GOTTFRIED WAGNER

WEILL E BUSONI

WEILL E BRECHT pp. 27-51


GLI ANNI DI APPRENDISTATO
DI KURT WEILL


Kurt Weill era nato a Dessau nel 1900 e, quando era studente, il suo orizzonte musicale era costituito dalla tradizione operistica tardo-romantica [40]. Suoi maestri furono Albert Bing e Rudolf Krasselt (tutti e due direttori d'opera) ed Engelbert Humperdinck, la cui influenza su Weill permane visibile pur nei contrasti che li separarono in anni più avanzati e che qui tenteremo brevemente di definire.
Se prendiamo in esame le prime creazioni di Humperdinck, ci si aggira in sostanza attorno a Wagner. Solo verso i trentasette anni egli cercò di liberarsene. A questo proposito ecco quanto scrive suo figlio, che fu anche il suo biografo: «Fu in effetti un'impresa azzardata dedicarsi allora così seriamente ad un'innocente favola per bambini [
Hänsel und Gretel, 1893]. Il mondo operistico era dominato dallo stile wagneriano e dal nuovo verismo; solo pochi potevano comprendere le particolari intenzioni di Humperdinck, e certo non a Bayreuth, dove si rappresentava solo tutto ciò che seguiva le insegne del wagnerismo» [41].
Questo però, che il figlio indica genericamente come impresa azzardata, era in fondo il problema personale della dipendenza di Humperdinck da Wagner e dal suo circolo.
La rinnovata inclusione delle categorie melodrammatiche nella sua opera
Die Königskinder da parte di Humperdinck suscitò fiere proteste. Gli ambienti conservatori rimproverarono al compositore tendenze reazionarie, infedeltà a Bayreuth, assoluta mancanza di principi da parte di un wagneriano, e tutto questo solo perché Wagner nel suo Oper und Drama (Opera e dramma) aveva definito il melodramma un «genere della più sconfortante promiscuità» [42].
A dire il vero Humperdinck si servì di un tale melodramma solo in opere in prosa (Schauspiel) e occasionalmente in brevi sezioni delle sue opere più tarde. A lui però non è mai riuscito di 'metter in scena il reale'. Egli sentiva sì la necessità di superare il dramma musicale wagneriano ed aspirò di nuovo a delle 'forme chiuse' musicali, tuttavia non giunse a creare una nuova possibilità per il teatro in musica con la sua elaborazione della categoria del melodramma. Soltanto il rinnovato utilizzo di 'forme chiuse' diventerà importante per le creazioni compositive più tarde di Weill, anche se in un contesto drammatico tutto diverso [43].
Nonostante le sue serissime intenzioni di creare un teatro musicale del tutto nuovo, Humperdinck non riuscì a liberarsi del tutto di Wagner.
A quanto si ricava dalla biografia del figlio, è abbastanza probabile che Humperdinck, nella sua attività di insegnante di composizione, educasse gli allievi nel solco della tradizione postwagneriana, anche se egli stesso aveva una volta fatto il tentativo di trovare una strada nuova [44].
Sarebbe stato particolarmente interessante, da questo punto di vista, poter gettare uno sguardo agli abbozzi di un lavoro in un atto iniziato da Weill (da un testo di Ernst Hardt [45]), poiché egli lo scrisse intorno al 1919, dunque poco dopo il suo periodo di studi con Humperdinck, e quindi vi si sarebbero potuti ravvisare gli influssi di quest'ultimo [46].
All'epoca della redazione di questi abbozzi, Weill fu dapprima maestro sostituto con
Hans Knappertsbusch, poi Kapellmeister a Lüdenscheid. Dopo il periodo di studio con Humperdinck era dunque iniziata anche per Weill un'epoca di confronto diretto con la prassi operistica, ma anche con la 'corruzione dell'opera'. Accanto alla tendenza, che diveniva per lui sempre più chiara, a dedicarsi all'attività creativa, fu probabilmente anche il lavoro pratico nei teatri d'opera più decaduti della provincia a convincerlo a rimettersi di nuovo a studiare. Alla base vi dovette essere tuttavia un'insoddisfazione intellettuale, che spinse Weill, nel settembre del 1920, ad andarsene a Berlino. Tutte le tappe precedenti lo avevano soltanto messo a confronto, in maniera alquanto parziale, con la tradizione, soprattutto con quella tardoromantica. L'anno 1920 rappresentò per la vita di Weill l'emancipazione dal mondo fantastico della fanciullezza [47].

IL RAPPORTO DI BUSONI CON LA TRADIZIONE

In un saggio dal titolo Weill-Busoni Rudolf Kastner indaga sullo sviluppo del giovane Weill. Anch'egli nota l'insoddisfazione e il senso di rivolta che il musicista provava nei confronti di quelle stesse influenze che fino ad allora erano state per lui determinanti. «Egli [Weill] sentiva che doveva succedergli qualcosa di decisivo. Fu allora che lesse sul giornale che Busoni stava arrivando a Berlino» [48]. Si trattava proprio di quel Busoni che aveva apprezzato particolarmente i lavori sottopostigli da Weill e che lo avrebbe accolto nella sua esclusiva cerchia di discepoli, mosso da una personale simpatia e dalla comprensione per la sua situazione. Lo stesso Busoni, contro il quale Hans Pfitzner aveva polemizzato in un suo saggio degno di nota, Futuristengefahr. Bei Gelegenheit von Busonis Asthetik (Pericolo futurista. A proposito dell'estetica di Busoni) [9], sarebbe dunque diventato il maestro decisivo per il giovane Weill.
Nel suo libro
Vom musikalischen Drama (Del dramma musicale), nel capitolo dedicato al soggetto del Parsifal e alla sua forma (p. 253 sgg.), Pfitzner aveva così definito l'arte al termine delle sue enfatiche elucubrazioni su Wagner:

Non potremo dunque pure scorgere in esso [nel Graal] l'arte? Non mi riferisco certo all'arte che, come il Graal di Wolfram, dispensa cibo caldo e cibo freddo, ma a quella che risulta per sempre invisibile agli sguardi dei profani ed irraggiungibile dai loro passi. Libera, essa fluttua nell'aria; non la si ritrova a proprio arbitrio, essa vive la sua autentica esistenza solo in quelle poche menti che hanno per essa comprensione e sensibilità, e che si ritrovano raramente attraverso i secoli. Esistono solo due creature che, alla domanda su cosa sia veramente l'arte, daranno la medesima risposta e ne avranno identica percezione. Allorché dunque un 'puro folle' [con riferimento al Parsifal] giunge e pone la domanda: 'che cos'è il Graal?' [Pfitzner naturalmente intende: che cos'è l'arte], a lui anche il più saggio dei custodi del Graal non potrà rispondere altrimenti che con le parole dette dal vecchio Gurnemanz, e cioè:
Questo non si dice,
però, se sei tu stesso a lei eletto,
non andrà per te sua conoscenza perduta» [50].

Quando Pfitzner scriveva queste parole aveva già cinquant'anni. L'interpretazione dell'itinerario wagneriano e l'attenersi strettamente ad esso rivelano l'anacronismo del pensiero di un artista che, dopo la prima guerra mondiale, non si era ancora liberato delle idee della religione dell'arte dell'Ottocento. Come Humperdinck, anche Pfitzner contribuì in maniera sostanziale a creare un'immagine distorta di Wagner.
Busoni pose in dubbio il 'mondo incorrotto' di Pfitzner, Weill quello, altrettanto incorrotto, di Humperdinck. Entrambi concordavano sul fatto che questi processi tendenti a rendere eterno il passato, andassero combattuti.
Certo a Weill non poteva essere ignota la controversia tra Busoni e Pfitzner e questo chiarisce ancor più i motivi della sua scelta di Busoni come maestro. Nel suo saggio
Zur Kontroverse Busoni - Pfitzner (Sulla controversia Busoni - Pfitzner), Jürgen Kindermann conclude, non inaspettatamente, che «il vero motivo di discordia risiede nel loro differente giudizio sulla situazione musicale dell'epoca. La disposizione d'animo di Pfitzner nei confronti del futuro della musica è intrisa di profondo pessimismo. Con rassegnazione egli afferma: «Il nostro ultimo secolo, oppure l'ultimo secolo e mezzo, non rappresenteranno il periodo di fioritura della musica occidentale, il suo culmine, il vero periodo di splendore, che mai più ritornerà e al quale sarà unita un'epoca di declino, di decadenza, come dopo la fioritura della tragedia greca?» Tre anni più tardi leggiamo nella Neuen Ästhetik der musikalischen Impotenz (Nuova estetica dell'impotenza musicale): «Lentamente, così come il sole dell'armonia è sorto nel corso dei secoli, esso tramonterà» e, alludendo ai futuri indirizzi della musica: «Ma si può, e si deve, gettando fango sull'orizzonte, affrettare tale tramonto?» [...] Contro queste affermazioni risalta allora con forza quella di Busoni sullo sviluppo musicale del futuro: 'Prefiggiamoci dunque questo, di ricondurre la musica alla sua vera essenza; liberiamola dai dogmi architettonici, acustici ed estetici; lasciamo che essa divenga pura inventiva e pura percezione, in armonie, in forme, in timbri sonori'» [51].
La controversia esplose nel 1907, quando, nel suo
Entwurf einer neuen Asthetik der Tonkust (Abbozzo per una nuova estetica musicale), Busoni espresse in maniera particolareggiata le sue idee sul futuro della musica, tendenti ad un maggiore sviluppo dell'arte dei suoni. Pfitzner prese posizione contro tale saggio con il suo scritto Pericolo futurista. A proposito dell'estetica di Busoni.
Egli poté giustamente contestare all'estetica busoniana la sua costruzione formale e la mancanza di qualunque sistematicità. Ma l'attrattiva, e l'elevato valore, di tale estetica risiedono proprio nel fatto che in essa un musicista creativo prende posizione su alcuni importanti questioni del suo tempo e si addentra in una valutazione della situazione musicale del primo decennio del Novecento. Erano proprio tali questioni a costituire quel problema 'più grande di tutti' più volte menzionato nell'estetica e per la cui soluzione egli si sarebbe rivolto ai limiti, se non alla fine, dello stile musicale wagneriano e post-romantico, e avrebbe indicato nuove possibilità future per lo sviluppo dell'arte dei suoni. Risuonano nello scritto delle affermazioni certo coscientemente provocatorie, come «ciò che oggi più si avvicina all'essenza originaria della musica sono la pausa e la corona» (p. 62) oppure «Bach e Beethoven costituiscono un inizio nel progresso della musica, ma il suo primo fiorire si colloca prima del loro tempo» [52].
Accanto ad esse vi era però il tentativo, da parte di Busoni, di tornare a scoprire l'originario senso della musica all'interno di un linguaggio corrente divenuto abitudinario. Non si lasciò intimidire da una tradizione predominante, ma la attaccò frontalmente. «La limitatezza del sistema tonale occidentale, lo scorrere stereotipo delle battute e la rigida costruzione dei periodi sono alla base del fatto che E.T.A. Hoffmann non sia diventato, come compositore, ciò che è stato come poeta». Oppure: «Il motivo della ben visibile stagnazione della composizione risiede nello stato in cui versa la musica strumentale» [53].
Egli contrastò la validità delle tonalità maggiori-minori in favore di un sistema che contemplasse i terzi e i sesti di tono. Naturalmente tutto questo non poteva che incontrare un'aspra resistenza in un tradizionalista e in un apologeta di Wagner come Pfitzner.
Busoni in realtà - e questo Pfitzner non poteva capirlo - era spinto da una sincera fede nel progresso. E a questa che si riferisce l'espressione, da lui coniata, di
Nuova classicità (Junge Klassizität). Con essa Busoni non intende un ritorno né di tipo storicizzante a stili del passato né ad un linguaggio musicale che si fondi su qualcosa di totalmente nuovo. Egli vuole piuttosto «il dominio, il vaglio e lo sfruttamento di tutte le conquiste di esperienze precedenti: il racchiuderle in forme solide e belle» [54]. Al meglio la Nuova classicità verrà realizzata nell'opera, che può divenire la forma 'di più elevato rango' della musica e dunque al tempo stesso, in futuro, potrà essere anche l'unica e universale forma dell'espressione e del contenuto musicale. In questo modo egli giunge a proclamare un'«unità della musica», all'interno della quale non si danno delle differenziazioni in base ai generi. Questo riconoscimento di un'unicità dell'essenza musicale lo spinge ad una riforma dell'opera, il cui scopo sia l'elevazione della rappresentazione teatrale al livello di una «cerimonia non quotidiana, per metà religiosa, e però al tempo stesso suggestiva e dilettevole» [55].
«Il dominio, il vaglio e lo sfruttamento di tutte le conquiste di esperienze precedenti» dovevano diventare pieni di significato per Weill, anche se sotto tutt'altro aspetto. E proprio per studiare queste cose egli si decise a recarsi da Busoni.
«Dapprima vi è una vaga aspirazione, poi sorge o si cerca un'idea più precisa, quindi segue l'attuazione [...]; l'ispirazione musicale mi veniva abitualmente per strada, mentre passeggiavo, per lo più in quartieri pieni di vita, la sera. L'attuazione avveniva poi a casa, nelle mattinate libere» [56]. Questa fu la risposta data da Busoni in un'intervista a più voci del giornale berlinese «Die Konzertsaal» nel maggio 1907. Essa rispecchia a pieno l'amore di Busoni per la città, per la vita sociale, per il confronto.
Una lettera alla moglie Gerda, del 2 agosto 1907, fornisce ragguagli sul suo sviluppo artistico:

Quest'estate ho accertato uno dei maggiori progressi della mia evoluzione. Come sai, nel mio gusto musicale ho superato prima di tutto Schumann e Mendelssohn, ho misconosciuto Liszt, poi l'ho adorato, poi l'ho ammirato più pacatamente; sono stato ostile a Wagner, l'ho guardato poi con stupefazione e infine mi sono scostato da lui, da buon latino; mi sono lasciato sopraffare da Berlioz e - cosa tra le più difficili - ho imparato a distinguere il buon Beethoven da quello cattivo; da ultimo ho scoperto per conto mio i francesi moderni e poi li ho lasciati perdere, quando sono diventati popolari troppo in fretta per il mio gusto; e infine mi sono avvicinato spiritualmente ai vecchi maestri del teatro italiano. Queste sono metamorfosi che comprendono un periodo di vent'anni. Per tutti questi vent'anni è restata immutabile nella mia considerazione, come un faro in mezzo al mare tempestoso, la partitura del Figaro. Ma quando, or è una settimana, me la sono riletta, vi ho intraviste per la prima volta delle debolezze umane; e la mia anima si è librata nella gioia di apprendere che non le sono più tanto inferiore come prima; seppure, d'altro canto, questa scoperta non significa solo una vera perdita, ma indica anche la labilità di ogni agire umano (e quanto più del mio proprio!) [57]

Sotto l'impressione immediata di una rappresentazione berlinese del Falstaff, nel 1894, Busoni scrisse una lettera a Verdi, che però non venne mai spedita: «La mia giovinezza trascorse tra studi severi, [...] nutriti e sostenuti dalle arti e scienze germaniche. Ma avevo appena varcato lo stadio delle teorie, [...] quando cominciai ad afferrare e a comprendere lo spirito e. il cuore dell'arte. Troppo tardi dunque [...] sono arrivato ad ammirare i Suoi capolavori [...]; infine il Falstaff ha suscitato in me una tale rivoluzione dello spirito e del sentimento, che con pieno diritto posso datare da questo momento un'epoca nuova della mia vita artistica» [58].

