LAURETO RODONI

UN RITRATTO DI G. F. MALIPIERO
con una lettera inedita ad Adriano Lualdi 

CFR. AMPLISSIMA HOME PAGE SU MALIPIERO


In questi ultimi due anni il mio Archivio, incentrato sulla figura cosmopolita di Ferruccio Busoni, si è arricchito di una quarantina di lettere di G. F. Malipiero (Venezia 1882 - Treviso 1973), con cui Busoni ebbe sporadici contatti. Nell'articolo che segue ho cercato di redigere un ritratto umano del grande musicista veneto basandomi soprattutto su documenti in mio possesso. Una lettera indirizzata ad Adriano Lualdi è riprodotta integralmente nel corso dell'esposizione. Di altre sono citate spezzoni.

Di animo inquieto [1], scorbutico e pessimista [2], diffidente [3] e solitario [4], caustico [5] e impietoso [6], Gian Francesco Malipiero si fece molti nemici [7] nel corso della sua lunga vita: «Cerco di rimanere fuori dal mondo musicale perché senza volere, distrattamente, leggo sulla faccia di quelli che vi appartengono, l'ostilità che ispiro: essi indovinano tutto ciò che io devo pensare sulla loro personalità. Il mio silenzio non mi salva,» scrisse con pungente ironia in un libro di memorie. [8]
Nel 1921 si incrinarono i rapporti anche con Ildebrando Pizzetti, esponente come lui della cosiddetta 'generazione dell'80'. Non si trattò soltanto di una polemica attorno a fatti musicali, [9] come sosteneva Pizzetti. Secondo Malipiero «l'attacco pizzettiano» fu invece «tutto personale»: «Voi [10] non sapete quante noie egli mi abbia procurate, soprattutto a Parma, [11] ove egli ha voluto dare un'arma in mano a un suo amico (credo massone come lui) per fare campagne contro di me. Il suo amico era uno dei bocciati nel concorso per la cattedra da me vinta e scrive su un giornalucolo di qui.» [12]
Solo nel 1937 vi fu la riconciliazione, dopo che Pizzetti ebbe pubblicato un articolo su alcune musiche di Malipiero: «Mio carissimo Ildebrando, un abbraccio, soltanto un abbraccio fraterno potrebbe dirti quello che ho sentito leggendo il tuo articolo. Non sono facile alla commozione, ma mi è sembrato di ringiovanire di 30 anni quasi: si è realizzato quello che da tanti anni desideravo si realizzasse, la nostra amicizia deve essere completa, dobbiamo collaborare per i nostri ideali. [...] La mia vita è difficilissima, cammino sul filo di una spada, ché sto scontando un mio grave errore. Non è possibile discutere. È così. Non c'è via di uscita. Per questo la tua amicizia m'è doppiamente preziosa.» [13]
Il «grave errore» di cui parla Malipiero potrebbe essere connesso ai suoi rapporti con il fascismo, tutt'altro che idilliaci e sereni: dal regime era poco amato sia per il suo passato sperimentale e avanguardistico, sia per le peculiarità della sua musica, ritenuta troppo cerebrale [14] e quindi distante dal gusto corrente: «Le musiche di Malipiero devono essere condannate (e lo sono già dal popolo) perché frutto dello snobismo e del cerebralismo ebraico-internazionale,» fu scritto [15] negli anni Trenta.
La goccia che fece traboccare il vaso fu la rappresentazione dell'opera, su testo di Luigi Pirandello, La favola del figlio cambiato. L'esito disastroso della serata («L'ira degli dèi era nulla in confronto di quella scatenatasi sul mio capo la sera del 24 marzo 1934» [16] ) fu subdolamente fomentato da un gruppo di fascisti e Mussolini, presente alla serata circondato da un nugolo di questurini, vietò furibondo [17] le repliche dell'opera. [18] Devastante fu l'impatto sullo scrittore siciliano che da quel momento si rifiutò di collaborare con dei compositori. [19]
«Oggi si può riconoscere» scrisse Cecilia Palandri [20] «come e quanto sia stato problematico convivere col regime per Malipiero, così come per tutti quegli intellettuali che, pur non aderendo ideologicamente al fascismo, non si erano sufficientemente motivati a forme di resistenza come l'esilio, cedendo al sentimento di non volere/non potere abbandonare la cultura patria in balia di quel destino e si erano quindi 'costretti', piuttosto, a cercare forme di compromesso, di sofferto quieto vivere, o anche di ambigua collaborazione, sia pur faticata».
