, non senza nocumento estetico, con quello del primo atto. Sim
patico il movimento che commenta il soliloquio di Voswinkel, borioso e soddisfatto, che incide ancor più a fondo il personaggio.
All'entrata di Thusman i movimenti s'intensificano (e non diremmo che si arricchiscono), rendendo abbastanza bene l'affanno. «L'inverosimile racconto di Thusman» che segue, è costituito da un Valzer fra due Marcie. Pezzo quindi chiuso, a carattere sinfonico con la voce evidentemente sovrapposta. Il tema della prima Marcia, affidato ai bassi, è muscoloso e pachidermico; più banaluccio e bizzoso il Valzer, che già avevamo ascoltato nel Preludietto dell'atto II, ma che rende bene la «vorticosità» delle vicende narrate. La seconda Marcia (anche quella già udita), agghiaccia un po' e non ne vediamo una giustificazione scenica. La tirata di Voswinkel è anch'essa più costruita che sentita e le nuoce quel ritorno finale al movimento di Valzer, di cui tutto il quadro è sovraccarico. Dove la scena si rialza veramente, per tono e per fattura, è all'entrata di Manasse. Senza dubbio Busoni «ha sentito» questo personaggio e lo ha reso vivo. Anche questa volta Manassé è accompagnato dal suo tema, staccato e frammeritato, che riproduce efficacemente l'untuosità dell'ebreo e prepara magnificamente il racconto che (specie dal 3/8 in avanti) è divertentissimo, chiaro, spiritoso, italiano. Al 6/4 poi, il brano assume un tono elevatissimo e, musicalmente, è fra le più belle pagine dell'opera.
La fine della scena è costruita sopra una ripresa del valzeruccio.

PARTE II

Breve introduzione di carattere lirico, sopra un arpeggiato del Clavicembalo che Albertina suona in scena. Presentazione di quello che chiameremo, con buona pace di Busoni, tema d'amore. La prima parte del duettino è tutta lirica, di un lirismo composto e non mieloso, con armonizzazione ricercata e non tenera. All'«Allegro moderato» ritorna l'allegria, col tema della Marcia del «Mosè», molto spiritosamente contraffatto nel ritmo. Qualche incoerenza di stile sfugge, data la brevità del brano. Efficace l'entrata di Thusman e la sua tirata morale ai giovani. I1 terzettino che segue è pesantuccio e «costruito». Ci si risolleva all'entrata di Voswinkel fatta con piglio «falstaffiano» di molto rilievo. La difesa di Albertina e di Edmondo (ancora un tempo di Valzer) è fiacca e poco conveniente alla freschezza psicologica che la situazione richiederebbe.
Ancora una volta è Leanardo che salva la situazione. Questo «Deus ex-machina» ha veramente un suo carattere che non si smentisce mai. Originale il «Sostenuto» 6/4; spigliato il 3/4 «Allegro», che portano con naturalezza al Quintettino. Il quale, nel suo genere, è pagina assai riuscita. Il contrappuntista si sente nel suo elemento e se ne compiace. Il brano è scorrevole, vocalmente scritto con somma perizia, formalmente squadrato da Maestro. La tensione cade di nuovo all'entrata di Bensch (fatta eccezione per il 2/2 ch'è una trovata teatrale), e non si risolleva più sino all'invettiva di Manasse che è forte e caratteristica. Dopo, dall'«Allegro» alla fin dell'atto non vi è, di notevole, che l'uso del coro virile interno (a scopo puramente fonico), e l'ultimo valzer lento, che ha uno spunto felice.

