E.T.A. HOFFMANN

Il SORTEGGIO DELLA SPOSA
(La Sposa Sorteggiata)

 da ROMANZI E RACCONTI
vol. II, Einaudi 1969, pp. 480-538

A cura di Carlo Pinelli ; prefazione di Claudio Magris ; traduzioni di Carlo Pinelli, Alberto Spaini e Giorgio Vigolo. - Torino : Einaudi, copyr. 1969. - 3 v., tav. : ill. ; 21 cm

(I MILLENNI)

I: Pezzi di fantasia alla maniera di Callot,
Gli elisir del diavolo, Racconti notturni ;

II: I confratelli di san Serapione ;

III: Il piccolo Zaccheo detto Cinabro,
Punti di vista e considerazioni del gatto Murr,
La principessa Brambilla, Maestro Pulce,
Ultimi racconti

INDEX


Capitolo primo

Dove si tratta di spose, consiglieri segreti di cancelleria,
tornei, processi di streghe, diavolerie
ed altre piacevoli cose.

Durante la notte dell'equinozio d'autunno, il consigliere segreto di cancelleria, Tusmann, uscí dal caffè, in cui ogni sera soleva regolarmente trascorrere un paio d'ore, per far ritorno alla propria abitazione situata nella Spandauerstrasse. Il consigliere segreto Tusmann era puntuale e preciso in tutto ciò che faceva. Si era abituato a togliersi scarpe e giacca e ad infilarsi nei piedi le vaste pantofole mentre gli orologi delle chiese di Santa Maria e San Nicola battevano le undici, in modo da calcarsi la berretta da notte sulle orecchie esattamente allo scoccar dell'ultimo tocco.
Per non tradire la consuetudine, anche quella sera (essendo gli orologi già sul punto di suonare le undici), egli si apprestava a svoltare con un passo veloce, o meglio, con un agile balzo, dalla Königsstrasse nella Spandauerstrasse, quando uno strano rumore, come di colpi bussati a una porta, lo inchiodò sul posto; e nella luce viva d'un lampione, sotto la torre del vecchio municipio, scorse una figura alta, allampanata, avvolta in un mantello scuro che bussava con forza crescente alla porta - naturalmente chiusa - della bottega di ferramenta del noto mercante Warnatz. Bussava, e quindi si ritraeva a guardare in su, verso le finestre sconquassate della torre, sospirando profondamente...
- Egregio signore, - disse bonariamente il consigliere segreto allo sconosciuto. - Egregio signore, lei sbaglia... Lassú nella torre non abita anima viva, eccezion fatta per topi, sorci e un paio di civette... Se desidera comprare qualche ottimo arnese di ferro o d'acciaio dal signor Warnatz, dovrà avere la compiacenza di ripassare domani.
- Egregio signor Tusmann... - rispose lo sconosciuto.
- Consigliere segreto di cancelleria, prego... e da diversi anni, - precisò quasi involontariamente Tusmann, benché fosse rimasto piuttosto sconcertato dal fatto di essere conosciuto da quell'individuo.
- Egregio signor Tusmann, - riprese colui senza minimamente badare alla correzione. - È lei, se mi permette, che sbaglia nell'interpretare le mie intenzioni. Non mi occorrono arnesi di ferro o di acciaio e col signor Warnatz non ho assolutamente nulla a che fare. Oggi è l'equinozio di autunno, ed io voglio vedere la sposa! Ha già inteso i miei colpi impazienti, i miei sospiri d'amore, e fra un istante si affaccerà alla finestra, lassú.
C'era nella voce cupa, soffocata con cui l'uomo aveva pronunziato queste parole un tono singolarmente solenne, quasi spettrale...
Il consigliere segreto di cancelleria si sentì correre un brivido gelido per tutte le membra. Il primo rintocco delle undici rimbombò dall'alto del campanile di Santa Maria. Nello stesso istante la finestra in rovina della torre municipale tintinnò, scricchiolò, si aperse inquadrando una figura femminile, cui la luce della lanterna cadde in pieno viso.
- Giusto Iddio del cielo... - gemette il signor Tusman. - Angeliche schiere celesti... che cos'è mai questo?...
Ma allo scoccar dell'undecimo tocco, e cioè nel preciso istante in cui Tusmann avrebbe dovuto infilarsi la berretta da notte, la figura disparve.