Malipiero non dichiarò mai apertamente la sua posizione politica durante il fascismo. Non mancano però allusioni al tenore di vita imposto dal regime. Per esempio, in una lettera a Guido M. Gatti del 26.9.1931 [21] scrisse: «[...] ho passato giorni di grandi angustie: mia moglie indisposta e il disastro finanziario completo. Che accadrà? Non lo so. Devo cercare un posto. Dove? Quale? Mi vorranno?» Un paio di mesi dopo, in una lettera ad Adriano Lualdi [22] che fa parte del mio archivio, Malipiero fu più esplicito:
Caro Lualdi,

ho inviato l'articolo all'Italia letteraria.
[23] Spero sia arrivato a tempo e che ti soddisfi. Non sapevo come intavolare una questione apparentemente materiale, ma in sostanza spirituale. Speriamo bene. Credo che a Venezia io possa fra qualche giorno rivedere tutti gli influenti.
Ed ora per la prima volta vorrei chiederti un favore e, spero, in avvenire di non annoiarti una seconda volta. — Io vivo solo ad Asolo da 8 anni
[24] e potevo farlo perché vivevo dei miei editori ESTERI, [25] ché, all'estero le mie opere andavano sempre meglio... [26]La crisi mondiale [27] cambiò la mia situazione [28] e siccome anche ad Asolo si deve «mangiare», «vestire» e «pagar le tasse» (quest'ultime me le hanno affibbiate in modo indecente) ho dovuto escogitare un modo per «salvarmi». Pensai che il Conservatorio di Venezia era in decadenza, [29] pensai che qui ad Asolo subivo un continuo pellegrinaggio di giovani che (gratuitamente) venivano in cerca di miei consigli, [30] pensai che una cattedra di perfezionamento al Conservatorio di Venezia [31] avrebbe potuto dar vita al Conservatorio e un utile materiale a me, pensai infine che avendo sempre tenuto molto, molto alto il nome del mio paese all'estero [32] e avendo avuto dalla mia patria soltanto delle «cose ignobili», era venuto il momento di fare qualche cosa per me. — Me ne interessai. Col Podestà di Venezia tutto andava a gonfie vele, pareva quasi combinato, ma oggi vengo a sapere che il Podestà è stato preso da scrupoli, teme il mio modernismo [33] e un mio amico mi scrive che dubita di qualche pulce messa nell'orecchio del Podestà da amico mio, musicista. Se tu non sei del parere dell'amico seminatore di pulci (e se non lo sei, ti dirò che io ho guidato parecchi giovani appoggiandoli sugli antichi, mettendoli in guardia contro la faciloneria e contro le strambellerie cosiddette moderne, [34] ma ormai vecchie assai) vorrei pregarti di scrivere due righe al Podestà di Venezia consigliandolo di non ascoltare gli imbecilli e dicendogli come ho guidato certi giovani. Labroca, [35]che ha studiato con me, te lo può dire.
Perdona la noia che ti reco e usami la cortesia di dirmi sinceramente quello che hai scritto o che hai voluto scrivere (onde io possa regolarmi) qualora tu non volessi scrivere.
Capirai bene, contro le opinioni e contro le proprie convinzioni non si può andare. In ogni modo grazie e non è il caso di guastare la nostra amicizia qualora tu non ti sentissi di accontentarmi. È vero che parti per l'America? Dimmene qualche cosa.
Cordiali saluti e ossequi a tua moglie.
Il tuo aff.mo G. Francesco Malipiero
Asolo (Treviso)
3 - XII - 1931
Forse anche grazie all'aiuto di Lualdi, nell'autunno del '32 a Malipiero fu attribuita la cattedra di composizione al Liceo (poi Conservatorio) Benedetto Marcello di Venezia, carica che tenne fino al 1940. Un anno prima divenne anche direttore dell'Istituto.
