IL CREPUSCOLO DEGLI DEI

PROLOGO - ATTO PRIMO - ATTO SECONDO


ATTO TERZO

A consumar la vendetta Hagen ha organizzato una partita di caccia; Sigfrido vi s'è smarrito dietro un orso: risuona il suo corno, lungo i motivi di Hagen e delle nozze. Egli giunge al Reno; come nella prima scena della Prima Giornata cantano, dell'Oro perduto, le Figlie del fiume: giocondamente il primo terzetto si conclude col motivo di saluto all'Oro, e dalla figura dell'ondeggiamento si formano motivi nuovi a esprimere tale allegrezza,



Alle loro lusinghe Sigfrido sta per cedere l'Anello, ma poi alla loro minaccia che gli annunzia la morte, egli che non conosce paura rifiuta. La presenza musicale dell'Anello e della rinuncia segna il loro canto sul motivo della maledizione accompagnato dal crepuscolo degli dei e dalle Norne:

Cedi! Cedi! alla maledizione!
L'intrecciarono notturne
le Norne tessitrici
col filo della legge primordiale.

Il fiero motivo di Sigfrido canta il suo disprezzo d'ogni pericolo: con la sua Spada come ha spezzato la Lancia di Wotan così taglierà il filo delle Norne! Sul motivo dell'Anello, a mostrare il suo disprezzo della vita stessa egli si getta dietro le spalle una zolla di terra, secondo l'usanza antica. Non sa - cantano infine - d'avere respinto un bene supremo, Brunilde, soltanto serba con sé ciò che gli vale a morire, l'Anello, che da lei sarà restituito. Allontanandosi, riprendono il loro canto le Figlie del Reno, nel giuoco dell'onde, mentre le vane parole di Sigfrido cadono nel segno della maledizione. Al grido di Hagen che sopraggiunge (motivo della schiavitù, presagio dell'uccisione, desiderio di vendetta) Sigfrido risponde con lo squillo del suo corno, e del grido di nozze ancora un'eco risuona; al racconto di Sigfrido per invito di Hagen, prelude la voce dell'uccello nella foresta: racconto che dopo quella delle Norne costituisce la seconda grande scena delle memorie in questa Giornata finale della Tetralogia. L'anteriore Giornata, Sigfrido, ritorna tutta presente nella musica di cui il racconto vive: la fucina e l'educazione di Mime, la Spada e la sua fusione, la meditazione di Mime e il Gigante Fafner, l'incanto della foresta e i Velsunghi, la voce dell'uccello, e il veleno da Mime preparato per Sigfrido: coi motivo della fucina Hagen ridendo saluta la morte, e con l'insidia d'amore e l'inganno magico mesce all'eroe il filtro delle rimembranze, quando l'amore eroico e Brunilde riappaiono nella loro realtà musicale: il canto dell'uccello rivelatore è da Sigfrido stesso ripetuto come ad aiutare i risorgenti ricordi verso l'incantesimo del fuoco e il sonno della Valchiria, la melodia della dea d'amore, l'eredità del mondo e il saluto al -mondo pel risveglio di Brunilde.
In un impeto cromatico, al levarsi dei corvi di Wotan sopra l'eroe, lo colpisce Hagen alla spalla, sotto il tuono della maledizione nel conciso lampo del motivo di schiavitù: contro quello di Hagen il motivo di Sigfrido si spezza. In una precipitosa discesa di terzine cade l'eroe, mentre la realtà musicale della morte sale da un breve movimento di sincopi. «Hagen, che hai fatto?» - esclamano atterriti i guerrieri e Gunther - e col motivo del diritto a imporre l'espiazione, «Spergiuro ho vendicato», risponde l'uccisione. Sulle sincopi, in pianissimo, dell'annientamento nibelungico, l'interrogazione del destino precede e segue, fra intensi silenzi, l'estremo ricordo: Sigfrido e il saluto al mondo della dormente da lui svegliata, il saluto e la tristanica estasi d'amore:

Dolce vanire
brivido beato.



