«Die gerade Linie ist unterbrochen»
Lesilio di Busoni a
Zurigo
1915 - 1920
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Relazione letta nell'ambito del 79º Convegno dei
Musicologi Svizzeri al Monte Verità, Ascona (CH), il 24 ottobre
1998. Questo testo può essere considerato un riassunto del saggio
pubblicato sullo «Schweizer Jahrbuch für
Musikwissenschaft», Bern, Peter Lang, 1999, pp. 27-106 (con 350 note
e 12 lettere inedite commentate).
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Nellestate del 14, Busoni si trovava a Berlino. La
notizia dello scoppio della guerra suscitò in lui ripugnanza,
sdegno, ribellione e sconforto; sentimenti espressi nelle lettere e nel
diario berlinese di quel periodo: |
Questa guerra è per me una vera tragedia. Bisognerebbe
avere quindici anni, ora, oppure settanta, ma non cinquanta, quanti ne ho
io tra poco; è come amputare a uno due gambe sane senza narcosi [ad
E. Anzoletti, settembre 1914]. |
Durante lautunno meditò sul da farsi. Alla fine del
14 prese la decisione di intraprendere la quinta tournée negli
Stati Uniti, anche per avere il tempo di riflettere sulla sua delicata
situazione di "uomo anfibio" [Stefan Zweig] ossia di italiano che
aveva scelto come patria delezione la Germania. |
Il soggiorno americano gli fu talmente insopportabile che lo
definì "esilio detestato" [verhasstes Exil ]. Nei primi
tempi forse sperava di tornare in Germania, ma dopo lentrata in
guerra dellItalia nel maggio 1915, la sua situazione si
complicò a tal punto che dovette scartare questa possibilità.
Tamara Levitz, autorevole studiosa di Busoni, sostiene nientemeno che le
autorità tedesche gli proibirono di rientrare a Berlino. |
Paradossalmente anche lItalia era diffidente nei suoi
confronti, poiché aveva trascorso molti, troppi anni in Germania.
Del resto, dopo la negativa esperienza come direttore del Conservatorio di
Bologna, Busoni non era certo smanioso di soggiornare in una nazione che
riteneva culturalmente arretrata, nella quale, sono parole sue,
"è difficile concentrarsi sul futuro" poiché
"deve ancora raggiungere il presente" [a Egon Petri,
1912]. |
Egli si proclamava cittadino del mondo, ma, se si vuol parlare di
patria (concetto che gli era tuttaltro che estraneo), è a mio
parere indubitabile che nel 1915 la sua vera patria fosse quella
delezione, se non altro perché da ventanni abitava a
Berlino da lui definita "prangende Stadt" [città
splendente], "luogo privilegiato, insostituibile [unersetzbar]. Si
tenga poi presente che Busoni, sebbene avesse sempre mantenuto intensi
(anche se conflittuali) rapporti con lItalia e dichiarasse di
sentirsi latino nellanimo, tuttavia aveva maggiore dimestichezza con
la mentalità e le "Gewohnheiten" germaniche. |
È infine innegabile che la padronanza della lingua tedesca,
soprattutto del registro aulico-letterario e dei sottocodici
artistico-estetici fosse di gran lunga superiore a quella
dellitaliano. Tutti i testi teorici, i libretti dopera e gran
parte delle lettere furono infatti scritti in tedesco, "eine Sprache
in der ich mich sicherer bewege" [una lingua nella quale io mi muovo
con maggiore sicurezza, a Biolley, inedita]. Date queste premesse, non mi
pare corretto definire volontario il suo esilio. Dipendente
dalla sua volontà fu semmai la scelta del luogo in cui trascorrere
gli anni della guerra. E la scelta cadde, già durante il soggiorno
americano, sulla Svizzera, poiché Busoni sapeva che essa, fedele
alla sua tradizione secolare, aveva notificato agli Stati belligeranti la
ferma decisione di rimanere neutrale. Da questo punto di vista, la Svizzera
era allora lunico Stato di cui nessuno effettivamente
diffidava. |
Busoni lasciò definitivamente gli Stati Uniti ai primi di
settembre del 1915: "Un disgusto insormontabile", interpretato
dal Dent come "nausea intellettuale e morale", lo fece
"fuggire e tornare - nonostante tutto - in Europa". [a I.