Dopo la Liberazione, pubblicò il citato libello di ricordi Cossì va lo mondo. Il primo spezzone lo dedicò a una riflessione sul Ventennio, intrisa di amarezza e dignità: «Dopo quello che abbiamo visto e vissuto non è possibile anzi è più che impossibile renderci conto se viviamo o se siamo già morti. Che valore possono avere queste nostre ossa e le poche libbre di carne che le ricoprono di fronte alla morte dello spirito? L'unica speranza che ancora possiamo nutrire è che sia soltanto caduto in un profondo letargo. Ventitré anni son passati dal giorno in cui le campane dei comuni squillarono per la vittoria di una nascente dittatura. Il corrompersi degli ideali, la minaccia di una guerra fratricida, mille e mille forze negative avevano assopita la nostra chiaroveggenza. Ciò non ostante siamo colpevoli del nostro cieco egoismo. Non potevamo credere, ma spesso abbiamo sperato, ci siamo imposti di sperare perché, nati in un clima ancor vibrante di autentico amor di patria, non potevamo disinteressarci alle sorti politiche d'Italia. Chi va ad abitare un edificio di recente costruzione e fiducioso vi trasporta tutto quello che possiede, può essere responsabile se crolla? Forse responsabile d'aver avuto fiducia nell'architetto? Chi poteva immaginare che il materiale fosse tarato e irrimediabilmente condannato a sgretolarsi?»
Malipiero trascorse coraggiosamente il periodo dell'occupazione tedesca (dal '43 al '45) all'interno del Conservatorio, riuscendo, grazie al suo prestigio, a sottrarre insegnanti e allievi al servizio militare e ai campi di concentramento: «Nonostante le minaccie, le denunzie, le intimazioni, il Conservatorio ebbe soltanto vetri rotti dallo scoppio del 21 marzo 1945, ma si salvò con tutto il contenuto!» E aggiunse con amara ironia: «Confesso che dal 28 aprile 1945 in poi, cioè per quasi cinque mesi, ho atteso che 'qualcuno' (sognavo cortei di gente solenne, sindaci, prefetti, sottosegretari in cilindro e redingote) venisse a dirmi grazie per quello che ho fatto per il Conservatorio Benedetto Marcello durante la guerra.»
Ci fu invece chi macchinò per spodestarlo poiché avrebbe scritto musica «per fare l'apologia del fascismo». [36] La devastante accusa lo prostrò a tal punto che scrisse all'amico Gatti: «Mi vergogno d'essere veneziano prima e italiano poi.» [37] Anche grazie alla stima di insigni musicologi e intellettuali come Massimo Mila e Fedele D'Amico, Malipiero mantenne la direzione del Conservatorio fino al pensionamento, nel 1952.
A Gatti scrisse il 23 giugno del 1945: «Mio carissimo Guido, sopravissuti miracolosamente, visto cose inverosímili, sopportato l'insopportabile. [...] Ho lavorato, ora aspetto perché non so se vivo o sogno. Respiriamo fisicamente, dunque i nostri corpi vivono, speriamo poter respirare spiritualmente e di poter vivere anche con la mente. Quante nubi. Quanto nero. De profundis, o Te Deum? Si vedrà.» [38]

NOTE

[1] All'inizio del 1919 scrisse a Hélène Casella: «La guerra è finita. È finita per molti, ma non per tutti però. Intendo dire che non a tutti è concesso di vivere in pace mai. Mai. Ed io mi credo tra questi.» [A.R. = Archivio L. Rodoni, Biasca] SU
[2]«Quando mi rendo conto delle discussioni dei mutamenti e deformazioni che devono subire le opere non protette dal defunto loro autore, vorrei dare alle fiamme (anche per risparmiarle al macero) tutte le mie opere, come genitore che uccida i figli per risparmiarli alla bomba atomica. Immagino a chi questa mia idea fa venire l'acquolina in bocca.» («Da Venezia lontan», Scheiwiller 1968, p. 47.) Cfr. anche «Cossì va lo mondo», Il Balcone 1946, p. 45: «[...] attraverso quali dati positivi potrò rendermi conto se sono uscito dal melanconico cimitero dell'aurea mediocrità? Unico mio punto di riferimento sono le feroci inimicizie, le fastidiose punture di tanti parassiti, le quali dimostrano che io sono quasi come vorrei essere e valgono a orientarmi da me stesso.» SU