Il consigliere segreto di cancelleria prese a sospirare, a gemere guardando verso la finestra, come se la straordinaria apparizione lo avesse fatto uscir di senno: - Tusmann... Tusmann... - bisbigliava parlando a se stesso. - Consigliere segreto di cancelleria... rientra in te!... Non impazzire, cuor mio!... Non lasciarti abbagliare dal diavolo, anima cara!...
- Sbaglio, o è rimasto molto colpito da quanto ha visto, egregio signor Tusmann? - gli domandò lo straniero. - Io ho voluto sol tanto vedere la sposa, ma a lei, illustrissimo, dev'essere apparso ben'altro!
- Prego, prego, - piatí Tusmann. - Voglia avere la cortesia di accordarmi il mio modesto titolo... Sono un consigliere segreto di cancelleria... e, in questo momento, un consigliere segreto molto scombussolato, per non dire addirittura fuor di sentimento... Mi perdoni, egregio signore: se io stesso non le do il titolo che le spetta è unicamente perché non ho l'onore di conoscerla... Vuol dire che la chiamerò signor consigliere segreto, perché nella nostra buona Berlino di consiglieri segreti ce ne sono tanti che dando questo titolo difficilmente si sbaglia... La prego dunque, signor consigliere segreto, di non tacermi piú a lungo quale mai sposa lei pensava di vedere qui, a quest'ora impossibile...
- Lei è un bel tipo davvero, con i suoi titoli e il suo rango!... - disse lo sconosciuto alzando la voce. - Se essere consigliere segreto significa conoscere taluni segreti e sentirsi in grado di dare qualche buon consigIio, allora anch'io ho tutti i diritti di chiamarmi così. Ma come mai un uomo come lei, egregio signor consigliere segreto di cancelleria, pur avendo letto tanti libri antichi e manoscritti rari, ignora che se un esperto - mi intenda bene: un esperto!... - bussa a questa porta, o anche soltanto ai muri della torre nella notte dell'equinozio, alle undici, vede apparire colei che sarà la sposa piú felice di Berlino da oggi fino all'equinozio di primavera.
- Signor consigliere segreto, - esclamò Tusmann come in un improvviso trasporto di gioia. - Illustrissimo signor consigliere segreto... sarebbe mai possibile?...
- Proprio cosi, - rispose lo sconosciuto. - Ma che stiamo a fare qui in mezzo alla strada?... La sua ora di andare a letto è passata da un pezzo ormai... tanto vale che ce ne andiamo difilato alla nuova osteria dell'Alexanderplatz. Dico questo perché mi pare che lei voglia sapere qualcosa di piú circa la sposa... Cosí potrà ritrovare la sua tranquillità di spirito che, non capisco bene per quale motivo, sembra l'abbia abbandonato.
Il consigliere segreto di cancelleria era un uomo estremamente sobrio. Il suo unico svago consisteva, come si è detto, nel trascorrere ogni sera un paio d'ore al caffè e bersi un buon bicchiere di birra sfogliando giornali e gazzettini politici, leggendo qualche libro portato con sé. Vino quasi non ne beveva. Soltanto alla domenica, dopo la predica, andava in una mescita a centellinarsi un bicchierino di Malaga con qualche biscotto.
La sola idea di darsi agli stravizi in piena notte lo faceva inorridire. Incomprensibile, dunque, che, senza dire una sola parola né opporre la minima resistenza, egli si lasciasse trascinare da quello sconosciuto, il quale si era avviato verso la Alexanderplatz camminando a grandi passi rimbombanti nella notte.
Quando entrarono nell'osteria non vi trovarono piú che un unico avventore, seduto solo soletto davanti a un grosso bicchiere di vin del Reno. A giudicare dal viso profondamente scavato doveva trattarsi di un uomo in età assai avanzata. Aveva lo sguardo duro e penetrante e soltanto la barba imponente tradiva l'ebreo rimasto fedele alle secolari usanze della propria gente; vestiva molto all'antica - a un dipresso alla moda dell'anno 1720 - pareva, insomma, risorto da un'epoca ormai remotissima.
