FERRUCCIO BUSONI

SUI TEMPI CHE CORRONO

ZUM ZEITGESCHEHEN

da un ms. che non reca data né titolo

LO SGUARDO LIETO
pp. 141-144


Dappertutto, e in Germania non meno che altrove, si annunciano gli stessi sintomi di un rivolgimento nelle aspirazioni musicali. Si somigliano in tutti i paesi; ed evidentemente l'aperta esplosione di questa tendenza odierna è una manifestazione del dopoguerra. Nuove condizioni suscitano, in senso traslato, un nuovo atteggiamento, e in arte una nuova espressione e la presunta prerogativa del singolo di annunciarla. Come pretesto si adduce un principio personale, ma alcuni rinunciano persino a tanto e si fanno forti della libertà d'opinione: motivare il proprio modo di procedere viene semplicemente disdegnato. - I piú anziani signori che si atteggiano a liberali cercano un apparente ringiovanimento assentendo e seguendo, cosa che dà loro l'apparenza di marciare alla testa del movimento. Decisiva per loro sembra la giovinezza dei dimostranti e l'ostilità delle loro produzioni alle regole: talento e capacità vengono presi in considerazione solo in via subordinata, alle volte niente affatto.
Ma il movimento è troppo generale e uniforme per potersi ignorare. Bisogna occuparsene, registrare il fatto ed esaminarlo quanto piú oggettivamente possibile.
Eppure il seme che doveva produrre questi fiori è stato seminato prima della guerra. Schoenberg, il secessionista viennese, Stravinsky, l'acrobata musicale russo, hanno posto le basi di equivoci che vorrebbero valere di prepotenza come verità positive. Sul piano teorico anche un mio piccolo scritto, pubblicato nel 1906 ma letto dieci anni dopo [
Abbozzo di una nuova estetica della musica], e tendenziosamente interpretato in trincea, ha portato fuori strada phi d'uno. Anche qui si è voluto schiacciare anzi che sorpassare, e io mi sono sentito irritato e insieme contento, quando ho avvertito un effetto dei miei insegnamenti, per quanto distorto ne fosse il risultato. Ne parlo come di cosa passata, perché già nel 1920 (a quel tempo ero a Zurigo) previdi la fine dell'espressionismo, allora allo zenit della sua importanza. Dall'espressionismo abbiamo guadagnato alcune possibilità che con gratitudine vogliamo aggiungere ai mezzi utilizzabili, e di cui all'occasione vogliamo servirci. Ogni movimento di una certa ampiezza nasce da un granello di verità, l'errore consiste nell'accentuarlo in modo da pensare e agire su un piano esclusivo ed esagerato, intollerante e caricaturale.
Il giudizio su un'opera d'arte e la sua possibilità di durare dipenderanno sempre e soltanto dal talento innato e dalla capacità acquisita: la «tendenza» rimane un segno transitorio del tempo in cui è sorta; quando poi quel tipo speciale è giunto alla compiutezza, diventa «classico» e passa (senza ulteriori discussioni) nel vecchio patrimonio sicuro. Se non raggiunge la compiutezza, il tipo scompare come è venuto e rappresenta soltanto un «incidente» nella storia, che non porta conseguenze.
Dipende dunque dal talento del singolo, dalla sua autodisciplina, dalla sua abnegazione, dal tenace affinamento delle sue capacità, se dalla «tendenza» che egli abbraccia o in cui è stato sospinto si forma qualcosa di permanente. Un'azione del genere non può provenire simultaneamente da un intero gruppo di ventenni: il mestiere esige una preparazione troppo lunga, la vita una somma troppo ricca di esperienze.
I modernissimi si ingannano anche quando credono di poter rompere o di aver rotto con tutto ciò ch'è stato prima: non è così, nonostante la loro incrollabile persuasione, perché ogni bambino ha una madre alla quale anche dopo la nascita è collegato dall'ombelico. Questi modernissimi sono in realtà meno originali di quanto pensino. D'altro canto è innegabile che l'uomo ha gli occhi messi in tal modo da costringerlo a guardare in avanti; e che la sua esistenza è passabilmente giustificata soltanto se contribuisce a creare il presente. Triste destino è perciò vivere in tempi confusi, non chiaramente delineati e fluttuanti; i creatori condannati a caderci dentro ne risentono.
Perciò è dovere e compito di chi ha una visione chiara, se non è d'animo gretto, di far luce nella situazione, di distinguere e offrire sostegno dove c'è oscurità, groviglio e vacillamento.
Inoltre nello sviluppo dell'artista (che si presenti come singolo o come un intero partito) è fenomeno noto che l'iniziale indomabilità si trasforma poi in calma - spesso in filisteismo - e che ciò che dapprincipio è accettato con cautela sbocca in tendenze riformatrici, si pensi a Schumann, si pensi a Beethoven. Chi si è reso padrone di tutto ciò che lo ha preceduto, è logico che non se ne accontenti poi più e inventi qualche cosa di nuovo; d'altra parte è naturale che la riserva di idee e di energie d'opposizione del giovane rivoluzionario si esaurisca presto e inaridisca a forza di ripetizioni, oppure che, per reazione, torni alla normalità.
Se ne può arguire che il risultato di un'epoca irrequieta sarà un ordine futuro, mentre in un'atmosfera inerte e immota si va ammassando la tempesta che rende il navigante inquieto.

