FERRUCCIO BUSONI

QUALCHE APPUNTO
SULLA STRUMENTAZIONE

Etwas über Instrumentationslehre.
B.73, H.55, LM.1, R11. In «Die Musik», Berlino, V (1905-06), n. 3, I fasc. del novembre 1903, col titolo «Über Instrumentationslehre».



Berlino, novembre 1905

Ho visto annunciare in questi giorni la prossima pubblicazione del Trattato di strumentazione di Berlioz in una rielaborazione di Richard Strauss. [Apparve in quello stesso 1905 presso Peters, Lipsia, ed è rimasto un classico dell'argomento, anche se no, nel senso che Busoni auspicava]. È da sperare che non vi si riscontrino i difetti fondamentali di tutti i trattati del genere pubblicati finora, e che, nella misura in cui un libro muto può insegnare su di un'arte libera ed eloquente, riesca nel suo compito appieno. Nella mia recensione del libro di Breithaupt Die natürliche Klaviertechnik (La tecnica naturale del pianoforte) ho osservato che ogni artista dotato si forma una tecnica propria, ma che esistono tuttavia delle regole su ciò che ognuno deve evitate e ciò che ognuno deve seguire. Ciò vale anche per la «strumentazione». Ma quali sono queste regole immutabili?
Prima di tutto bisognerebbe insistere sul fatto, e imprimerlo nella mente dell'allievo, che esistono due specie di strumentazione: l'orchestrazione assoluta, cioè quella richiesta e prescritta dal pensiero musicale, e la «strumentazione» di una composizione originariamente pensata in modo musicalmente astratto, ovvero per un altro strumento. La prima è la sola autentica, la seconda fa parte degli «arrangiamenti». Ciò nondimeno esistono finora più compositori che trascrivono per orchestra, di quanti non inventino o sentano puramente per orchestra.
Tra i primi e «autentici» conto anzi tutto Mozart, Weber, Wagner e, in primissima linea, Berlioz. Perché lo stesso Wagner cade nella «strumentazione» (per esempio, negli sviluppi del Preludio dei Maestri cantori) e allora si sforza di trascrivere per orchestra, con quanta più chiarezza possibile, un brano musicale astratto. Beethoven «strumenta» quasi sempre; per lui la cosa più importante è l'invenzione musicale, il contenuto poetico-umano, e l'intuizione primigenia. A ognuno che abbozzi un pezzo per orchestra si offrono qua e là alla mente «momenti orchestra» veri e propri; ma pe lo più solo momenti: mentre bisogna mettere l'allievo in grado di abbozzare tutto il lavoro, in tutti i suoi particolari, nel senso della orchestrazione assoluta. E quei momenti sono sempre gli stessi: note tenute dei corni, tremoli dei timpani, squilli di tromba; le malattie infantili dello strumentatore. Tra l'uno e l'altro di solito si «trascrive».
Poi bisognerebbe insegnare che l'orchestra è uno strumento unico, un organismo comprensivo, nel quale tutti gli elementi sono attivi nello stesso momento. Non c'è nulla di più antiorchestrale che lunghi passi di archi o estesi tratti di legni, mentre il resto degli strumenti tace. Simili artifici possono venir usati una volta tanto in un pezzo, come contrasto, come illustrazione di una situazione speciale, poi non più. Sono questi i cosiddetti effetti particolari e i trattati di strumentazione se ne occupano in generale fin troppo. Si mettano invece, ecco il terzo punto, nell'appendice, o piuttosto si lascino alla fantasia e alla personalità dell'orchestratore già maturo.
Una quarta regola che non ho trovato ancora citata da alcuna parte e che invece le partiture di Mozart e di Wagner confermano sempre, è quella che ogni strumento, entri solo o in gruppi, deve cominciare e portare la sua frase coerentemente sino alla fine, cosf ch'essa formi sempre un'immagine chiusa. Non solo è più bello, ma suona meglio.
Quinto: i gruppi dei legni (flauti, oboi, clarinetti e fagotti) continuano a venir sovrapposti a piani. Ma sebbene il fagotto arrivi al registro più basso e il flauto a quello più acuto, non si dimentichi che il fagotto non è solo lo strumento delle note gravi, ma possiede un'ottava in comune col flauto; che il clarinetto ha quasi due ottave in comune col fagotto, e che esiste per tutti un registro d'unisono: l'ottava [esempio musicale]

Cioè la sala comune in cui gli abitanti dei diversi piani si incontrano.
Sesto: bisogna insegnare quella necessaria disposizione che nell'orchestra assume la funzione del pedale nel pianoforte. A volte il pianoforte si suona senza pedale, ma per lo più il piede destro accorre continuamente in aiuto, riempiendo, legando; per tacere dei grandi effetti specificamente pedalistici. Questo «piede destro» è indispensabile anche nell'orchestra, e il trattato dovrebbe dedicargli un capitolo a parte.
Settimo capitolo, sul pianissimo e sul fortissimo. La regola afferma - nonostante illustri esempi in contrario - che per il pianissimo si deve usare il minor numero di strumenti possibile, per il fortissimo il massimo. Pure è dimostrato che si può ottenere un «piano» vellutato con trombe e tromboni e un «forte» efficientissimo senza.
Ciò porta a un ottavo capitolo che intitolerei dell'atmosfera dinamica, a dimostrare come l'effetto della gradazione dinamica sia relativo e dipenda dal suo contorno.
Il concetto della gradazione dinamica conduce a un nono capitolo straordinariamente importante: quello che tratta delle proporzioni del suono. Una buona partitura deve essere fatta in modo da comprendere le gradazioni di suono in sé, senza speciale contributo dell'esecutore. La voce centrale da «mettere in rilievo» deve essere strumentata, non suonata più forte. Il «crescendo» deve risultare dall'ordinamento degli strumenti, il «tema» illuminarsi da sé. Nel raddoppiare o nel triplicare le voci deve regnare una proporzione severa. Se uno strumento di raddoppio non arriva abbastanza in alto o in basso, si sostituisca subito con uno di carattere e forza corrispondenti; quando si tratta di voci bisogna soppesare i diversi registri e le loro qualità di suono con precisione. E non si dimentichi, nel farlo, il disegno melodico!
Un decimo capitolo potrebbe chiamarsi: Che cosa è necessario? Che cosa è superfluo? E dovrebbe stabilire nella composizione rapporti analoghi a quelli che intercorrono fra lo scheletro e il corpo, il corpo nudo e quello vestito, il vestito e i gioielli. Si impari a stabilire il necessario per prima cosa.
Infine ci si renda conto che la musica per orchestra è decisamente musica pubblica, del che il calcolo dei suoi effetti deve tener conto. Come la musica da camera è destinata a effetti intimi, la musica dei virtuosi alla sala grande o piccola, la musica corale alle associazioni, feste e solennità, la banda alle strade e piazze, così la musica per orchestra porta il sigillo della grande sala pubblica, senza la quale non può esistere. In questo senso io immagino il piano di un trattato di strumentazione, ed è da sperare che Richard Strauss lo realizzi.