Ma ancor piú sconcertante era l'aspetto dello sconosciuto incontrato da Tusmann: alto, asciutto ma di membra robuste e muscolose, apparentemente sulla cinquantina. Il viso poteva forse, un tempo, esser passato per bello: i grandi occhi ardevano ancora d'un fuoco giovanile di sotto le folte sopracciglia nere; fronte ampia, spaziosa, naso marcatamente aquilino, bocca di taglio sottile, mento ben disegnato. Tutto questo però non l'avrebbe ancora fatto notare fra cento altri se, sugli abiti di taglio attuale, non avesse portato un colletto, un mantello, un berretto adatti a un costume del tardo XVI secolo. Ma essenzialmente lo sguardo tutto particolare, come emergente da una profonda notte di orrore, e l'assieme della persona, del portamento, in così stridente contrasto con ogni modello contemporaneo, incutevano in chi lo avvicinava una sensazione strana, quasi sinistra.
Lo sconosciuto fece un cenno del capo al vecchio avventore come se fosse un'antica conoscenza: - Vi si rivede, dopo tanto tempo! - esclamò. - Sempre in gamba?...
- Come vedete, - rispose il vecchio, burbero. - Sano e vegeto... e all'occorrenza anche attivo e in gamba!
- Questo rimane da vedere!, - esclamò lo sconosciuto con una sonora risata; e ordinò al garzone - fermo in attesa - una bottiglia del piú vecchio vino francese esistente in cantina.
- Mio caro... illustrissimo signor consigliere segreto... - incominciò Tusmann scusandosi.
- Lasci da parte i titoli adesso, egregio signor Tusmann, - lo interruppe nervosamente lo sconosciuto. - Io non sono consigliere segreto, né consigliere segreto di cancelleria... Sono semplicemente un artista. Lavoro metalli nobili e pietre preziose e mi chiamo Leonardo.
- Dunque un orafo... un gioielliere... - mormorò Tusmann fra i denti. E rifletté che appena entrato nel locale illuminato avrebbe dovuto rendersi conto al primo sguardo che di un consigliere segreto non poteva assolutamente trattarsi: colletti, berretti, mantelli di quella fatta i consiglieri segreti non usavano indossarne... Leonardo e Tusmann sedettero accanto al vecchio, il quale ora li salutò con un sogghigno.
Dopoché Tusmann, cedendo alle insistenze di Leonardo, ebbe bevuto un par di bicchieri di vino generoso, le sue guance pallide incominciarono a prendere un po' di colore. Sorseggiando beatamente il buon vino guardava fisso davanti a sé e sorrideva, e ammiccava cordiale, come se gli stessero passando per la mente piacevolissime immagini.
- E adesso, caro signor Tusmann, - incominciò Leonardo, - mi dica francamente perché si è comportato in modo cosí strano quando la sposa è apparsa alla finestra della torre... e a che cosa sta pensando in questo momento. Lo creda o no, noi siamo amici di vecchia data; e di questo buon uomo non deve avere alcuna soggezione.
- O Dio... - rispose il consigliere segreto di cancelleria. - Professore egregio (... mi permetta di darle questo titolo: sono convinto che un valente artista come lei possa essere con pieno diritto professore all'Accademia di Belle Arti...) ... Dunque, professore egregio, perché mai dovrei tacere?... Ciò di cui si ha pieno il cuore sale alle labbra... Sappia dunque ch'io sto, come si suol dire, per prender moglie... Ho intenzione di portare all'altare una sposina felice appunto all'epoca dell'equinozio di primavera... Potevo non sentirmi fremere per l'emozione quando lei, egregio professore, si è compiaciuto di mostrarmi una sposa felice?...
- Come?!... - saltò su il vecchio, con voce stridula. - Lei vuole sposarsi?... Ma è troppo anziano... E per di piú è brutto come un babbuino.
L'orribile volgarità di quel vecchio lasciò Tusmann inorridito e senza parola.
- Non se l'abbia a male, - disse Leonardo. - L'amico non intendeva offenderla... Non è cattivo come sembra. Ma per essere franco devo ammettere che mi sembra lei si sia deciso un po' tardi al matrimonio... Sbaglio o è già sulla cinquantina?...
- Compirò quarantotto anni il nove di ottobre, giorno di san Dionisio, - precisò Tusmann un po' piccato.
- Comunque sia, - proseguí Leonardo. - Non è soltanto questione di età. Lei finora ha condotto una semplice vita di scapolo... non conosce affatto le donne... Non saprà cavarsela...