Il fatto è che esiste una bellezza assoluta e comprovabile ed esistono cose che piacciono a date persone in dati tempi e da queste vengono ritenute belle. Qualunque sia la tendenza alla quale l'opera d'arte si conformi, in seguito le tocca fatalmente l'uno o l'altro destino: o viene dimenticata, oppure diventa «classica». A seconda che appartenga all'un genere o all'altro. Ripeto: la tendenza è ciò che varia, la perfezione ciò che dura. La prima è casuale e subordinata, quasi senza importanza, la seconda è importante, indipendente e conforme alla legge: non nel senso di aride prescrizioni, ma in rapporto a se stessa.
La domanda da porre su qualcosa non è quindi: è diversa dall'antica? Piuttosto: è altrettanto buona, o addirittura migliore? E quest'ultimo caso si produce - a intervalli - sempre di nuovo, sia per opera di una chiarificazione, sia per un accrescimento, ma dipende senza eccezione e solamente dal talento collegato con la capacità. È da presumere che dalla massa degli ultimissimi uscirà un giorno (e forse tra breve) una personalità che con il suo talento e la sua capacità paleserà il nocciolo buono dell'insurrezione nella sua compiutezza perfetta: questa personalità si innalza naturalmente al rango di classico e con ciò si separa dai suoi colleghi di prima. Ognuno di loro pensa probabilmente di essere questa personalità, e così coloro che erano concordi divengono in seguito avversari.
Già ora tra coloro che fanno causa comune, che sono affini e fanno parte della stessa «scuola» (priva di un capo) si possono distinguere elementi divergenti e individuali - nelle masse come nei singoli. I due lati d'un angolo divergono sempre più quanto più si allungano. In primo luogo dovrebbero acquistare caratteri distinti i diversi paesi -per le qualità razziali innate, per il fondo oscuro del nazionalismo -; l'eletto si manifesterà nell'ambito di ciascuno. Così, per il momento, i Germani sono più chiaramente collegati tra loro, e del pari i Latini tra loro: comune a tutti è la rivolta e la preparazione insufficiente.
Ma nell'insieme il ciclo si compie, come in ogni tempo, e ci sembra sorprendente soltanto ciò che non avevamo sperimentato prima noi stessi, ma che si deve produrre in lassi di tempo regolarmente determinati e in circostanze simili, e si ripete pertanto regolarmente. Tutto il processo, per esempio, è stato rappresentato quasi cento anni fa in modo sorprendentemente attuale nel dialogo tra Mefistofele e il Baccelliere (Faust I). Duecento anni prima Cervantes aveva detto le stesse cose. E come Goethe, non era certo un filisteo.