I dizionari Baldini&Castoldi

Cenerentola, La di Gioachino Rossini (1792-1868)
libretto di Jacopo Ferretti, da Perrault

ossia La bontà in trionfo Dramma giocoso in due atti

Prima:
Roma, Teatro Valle, 25 gennaio 1817

Personaggi:
Don Ramiro (T), Dandini (B), Don Magnifico (B), Clorinda (S), Tisbe (Ms), Alidoro (B), Angelina, detta Cenerentola (A); cortigiani e dame



«Stanco dal proporre e mezzo cascante dal sonno, sibilai in mezzo a uno sbadiglio: ‘ Cendrillon ’. Rossini che, per esser meglio concentrato, si era posto a letto, rizzatosi su come il Farinata dell’Alighieri: ‘Avresti tu core scrivermi Cendrillon ?’, mi disse: ed io a lui di rimando: ‘E tu di metterla in musica?’, ed egli: ‘Quando il programma?’, ed io ‘...a dispetto del sonno, domani mattina’, e Rossini: ‘Buona notte!’». Così Jacopo Ferretti, nelle sue Memorie , ricorda la notte in cui Rossini decise di porre in musica la favola di Cenerentola. Mancavano due giorni al Natale 1816 e il compositore, che si era impegnato con il Teatro Valle di Roma a scrivere una nuova opera per il prossimo carnevale, si trovava in gravi difficoltà perché la censura pontificia aveva bocciato il previsto soggetto di Ninetta alla corte , una delle «meno morali commedie del teatro francese», come ci ricorda lo stesso Ferretti. In quella ‘tempestosa’ notte, Rossini si trovò quindi in tutta fretta a scegliere, insieme al librettista e all’impresario Cartoni, un nuovo argomento. La scelta cadde su Cendrillon ou La petite pantoufle , la celeberrima fiaba di Perrault, uno dei miti più diffusi al mondo. Le trasformazioni e il riscatto sociale dell’innocente fanciulla sono infatti argomento, pur sotto forme e varianti diverse, anche di racconti greci, egizi e cinesi, nonché dell’altrettanto celebre versione dei fratelli Grimm. È noto come Rossini e Ferretti abbiano eliminato dal racconto qualsiasi implicazione magica e fiabesca: forse la dimensione del meraviglioso non piaceva al pubblico romano dell’epoca, o forse Rossini non la sentiva, in quel momento, congeniale alla sua ispirazione. Di fatto nel libretto del Ferretti non appare il fondamentale personaggio della fata, né l’incantesimo che permette a Cenerentola di presentarsi al ballo magnificamente vestita. E, soprattutto, non si fa nemmeno menzione della promessa che costringe la fanciulla a fuggire, allo scoccare della mezzanotte, dalle braccia del principe perdendo la fatale scarpetta. In Rossini la scarpetta viene sostituita da uno «smaniglio», un braccialetto che Cenerentola, forse non senza malizia, affida al principe affinché la possa più facilmente ritrovare.

Atto primo . In un salone del decadente palazzo baronale di Don Magnifico. Angelina, sua figliastra da tutti soprannominata Cenerentola, è intenta ai lavori più umili mentre le sue due sorellastre, Clorinda e Tisbe, si stanno pavoneggiando davanti allo specchio. La fanciulla intona una malinconica canzone (“Una volta c’era un re”), quasi presaga del suo futuro destino. Subito viene rimbrottata dalle sorellastre, che la tiranneggiano. All’improvviso bussa alla porta del palazzo Alidoro, precettore del principe Don Ramiro. Alidoro si è presentato travestito da mendicante per saggiare il cuore delle tre fanciulle. Cenerentola lo accoglie con affetto, scatenando l’ira delle sorelle che invece lo cacciano in malo modo. Alcuni cavalieri annunciano la visita del principe in persona. Le sorellastre, in grande stato di agitazione, corrono ad avvertire il loro padre, Don Magnifico, il quale, risvegliatosi da un sogno premonitore (“Miei rampolli femminini”) le incita a prepararsi per accogliere degnamente il principe. Nel frattempo è Don Ramiro stesso ad arrivare di soppiatto nella casa di Don Magnifico. Egli ha scambiato le proprie vesti con Dandini, suo scudiero, per meglio conoscere, e scegliere in assoluta libertà, la sua futura sposa. Sopraggiunge Cenerentola, affacendata nei lavori domestici. Alla vista di Ramiro ne è dapprima spaventata, quindi turbata. Fra i due giovani è il classico ‘colpo di fulmine’ (“Un soave non so che”). Annunciato da un coro scherzosamente pomposo, giunge Dandini travestito da principe (“Come un’ape nei giorni d’aprile”). Tutta la famiglia di Don Magnifico non si accorge del tranello e lo accoglie con grande deferenza. Dandini reca l’invito a un ballo a corte, e mentre tutti, tranne Cenerentola, si avviano al palazzo, la fanciulla implora il patrigno di condurre anche lei alla festa (“Signor, una parola”). Don Magnifico la respinge brutalmente ma Alidoro, che ha assistito a tutta la scena, decide commosso di aiutarla (“Là del ciel”). Nel palazzo del principe, Dandini e Ramiro discutono sulle figlie del barone (“Zitto zitto, piano piano”), quando improvvisamente sopraggiunge una splendida dama in incognito. È Cenerentola, velata, a fare la sua apparizione fra lo stupore generale (“Parlar, pensar, vorrei”).