- Che cavarsela e cavarsela!... - protestò Tusmann. - Mi ha proprio preso per un leggerone sconsiderato?... Mi crede capace di agire sconsigliatamente, senza riflettere, signor professore?... Io considero e pondero saggiamente ogni passo... Quando mi sono sentito trafiggere dallo strale del dio briccone che gli antichi chiamavano Cupido, avrei potuto mancare di apparecchiarmi convenientemente al mio nuovo stato?... Chi deve affrontare un difficile esame non studia forse con accanimento tutte le materie su cui potrà venire interrogato?... Ebbene, egregio professore, per me il matrimonio è un esame, al quale mi sto preparando come si deve, nella certezza di superarlo. Vede questo libriccino, mio caro?... Da quando mi sono deciso ad amare e a sposarmi lo porto sempre con me e me lo studio ininterrottamente. Lo osservi, e si convincerà che affronto a fondo il problema, lucidamente, e in nessun caso farò la figura d'un inesperto, pur essendomi finora tenuto lontano - lo ammetto - dal sesso femminino.
Così dicendo, il consigliere segreto di cancelleria aveva tratto di tasca un libretto rilegato in pergamena, mettendone in evidenza il seguente titolo: «Brevi lineamenti di avvedutezza politica, onde riuscire di buon consiglio a se stessi e altrui e imparare a condursi assennatamente in ogni umano rapporto. Della massima utilità per chiunque si presuma assennato o intenda ancora diventarlo.» Tradotto dal testo latino del signor Thomasius.* Segue indice dettagliato. - Francoforte e Lipsia - Per i tipi degli eredi di Johann Grossen - 1710.
- Noti, - disse Tusmann con un sorriso mielato, - noti come si esprime il degno autore al paragrafo 6, ove si tratta espressamente del matrimonio e della saggezza d'un padre di famiglia.
«Anzitutto non bisogna aver fretta di sposarsi. Chi si sposa nella piena maturità virile si dimostra assennato quanto saggio. Contraggono matrimoni precoci i dissoluti o i maliziosi, e dissipano le energie del corpo e dello spirito.L'età virile non cade all'inizio, bensí alla fine della giovinezza.»
- In quanto poi alla scelta dell'oggetto da amare e sposare, l'egregio Thomasius dice, al paragrafo 9:
«La via di mezzo è sempre la piú sicura. Non si scelga una moglie troppo bella né troppo brutta, troppo ricca né troppo povera, di molto superiore o inferiore a noi per rango, bensi del nostro stesso stato. E cosí pure per tutte le altre qualità la via di mezzo sarà sempre la migliore.»
- Ho seguito anche questo consiglio; e, secondo i precetti del paragrafo 17, con la graziosa persona da me scelta, non una ma molte volte mi sono intrattenuto in conversazione, perché se a tutta prima i difetti reconditi, le apparenti virtú di ogni specie ti possono facilmente trarre in inganno, a lungo andare la simulazione diventa impossibile.
- Ma egregio signor Tusmann, - obiettò l'orafo. - Appunto queste relazioni o, come lei preferisce chiamarle, «conversazioni» con le donne mi sembra richiedano molta pratica e lunga esperienza se non si vuol venire ingannati nel piú deplorevole dei modi...
- Anche per questo, - rispose Tusmann, - ho al mio fianco il grande Thomasius, il quale insegna esaurientemente come tenere una piacevole conversazione, inserendovi al momento opportuno una punta di scherzo, specie quando si conversa con le signore. Ma del tono scherzoso - precisa l'autore nel capitolo quinto - bisogna sapersi servire come un cuoco del sale... E anche i motti d'arguzia conviene usarli come un'arma, non per stuzzicare altrui ma per difendersi, esattamente come fa un istrice con gli aculei.
- Un uomo saggio terrà inoltre in maggior conto gli atteggiamenti che non le parole perché spesso ciò che il discorso nasconde gli atteggiamenti lo rivelano. E per destar sentimenti amichevoli o ostili le parole valgono, di solito, assai meno del comportamento.
- Ho bell'e capito, - concluse l'orafo. - Non c'è proprio verso di trovarle un punto debole: lei è armato e ferrato per affrontare qualsiasi evenienza. Col suo comportamento si sarà certamente conquistato l'amore della dama prescelta, ci scommetto...
