"Non prendetemi per un altro". Approssimazioni alla realizzazione di un desiderio
Di
nessun filosofo si sono avute immagini così contrastanti come di Nietzsche.
Avversario storico del socialismo o fautore di un'idea di libertà sottratta
a qualsiasi vincolo istituzionale; creatore dei miti sui quali si è edificata
la cultura dell'individualismo moderno o critico radicale dei suoi presupposti;
espressione più alta della metafisica occidentale o suo primo liquidatore.
Il Novecento ha continuamente guardato a "nuovi" Nietzsche e spesso si è
diviso proprio sul modo di giudicarli. Lukács
diceva che il trattamento riservato a Nietzsche era la causa del rifiuto,
da parte della sinistra occidentale, di un libro come La distruzione della ragione.
Un volume curato da Maurizio Ferraris,
appena uscito da Laterza, ripercorre la sindrome Nietzsche proponendosi di
sgombrare il campo da una serie di pregiudizi seminati sui sentieri della
ricezione che, da Heidegger a Deleuze,
si è trasmessa sino a noi: attraverso la rivalutazione dei suoi studi filologici
e la ricostruzione delle sue letture scientifiche, il rapporto di Nietzsche
con la filosofia viene reso più problematico e, soprattutto, si contesta
la sua immagine di antipositivista, critico della scienza e del mondo della
tecnica. Ricostruiamo, dunque, con Maurizio Ferraris la parabola nietzscheana,
restituendo, per quanto possibile, il filosofo tedesco alle sue volontà;
tanto abilmente nascoste tra le pagine dei suoi libri quanto modestamente
alterate dalla mano della sorella Elisabeth. Cominciamo dal giudizio di
Lukács, dalla sua visione di un Nietzsche interprete e mitografo della borghesia
nell'epoca storica che porta dal suo trionfo all'inizio della sua decadenza.
Giudizio di cui Foucault
rovescia positivamente il senso quando gli attribuisce l'annuncio di quella
"morte dell'uomo" che sarebbe l'inevitabile contropartita della "morte di
Dio". Quando facevo l'università, nella seconda metà degli anni Settanta,
Lukács era l'autore da non leggere. E il motivo era che avrebbe nazificato
Nietzsche. Ho riletto di recente La distruzione della ragione,
e mi son chiesto perché. A parte la bellezza della prosa, quello che Lukács
scrive è incontestabile: Nietzsche ha davvero predicato contro la solidarietà
tra gli uomini, e i passi che Lukács utilizza per motivare il suo giudizio
vengono, per esempio, da Al di là del bene e del male, un'opera che
Nietzsche pubblicò nel pieno dei suoi spiriti, senza alcun intervento di
Elisabeth, la sorella-parafulmine. Eppure, ancora oggi, la vulgata vuole
che Nietzsche fosse "in realtà" di sinistra, e che solo delle manipolazioni
interessate lo avessero ridotto, negli anni Trenta, a un corifeo del nazismo.
Dico "ancora oggi" perché nel non lontano 1992, quando ho ripubblicato con
Pietro Kobau la Volontà di potenza
da Bompiani, molti hanno preso l'iniziativa o come un oltraggio a Nietzsche,
o come una riabilitazione di Elisabeth, perché nella postfazione spiegavo
che se dare del nazista a Nietzsche è assurdo, visto che Hitler nasce nel
1889, quando Nietzsche finisce in manicomio, le tesi spesso politicamente
scorrettissime che troviamo in tanti testi da lui direttamente pubblicati
sono farina del suo sacco, dunque non sono frutto delle manipolazioni della
sorella (la quale del resto riordinò gli appunti nel 1901 e nel 1906, quando
Hitler o aveva i calzoni corti o faceva l'imbianchino a Vienna). Il problema
è stato, però, quello di "recuperare" Nietzsche al di là dell'uso ideologico
delle sue tesi, indubbiamente distorto. Sì, ma recuperarlo a che? Non dico
che il rimedio sia peggiore del male, ma quasi. La riabilitazione di Nietzsche
a sinistra, a partire dagli anni Sessanta, è stata non meno ideologica della
nazificazione degli anni Trenta. E si è presentata, essenzialmente, in due
versioni. Una emancipatoria e movimentista (Deleuze e Guattari, poi Vattimo),
dove la questione della volontà di potenza viene equiparata all'immaginazione
al potere per trasformarsi poi, con l'ermeneutica e il postmoderno, nello
scetticismo del mondo vero diventato favola. L'altra è quella "realistica"
(in qualche modo il Nietzsche di Deleuze del 1962, quello di Foucault, poi
quello di Cacciari),
dove viceversa si sottolinea che la spietatezza dell'analisi è un buon antidoto
al sentimentalismo politico (di modo che allora Nietzsche risulta "oggettivamente"
di sinistra). Fra le due letture, col senno di poi, mi pare che la prima
fosse semplicemente falsa, sebbene animata dalle migliori intenzioni di questo
mondo; e che la seconda, invece, risultasse severa ma giusta. Però continuo
a chiedermi perché mai una politica di sinistra debba appoggiarsi a un autore
cosi equivoco; sarà poi fatale che, scioccamente, si faccia di Nietzsche
il mandante di atti gratuiti, come è recentemente avvenuto in un tribunale.
