Sommario
anno X numero 5 - maggio 2001
ARTE - pag. 15
A Giuseppe Sinopoli
di Mario Bernardi
Venerdì
20 aprile 2001 alla Deutsche Oper di Berlino un pubblico colto e affezionato si era
riunito per assistere alla messa in scena dell’Aida di Verdi e al contempo per una
‘duplice’ celebrazione: la serata era stata infatti dedicata dallo stesso
Sinopoli al regista Goetz Friedrich, pilastro della Deutsche Oper, morto recentemente di
cui l’Aida era stato un felice allestimento messo in scena nell’82 e giunto
ormai alla recita numero 183. Ma il pubblico era li anche per celebrare il ritorno, dopo
dieci anni di assenza, di uno dei direttori d’orchestra più amati e stimati in
Germania, l’italiano Giuseppe Sinopoli. Verso le ventidue Sinopoli si è
improvvisamente accasciato al suolo colto da un malore, i musicisti lo hanno subito
soccorso mentre il pubblico, tra cui era anche la moglie Silvia Capellini, non aveva
ancora capito chi si fosse sentito male e attendeva composto forse che il maestro
riprendesse la bacchetta. Sinopoli è stato invece trasportato d’urgenza al centro di
cardiologia dell’ospedale Virchow, dove poco dopo è spirato.
Fin qui la cronaca. La storia ci dirà, e lo farà a gran voce, che Sinopoli è morto da
eroe antico: esule e in battaglia. Esule perché era da poco più di un anno che il teatro
dell’Opera di Roma aveva accettato le dimissioni del maestro, seguite da una penosa
polemica che aveva visto il Maestro contestato per le sue dichiarazioni sullo stato in cui
versava il teatro Costanzi. Mannino diceva che chi dirigere l’orchestra combatte
continuamente con la morte: ma alla Deutsche Oper non ha vinto la morte, ma la musica, cui
Sinopoli ha dedicato perfino l’ultimo istante della sua esistenza, proprio come un
guerriero morto in battaglia.
Il nuovo Auditorium di Roma verrà certamente dedicato a Sinopoli e questa credo sia
l’ultima offesa che le istituzioni musicali italiane potranno fare al maestro. La
città che gli ha negato la direzione del proprio teatro lirico da vivo gli dedica un
auditorium quando non può più dirigerlo.
Sinopoli ha sempre lavorato poco in Italia: come compositore aveva cominciato soprattutto
in Francia e in Olanda e nel 1981 a Monaco era andata in scena la sua opera più
conosciuta Lou Salomé. Come direttore dopo le prime opere dirette nella seconda metà
degli anni settanta a Venezia aveva raccolto enormi successi in Germania e Inghilterra,
dall’83 era divenuto il principale direttore dell’Orchestra dell’Accademia
di Santa Cecilia a Roma, poi dell’Orchestra Filarmonica di Roma prima di debuttare
alla Scala di Milano solo nel 1994 con Elektra di R. Strauss. Dal ’98 era direttore
del Maggio Musicale Fiorentino del Comunale di Firenze, nel ’99 era stato nominato
Cavaliere di Gran Croce dal presidente Scalfaro e aveva assunto la direzione del Teatro
Dell’Opera di Roma. Nell’ultimo anno aveva troncato i rapporti con l’Italia
rimanendo legato alla Staatskapelle di Dresda.
Roma lo aveva dapprima voluto come direttore poi gli aveva negato la possibilità di
applicare la sua ‘riforma’ per beghe sindacali: Sinopoli voleva
un’orchestra dinamica e produttiva, non un feudo ministeriale. Al momento delle sue
dimissioni l’amministrazione dell’Opera rispose che Sinopoli era stato chiamato
per fare il direttore d’orchestra, non il manager e che non gli spettava decidere
come e quanto dovessero lavorare gli orchestrali, ignorando che la qualità artistica non
può prescindere dalle condizioni in cui si lavora.
L’unica cosa che forse si può affermare di Giuseppe Sinopoli per ricordarlo nella
sua unicità è la sua poliedricità rinascimentale, la sua curiosità leonardesca che lo
aveva portato da giovane a studiare contemporaneamente al Conservatorio di Venezia e alla
Facoltà di Medicina di Padova, dove si era brillantemente laureato in Psichiatria.
Recentemente si era avvicinato all’Archeologia, disciplina in cui avrebbe conseguito
presto la laurea se la morte non lo avesse chiamato. Egli era una delle ultime
testimonianze della completezza dell’intelligenza umana: in un’era di ottuso
specialismo era il baluardo dell’eccellenza eclettica. Il miglior omaggio che
l’Italia dovrebbe tributargli sarebbe solo quello di far lavorare di più in patria i
suoi giovani direttori, molti dei quali sono costretti a lavorare quasi esclusivamente
all’estero proprio come il maestro Giuseppe Sinopoli.
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