- Seguendo il consiglio di Thomasius, - riprese Tusmann, - faccio del mio meglio per riuscire gentile e piacevole entro i limiti di una rispettosa amabilità. La gentilezza è il sintomo piú naturale dell'amore ed è al tempo stesso il piú naturale dei mezzi per suscitarlo negli altri. È contagiosa come lo sbadiglio, insomma: quando uno incomincia, l'intero salotto lo imita. Tuttavia non esagero nel mostrarmi rispettoso e sottomesso perché, come insegna Thomasius, le donne non sono angeli né demoni ma semplici creature umane, e assai piú deboli di noi, sia di corpo che di spirito, come lo dimostra a suflicienza la diversità dei sessi.
- Che vi colga il malanno!... - imprecò il vecchio stizzito. - Con le vostre interminabili, stupide chiacchiere mi state rovinando la piacevole oretta di distensione che speravo di godermi dopo tanto lavoro!...
- Tacete, vecchio! - disse l'orafo alzando la voce. - Ringraziate che vi tolleriamo... Siete un compagno cosí sgradevole, col vostro caretteraccio brutale, che vi si dovrebbe buttar fuori della porta... Non si lasci frastornare da questo individuo, egregio signor Tusmann... Lei è rimasto fedele al buon tempo antico... ama Thomasius... In quanto a me, io risalgo ancora piú indietro perché apprezzo soltanto l'epoca cui, come vede, appartengono alcuni capi del mio vestiario... Sí, illustrissimo, quell'epoca era di gran lunga piú splendida della nostra attuale... E da essa discende ancora il bel prodigio cui lei poco fa ha assistito, sotto la vecchia torre del municipio...
- È mai possibile, egregio professore?... - domandò il consigliere segreto di cancelleria.
- Proprio cosí, - continuò l'orafo. - A quei tempi, di festose cerimonie nuziali se ne celebravano assai piú spesso, in municipio... Naturalmente talvolta avveniva che una sposina felice si affacciasse alla finestra; e, per virtú d'un gentile incantesimo, ancor oggi una diafana apparizione ritorna ad annunziarci ciò che accadrà, ispirandosi a quanto è accaduto in un lontanissimo passato. D'altronde, bisogna riconoscerlo, a quei tempi la nostra Berlino era enormemente piú allegra e pittoresca che non oggigiorno. Oggi tutto è fatto su un unico stampo: il piacere di annoiarsi lo si va a cercare (e lo si trova ormai...), nella noia!... Allora si organizzavano feste ben diverse da quelle che si sanno escogitare ai giorni nostri... Voglio soltanto ricordare la terza domenica di quaresima.del 1581: tutti i gran signori della città, con piú di cento cavalli, andarono in pompa magna a Colonia ad incontrare il principe elettore Augusto di Sassonia, sua moglie e suo figlio: i borghesi di Berlino e Colonia - e anche quelli di Spandau -, tutti in armatura dalla testa ai piedi, facevano ala ai due lati della strada, dalla porta di Kopernick fino al castello. Il giorno dopo ebbe luogo una magnifica giostra a cavallo. Il principe elettore di Sassonia, il conte Jost di Barby e molti altri nobiluomini vi presero parte con alti elmi d'oro, spalliere, bracciali, ginocchiere in forma di teste di leone, pure d'oro, allacciati sopra maglie di seta rosa imitanti il colore della pelle nuda, come venivano raffigurati i guerrieri pagani. Cantori e strumentisti sedevano nascosti dentro un'arca di Noè, tutta d'oro anche quella, con sopra un fanciullo vestito di seta color carne, con ali, arco, frecce, faretra, occhi bendati come il Cupido della mitologia, insomma. Altri due fanciulli vestiti di splendide penne di struzzo bianche, con occhi e becchi dorati come due colombelle guidavano l'arca di Noè ove, quando il principe ebbe corso il torneo e colpito il bersaglio, la musica attaccò a suonare. Venne quindi dato il volo ad alcune colombe, una delle quali andò a posarsi sull'appuritito berretto di zibelli no del principe, sbatté le ali e cantò una canzone italiana. La cantò molto soavemente, molto meglio di quanto non avrebbe saputo fare, settant'anni piú tardi, il nostro cantante di corte Bernhard Pasquino Grosso da Mantova; non cosí bene, tuttavia, come le attuali cantanti di teatro le quali, quando fanno sfoggio dell'arte loro, sono assai piú solidamente piazzate di quelle colombelle. Poi vi fu un torneo a piedi. Il principe elettore di Sassonia e il conte von Barby vi si recarono a bordo di un vascello pavesato in giallo e nero e con una vela di zendado d'oro. Alle spalle del signore sedeva il «Cupido» del giorno prima, ora però camuffato con una lunga barba grigia, un'ampia veste multicolore e un cappello appuntito giallo e nero sulla testa, I cantori e gli strumentisti erano vestiti allo stesso modo. Intorno al vascello venivano saltando e danzando molti nobili signori con teste e code di salmone, d'aringa e di altri ridicoli pesci, il che era molto divertente a vedersi. La sera, verso l'ora decima, venne accesa una bella composizione pirotecnica, ricca di alcune migliaia di mortaretti e in forma di fortezza quadrata guarnita di lanzichenecchi, tutti scoppi e spari. Gli artificieri avevano allestito parecchie divertenti scenette farseschè, con duelli a colpi di punta e taglio, cavalli e cavalieri di fuoco, uccelli ed altri animali strani saettanti alti nell'aria, in un crepitio fragoroso, assordante. I fuochi d'artificio durarono circa due ore.