Si può benissimo amare l'intelligenza e lo stile di autori politicamente
scorretti: De Maistre quando loda l'alleanza fra il trono e l'altare, Baudelaire
che scrive tranquillamente che bisogna sterminare gli Ebrei (e ai Belgi non
va molto meglio). Ma non ha proprio senso sostenere - in fondo, narcisisticamente
- che se sono intelligenti, allora sono anche di sinistra (e che magari le
parti orrende di Baudelaire le ha interpolate sua mamma). Come inquadrerebbe,
allora, la posizione di Nietzsche fra la qualità della sua scrittura, la
sua filosofia e il suo atteggiamento politico?
Direi che Nietzsche è un pessimo consigliere pratico (se ne era accorto
benissimo proprio Foucault, nei suoi ultimi anni travagliati), ma è spesso
- non sempre, si pensi a Così parlò Zarathustra
- un grande scrittore. Però, a chi dicesse che allora è anche un grandissimo
filosofo, e magari che lo è soprattutto in morale, si potrebbe opporre che
non è detto che quello che ci piace sia anche vero, o giusto: e soprattutto
che è bene capire perché ci piace: se è per ciò che scrive, se per come lo
scrive, se è perchè ha ragione oppure perchè ha torto; se per motivi strettamente
filosofici, o se per l'aura che circonda la sua vita e la sua fortuna (o
sfortuna). Proviamo allora a vedere se ci soccorre la storia della fortuna.
C'e un dogma che accomuna Elisabeth e Heidegger, tanto per restare a due
figure carismatiche della ricezione: il dogma, per l'appunto, secondo cui
Nietzsche sarebbe un gigante del pensiero, un vate, un illuminato, un mito
vivente. Con questo, Nietzsche viene strappato fuori della sua storia e della
sua geografia, e viene circonfuso di una luce equivoca, che propaga nel tempo
i suoi effetti. Che l'interpretazione di Elisabeth sia di sinistra, non lo
si è mai detto. Ma si è detto, e si dice, che, almeno indirettamente, lo
è quella di Heidegger, che leggerebbe Nietzsche in senso antinazista. E'
una leggenda metropolitana: Heidegger entrò nell'"Archivio Nietzsche" durante
la gestione di Elisabeth, subentrando a Spengler
che se ne era andato per protesta contro le collusioni dell'"Archivio" col
regime; vi rimase sino al dicembre del 1942 (ossia sino a Stalingrado). E
dal 1933 al 1945, tutti gli anni, in tutte le università tedesche, si tennero
dei corsi su Nietzsche, con la sola eccezione di Tübingen, la cui specializzazione
teologica non favoriva certo l'Anticristo come materia di insegnamento. Ma,
a parte questo, è ben dubbio che si possa considerare emancipativa una lettura
che, invece di consegnare Nietzsche alla attualità politica, come voleva
Baeumler, ne fa il capolinea di una Storia della Metafisica.
Resta il fatto che Heidegger vede in Nietzsche colui che apre la possibilità
di emanciparsi almeno dalla metafisica, se non proprio da tutto quel che
ne segue. Più che altro, quella di Heidegger è una lettura molto evasiva,
al limite della falsificazione. Viene riproposto un Nietzsche eroico e mitico,
spesso a detrimento dei veri valori filosofici. Che un grande filosofo, teoreticamente
originale e inventivo come Schopenhauer,
venga ridotto, nei corsi degli anni Trenta, a un triste precursore, è solo
una delle omissioni di questa lettura. Inoltre (e qui l'errore non è di giudizio,
ma comporta proprio l'omissione di dati di fatto), Heidegger vede in Nietzsche
un avversario della scienza, il che è falso, visto che Nietzsche, abbandonata
la filologia, lesse soprattutto di scienza e di divulgazione scientifica.