Philipp, settembre1915] Paradossalmente fu la guerra a renderlo cosciente
dellintenso rapporto e dei debiti culturali che aveva con il vecchio
continente. DallAmerica scrisse infatti: |
Riconosco nellEuropa una sola nazione da cui ho attinto quel
poco che so e per la quale nutro tutto laffetto di cui sono capace.
[a Mario Corti, 1915, inedita] |
A
metà settembre giunge, malato, a Milano; si reca poi, come
stabilito, in Svizzera, a Losanna, convinto però di rimanervi solo
per un breve periodo. Pochi giorni dopo larrivo in terra elvetica,
alla fine di settembre, il suo stato danimo incupito dalle incertezze
si rasserena: |
La piccola Svizzera, a cui mi credevo perfettamente estraneo, fece
a gara per rendermi omaggio, appena mi seppe soggiornante dentro i suoi
confini; ne sono sorpreso e riconoscente. [a Serato, ottobre
1915] |
E
ancora: |
È il primo paese che trovo in cui cè
unassoluta incomprensione di fronte alla guerra [...]."Sono
stato accolto qui con grandissimo affetto e ho trovato amici in persone da
cui non me lo sarei aspettato; di modo che la mia mancanza di una patria
appare alleviata in una nazione, in cui non avevo posto grandi speranze. [a
Jella Oppenheimer, ottobre 1915] |
Questa calorosa accoglienza e la consapevolezza che la Svizzera
gli avrebbe offerto tranquillità e lavoro lo indussero a restare. Ma
già due mesi dopo, leuforia lascia il posto allamarezza
e alla disillusione: |
Sono arrivato a un punto in cui non riesco quasi a dominare la mia
preoccupazione e la mia impazienza per questa vita che si esaurisce invano.
Troppo spesso sono comparsi questi periodi morti e sempre, fatalmente, ad
età decisive. Purtroppo la Svizzera non è dissimile
dallAmerica; certo più colta, ma in compenso più
angusta. [a Petri, dicembre 1915] |
Il frammento epistolare che intitola la mia relazione [Die gerade
Linie ist unterbrochen, da una lettera a Huber dellautunno del 1917],
se riferito agli anni trascorsi lontano da Berlino, evidenzia appunto
quella condizione di disagio esistenziale, che fu sempre latente durante
lesilio e che affiorava cronicamente scatenando amari sfoghi non
soltanto epistolari, ma anche verbali di fronte ad allievi e amici,
"agghiacciati testimoni [come scrisse Jakob Wassermann] del suo dolore
e della sua titanica ribellione contro un evento mondiale che gli appariva
del tutto insensato." |
La forzata lontananza dallambiente domestico e dalle
"Gewohnheiten", ossia dallinsieme delle abitudini che
rendono gradevole e insostituibile un luogo; linterruzione coatta del
rapporto vivificante con la propria città, con gli amici, con i
volumi della raffinata biblioteca privata; limpossibilità di
fare lunghi viaggi, di esplorare le grandi città... tutto questo fu
vissuto da Busoni come un troncamento della sua vita. "Mein Leben hat
einen Riss" [la mia vita ha uno strappo] scrisse a Leo Kestenberg
nellottobre del 15. La lacerazione interiore provocata dalla
guerra e dallesilio divenne un leitmotiv epistolare: metafore come
Riss, Amputation, wegschneiden, unterbrechen, gerade Linie, ligne droite,
filo della vita, troncare, amputare e altri vocaboli semanticamente in
relazione con il concetto di "interruzione", possono essere
considerati i tasselli centrali di un vero e proprio lessico
dellesilio, una sorta di sottocodice linguistico, di cui Busoni si
serviva nelle parti introspettive delle lettere agli amici più cari,
scritte dopo fatidico 1º agosto 1914. |
Pur avendo dichiarato con rabbia, in America, che non si sarebbe