Atto secondo . Don Magnifico teme di aver riconosciuto nella bella incognita Cenerentola, ma è comunque convinto che il principe si deciderà per una delle sue due figlie (“Sia qualunque delle figlie”). Cenerentola, intanto, inseguita da Dandini che crede essere il vero principe, dichiara di essersi innamorata dello scudiero. Don Ramiro, che ha udito tutto, è al culmine della gioia ma la fanciulla lo allontana lasciandogli un braccialetto. Egli dovrà cercarla, riconoscerla e «allor... se non ti spiaccio... allor m’avrai». Don Ramiro decide finalmente che è il momento di porre fine alla girandola dei travestimenti. Riprende il proprio ruolo di aristocratico e si mette subito alla ricerca della bella sconosciuta (“Sì, ritrovarla io giuro”). Poco dopo è lo stesso Dandini a informare Don Magnifico di essere un semplice scudiero. Il furore di Don Magnifico esplode in pieno e l’infelice barone ritorna a casa con le due figlie. Quando giungono a palazzo trovano, come sempre seduta accanto al fuoco, Cenerentola che canta la sua malinconica canzone. I tre vorrebbero sfogare la loro rabbia sull’innocente fanciulla, ma improvvisamente scoppia un furioso temporale. Rovesciatasi ad arte, per merito di Alidoro, la carrozza del principe proprio davanti alla casa del barone, fa quindi il suo ingresso Don Ramiro. Fra lo stupore e l’imbarazzo generale, egli riconosce in Cenerentola la dama misteriosa del ballo e la chiede in sposa (“Questo è un nodo avviluppato”). L’ultima scena vede Cenerentola ascendere al trono e, in un tripudio di gioia, perdonare il patrigno e le sorellastre che, pur sempre stizzite, si chinano ai suoi piedi.

Ciò che più colpisce in Cenerentola è la cura di Rossini, inusitata per un’opera buffa, nel tratteggiare il carattere della protagonista. Fin dalle prime battute dell’opera Cenerentola mostra il suo distacco e la sua ‘alterità’ nei confronti dei personaggi che la circondano. Dalla malinconica canzone iniziale “Una volta c’era un re”, alla scena e rondò finali “Nacqui all’affanno, al pianto”, è evidente l’intenzione di dipingere una figura pateticamente sospesa fra sogno e realtà. Quasi un’eroina da opera seria, insomma, forse più vicina ai languori di Elena, la protagonista della Donna del lago , che non alle funamboliche esplosioni di vitalità di un’Isabella dell’ Italiana in Algeri o di una Rosina nel Barbiere di Siviglia . Anche l’ornamentazione vocale, fittissima per il suo ruolo, ha lo stesso fine. Una scrittura estremamente virtuosistica che, pur con altri intenti, ha modo di farsi valere anche nel personaggio di Dandini durante il suo travestimento da principe, e in quello di Alidoro al momento di mostrarsi in tutta l’autorevolezza del suo ruolo. Il personaggio meno delineato è in fondo Don Ramiro, che solo a fatica si differenzia dal tradizionale ruolo di amoroso. La sua aria del secondo atto, “Sì, ritrovarla io giuro”, è piuttosto convenzionale e tutto sommato appare molto più significativo, per la caratterizzazione del personaggio, il bellissimo recitativo accompagnato “Tutto è deserto”, con il quale il principe si presenta, in bilico fra stupore e incantamento. È questo il punto in cui l’opera sembra adeguarsi all’atmosfera della fiaba. Non a caso il seguente duetto fra Cenerentola e il principe è forse il più bel duetto d’amore che Rossini abbia mai composto. Veramente sbalorditiva, in quella pagina, è la capacità di tradurre in poche battute tutti i trasalimenti e il turbamento dei due giovani, con una fulminante pittura musicale del più classico coup de foudre . Don Magnifico, Clorinda e Tisbe appartengono invece al più tradizionale mondo dell’opera buffa, con tutto l’armamentario di sillabati ed effetti onomatopeici che ne consegue. Relegato alla funzione di semplice riempitivo, il coro non ha modo di farsi valere quale protagonista attivo dell’azione. Il ‘vuoto’ che si crea di conseguenza attorno ai protagonisti è forse all’origine di quel senso di straniamento e irrealtà che a tratti pervade il racconto.

Nonostante le connotazioni buffe e realistiche del libretto, Cenerentola rimane quindi un capolavoro di stilizzazione e di drammaturgia antinaturalistica. Alla ‘prima’ di Roma l’opera non riscosse un immediato successo, forse per la carenza di prove e per il nervosismo degli interpreti. La fretta, del resto, era stata tale da costringere Rossini a riciclare la sinfonia composta l’anno prima per La Gazzetta e, quale gran finale, il rondò del conte d’Almaviva nel Barbiere di Siviglia , diventato in Cenerentola il celeberrimo “Non più mesta” della protagonista. Già nelle repliche il successo fu però assoluto e costante, al punto che negli anni seguenti giunse a oscurare quello del Barbiere . Dopo un periodo di declino, durante il quale l’opera rischiò persino di uscire di repertorio, Cenerentola è ritornata trionfalmente sulle scene, anche grazie alla edizione critica approntata da Alberto Zedda verso la fine degli anni Sessanta.

g.a.

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