Ferruccio Busoni

LA GENESI DI ARLECCHINO

Arlecchinos Werdegang.
B.298, H.94. In «Blätter der Staatsoper Berlin», I, n. 7, 13 maggio 1921, col titolo Arlecchino, sein Werdegang.



Roma, aprile 1921

Il primo abbozzo del libretto dell'«Arlecchino» risale alla primavera del 1914, quando non s'aveva ancora da temere una guerra. In complesso questo abbozzo, allora ritenuto provvisorio, rimase a fondamento della versione posteriore (ottobre 1914). La carneficina scoppiata nel frattempo fece sì che i «turchi» originari del libretto fossero mutati in «barbari». - Uno dei personaggi della prima versione fu eliminato. Si trattava di una primadonna in declino, che cercava di adescare il Cavaliere e spiava dalla finestra. Lo sviluppo della situazione creata in tal modo forniva l'occasione di un duetto-alterco tra lei e Colombina. Non essendo essenziale alla filosofia del lavoro, questo personaggio fu eliminato, così il cerchio delle scene fu tracciato attorno ad una simbologia più nitida. Già prima di Natale avevo abbozzato alcuni pezzi musicali: il preludio, la lode del vino, il tema del quartetto e l'aria italiana della vendetta (che era stata la prima ispirazione).
A questo punto, con la mia partenza da Berlino la composizione fu pericolosamente interrotta, per essere ripresa soltanto verso la fine del 1915 nella pace del soggiorno svizzero, e portata a termine. Quando lo Stadttheater di Zurigo accettò di rappresentarlo, sia il direttore del teatro che io eravamo incerti su che cosa si potesse mettere accanto all'«Arlecchino» per completare la serata; e non trovandosi una soluzione mi decisi a provvederla d'un secondo lavoro io stesso: in altri tre mesi il testo e la partitura della «Turandot» furono pronti, sì che la prima esecuzione delle due opere poté aver luogo nella stessa stagione.
L'idea dell'Arlecchino mi fu data dalla magistrale esibizione di un attore italiano (Piccello, se la memoria non mi inganna)
[Lo ingannava. L'attore era il veneziano Emilio Picello. Busoni lo vide a Bologna nell'aprile 1912 impersonare Arlecchino in una commedia della fine del Seicento, «L'inutile precauzione», data dalla Compagnia delle Maschere diretta da Armando De Rossi, che si proponeva di far rinascere il repertorio della commedia dell'arte], che tentava di far rivivere l'antica commedia dell'arte e impersonava e recitava la parte del mio eroe in modo superlativo. Circa a quel tempo feci la conoscenza del teatro di marionette di Roma [Il famoso Teatro dei Piccoli di Vittorio Podrecca], la cui rappresentazione di una piccola opera comica di Rossini ventenne («L'occasione fa il ladro ossia Il cambio della valigia») mi fece una forte impressione.
Il mio «capriccio teatrale» è nato da queste due esperienze, delle quali la prima esercitò un notevole influsso sul testo poetico, la seconda sulla composizione. L'azione è trasportata «idealmente» a Bergamo, che è la patria di Arlecchino e che, come ogni capoluogo di provincia italiano, ha la sua propria maschera, la quale rappresenta l'arguzia del suo popolo. Arlecchino è una confessione in forma drammatica e perciò (a prescindere dagli stimoli che ho ricordato) un lavoro assolutamente mio personale. È una lieve canzonatura della vita e anche del palcoscenico, di condotta sincerissima e, nonostante la mancanza di pretese e la comicità, intesa sul serio, e intrapresa con la più amorevole cura della forma artistica.
Appunto la ricerca di questa forma richiese alcuni mutamenti del testo nel corso della stesura musicale, perché singoli passi che in quanto parole non erano inopportuni la disturbavano qua e là. Riporto qui alcuni di quelli eliminati. Subito all'inizio, per esempio, si diceva:

Matteo:
«Galeotto fu ìl libro e chi lo scrisse...»
(si interrompe).
Si dice che un tal Galeotto fu il mezzano tra Lancillotto e Ginevra...
Simboli, abimé, simboli (ecc.)

Più oltre:

Abbate:
Proprio qui abita
la bella moglie del bravo sarto.
Un verde virgulto
che da una fessura di screpolate muraglie
stende il suo ramicello al sole

Dottore:
... e ammicca ad innamorati

Abbate:
Indulgenza, indulgenza, dottor Bombasto!
Accontentatevi di ammazzare corpi malati,
e lasciate vivere gl'istinti sani! (ecc.)
All'inizio del terzetto:

Matteo:
Non sapete niente?

Abbate:
Che cosa?

Matteo:
I barbari

Abbate:
Qualcosa ne so.
I barbari o Germani
sono il popolo della musica e della flosofia.
A dir il vero nell'una non raggiungono
il nostro sublime Alessandro Scarlatti,
né nell'altra il mio divino Platone...

Matteo:
... essi circondano la città (ecc.)
Nel dialogo tra Arlecchino e Colombina Arlecchino si esprimeva più diffusamente, e alla negazione della fedeltà aggiungeva:

Arlecchino:
Com'è il Suo sonno, signora?

Colombina:
Il mio sonno è inquieto
perché mi struggo per te!

Arlecchino:
Questo fa male al colorito.

Colombina:
Ho davvero un aspetto cosi cattivo?

Arlecchino:
Calmatevi, avete un aspetto incantevole,
ma i vostri sogni riguardano soltanto me?
Ne siete sicura? C'è anche un'infedeltà segreta,
che lascia tracce peggiori perché
non agisce e pazza come acqua stagnante: -
Fedeltà dell'impotenza! - Parlo in generale.

Colombina:
I tuoi discorsi sono esecrabili. (ecc.)
Così pure il discorso di seduzione di Colombina era più lungo. Diceva:

Io ballo, suono il tamburello e canto,
ti preparo i piatti preferiti,
faccio con arte
complicati ricami sui tuoi fazzoletti.
(sempre più carezzevole)
E andiamo a passeggio a braccetto,
la mattina in chiesa
più tardi nella giornata dai nostri cari amici
e la sera a teatro,
dove ridiamo o piangiamo, insieme,
a seconda dello spettacolo -
(più sotto voce)
- poi viene la notte

Arlecchino:
(tra sé) Una disputa franca, sta bene (ecc.).

Tutto ciò, oltre a parecchie cose anche minori, è stato sacrificato alla forma musicale, che nello spettacolo cantato va di pari passo con quella teatrale. Questa strategia della rinuncia è una delle virtú dell'artista, quando ha a che fare con disegni di una certa ampiezza. È compensata dal fatto che in altri passi l'ispirazione porta ed esige altrettanto imperativamente ampliamenti imprevisti e inserisce cose non contenute nel disegno primitivo. Lo stesso avvenne anche nell'«Arlecchino» che, in quanto testo letterario, ebbe in seguito una lunga aggiunta. Il principio etico del lavoro viene ulteriormente sviluppato nella «Continuazione e fine dell'Arlecchineide» che, esteriormente, è staccata dall'opera teatrale, non si adatta ad essere messa in musica né ad essere rappresentata: è piuttosto un'astratta «fantasia». Uscirà prossimamente come libro a sé.
[Pubblicato solo nel 1996 come appendice al voluma di Claudia Feldhege, Busoni als Librettist. Nota del curatore del sito.]