Interrotto dalla morte di Sigfrido, il canto delle memorie altrimenti riprende, con nuova profondità, più esteso nella marcia funebre. Ciò che nelle due Giornate antecedenti è stato azione spettacolare-musicale, è qui assoluta musica: la realtà musicale della morte introduce ed accentua il funebre inno: quelli che abbiamo conosciuti quali elementi, quali persone, d'una vicenda drammatica - i Velsunghi, la pietà di Siglinda e il suo amore, la Spada, Sigfrido, Brunilde - quali verità musicali si rivelano qui novissimamente, e tali con essi gli elementi opposti, la schiavitù e il grido di dominazione nibelungica, la maledizione.
Soltanto in provvisoria superficie è lecito ormai considerare questo interludio nel suo immediato aspetto e valore drammatico di memoria: quei motivi, quegli elementi della musica, e dell'azione, quelle persone e quelle sorti, come non prima veduti né uditi si manifestano ora nella loro essenza eterna, dove tutta l'esteriore vicenda dell'opera nelle sue quattro Giornate, trascesa, si consuma. La musica, da cui la vicenda come tale ha origine, torna a chiuderla in sé, a risolverla nel suo mistero. L'aspetto formale e scenico di marcia funebre è per se stesso contingente. Si riferisce, nell'ordine esterno delle date, alla prima concezione dell'autore: La morte di Siegfried, concezione quindi approfondita ed esaurita in quella di Tragedia degli dei, ovvero, come appunto è il titolo della Tetralogia, L'Anello del Nibelungo. Questo penultimo episodio, della «eroica» funebre, quasi si sostituisce da solo all'intero complesso delle quattro Giornate, e ne è come l'interiore meditazione del movimento tragico. Nella fosca notte di luna, il corteo funebre s'avvia verso la reggia dei Gibicungi: in verità la musica «ne copre» la vista, e se un momento pur la tollera o la persuade, quella scena non è più che un «suo» momento: con l'occhio, udiamo. Hanno potenza di poesia gli elementi tematici di questa musica, come parole e frasi appunto d'un poema: senza parole, la musica si sostituisce qui alla poesia, è un poema le cui idee e parole sono costituite da idee in linguaggio di suoni strumentali. La parte della poesia, nella scena delle Norne, resta assorta in quella della musica, mira a risolversi in quella e render palese da quella la propria origine: qui la musica è presente nell'unicità della sua espressione, domina nella propria sovranità totale, e in ciò stesso esige di valere non più come musica ma unicamente come poesia, esige in luogo suo l'arcana parola della poesia, rassegnata ad essere di questa, lontana, la profonda ombra.
Ciò che la musica nel suo mistero di suono e silenzio - di suono articolato in un aritmetico ordine di silenzi - non dice, la poesia dice con l'intimo segreto delle sue parole, con ciò che le sue parole e idee non significano immediatamente: il vero significato d'una poesia la musica è potente ed atta a determinarlo, a farlo tutto manifesto, togliendolo al suo chiuso cielo: potente ed esigente anzi d'esaltarlo ed esaltarsene, sino a farlo suo proprio come per diritto d'origine; e il suo rischio è sempre d'impoverirlo, di ridurlo materiale e più facile in un materiale incanto.
L'esperienza wagneriana del rapporto fra poesia e musica come due termini espressivi d'un'unica arte, in modo definitivo si consuma nel Tristano; nel seguente Crepuscolo degli dei i due termini si dispongono ad affermarsi come due forme d'arte distinte, sufficiente ciascuna per se stessa: ridiventa problematica una possibile esperienza loro come di un'unica forma d'arte in sé duplice per due diversi distinguibili termini espressivi : problematica l'attuazione d'una loro unicità ulteriore. Con l'ultima opera della Tetralogia in tale esperienza il musicista-poeta Wagner s'è impegnato. La «marcia funebre» del Crepuscolo degli dei ne segna il limite.
Nell'azione del dramma, dopo l'episodio della marcia funebre, di tale esperienza il segno è evidente: in una propria totale sovranità la poesia intende affermarsi, rivelarsi nell'assoluta virtù della propria parola, investire e rivestire di se stessa la musica, che in quella marcia si è sostituita, naturalmente, alla poesia.
Con la morte di Sigfrido il dramma umano è concluso, ma quella morte è implicata, nel dramma cosmico-divino, è il nodo eroico-umano di questo dramma.
Consumata in musica, nella propria saturazione, l'intera vicenda, questa ha ancora da riprendere il suo originario movimento entro l'orbita cosmico-divina: da ritrovare, tragicamente assente dalla esplicita azione scenica, il proprio protagonista, nella tragica divinità. Con la marcia funebre dell'eroe siamo a un limite dell'espressione musicale: come se la musica, abbia ormai esausto ogni proprio assunto; e pur, al di là di questo limite, e al di là di quel supremo momento eroico-umano dell'azione, è la poesia ad impegnare la musica a manifestarsi ancora, tornando a rendere elementi di azione drammatica quelli ormai risolti in assoluta liricità. Con l'ultima scena la prospettiva del rapporto musica-poesia si rovescia: i «motivi conduttori», ridotti ormai a pure realtà liriche, han da tornare a valere quali rivelazioni di precisi elementi del dramma. Dramma che attraverso il protagonismo scenico, in questo episodio finale, della valchiria Brunilde, donna e dea, risale dal limite eroico-umano nell'orbita cosmico-divina in cui sussiste la sua fondamentale ragione.
È Gutruna che nella notte ascolta ansiosa in cupi presentimenti se i guerrieri ritornano dalla caccia, e assieme al grido nuziale risuona il motivo del corno di Sigfrido e quello di Brunilde di cui essa cerca verso il fiume (la lontananza vive nel canto delle Figlie del Reno); nel grido di dominazione del Nibelungo si cangia la sua melodia, e la voce di Hagen colma lo spazio, annunziatrice della morte dell'eroe, col motivo di schiavitù e di vendetta, d'espiazione e rinunzia, di morte, d'uccisione; col motivo del giuramento, dell'Anello e della maledizione, con quella di dominazione, egli esige l'Anello, abbattendo Gunther che lo contrasta. Minacciosa si leva la mano dell'eroe morto, col motivo di lui e della Spada; l'interrogazione del destino, il canto dì morte, con le Norne, col crepuscolo degli dei, e la potenza divina, spiegano l'entrare di Brunilde che il saluto di Gutruna estingue nel motivo dell'eredità del mondo:

La sua donna legittima son io
cui giuramento eterno egli giurò.
E nella sua melodia d'amore, maledicendo a Hagen, la realtà musicale di Gutruna è conclusa. L'interrogazione del destino insiste; la Valchiria ordina di preparare il grande rogo dove assieme al corpo dell'eroe desidera ardere anch'essa: come già pel suo sonno verso il risveglio in amore l'incantesimo del fuoco, così ora per la sua morte liberatrice, ed allora la sua divinità di valchiria le veniva tolta, come ora in lei (motivo e grido delle Valchirie) torna a risplendere. Precipita nella canzone della Spada Nothung il suo saluto d'amore; in simmetria con la cadenza del canto delle Norne, «Sapete voi come questo avvenne?», il canto di morte si , nell'interrogazione del destino chiude. Essa si rivolge agli dei

O voi dei giuramenti
sacri custodi
considerate vostra colpa eterna.

e ancora risplende musicalmente il Walhall sopra la melodia di giustificazione della Valchiria: servitù, maledizione, patto, Oro del Reno, crepuscolo degli dei, dànno alle sue parole

Tutto, tutto,
tutto io so [...]
Pace, pace, o Dio.

una luce totale nel completo panorama e idea del dramma.
Sulle armonie del crepuscolo degli dei essa prende l'Anello che così sta per ritornare al primordiale elemento: la musica dell'Oro, e delle Figlie del Reno torna all'incanto della Prima Giornata. Loge fiammeggia, sul motivo del patto essa dà fuoco al rogo, il crepuscolo degli dei ed il Walhall si risolvono nell'Anello, mentre appaiono musicalmente le Valchirie, col loro grido al momento in cui nel superbo maniero divino getta dal suo rogo Brunilde stessa l'incendio e da lei Grane, il suo cavallo, è condotto verso il rogo. La melodia della redenzione d'amore, presentita nel finale della Terza Giornata, si apre novissima, e volta con tutta se stessa a Sigfrido col grido e il motivo delle Valchirie Brunilde si lancia nel rogo.
La maledizione è spezzata; invano verso l'Anello si getta Hagen nel fiume, dalle cui onde che straripano è travolto.
Nuovo sulla melodia della redenzione d'amore suona il canto antico delle Figlie del Reno. Il Walhall e la potenza degli dei, Sigfrido e il divino crepuscolo in quella melodia trovano il loro silenzio.