BUSONI MAESTRO DI WEILL

Il giovane Weill, disgustato da un insegnamento di contenuti reazionari e da una produzione operistica banale, si trovò di fronte ad un maestro e ad un uomo di respiro europeo, che combinava il suo gruppo di discepoli in maniera accuratamente meditata. Busoni dava alle sue lezioni un carattere spontaneo e non sistematico; voleva formare degli uomini e non costruire solo degli artigiani. Anche nelle lezioni pianistiche è del tutto evidente come egli seguisse di più la sua inclinazione alle associazioni letterarie o visive che non alla sintassi. I suoi allievi dovevano confrontarsi con la sua concezione artistica, incondizionata e scevra da qualunque concessione. Egli lasciava che gli studenti prendessero parte alle sue esperienze musicali, dedicava loro generosamente il proprio tempo e trasmetteva loro conoscenze e giudizi in una maniera che andava ben al di là dei suoi compiti d'insegnante. Bisogna ben presumere che egli non si confrontasse con loro solo su problemi puramente estetici. Gli avvenimenti del tempo, dopo la prima guerra mondiale, davano sufficientemente adito ad inoltrarsi in considerazioni politiche.
Anche se Busoni non condivideva sempre gli atteggiamenti degli allievi [59], diede prova, tuttavia, di una grande apertura mentale in politica, per esempio accogliendo nella sua classe di composizione un socialista come
Vladimir Vogel, Leo Kerstenberg, anch'egli socialista che sarebbe divenuto sovrintendente teatrale a Berlino, e infine Kurt Weill. Maestro ed allievi erano uniti, nonostante le diverse opinioni, dall'avversione verso i meschini ideali nazionalistici.
L'influenza di Busoni produsse degli effetti durevoli su Kurt Weill, anche se questi non ne assunse servilmente tutti gli atteggiamenti. Ciò che lo univa a Busoni era l'antiwagnerismo e il rifiuto della tradizione post-wagneriana. All'originaria venerazione per Wagner si sostituì una convinta ostilità [60] e anche il suo rapporto con Engelbert Humperdinck conobbe lo stesso mutamento.
L'eredità decisiva di Busoni nei confronti di Weill fu l'indicazione dell'uso dell'instabilità semitonale, che rappresenta uno dei segni più rilevanti del Busoni maturo. Senza dubbio essa si rivela già nelle tarde composizioni di Franz Liszt (per esempio in pagine pianistiche come
Nuages gris e La lugubre gondola); è merito tuttavia di Busoni averla sviluppata facendone un principio multifunzionale.
La varietà di condizioni con cui Busoni utilizzò tale tecnica fu eccezionale. Tali ambiguità cromatiche vengono utilizzate nella misteriosa
Berceuse Elégiaque (1910), nella serena animazione dell'Arlecchino (1914-16) e della Turandot (1904-17), nell'oscura, violenta efficacia e nella calma mascherata della Sonatina seconda (1912), nel paesaggio musicale ricco e variato della Brautwahl (La sposa sorteggiata) (1906-12) e nel Doktor Faust (1925) - insomma, almeno in parte, in tutta la sua musica più "personale" (diversamente da quanto accade nei "pastiches"), iniziando dalle Elegie del 1907.
Per un'indagine più precisa degli influssi di Busoni su Weill occorrerà guardare alle opere condotte a compimento dall'allievo: a
Mahagonny, ai Die sieben Todsünden des Kleinbürgers (I sette peccati mortali del piccolo borghese), a Die Bürgschaft (La garanzia) e a Der Silbersee (Il lago argentato). Qui si ritrovano, un po' dappertutto, elementi dello stile busoniano. Non è solo l'ambiguità cromatica ad essere utilizzata da Weill; anche altri aspetti della scrittura busoniana si fanno riconoscibili: entrambi gli autori ad esempio condividono la tendenza a trasformare le figurazioni di scale (Skalenfigurationen) «introducendovi alterazioni inaspettate e muovendo improvvisamente da una scala ad un'altra, per poi tornare subito indietro» [61].
Accanto all'assunzione di questa eredità nell'elaborazione del materiale musicale, il saggio di Weill su
Busonis "Faust" und die Erneuerung der Opernform (Il Faust di Busoni e il rinnovamento della forma operistica) informa anche su quanto egli abbia appreso dal suo maestro per quanto riguarda il mezzo che utilizzerà in seguito, e cioè il teatro musicale. Vi leggiamo infatti:

La strada verso una restaurazione dell'opera può provenire soltanto dal rinnovamento delle basi formali di tale genere [...]. Solo l'ininterrotta fusione di tutti i mezzi espressivi della scena con tutti quelli della musica dà luogo a quella specie di teatro elevato al sommo grado che noi chiamiamo Opera [...]. È stata innanzitutto la rinuncia alla resa di una specifica forma musicale che ha condotto l'opera, nel suo sviluppo, così lontano dai suoi propri fini. [...] Ora l'idea formale, dal punto di vista armonico e melodico, non dev'essere sottoposta ad alcun'altra legge che a quella iniziale, del materiale astratto. E questo materiale a dare, in primo luogo, l'avvio ad un processo di formalizzazione. [...] Il contenuto tangibile della scena operistica, così come quello nascosto, deve corrispondere continuamente con la sua forma musicale. [...] Allo stesso modo in un lavoro teatrale in musica l'elemento melodrammatico può venire con forza in primo piano [...] più di quanto non avvenga alla componente sostanziale della forma musicale. [...] È stato in parte merito di Busoni, se abbiamo potuto porre tali conoscenze [...] a fondamento della produzione operistica più recente [62].