[3]«Non esiste essere umano, amico o nemico mio, al quale io abbia fatto confidenze di sorta. Ho due o tre amici per i quali metterei le mani sul fuoco, e anche con questi non ho mai parlato di nulla, nonostante io abbia avuto nella mia vita momenti difficili.» [Lett. a Giulio Bas, 23.5.1922, A.R.] «Cave canem? Cave hominem!» si intitola significativamente un brano delle sue memorie. Fra quei «due o tre amici» c'era sicuramente Alfredo Casella, che Malipiero conobbe a Parigi nel 1913 (due lettere del mio Archivio, del '15 e del '17, sono indirizzate proprio al compositore torinese). Cfr. anche la nota 19. Su Casella scrisse in Da Venezia lontan, p. 36: «Nonostante i miei buoni rapporti d'amicizia con Alfredo Casella, non esiste nessun mio legame musicale con lui. Molte sue opere mi piacciono, le ascolto volentieri (il che per me non è poco) ma fummo sempre agli antipodi e forse la nostra lontananza musicale ci riunì.» SU
[4] «Purtroppo è difficile evitare il commercio con gli uomini senza isolarsi, ma non è impossibile, basta farlo spontaneamente.» (Di Venezia lontan..., p. 9) SU
[5]«Io dedico all'edizione monteverdiana (cfr. nota 27) tutto il tempo che i miei colleghi dedicano a dir male di me. Per questo l'edizione procede molto rapidamente.» (Testimonianza raccolta da Adriano Lualdi e pubblicata nel suo volume Viaggio musicale in Europa, p. 468.) Cfr. inoltre Da Venezia lontan, p. 42: «Spesso nella sua [di Schönberg] e in quella di molti suoi seguaci, pare che la morte non abbia interrotto il colloquio di Tristano con Isotta.» SU
[6] «Non riuscii a pescare quell'asino di [Domenico] de Paoli. Da tre mesi egli non scrive. Credo che ciò sia un capriccio derivante dal fatto ch'io non sono riuscito ad ottenere la pubblicazione del suo «Abate Perù» presso l'Universal Edition. Egli non comprende che questo editore se ne infischia dei giovani italiani.» [A Giulio Bas, 27.3.1927, A.R.] Qualche giorno dopo (5 aprile), riprese l'argomento in un'altra lettera a Bas: «In quanto a de Paoli, è un imbecille [...]. L'Universal Edition se ne infischia di lui e della sua musica, io ho fatto il possibile [...].» Ma anche in questa faccenda, Malipiero si dimostrò comprensivo e generoso: «Nonostante le difficoltà e i difetti del carattere di de Paoli, gli voglio bene e se fossi ricco lo aiuterei in qualche modo positivo, purtroppo la vita è difficile per tutti.» [27.3.1927, A.R.] SU
[7] «Ho troppi nemici in Italia. Posso poco o nulla,» scrisse per esempio a Hélène Casella nel 1921 [A.R.] SU
[8] «Da Venezia lontan...», pp. 47-48. SU
[9] In sostanza Pizzetti lo accusava di essere iconoclasta, di aver pronunciato ingiurie contro i musicisti dell'Ottocento, tra cui Verdi. Così si difese Malipiero: «Non ho mai pronunziato il nome d'un musicista italiano dell'ottocento, ingiuriandolo, non ho mai pubblicato apprezzamenti che possano offendere gli autori che pendono dalle pareti della tua stanza. Dico e sostengo, perché mi vanto di avere un'opinione mia su tutti i problemi che mi interessano, che oggi c'è una grande miseria musicale, specialmente nel nostro paese, e ne cerco le cause. Sono convinto che tutta la musica, persino quella che dovrebbe essere la continuazione diretta dell'ottocento melodrammatico italiano, soffre dalle condizioni attuali: anche quelli che non se ne accorgono, sono schiacciati dalla mania generale per tutta la musica dell'ottocento e dall'esaltazione che se ne fa. Ecco perché affermo che bisognerebbe considerarla come la musica degli altri secoli e somministrarla a piccole dosi.» (Cit. in G.F. Malipiero. Il carteggio con G. M. Gatti, a cura di Cecilia Palandri, Olschki, 1997 [= PALANDRI] p. 111.) SU
[10] Giulio Bas (1874 - 1929), organista, didatta e teorico della musica. SU