ATTO III


PARTE I

Il Preludietto, tutto intessuto sul suono di un «Cornetto da Postiglione», è ben fatto e suggestivo. Bello, ben sviluppato e giocato in orchestra il tema del Cornetto.
Al levarsi del sipario siamo in riva al laghetto del Tiergarten e se ne sente in orchestra il torbido rigurgito. Nell'aria echeggia ancora il Cornetto del Postiglione. Il lamento di Thusman, che medita il suicidio, ci ricorda, non per reminiscenze musicali, ma per analogia psicologica, il soliloquio di Falstaff ripescato dal Tamigi. Al suo risovvenirsi dei negromanti giudei («Allegro con spirito») anche la musica si indispettisce, con un temettino penetrante e pettegolo assai ben giocato. Ancora una volta si risente in orchestra il Corno del Postiglione. Il gracidio delle rane sembra deridere il dolore del Consigliere Segreto. Teatralissima la scenetta dei tentativi poco coraggiosi di suicidio, interrotti dall'entrata di Lecnardo.
L'«Allegro ritenuto» che l'accompagna ha vivacità rossiniana. Caricaturalissimo poi lo spunto di Marcia Funebre su cui Thusman invoca la morte, e grazioso, nella sua semplicità (finalmente un po' di trasparenza), l'« Allegro a cappella» che segue. La ripulitura del viso di Thusman, per magico potere di Leonardo, è di bell'efficacia teatrale e da questa si salta, con gusto, nel «Tempo di Polacca», con la quale Thusman manifesta la sua gioia. Di questa Polacca lo spunto è indovinato, ma poi nello sviluppo l'interesse si affloscia.
Spiritoso e vivacissimo l'«Alla Breve», con un piccolo tema mozartiano, ilare e quadrato, ch'è un gioiello. Meno efficace la II ripresa del Tempo di Polacca e più stanco ancora il «Molto tranquillo» che segue. La chiusa della scena è salvata dalla ripresa, abilissima, del tema del Cornetto di Postiglione.

PARTE II

Tutta la scena che segue è pesantuccia e torbida. Il duetto fra Voswinkel e Leonardo (nel quale duetto il negromante palesa al banchiere i pericoli che lo minacciano s'egli rifiuterà i tre pretendenti della figlia, e suggerisce poi il trucco del sorteggio alla «Shylock») è forse eccessivamente verboso e statico. Il breve preludio, di carattere pianistico, è già insipidello.
Un lungo recitativo di Voswinkel (graditissimo riposo) prepara l'entrata di Leonardo, sulla musica stessa del preludio. Il dialogo si trascina cosi, con rare schiarite. Una, efficace, all'«Andantino» 3/8, quasi a Minuetto, durante la quale Leonardo palesa il primo pericolo (il Pittore).
Lo spunto del «Più andante», ha il piglio simpatico del Donizetti di Don Pasquale, ma poi s'aggroviglia e s'arruffa subito, perdendo il fascino della semplicità.
Altro simpatico, ma troppo breve spunto, quello dell'«Allegro moderato» e divertente il movimento orchestrale del «Moderato assai», su cui Leonardo narra del tentativo di suicidio di Thusman (il secondo pericolo). Troppo denso ed elaborato il «Moderatamente agitato» pel racconto del terzo pericolo (Bensch); né molto più divertente il commiato fra i due.
La 17a scena che segue, è la scena madre e matrice dell'opera. Sia perché Busoni ne avesse scritta per prima la musica (che perciò è di parecchi anni precedente a quella delle altre scene), sia perché egli abbia sentito in modo diverso questo «momento scenico», la verità è che qui si entra in un nuovo mondo estetico. Subito, dall'«Agitato», ci sentiamo in pieno melodramma italiano e diremmo meglio verdiano. Verdiano per la foga drammatica, pel movimento, per l'armonizzazione, per la stroficità melodica. Né si stacca da questo carattere il «Viel ruhiger» (più tranquillo). Se ne allontana invece lo «Scorrevole» (Flissend), con quel ritmo di Valzer lento; ma è cosa di breve momento, ché al n. 103 si inizia la pagina più importante della «Sposa sorteggiata».
Se il racconto autobiografico di Leonardo, durante il sonno di Albertina, è fuori luogo e perciò appesantisce la scena, musicalmente non pertanto esso è elevatissimo e molto sentito. Peccato, ripetiamo, che una tal musica sia stata assegnata a un episodio teatralmente superfluo, come tutte le tirate filosofiche e metafisiche di cui, purtroppo, abbonda il testo busoniano.
L'efficacia maggiore di questo momento è resa dalla sem plicità armonica, dall'evidenza ritmica, in una parola dall'essenzialità espressiva che, dopo tanta densità e aggroviglìo, dà riposo di oasi e prepara bene la scena del Sogno. Questa ci ricorda, per colore, movimento e situazione, la Visione di Margherita» nel «Faust» di Gounod. (Analogia psicologica più che musicale, e non più di quella che può esservi fra opere distanti fra loro un buon secolo).
A distoglierci dalla troppa consimiglianza aiuta, in Busoni, l'uso del coro interno, che egli adopera parcamente, con moti qua e là gregorianeggianti o a scopo soltanto fonico. Anche la chiusa dell'atto è tagliata sulla stessa stoffa lirica del finale atto III del Faust di Gounod. Comunque la pagina è bella e suggestiva, anche se un po' troppo fuor del carattere e dello stile dell'opera. Può darsi anzi che Busoni abbia scritto «La sposa sorteggiata» proprio per questa pagina. Son cose che succedono!