Ma Heidegger non lo vuole vedere, perché intende preservare l'immagine del
Filosofo all'antica (che, per lui, significa infallibilmente Grande Filosofo).
Dunque, lei ritiene che avesse ragione Lukács? Si, e non è trasformando
Nietzsche nell'"ultimo bagliore della storia della metafisica come oblìo
dell'essere" che lo si puo rendere politicamente accettabile, né dicendo
che la sorella lo avrebbe falsificato, né sostenendo che l'edizione critica
ci avrebbe offerto infine il "vero" Nietzsche. A parte il fatto che già l'"Archivio"
promosse una edizione critica, dopo il 1930, resta che, dal punto di vista
politico, gli inediti dicono le stesse cose degli editi. La loro vera utilità
è un'altra: essi ci ragguagliano sulle fonti, ci fanno capire cosa Nietzsche
leggesse, lo restituiscono al suo mondo, ossia svolgono il vero compito che
anche lui aveva riconosciuto alla storia: quello di distruggere gli idoli
della tribù. E com'è questo Nietzsche restituito alla sua storia? Le letture
di Nietzsche in Germania e nel mondo anglosassone, dagli anni Settanta in
avanti (Müller-Lauter, Stack
ecc.), a dir poco sospettose nei confronti di Heidegger, hanno sottolineato
come, per ciò che attiene alla parte teoretica della sua riflessione, e in
qualche misura anche per ciò che attiene alla pratica, Nietzsche sia in sostanza
uno dei tanti neokantiani con sensibilità positivistica e pragmatistica che
affollano la scena filosofica del secondo Ottocento. Basti dire che raccomanda
l'eterno ritorno come la dottrina "più scientifica", e vuole ricondurre il
pensiero e le emozioni alle loro basi fisiologiche. Se lo mettiamo in questa
prospettiva, non lo troviamo più in dialogo con Platone, Aristotele, Cartesio, Leibniz,
ma con molti suoi contemporanei, anche minori o minimi. E scopriamo che,
tolto il mito, forse è anche lui un minore; ma è proprio lui, e non un altro.
Non era forse la richiesta di Ecce homo? "Non prendetemi per un altro".
Strano destino, però, quello di un "minore" che continua a catalizzare l'attenzione
di più di un secolo di filosofia, quasi che egli avesse tracciato la strada
lungo la quale rispondere a una serie di domande che la contemporaneità si
è via via posta con urgenza sempre maggiore. Si, proprio strano. Però davvero
un filosofo molto originale potrebbe catalizzare l'attenzione non solo filosofica,
ma soprattutto mediatica, allo stesso modo di Nietzsche? La sua tesi fondamentale
è semplicemente questa: l'uomo può fare di sé quello che vuole. Ma sarà vero?
E, poi, come si concilia questo senso di onnipotenza con il richiamo di Nietzsche
alla natura e al destino? Come molti di quelli che sostengono di dire cose
nascoste sin dall'inizio del mondo, Nietzsche spesso rivela al lettore proprio
quello che lui sapeva già, e gli dice quello che voleva sentirsi dire; questo
spiega perchè nelle edicole delle stazioni si trovino i libri di Nietzsche.
Forse che le stazioni brulicano di superuomini? E se queste tesi di dominio
pubblico si sono legate al nome di Nietzsche è perché la sua vita e la sua
fortuna esercitano, oggi come ieri, una immediata seduzione romanzesca: Nietzsche
che abbraccia il cavallo, che finisce in manicomio, che viene falsificato
da una sorella terribile, che viene letto dai nazisti ecc. E' già un film
o un romanzo (infatti ce ne sono stati tantissimi, mentre nessuno si sognerebbe
di girare un film su Gassendi o su Helmholtz).
Ora, quella di Nietzsche è stata una tragedia vera e commovente; ma proviamo
a chiederci che cosa sarebbe stata la sua fortuna se avesse continuato a
insegnare filologia a Basilea, avesse sposato Lou, e fosse morto a ottant'anni,
di gotta e con l'Alzheimer.