Weill scoprì così che «la fusione delle forze teatrali e musicali è l'elemento base della forma operistica [...] e che essa stessa è capace di auto-incrementarsi, e che il maggiore effetto drammatico risulta dall'intensificazione di quest'unità di scena e musica» [63].
Con riferimento all'opera romantica Weill dichiara: «L'inserimento alternato di una teatralità ora più forte ora più debole, e l'equilibrio che ne deriva tra forma musicale e scena, è la qualità più rilevante degli operisti romantici» [64].
Per quel che riguarda Wagner, che egli annovera tra gli operisti romantici, e contro il quale si rivolge una grossa parte della sua polemica spesso irrazionale, Weill giunge alle seguenti conclusioni, sempre nello stesso saggio:

L'intenzione di Richard Wagner di rendere conoscibile ogni idea, ogni struttura, attraverso un motivo, doveva comportare un'influenza letteraria sulla forma musicale, che indubbiamente ha avuto un'enorme significato per il dramma musicale. Ma le singole parti costitutive dell'opera, in sé concluse, vengono a formarsi inconsapevolmente da materiali astratti e l'inclusione di una caratterizzazione motivica nella forma musicale appartiene (come avviene già del resto nel Tristano) né più e né meno che all'idea compositiva originaria, come avviene nell'invenzione melodica o nella strumentazione. [...] Il formarsi dell'opera ha luogo al di sotto del livello della coscienza [65].