[11] Nel 1921 fu incaricato dell'insegnamento di alta composizione al R. Conservatorio di Parma. Trasferito nel '24 al Conservatorio di Firenze, rinunciò alla carica, probabilmente perché l'Istituto era una roccaforte pizzettiana. SU
[12] Lett. del 28.5.1922. Il 10.1.1921 aveva scritto a Guido M. Gatti una lunga lettera in cui non lesina le parole grosse: «mascalzonaggine», «infamia», «farabutto», «ignobile individuo» ecc. (PALANDRI, p. 110). SU
[13] Cfr. l'edizione de L'armonioso labirinto curata da Marzio Pieri, Marsilio 1992, p. 548. SU
[14] «Naturalmente sarebbe un errore pensare [...] che l'artista si trovasse [...] al riparo dagli attacchi della critica. Uno schieramento unanime di giudizi sulla sua opera non vi fu, e ciò non solo perché i trascorsi sperimental-avanguardistici lo rendevano uno dei bersagli preferiti delle forze più reazionarie, ma anche perché la qualità della sua produzione non era ovviamente destinata a soddisfare gli appetiti più gastronomici e triviali che il regime tendeva ad acquietare [...]. Ma non c'è dubbio che dalla difficoltà di misurarsi con il gusto corrente e d'altro canto per il timore dell'isolamento [...] si radicassero sempre più nell'animo di Malipiero fantasie compensatorie e regressive che gli impedivano di cogliere con lucidità e fermezza i confini reali della storia [...] formulando previsioni fallaci in un futuro che la storia si sarebbe incaricata di smentire [...]» (Fiamma Nicolodi, Musica e musicisti nel ventennio fascista, Discanto-La Nuova Italia 1984, pp. 233-234.) SU
[15] Brano citato nel magnifico libello di memorie Cossì va lo mondo, p. 34-35. SU
[16] «Cossì va lo mondo», p. 31. SU
[17] Come poteva Mussolini avallare la Weltanschauung del Figlio, sempre tormentato dal dubbio? Cfr per esempio: «Niente è vero e vero può essere tutto, basta crederlo»? La stampa fu ferocissima nei confronti dell'opera che «non rispondeva alle esigenze del tempo fascista, che era una diffamazione di tutte le spiritualità che il fascismo si sforzava di imprimere nel popolo italiano, che contrasta in pieno con lo spirito dell'etica fascista, che era diarrea musicale.» (Cit. in Cossì va lo mondo, pp. 31-32) SU
[18] Così Malipiero raccontò la serata: «Ci vuole una errata (sic) notizia giornalistica per ricordarmi un'altra brutta avventura, ma romana questa volta. La sera della prima rappresentazione della Favola del figlio cambiato al teatro Reale dell'opera a Roma (24 marzo 1934) io non abbandonai per un solo istante Pirandello. Scendendo le scale, alla fine dello spettacolo, incontrammo Mussolini; con una mia logica personale proposi a Pirandello di salutarlo, ma egli non volle e affrettò il passo verso l'uscita. Non capisco come un giornale rispettabile osi scrivere che affacciandosi alla porta spalancata del palco "forse con l'intento di attenuare (nel Duce) il significato sgradevole del giudizio espresso da parte del pubblico, di colpo la porta venne chiusa, direi addirittura sbattuta sul viso di Pirandello". Colui che racconta questo episodio afferma di essere stato "presente in teatro per motivi professionali" e non s'accorge che offende la dignità di Pirandello, il quale mai si sarebbe umiliato correndo a non necessari ripari.» (Da Venezia lontan..., pp. 24-25) SU
[19] «L'offesa gratuita e brutale che c'è stata fatta mi tiene lontano perfino dai Giganti della Montagna. Quella ch'è forse la mia opera maggiore di teatro m'è restata lì da allora». Così egli mi scriveva quattro mesi dopo la serata ingloriosa. E i Giganti della montagna non furono mai condotti a termine. (Ricordi e pensieri, in L'Opera di GFM, Edizioni di Treviso, 1952, p. 298.) SU
[20] Nell'introduzione al ponderoso e superbo carteggio Malipiero - Gatti (PALANDRI), p. XIII. SU
[21] PALANDRI, p.309. Il carteggio comprende 791 lettere. Una, inedita e piuttosto importante, scritta il 28.6.1917, fa parte del mio Archivio. SU
[22] Adriano Lualdi (1885-1971), compositore, operatore culturale, direttore d'orchestra, critico musicale. Fu uno dei pilastri del regime in ambito culturale (cfr. Arte e regime del '29), acceso assertore del nazionalismo musicale. SU