EPILOGO

Gli epiloghi hanno sempre portato poca fortuna ai drammaturghi. Quel «nodo che sta per sciogliersi», quel sistematico e inevitabile «metter le cose a posto», danno sempre un'aria di inutilità e di fretta che toglie interesse. Ma, infine, qui l'Epilogo ci voleva, c'è, ed eccolo.
Il breve preludio è vivace. Nulla più. L'entrata successiva dei tre aspiranti al matrimonio è fatta con sapienza, ma è soltanto musica di scena, e non potrebbe essere altro. Durante la spiegazione di Voswinkel sul come verrà decisa dalla sorte la scelta degli aspiranti, riudiamo in orchestra temi e spunti già noti, ben assimilati e confezionati. Dobbiamo però giungere alla scena del Sorteggio perché l'interesse risalga. Il terzetto dei pretendenti è gustosissimo e reso ancor più divertente dall'esser essi tutti e tre tenori. Il tema è ricco di comicità, condotto sobriamente e stringato, di sicura teatralità e tutto ben teso e sostenuto.
Dopo un breve recitativo di Voswinkel, vi è un altro spunto indovinato nell'«Andante mistico», per la caricaturale invocazione di Thusman alla Dea Fortuna. Peccato quella ripresa di valzer che, se aggiunge vivacità, toglie spirito. Il coretto che dietro la scena annuncia il resultato del sorteggio non è gran che. (Da notare invece, sia pur tra parentesi e in sede librettistica, la gioia di Thusman, il quale ha avuto, per virtù di magia, la facoltà di possedere qualunque libro egli desideri. Soltanto la passione di bibliofilo dell'autore poteva suggerire questo strattagemma che, fra l'altro, ha il potere di risollevare anche la quotazione morale del personaggio).
Più sbrigativa l'operazione di sorteggio di Bensch, che del resto è sempre figura di secondo piano. Anche il 3/4 che segue è materiale corrente.
Il piano estetico si eleva notevolmente all'annuncio della vittoria di Edmondo e diventa pregevolissimo al Concertato finale.
Il coro vi è trattato in maniera molto originale. (Chi voglia esaminarlo tecnicamente, vedrà come la parte polifonico-corale abbia una sua vita indipendente e autarchica, pur appoggiandosi sull'orchestra che la integra e arricchisce armonicamente. È un procedimento caratteristico, in Busoni, e che vedremo sviluppatissimo in Faust).
C'interessa meno il «Vivace a quattro». Ma esso non rappresenta che una specie di commiato d'opera comica. Per finire allegramente.

GUERRINI, pp. 273 ss.