Il consigliere segreto di cancelleria era rimasto ad ascoltare il racconto dell'orafo dando a vedere di interessarsi e divertirsi un mondo: sogghignava, si fregava le mani, spingeva la sedia avanti e indietro e beveva bicchieri su bicchieri punteggiando il discorso con acuti «Ehi!... Oh!... Ah!...» di meraviglia.
- Professore mio illustrissimo, - squittì alfine in falsetto (sintomo, questo, d'uno stato di suprema delizia...) - Carissimo professore mio egregio... Come fa a raccontare con tanta vivacità tutte queste cose stupende?... Neanche le avesse viste coi propri occhi...
- Ehh, - rispose l'orafo. - E perché non dovrei averle viste?... - Tusmann si rifiutò di afferrare il senso della stupefacente risposta e avrebbe azzardato altre domande se il vecchio, sempre burbero e arcigno, non si fosse intromesso dicendo all'orafo: - Non dimenticate le feste piú belle offerte alla gioia dei berlinesi nell'epoca a voi tanto cara... I bei roghi fumanti sulla piazza del Mercato Nuovo... il sangue delle infelici vittime che, straziate da orrende tortu re, avevano ammesso le piú pazzesche assurdità, frutto di crassa superstizione...
- Ah... - precisò il consigliere segreto di cancelleria: - lei certamente allude agli obrobriosi processi di streghe e maghi cosí come si celebravano un tempo... Sí, certo, erano fatti orribili... Ma il nostro glorioso illuminismo vi ha messo fine.
L'orafo lanciò alcune occhiate strane al vecchio e a Tusmann e finalmente, rivolgendosi a quest'ultimo, gli domandò con un sorriso enigmatico: - Conosce la storia del tesoriere ebreo Lippold* avvenuta nel 1572?... - e senza dargli il tempo di rispondere incominciò: - Di grave frode e perfida malizia venne accusato il tesoriere ebreo Lippold il quale, godendo la piena fiducia del principe elettore, aveva amministrato l'intera tesoreria del paese fornendo, all'occorrenza, cospicue somme di denaro proprio. Ma, o ch'egli sapesse scolparsi efficacemente, o disponesse di altri mezzi per apparire mondo di colpa agli occhi del principe, o perché infine alcuni individui, i quali a corte facevano la pioggia e ilbel tempo, erano morti pugnalati, fatto si è che Lippold fu sul punto di venir riconosciuto innocente e prosciolto. Ricondotto alla sua casetta, situata nella Stralauerstrasse, fu quivi tenuto sotto sorveglianza. Ma essendo venuto a litigio con la moglie, costei gli gridò in un accesso di collera: «Se il serenissimo signor principe sapesse che razza di furfante tu sei e quali mariolerie combini col tuo libro magico, saresti freddo stecchito da un pezzo!...» Queste parole vennero riferite al principe e la casa di Lippold fu sottoposta a severa perquisizione. Il libro magico, ritrovato dopo lunghe ricerche; venne dato in mano a persone in grado di capirlo e cosí le malefatte dell'ebreo vennero in luce. Egli aveva praticato le arti negromantiche per assoggettare totalmente il proprio signore, il quale, grazie unicamente alla sua grande pietà, aveva potuto aver ragione del satanico maleficio. Lippold venne giustiziato sulla piazza del Mercato Nuovo. Quando le fiamme avvolsero il suo corpo e il libro magico, un grosso topo sbucò di sotto il rogo e corse nel fuoco. Molte persone credettéro di vedere in quel topo il demone asservito alla magia di Lippold.
