Dino Villatico
CON LA SUA MUSICA VISIONARIA
INTERPRETAVA LA PSICHE UMANA

Spirito sempre in tensione ha lasciato il segno in tutte
le orchestre con cui ha lavorato: da S.Cecilia a Bayreuth
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Giuseppe Sinopoli era nato a Venezia il 2 novembre 1946, da madre veneziana e padre siciliano, vulcanico spirito saturnino di una lunga teoria di fratelli e sorelle. L'ambiente veneziano allora voleva dire Bruno Maderna e Luigi Nono. Entrambe le figure hanno su Sinopoli un influsso decisivo. Come poi ai corsi della Chigiana, a Siena, Franco Donatoni. A Darmstadt segue i corsi di Maderna, e poi quelli di Ligeti e di Stockhausen. A Vienna s'iscrive ai corsi di direzione d' orchestra di Hans Swarowsky. Vienna, come poi Berlino e Dresda, resta una sorta di punto focale del suo panorama intellettuale, stella polare di un orizzonte che guarda alla Mitteleuropa. Il tedesco era la sua seconda lingua.
La musica, però, non gli bastava. Come non gli bastava la composizione. Ma almeno tre pagine restano nella storia della musica del Novecento: 'Souvenir à la mémoire' del 1974, 'Tombeau d'Armor' dell' anno seguente, e l'opera 'Lou Salome' andata in scena a Monaco nel 1981. Il testo lo ha scritto il suo amico regista Goetz Friedrich, che per ironia o astuzia della Ragione Sinopoli commemorava a Berlino in quello che era stato il loro teatro: la Deutsche Oper. Lou Andreas Salome era un pretesto per affrontare l'enigma Nietzsche. E l'enigma della musica: non volle più scrivere un rigo. Rivolse tutti i suoi interessi artistici alla direzione d' orchestra. Dirigendo un concerto all' Accademia di Santa Cecilia a Roma conobbe Silvia Cappellini, seduta alla celesta, che sarebbe diventata sua moglie. Nascono due figli.
E a Roma nasce in Sinopoli una nuova passione: l'archeologia. Lunedì si sarebbe dovuto laureare appunto in archelogia, all'Università La Sapienza di Roma. Ma aveva già un'altra laurea: in medicina, ottenuta a Padova nel 1972, discutendo una tesi di psichiatria. E qui veniamo al nodo che forse teneva stretti tutti i suoi interessi, umani e intellettuali. Lo studio della psiche, scrutare le radici nascoste, ispezionare le grotte sotterranee, gli anfratti invisibili del comportamento umano. Come Nietzsche, credeva che il fondamento della razionalità fosse irrazionale e dunque irrazionali fossero anche le motivazioni dell'agire dell'uomo. Le sue interpretazioni sembravano spaccare il capello in quattro della struttura compositiva di un brano, ma in realtà nascevano da un irrefrenabile impulso emotivo.
L'intelligenza che analizzava la pagina non faceva altro che fornire legna al fuoco dell'emozione. Perciò il suo Mahler, il suo Wagner, il suo Bruckner, il suo Schönberg, il suo Skrjabin e, pochi lo hanno notato e detto, il suo inimitabile Ravel (la sua interpretazione del 'Bolero' è semplicemente allucinata), ma anche il suo Puccini e perfino il suo bellissimo Verdi ci apparivano così incandescenti e insieme così intrisi del senso della morte, della fine: il suo Ciajkovskij sembrava quasi putrefatto. Non aveva un carattere facile, perché la mente era sempre in ebollizione, il suo spirito sempre in tensione, e scattava per niente, lasciandosi andare a accessi d'ira omerici. Ma su tutte le orchestre con le quali ha lavorato, Santa Cecilia, la Philharmonia di Londra, della quale nel 1983 divenne direttore stabile, la Staatskapelle di Dresda, i Berliner Philharmoniker e le orchestre dei teatri Metropolitan, la Scala, Covent Garden, Bayreuth, ha lasciato un segno. Al Festival wagneriano diresse per la prima volta nel 1985 il 'Tannhäuser', poi un 'Olandese Volante', e l'anno scorso l'intero ciclo dell'Anello, che qualche anno fa aveva già diretto in forma di concerto all'Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Il suo Strauss alla Scala ha fatto scalpore.
Con lui il mondo della musica e il mondo della cultura perdono non solo un grande e particolarissimo interprete, ma un'intelligenza curiosa, un indagatore infaticabile dello sconosciuto proprio nei territori dove si crede invece di conoscere già tutto.

[La Repubblica, 22-04-01]