RASSEGNA STAMPA

7 GENNAIO 2001
GUIDO CASERZA
INTERVISTA A SEVERINO
L'esistenza, fatta di legna e di cenere
Si intitola La legna e la cenere e si presenta nella forma di Discussioni sul significato dell'esistenza, come recita il sottotitolo, l'ultimo libro di Emanuele Severino (Rizzoli, pp. 250, lire 32mila). Sono le discussioni che in questi ultimi anni il filosofo ha tenuto ad una grande varietà di interlocutori (da Gadamer a Vattimo, da Cacciari a Givone, ma anche dallo studente al parroco, poiché questo libro si offre alla lettura pure del dilettante) e di cui la legna e la cenere riassumono metaforicamente il contenuto: cosa succede alla legna una volta bruciata e divenuta cenere? Cosa resta di ciò che era stata legna in quella cenere? Che ne è del fuoco dell'esistenza?
Professor Severino, il grande chimico Lavoisier, nel secolo scorso, aveva riassunto il dilemma dell'eterna trasformazione nel famoso motto "nulla si crea e nulla si distrugge" e come corollario aveva portato l'esempio di una candela che brucia: in apparenza non resta più nulla, in realtà, nella combustione nulla è andato perduto e se si raccolgono i gas prodotti dalla combustione si vede che questi pesano più del combustibile stesso. In sostanza la scienza ha risolto il problema che voi filosofi proponete.
"A dire il vero questo è il principio fisico generale della conservazione dell'energia, che a sua volta risale alla filosofia presocratica, per la quale la physis, ovvero originario (come ricorda Aristotele), è sempre salva dal nulla. Non sono invece salvi quelli che Aristotele chiama accidenti e che la scienza contemporanea chiama le forme dell'energia. Ma questa concezione è quanto vi sia di più lontano dal mio discorso. Una simile concezione anche nella scienza ha infatti un significato teologico, perché da una parte si pone l'essere eterno salvo, mentre dall'altro si pongono le cose terrene caduche che nel cristianesimo si possono salvare solo mercé la grazia. Tutti gli dei dell'Occidente sono invidiosi, si tengono per sé l'eternità e lasciano al mondo la caducità. Io nego questa visione del cosmo, e quando parlo di eternità, parlo dell'eternità di ogni essente, non solo del superente divino".
Nietzsche scrisse: non eterna un'altra vita ma questa.
È un'affermazione che mi piace rivedere in questo modo: ogni esistenza è sempiterna e dunque anche questa.
Anche il dolore è quindi eterno.
Certo, ma lo è all'interno del suo essere superato. Amo la metafora della fiamma: quando si accende un ceppo di legno, noi vediamo che la fiamma vicino al legno ha un'anima scura e più in alto si forma una luce. Potremmo allora riassumere un tratto centrale del significato dell'esistenza dicendo che il dolore è come l'anima nera della fiamma: anche l'anima nera è eterna come il dolore, che è però oltrepassato dalla gioia.
Il suo libro è in sostanza costituito di dialoghi. Come può la filosofia parlare all'uomo comune del senso dell'esistenza?
Il problema così è male impostato. Il filosofo non può infatti dialogare con l'uomo comune, poiché sarebbe un dialogo tra sordi. Si tratta piuttosto di vedere se l'uomo comune lascia cadere i veli che lo rendono tale, e se dunque il filosofo può trarlo fuori dal buon senso. Solo così è possibile il dialogo. Oggi ci sono molte persone impegnate a dialogare con il mondo di cui si sentono i salvatori. Penso ad esempio al papa. I salvatori del mondo, come l'attuale pontefice, incorrono in un vizio di fondo: non tengono conto che i dialoganti si basano sulle loro fedi e che ogni fede è una forma di violenza. Dunque i dialoghi condotti per salvare l'uomo contemporaneo, che si fondono sulle fedi che ognuno porta innanzi nel suo dialogo, sono equivoci. Ogni fede è infatti un violentare il senso del mondo che ognuno vorrebbe ridurre alla propria visione. Non ci si può illudere di impostare il dialogo fra i popoli su queste basi. Io credo che un dialogo basato sulle religioni e sulle fedi, ovvero sulla volontà di potenza sia destinato a fallire. Andiamo verso un'epoca in cui ci sarà un dialogo fra le parti ma il prevalere della voce più forte, a meno che le fedi non si aprano alla problematica della filosofia.
È possibile il dialogo filosofia-teologia?
La teologia è la riflessione razionale sulla fede e poiché la formalizzazione teologica non concede proprio nulla, il dialogo diventa pressoché insostenibile, mentre il credente semplice può almeno qualcosa concedere, ammettere ingenuamente che in fondo siamo tutti cristiani. D'altra parte una filosofia autentica non può essere credente e il filosofo può tentare di mostrare al teologo che la razionalità che egli mette in atto deve da ultimo sfociare in una forma della ragione che non può farsi sottomettere dalla fede.
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