[23] Sull'«Italia letteraria» non uscì alcun articolo di Malipiero nel 1932 e nel 1933. Il riferimento a un articolo del '33 nel Catalogo delle opere malipieriane (1952) intitolato Svecchiare nel campo musicale è quindi errato. Probabilmente è uscito su un'altra rivista oppure Lualdi si è rifiutato di pubblicarglielo. SU
[24] A questo proposito Malipiero scrisse in un'altra lettera a Lualdi: «Ho scelto quale dimora Asolo, onde evitare le ipocrisie e le vicende degli ambienti musicali, perché mi disgustano. Tengo soltanto che gli editori pubblichino le mie opere [...] così possono automaticamente seguire il loro cammino. Naturalmente ho conservato i miei rapporti cogli amici più fedeli, alcuni si sono dimenticati di me ecc. ecc. » (20.01.1929, A.R.). Nel volumetto Da Venezia lontan... (pp. 47-48) precisò questo pensiero: «Cerco di rimaner fuori dal mondo musicale perché senza volere, distrattamente, leggo sulla faccia di quelli che vi appartengono, l'ostilità che ispiro: essi indovinano tutto ciò che io devo pensare sulla loro personalità. Il mio silenzio non mi salva.» Infine in Ricordi e pensieri, p. 314: «Nel 1923 lasciai la città perché il rumore è sempre stato il mio più grande nemico.» SU
[25] Riferimento all'Universal Edition di Vienna: «Io 'sono stampato' dall'Universal Edition perché conviene alla casa editrice ma non ho nessuna influenza. [...]. Io sono uno straniero per l'Italia. Credo la causa sia mia perché non voglio barattare dei favori» (27.3.1927, A.R.), pensiero ripreso nel 1968 nel volumetto di memorie Da Venezia lontan..., p.9: «La libertà, per quanto universalmente proclamata indispensabile alla dignità dell'uomo, si deve pagar cara se si vuole conservarla intatta e il rifiuto di barattarla contro vile moneta, provoca strane e pericolose reazioni.» SU
[26]L'8 marzo del 1930 scrisse a Lualdi (A.R.): «Non ti lagnare se sei poco noto all'estero. [...] Io ho due Quartetti, uno da Ricordi, uno da Chester. Quello pubblicato da Chester ha fatto il giro del mondo [...], il secondo è stato eseguito soltanto quando per caso i quartettisti poterono scoprire la sua esistenza. È così.» SU
[27] Riferimento alla grande crisi del 1929 che provocò una profonda depressione economica e sociale con un aumento vertiginoso della disoccupazione. In Italia la situazione volse al peggio nel 1931. In una lettera a Casella scritta nel giugno dello stesso anno manifesta preoccupazioni per la sua situazione economica (Cfr. Fondo Casella L. 3647). Cfr. anche Cossì va lo mondo, pp. 20-21: «Sempre qualche santo mi ha aiutato, quando le condizioni materiali potevano compromettere la mia passione. Difatti, appena dimessomi da «insegnante» (nel 1924, cfr. nota 11) venne a battere alla mia porta un grande editore straniero [Universal Edition Wien]. Egli volle accaparrarsi tutte le opere che avrei scritto fra il 1924 al 1930, e per poterle scrivere la vita nella casa di Asolo, lontano dalla rumorosa città, era la più propizia. Dipendere poi da un editore abile e accorto che aveva in mano le chiavi della musica internazionale, voleva dire non marcire e allo stesso tempo non subire il nostro ambiente musicale. Difatti fra il 1924 e il 1932 [in realtà 1931] vissi intensamente nel mondo della musica senza occuparmi di quelle «pratiche» che distruggono la serenità e corrompono il musicista.» SU