Queste idee fondative sul rinnovamento della forma operistica si ritrovano pure nelle opere di Weill, anche se formulate non in un modo così chiaro e in forma teorica [66].
L'ultima frase - «Il formarsi dell'opera ha luogo al di sotto del livello della coscienza» - resta però allo stadio teorico; nella prassi Weill persegue il contrario, come vedremo nei capitoli che seguiranno.
Tra gli aspetti che Weill non recepì da Busoni, vi è la tendenza mistica di quest'ultimo, quale si rivela nel
Doktor Faust e negli scritti teorici. D'altro canto gli elementi trascendenti contenuti nella musica di Busoni, si ritrovano anche in quella di Weill. La maggior parte delle sue opere prima del 1925 e dopo il '33 contengono riferimenti alla religione. Durante la collaborazione con Brecht, Weill è stato uno strenuo oppositore della religione - e questo si riflette nella sua musica. La tendenza contraria, che si manifesterà più tardi, è probabilmente da collegare all'esperienza dell'emigrazione.
La prima sinfonia del 1921 si occupa del problema della guerra e della pace, della società umana e della fede religiosa, con dei riferimenti allo spettacolo di
Johannes R. Becher Arbeiter, Bauern, Soldaten - Der Aufbruch eines Volkes zu Gott (Operai, contadini, soldati - La ribellione di un popolo contro Dio). Weill prepose alla sua sinfonia una citazione da quest'opera, che però non ci è nota, perché il frontespizio andò perduto durante la seconda guerra mondiale [67].
Al contrario di Busoni Weill aspirava ad un'estrema semplicità strutturale, ben lontana dalla complessità delle opere del suo maestro.
Al periodo decisivo delle lezioni con quest'ultimo, dal dicembre 1920 al dicembre del '23, risalgono anche i primi lavori pubblicati del giovane Weill che ottennero anche un buon successo alla loro prima esecuzione. All'aprile-maggio del '21 risale la prima sinfonia; il 18 novembre dell'anno successivo ebbe luogo la "prima" della pantomima infantile
Zaubernacht (La notte fatata), più tardi intitolata Quodlibet; al 1922-23 risalgono quelle del Divertimento, della Sinfonia sacra (Fantasia, Passacaglia e Inno), della suite orchestrale da La notte fatata, del Recordare e del Quartetto op. 8 [Busoni ne parla in una lettera del 24.4.1923 indirizzata all'allora Direttore dell'Akademie der Künste a Berlino: «So eben ist bei mir Kurt Weil, Schüler meiner akademischen Klasse, mit seinem letztvollendeten Werke, einem Streichquartett. Dasselbe hebt sich gegen [...] das allgemeine Schaffensniveau so sehr ab, daß ich nicht versäumen will, Sie auf dieses Opus rechtzeitig hinzuweisen. - Das Stück ist gekonnt, gefühlt, originell und proporzioniert. Weill ist 23 Jahre und läßt noch vieles erwarten. Ich schlage vor, [...] ihn zu ermuthigen und zu propagieren...» ERASMUSHAUS BASEL KATALOG 923]
Immediatamente dopo la fine degli studi con Busoni, nel gennaio '23, ebbero luogo i primi colloqui con Georg Kaiser, ma, prima che venisse terminata l'opera in un atto nata dalla loro collaborazione [68], tra il maggio e il giugno di quell'anno venne fuori il Concerto per violino e fiati, che deve essere ancora guardato in stretta unione con i pezzi di musica strumentale prima ricordati.
Un profondo conoscitore dell'opera di Weill, Heinrich Strobel, nel suo scritto
Kurt Weill, 1920-27 pone giustamente l'attenzione su questo aspetto dei suoi lavori strumentali: «In Kurt Weill è l'aspirazione al teatro che percorre tutto l'iter creativo» [69] - un concetto fondamentale, che riguarda l'intera attività di Weill, sul quale torneremo anche in seguito.
Anche se l'apparenza sembra indicare che, fino ai passi definitivi in direzione del teatro, Weill abbia composto "soltanto" musica strumentale, non bisogna tuttavia trascurare il fatto che questo periodo comportò per lui uno sviluppo decisivo. Egli utilizzò il confronto con la dimensione formale, per conquistare quell'essenzialità e quell'organicità nella struttura compositiva che sarebbe stata fondamentale per le sue opere teatrali mature.
Così dietro alcune particolarità della struttura si rivela la mano del drammaturgo. Vi è un segno rivelatore che rafforza tale affermazione: Weil pone a base della grandissima maggioranza delle sue opere puramente strumentali dei modelli testuali, verbali [70].
La prima sinfonia intende mediare, come già detto, le idee del lavoro di Becher
Operai, contadini, soldati.
Alla base de
La notte fatata vi è una pantomima infantile di Wladimir Boritsch (Weill trasse più tardi da questo lavoro la suite orchestrale Quodlibet).
Il
Divertimento è composto per piccola orchestra e coro maschile. Il Recordare reca il sottotitolo Lamentationes Jeremiae Prophetae. La cantata per soprano e orchestra Der neue Orpheus (Il nuovo Orfeo) fu scritta su una lirica di Ivan Goll [71]. Anche nelle restanti opere, la Sinfonia sacra op. 6, il Quartetto op. 8 e il Concerto per violino op. 12 si trovano le tracce di una forma drammatica.
La classificazione qui proposta riflette un chiaro sviluppo: Weill comunica un contenuto extra-musicale dapprima indirettamente (nella prima sinfonia, in
La notte fatata, nel Quodlibet), poi direttamente (in Divertimento, Recordare, Il nuovo Orfeo).
Egli adopera la propria musica come mezzo di comunicazione diretta; vuole in un certo senso obbligarsi nei confronti del modello testuale; è quest'ultimo a dover contribuire a formare, a definire il contenuto musicale.
Se si rivolge poi la propria attenzione a dei lavori come l'op.8 e l'op. 12 che a prima vista non si fondano con tanta inequivocabile evidenza su basi testuali, bisognerà allora convenire con Strobel che «il fatto che, a tutta prima, non si riesca a cogliere il vincolo formale delle variazioni su passacaglia, non è inaspettato. La polifonia, che si è consolidata con Reger, non può crescere ancora.
Lo slancio virtuosistico che fa venir fuori delle brevi figurazioni, la plastica evidenza di singoli episodi, la rendono sempre più lontana. Ma con quanta chiarezza tutto è stab disposto! E questo che tornerà utile al drammaturgo» [72].
A proposito del
Quartetto op. 8, Strobel annota quanto segue:
«Nel Quartetto il gioco contrappuntistico si fa più ricco, più sciolto, anche più scorrevole, il corale opera assai più come elemento fondamentale. I rapporti strutturali tra il corale medesimo e taluni motivi melodici di questi contrappunti devono fungere da unione tra gli elementi improvvisatori e quelli polifonici. Ma qui pure, oltre a tutto questo, vengono fuori delle energie espressive. E sempre il senso drammatico ad essere presente» [73].
Riguardo poi al
Concerto per violino op. 12 ecco cosa dice Strobel: «Frasi angolose (Ecksätze) drammaticamente tese e tre lievi movimenti di danza, si profilano nettamente una accanto all'altra [...] Anche qui però l'unità del ritmo, il virtuosismo del violino solista danno luogo ad un legame formale, mentre il movimento drammatico si erge in ripide ondate. Complessi tematici del più stridente contrasto si oppongono l'un l'altro. [...] L'aspetto sentimentale della linea espressiva tardo romantica è del tutto deposto. Nel finale tornano ad unirsi le forze propulsive dei precedenti movimenti: un melodizzare a mo'di danza stilizzata, l'esibizionismo virtuosistico dell'esecuzione e l'atteggiamento drammatico [74].
Per quanto riguarda i lavori con testo, ma non ancora scritti per il teatro, e che però rispecchiano un indubbio contenuto extramusicale, Strobel osserva quanto segue (qui, ad esempio, a proposito della prima sinfonia): «Egli intende sviluppare autonomamente quei temi, in cui il contenuto d'idee viene stilizzato. Inoltre la
Sinfonia ha una chiusa patetica. Ma questo patetismo deve comunicare qualcosa di nuovo, cioè, come dichiara il motto da Operai, contadini, soldati di Becher, preposto al lavoro: una visione del mondo pacifista e socialista. Si annunciano i primi contatti con le tendenze dell'epoca, che diventeranno decisivi per i lavori più tardi» [75].
Nel
Divertimento è un tema di corale cantato dal coro maschile ad assumere su di sé il maggior peso.
Anche nell'altro lavoro vocale giovanile, il
Recordare, si può riconoscere la volontà e la capacità di Weill di rendere esplicito con mezzi musicali il contenuto del testo scelto.
La composizione
Il nuovo Orfeo è «densamente frammista di modi di esecuzione in forma di couplet (parodie, recitativi pseudo-mondani)» [76]. Tali espedienti stilistici avranno più tardi ancora una grande efficacia nella collaborazione con Brecht.
Molto indicative sono anche le affermazioni di Strobel sulla pantomima
La notte fatata:

Quest'opera certamente non di grande peso, ben lontana da qualunque drammaticità, è di grande importanza per quanto riguarda lo sviluppo di Weill. Qui infatti, per la prima volta, si possono documentare degli atteggiamenti mutati nei confronti del teatro. Per l'allievo di Busoni l'unione tra scena e musica poteva avvenire solo sulla base dell'esecuzione. Il vero e proprio sviluppo consisteva nella liberazione [...] da quei legami drammatico-musicali [...]. Quando egli giunge al teatro, spintovi dalle sue doti, diviene evidente la predominanza della musica nella danza e nell'opera. Egli aveva unicamente bisogno di un impulso decisivo che poteva venirgli da un testo letterario e allora la corrente di una musica piena di tensione drammatica si sarebbe riversata sul teatro [77].

