Ferruccio Busoni
IL GENIO PIANISTICO

LO SGUARDO LIETO
pp. 243-244

Berlino, marzo 1912

La definizione usata nel titolo, in questi primi giorni del secondo secolo dalla nascita di Liszt, l'ho letta nelle critiche berlinesi anche troppo spesso. Persino delle ragazzine ne sono state ammantate e quasi schiacciate; perché genio, già come parola, è un fardello pesante: il genio muore delle sue vittorie. Innegabilmente esiste un gran numero di pianisti brillanti, magistrali, capaci d'imitare alla perfezione ciò che i genii del pianoforte hanno inventato. Per cinque diversi pianisti, nel corso di questi pochi giorni, s'è affermato sui giornali di Berlino che «la Sonata di Liszt non s'era mai sentita suonare cosí bene». Sono convinto che quelle esibizioni siano state tutte magnifiche, ma ne concludo che l'esecuzione della Sonata di Liszt è un compito risolto, e che questo grado dell'arte pianistica è diventato di dominio comune. Un pianista nato, al giorno d'oggi, suona quel pezzo bene e correttamente all'età di diciott'anni. Un caso simile (che incontro spesso) non si può designare come straordinario, ma costituisce un esempio di atavismo. La tecnica e lo stile di quest'opera di Liszt è già nel sangue della nuova generazione pianistica sin dalla nascita.
Fenomeni simili si possono osservare, al giorno d'oggi, nel laboratorio della tecnica meccanica, e in particolare nell'elettrotecnica. Conosco figli di semplici borghesi - ancora bambini - che eseguiscono con tutta naturalezza piccole combinazioni ingegnose nel campo dell'elettricità, e lo fanno per gioco. Di dove provengono queste capacità in ragazzi di qualità appena normali, capacità che appena duecento anni fa solamente un «genio», un essere diabolico, uno stregone avrebbe saputo presentare? Questo risiede evidentemente nell'ereditarietà e nell'atmosfera dell'epoca. - Un genio pianistico sarebbe, come in generale ogni genio, quel talento che si incamminasse per una strada nuova, che compisse cose senza esempio: cose ad appropriarsi delle quali occorresse un po' di tempo.
Genii pianistici di questa specie furono Beethoven, Chopin e Liszt; essi trovarono nuovi mezzi, effetti misteriosi, crearono «difficoltà inverosimili», crearono una letteratura loro propria. Dei piú famosi pianisti viventi si può affermare tranquillamente che in questo senso non hanno aggiunto niente. È certo molto sorprendente (a prima vista!) che un altro possa fare ciò che prima non sapeva fare che uno solo; ma non appena esistono schiere intere di «altri», il tutto si riduce a un fenomeno di darwinismo.
Colui che al suo apparire è solo, e trova imitatori appena piú tardi, che costringe i costruttori di pianoforti a rivolgersi a nuovi principi e crea una letteratura nella quale pianisti di carriera sulle prime non si ritrovano - il titolo di «genio pianistico» spetta a costui. Ma non gli viene dato.