[28] Non si può escludere che questa crisi finanziaria abbia provocato anche l'interruzione per molti anni, dal '32 al '41, del titanico lavoro sull'opera omnia di Monteverdi (1926-1942), culminato con la pubblicazione di XVI tomi, anche se in Ricordi e Pensieri (p. 332) afferma di essersi fermato «perché ero saturo di Monteverdi, e fu ingratitudine». Questa attività filologica segnò indelebilmente il lunghissimo percorso artistico di Malipiero. In molti scritti, tra cui alcune lettere del mio Archivio, il compositore veneto esprime entusiasmo per questo lavoro, parallelo a quello compositivo: «Io faccio questa edizione a tempo perso, non a scopo di lucro, ma per il grande amore ch'io nutro per il Divino Claudio.» (Lett. a un Commendatore, probabilmente Tito Ricordi jr.) In questa stessa lettera manifesta apprensione per la sorte degli spartiti monteverdiani e parla della principale difficoltà incontrata nel corso del lavoro di trascrizione: «È doloroso pensare che se per una sfortunata combinazione bruciasse la biblioteca di Bologna, soltanto due delle opere corali [VIIº e VIIIº libro dei Madrigali] e due melodrammi [L'Orfeo e L'Incoronazione di Poppea] resterebbero ancora di questo grande musicista.» [...] «Le edizioni delle opere corali non esistono in partitura, ma le parti staccate soltanto sono state pubblicate durante la vita dell'autore. Per conoscerle bisogna dunque metterle in partitura.» [2.1.1927, A.R.] SU
[29] Malipiero fu sempre molto critico nei confronti della scuola e degli insegnanti. Nel 1949 scrisse al critico e giornalista Goffredo Bellonci una lettera in cui si rifiuta categoricamente di entrare in contatto con tre insegnanti che «considera deleteri per la scuola e che per arrancare al conservatorio ne hanno fatte di tutti i colori. Io sono uno che da molti anni lotta per l'insegnamento della musica nelle scuole, però se [...] riconoscessi validi i tre personaggi verrei meno a tutti i miei principi e subirei una vera offesa personale.» (A.R.) In Cossì va lo mondo (pp. 48-49) espresse il suo pensiero utopico sul ruolo della musica: «Se superando le difficoltà burocratiche si potesse riformare la scuola, la musica potrebbe diventare il centro di tutte le arti, ché i teatri, la danza, la scenografia abbracciano l'architettura, la scultura e la pittura. La poesia si fonde con la musica e insieme le fondono tutte.» SU
[30]«Non ho mai cercato l'insegnamento, e se mi sono circondato di discepoli l'ho tatto perché volevo essere ad ogni costo ottimista. [...] L'idillio tra me e i giovani è durato poco.» (Ricordi e pensieri, p. 301) SU
[31]Qualche giorno dopo aver scritto questa lettera, il 14 dicembre 1931, espresse a Casella incertezza circa le sorti del corso di perfezionamento a Venezia (F.C. L.3656). SU
[32]La musica di Malipiero era infatti più eseguita all'estero che in Italia. Per esempio la prima rappresentazione dell'opera La favola del figlio salvato ebbe luogo a Braunschweig nel marzo del '34, due mesi prima della famigerata première romana (cfr. note 16-19). SU
[33]Cfr. nota 15. SU
[34]Quasi sicuramente Malipiero fa riferimento anche a Schönberg e alla sua scuola: «[...] lo spirito schönberghiano [...] straziò la musica fra il 1920 e il 1932» (Ricordi e pensieri, p. 300). Ma ecco il testo completo: «L'idillio fra me e i giovani è durato poco. La nuovissima generazione non è ancora classificabile. Un esempio: mi si presentava nel gennaio del 1942 un giovane, non ancora ventenne, refrattario alla scuola. Egli aveva però al suo attivo alcune opere interessanti, sia per il contrappunto che per l'armonia e la forma. Purtroppo erano dominate da quello spirito schoenberghiano che straziò la musica fra il 1920 e il 1932. Lo considerai un fenomeno (non certo un innovatore, caso mai un ritardatario), e gli dedicai tutta la mia attenzione. Forse, per innato ottimismo, mi son lasciato ingannare da un volgare plagiario, che si rivoltò contro di me il gìorno che gli accordai un immeritato diploma.L'importanza di questa dolorosa e miserabile vicenda, sta solo nel fatto che quasi tutti i musicisti giovanissimi son privi di idealità.» SU
[35]Mario Labroca (1896-1973), compositore, operatore culturale e critico musicale. Fu allievo di Malipiero, Respighi e Casella. SU
[36]Cfr. PALANDRI, pp. 406 ss. SU
[37]Cfr. PALANDRI, p. 409. SU
[38]Cfr. PALANDRI, p. 405. SU