Poiché le opere qui citate in parte non sono state accessibili a chi scrive, bisognerà richiamare con grande evidenza in tutti i suoi particolari la citazione riguardante la tesi che è posta a base di questo capitolo: «In Kurt Weil la volontà è rivolta al teatro, ed è essa stessa che ne percorre lo sviluppo».
Il ponte verso il teatro venne infine gettato dal secondo e più significativo lavoro di Weill, la pantomima infantile
La notte fatata. L'ultima spinta a dedicarsi al teatro venne dalla presa di contatto con alcune personalità poetiche di grande rilievo. Essa iniziò dai rapporti con Georg Kaiser, e condusse infine, attraverso Ivan Goll, a Bertolt Brecht.


I LAVORI TEATRALI DI WEILL ALL'EPOCA DELLA
COLLABORAZIONE CON GEORG KAISER E IVAN GOLL

Solo alla conclusione dei suoi anni di studio con Busoni, nel 1927, Weill trovò la strada per la propria autentica destinazione come compositore: il teatro.
Come primo "librettista" scelse Georg Kaiser, il cui nome era sulla bocca di tutti dopo il processo che si era tenuto a Monaco nel 1921. In quell'occasione Kaiser aveva voluto esaltare, in maniera un po' enfatica, il proprio conflitto con le leggi, esclamando che «al genio creativo era concesso anche il delitto e che al poeta doveva essere consentito anche l'infanticidio, se la sua opera lo richiedeva» [78]. Il 15 febbraio del 1921 Kaiser venne condannato ad un anno di prigione per appropriazione indebita dopo che il principale querelante, l'industriale August Ferber, aveva rifiutato il risarcimento totale offerto dalla casa editrice Gustav Kiepenheuer, in nome del barone Eberhard von Welck, come concordato per la definizione dei reati imputati allora a Kaiser. La stampa di destra esultò, ma non a lungo, per la sentenza: già il 16 aprile dello stesso anno Kaiser veniva scarcerato. Secondo i verbali della vicenda, durante l'interrogatorio si tornò ripetutamente sull'amicizia che legava Kaiser al comunista Ernst Toller [79].
Vennero dunque in contatto Kurt Weil e quel Georg Kaiser che Bernhard Diebold definiva un autore di rompicapi e che in generale era stimato un esponente classico dell'espressionismo. Entrambe però queste definizioni dell'opera di Kaiser si rivelano essere modesti cliché. Il termine "espressionista" indica in questo caso poco più che un concetto generalizzante per la produzione letteraria dell'autore in un'epoca racchiusa tra il 1915 e il '30.
La sua opera integrale è ben più complessa, per poterla circoscrivere semplicemente con questa definizione. Egli fu, dal 1917 all'irruzione del fascismo, lo scrittore drammatico tedesco di maggiore successo, ed ebbe, tra l'altro, influssi evidenti su Brecht [80]. Nel 1920 aveva già annunciato
Der Protagonist (Il protagonista) come opera in un atto [81].
Nel gennaio del 1924 ebbero luogo i primi colloqui tra Weill e Kaiser. Ditali incontri restano alcuni appunti relativi ad una pantomima in tre atti [82].
Nel 1925 fu terminata l'opera in un atto
Il protagonista di Kurt Weil e Georg Kaiser. L'azione ha luogo nell'Inghilterra di Shakespeare ed è abbastanza difficile a riassumersi in poche parole. Maurice Abravanel ha tentato di farlo così:

È la tragedia dell'attore, il quale si identifica a tal punto con i personaggi che deve interpretare, che alla fine non sa più distinguere tra fantasia e realtà. Il centro del pezzo è costituito da due pantomime. La prima è buffa, la seconda ne è il tragico rispecchiamento. In essa il protagonista uccide la propria sorella, colto da un momento di pazzia, che egli doveva solo fingere sulla scena. Egli torna allora in sé, per godere ancora, nell'estasi della recitazione, della bellezza del suo ruolo, che gli consente di mescolare follia vera e follia simulata» [83].