Mentre l'orafo raccontava queste cose il vecchio, puntati i gomiti sulla tavola, s'era coperto il viso con le mani sospirando e gemendo come se soffrisse pene insopportabili. Il consigliere segreto di cancelleria pareva invece non far molto caso alla storia dell'ebreo: sorrideva beato come se stesse inseguendo tutt'altri pensieri; e quando l'orafo tacque gli sussurrò mellifluo, a fior di labbra: - Ma mi dica, professore illustrissimo ... : era proprio madamigella Albertina Vosswinkel che ci guardava con i suoi begli occhi dalla finestra sfondata della torre municipale?...
- Che c'entra lei con Albertina Vosswinkel?... - saltò su l'orafo con cipiglio feroce.
- Che c'entro?... - rispose Tusmann un po' imbarazzato. - Ma, Dio mio, quella appunto è la graziosa dama che ho intenzione d'amare e di sposare...
- Signore, - tuonò l'orafo paonazzo in viso e sprizzando scintille dagli occhi. - Lei è indemoniato, credo... o totalmente impazzito! Sposare la bella, la giovanissima Albertina Vosswinkel?... Lei, vecchio smidollato pedante?... Lei, che, con tutta la sua erudizione scolastica, la sua saggezza politica attinta al Thomasius, non vede a tre spanne al di là del naso?... Deponga subito una simile idea, altrimenti qualcuno potrebbe spezzarle l'osso del collo nel corso stesso di questa notte equinoziale!
Il consigliere segreto di cancelleria era, per sua natura, un uomo míte e pacífico, anzi, pusillanime, incapace di dire una parola dura anche se attaccato; ma questa volta l'estrema insolenza delle parole dell'orafo e l'eccessiva quantità di vin forte bevuto fuor dell'abitudine, lo portarono a reagire violentemente, come mai aveva reagìto in vita sua. - Non so cosa pensare di lei, signor sconosciuto, - grídò con voce resa stridula dalla collera. - Che cosa la autorizza a parlarmi cosí?... Lei sta prendendomi in giro... O forse avrebbe la pretesa di amare la damigella Albertina Vosswinkel?... Ah, capisco! Ha dipinto un suo ritratto su vetro e lo ha proiettato contro la torre municipale con una lanterna magica nascosta sotto il mantello! ... Conosco queste cose, signor mio... e lei sbaglia strada se crede di mettermi paura con simili giochetti puerili e con parole volgari!
- Attento... - disse l'orafo, di nuovo calmo, con un sorriso ambiguo. - Attento, Tusmann! ... Lei qui ha a che fare con gente curiosa!...
E nello stesso istante non piú il viso dell'orafo, ma un orribile muso di volpe fissò sogghignando il consigliere segreto, che ricadde indietro sulla sedia, terrorizzato.
Il vecchio non parve affatto stupirsi della trasformazione, anzi, depose finalmente quel suo cipiglio burbero ed esclamò ridendo: - Veda un po' che grazioso scherzetto! ... Ma queste arti non sfamano: io so fare di meglio... so fare cose che sono sempre state troppo ardue per te, Leonardo.
- Fa' vedere, - disse l'orafo, tranquillamente seduto a tavola, di nuovo con viso umano. - Facci vedere che cosa sei capace di fare.
Il vecchio trasse di tasca un grosso ravanello nero, lo grattò e ripulí accuratamente con un coltelluccio e si mise a tagliarlo a fettine sottili. Poi, col pugno chiuso, picchiò un gran colpo su una fettina ed ecco... una moneta d'oro nuova di zecca, perfettamente coniata, tintinnò sulla tavola. Il vecchio la gettò all'orafo e, come questi la prese, la moneta esplose in una miriade di crepitanti scintílle. Il vecchio, mostrandosi contrariato, prese a «coniare», battendole sempre piú in fretta e sempre piú forte, le fettine di radicchio e quindi a lanciarle e farle esplodere fra le mani del compare con crescente crepitio.
Stordito, fuor di sé per l'orrore e la paura, il consigliere segreto di cancelleria fu lí lí per venir meno... Finalmente trovò la forza di alzarsi e dire con voce tremante: - Col loro permesso, signori íllustrissimi... li riverisco... - e, afferrato cappello e bastone, sgusciò fuor della porta.
Dalla strada udí i due sinistri messeri scoppìare in una risata che gli fece gelare il sangue nelle vene.