Luigí Pízzuli

UN CONCERTO PIANISTICO DI BUSONI

[DISCLUB 1966]

Non di rado mi torna alla mente il volto stanco e felice di Ferruccio Busoní, che ebbi la fortuna di conoscere in giovinezza, poco prima della sua terrena dipartita.
Berlino: i muri erano tappezzati di manifesti della Filarmonica che annunciavano un concerto beethoveniano a cui partecipnva il più grande pianista conosciuto. Io arrivavo dall'Itaha e con un biglietto di presentazione di Alfredo Casella, proprio da lui andavo. Non potevo trovare un posto alla Filarmonica: erano tutti esauriti da un mese. A casa, in quella banale Viktoria-Luise Platz non c'era mai; o si faceva negare o era fuori città, come seppi dopo. Il coraggio della disperazione mi guidò alla porta di servizio della Filarmonica, proprio il giorno e l'ora del concerto. Chiesi di lui e mi fecero parlare con un segretario il quale non mi diede dell'ingenuo per bontà e cortesia, però mí disse di attendere a presentarmi al maestro alla fine del concerto e mi procurò un posto di fortuna in sala.
Entusiasmi ne ho visti, ma come quello mai: Busoni a Berlino era un Dio, il Dio della musica. Fu dalle quinte accompagnato al piano come s'accompagna un cieco. Suonò uno dei concerti per pianoforte e orchestra di Beethoven e non ricordo altro, all'ínfuori di una gran commozione, travolta nel turbine della commozione generale.
Quando fui da lui, era assediato da tanta gente che feci quasi per andarmene scoraggiato. Ma attesi e riuscii, forse per ultimo, a presentarmi e a dargli la lettera di Casella. Non ricordo le parole che scambiammo: io, certamente, che l'emozione mi faceva velo, che avevo tentato di vederlo prima ma non m'era. stato possibile. Al che lui mi rispose: «Caro figliolo, prima del concerto non vedo e non sento, tanto è il panico che mi prende; solo quando le mani toccano la tastiera, mi si illumina la strada». Furono parole che sì scolpirono nella mia memoria e mi disegnarono l'uomo e la sua grandezza. Non lo rividi più.