La musica composta da Weill per quest'opera completa l'azione con i mezzi ad essa propri e interpreta il suo contenuto psicologico, lì dove l'efficacia del linguaggio viene a mancare. Weill vuole rendere il dramma più chiaro e più comprensibile. Solo quando l'azione lo permette egli si affida alla polifonia, così come accade nel quartetto vocale della prima pantomima. Ponendo parte dell'orchestra (un ottetto di fiati) sulla scena ad accompagnare in maniera apparentemente improvvisata la pantomima, riesce ad alleggerire notevolmente il discorso musicale. Questo modo d'impiegare la musica a fini psicologici verrà più tardi a mancare nella collaborazione con Brecht. La distribuzione dell'orchestra però - non più in una principale e in una sulla scena, ma in due compagini indipendenti e autonome - ricomparirà rinnovata nelle opere che i due autori scriveranno insieme.
Le stesse difficoltà che si trovano nella collocazione dell'opera di Georg Kaiser ricompaiono nella sistemazione letteraria di Ivan Goll. Questi, vissuto a Parigi negli anni Venti, dopo degli inizi poetici in ambito espressionista, diede vita, nella capitale francese, ad una rivista dal titolo «Surréalisme» e fu in stretto contatto con autori che fecero parte della cerchia di Breton e dello scomparso Apollinaire.
Il libretto di Goll musicato da Weil -
Royal Palace - si svolge in un ideale paesaggio italiano, sul mare. Qui una
mitica figura di donna (Dejanira), romantica e mondana, è al centro dell'azione: ella si offre a vari uomini, seducençloli sotto svariati aspetti e di nuovo si sottrae loro in metamorfosi favolose. Lo stesso Goll, in uno scritto dal titolo
Flucht in die Oper (Fuga nell'opera), nota a proposito del suo pezzo:

L'opera è la forma più compiuta della lirica. Essa non appartiene ai generi drammatici, solo perché viene eseguita in scena. Opera e dramma si trovano agli antipodi. Anima del dramma è l'azione, quella dell'opera è il ritmo. Nel dramma si riflette, nell'opera si tratta di sensazioni. Materia del dramma è la logica, dell'opera il sogno. Il dramma è vita, l'opera è favola» [84].

È ben difficile capire che cosa abbia spinto Weill a cercare la collaborazione di Goll. Nessuna di queste insostenibili tesi appartiene alla concezione dell'opera del nostro autore.
Sarebbe importante sapere chi fu a combinare l'intesa tra Weill e Kaiser, poiché, per quanto riguarda il musicista, si tratta di un caso unico e del tutto atipico nella scelta dei suoi librettisti.
Perfino in America Weil incontrò dei librettisti di migliore livello. È possibile che un'ipotetica base per la loro collaborazione sia consistita nel fatto che per Weill si trattava di acquisire sicurezza ed esperienza nel proprio lavoro teatrale e che per questo motivo non intendeva essere troppo esigente nelle sue scelte.
Goll continua ancora:

In un'opera si tratta di cantare, non di parlare. Di sognare, non di argomentare. Le opere sono le nostre ultime favole. Il testo di un'opera non è formato da versi o frasi, ma di parole. Nei linguaggi civilizzati, e ormai logori, la "parola in sé" deve essere aiutata a riavere il proprio originario significato e questo appare essere il compito del nuovo poeta ideale. [...] Ecco dunque che l'opera ci giunge inaspettatamente in aiuto! Infatti elemento primordiale per l'operista non è la frase, [ ...] ma la parola, la sillaba, la vocale. Nel canto non è decisivo il pensiero filosofico, ma il puro suono vocalico. [...] Io intendevo fornire al musicista piuttosto temi musicali che situazioni drammatiche vere e proprie. Balletti per delle variazioni: interpretazioni liriche dell'esistenza. E da una sola parola: "Dejanira", che cosa Weill non è stato capace di creare! E questa parola che gioca il ruolo principale in quest'opera. [...] Royal Palace è la favola della vita, che si riconosce nella morte» [85].

Questo per quanto riguarda il commento, nebuloso ed esaltato, di Goll, il cui libretto rappresenta in assoluto il polo contrario alla posizione che Weill assumerà solo due anni dopo nella collaborazione con Brecht.
Il titolo scelto da Goll
Fuga nell'opera sembra almeno trovare una giustificazione all'interno delle sue scelte personali. Il suo testo, smorto e innaturale, è certo la cosa meno rilevante di Royal Palace. Ma dall'epoca del Protagonista la musica di Weill aveva conosciuto nuovi sviluppi. Era ora divenuta più lirica, più gaia, più "danzata"; l'elemento drammatico era quasi scomparso. È molto rilevante la sua vicinanza alla musica da pantomima. La partitura contiene quattro grandi numeri di danza, che nella loro leggerezza e nella loro felicità strumentale, indicano la sicurezza formale raggiunta da Weill. Il compositore rielabora alcuni elementi della musica d'intrattenimento del tempo. Alla fine dell'opera vi è un tango, nella melodia appaiono elementi di jazz. Per tali motivi Royal Palace è, all'interno dello sviluppo di Weill, un'opera di passaggio, poiché già qui le tendenze della moda dell'epoca vengono elevate su un piano artistico. L'impiego del jazz e della musica da ballo diventerà poi, nell'ambito della collaborazione con Brecht, un mezzo decisivo per l'espressione drammatica.
Questa lunga trattazione sullo sviluppo dell'arte di Kurt Weill fino al suo incontro con Brecht ci ha permesso di riconoscere, nella loro forma originaria, gli elementi che caratterizzano la musica di Weil, ripercorrendone all'indietro l'itinerario stilistico. Di fatto, all'inizio della collaborazione con Brecht, il compositore non scrisse della musica completamente nuova, ma si basò sulle sue precedenti creazioni; è per questo motivo che, prima di occuparci più precisamente del nostro tema - il rapporto di collaborazione tra Brecht e Weill - era opportuno esaminare, almeno in uno sguardo d'insieme, queste opere giovanili.


NOTE



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