mai rassegnato alla criminale amputazione della sua vita, tuttavia,
soprattutto nei primi tempi, le conseguenze che questo troncamento ebbe
sulla sua stabilità psichica, sulla sua identità e sulla sua
Weltanschauung furono esiziali: il cosmopolita Busoni si rese conto
improvvisamente di non avere una patria in cui riconoscersi e di cui in
quel tragico momento sentiva il bisogno; il Kulturmensch Busoni
cominciò a vivere drammaticamente lappartenza a due culture
diventate ormai antitetiche nel contesto storico in cui viveva. "A chi
appartengo?" chiese angosciato a un amico prezioso di quel periodo,
Stefan Zweig. La Grande Guerra determinò quindi, senza ombra di
dubbio, una profonda cesura sul piano esistenziale. Stabilire se ciò
sia avvenuto anche sul piano artistico, se cioè lesilio e lo
stato danimo da esso suscitato abbiano causato inaridimento creativo,
abiure o mutamenti stilistici, forzate interruzioni, fallimenti, è
lo scopo principale che mi sono prefisso in questa breve
relazione. |
Busoni, con la moglie Gerda e il figlio Raffaello, arrivò
ai primi di ottobre del 1915 a Zurigo, dove affittò un appartamento
in Scheuchzerstrasse 36. "Ho scelto Zurigo per il mio soggiorno,
poiché in questo momento è la città più
internazionale della Svizzera; essa inoltre mi offre molteplici occasioni
artistiche" [a Philipp, autunno 1915, inedita]. Tuttavia non
manifestò mai entusiasmo per la città del rifugio: troppo
piccola, prevedibile, "velata di noia"; dove si trascorre
"una vita da sanatorio". Paradossalmente a Zurigo aveva nostalgia
dei lunghi, spesso detestati viaggi a cui lo costringeva la sua attività di pianista; quei viaggi, quasi sempre sfibranti, che gli rubavano s&
igrave; il tempo per la composizione, ma che gli permettevano di tanto in
tanto di tuffarsi nei labirinti delle grandi città, dove a ogni
momento può prodursi levento [das Ereignis]: "le due cose
che amo - scrisse nel 1912 invidiando Dickens - sono l'esercizio dell'arte
e le indagini sulla metropoli" [Grossstadtforschung]. E Zurigo
metropoli non era... Lo infastidiva inoltre la mentalità
"angusta" degli zurighesi e degli svizzeri in genere: |
Questo calcolare fino al centesimo quanto uno possiede e come si
comporta nella vita pubblica e privata, è estremamente offensivo.
È una prassi normale in Svizzera, persino ufficiale. [a Jarnach,
primavera 1920] Lo infastidivano infine il perbenismo, leccessiva
prudenza, limmobilismo, a proposito del quale scrisse: "il
cambiamento di temperatura <è> l'unico cambiamento a cui si
assista qui." |
Eppure quando Busoni arrivò a Zurigo, la vita culturale e
artistica della città era frenetica e creativa come mai lo era stata
prima. Lo scrittore franco-tedesco Yvan Goll, uno dei protagonisti di
quegli "aufregende Jahre", tornato a Zurigo trentanni dopo,
scrisse [la lettera fa pare del mio archivio] di essersi pienamente goduto
il soggiorno nella città sulla Limmat, "weil die Schatten einer
grossen bedeutenden Zeit wieder vor uns traten" [poiché le
ombre di un grande e significativo periodo apparivano o si stagliavano di
nuovo davanti a noi]. |
Busoni non si lasciò travolgere dal vortice
artistico-culturale che modificò radicalmente la tranquilla
fisionomia della città, rendendola incandescente. Egli era era ben
determinato a continuare il percorso artistico iniziato con la
"Wendung" [la svolta stilistica ] del 1907. È facile
dimostrare che da questo punto di vista la "gerade Linie" non fu
affatto interrotta: dagli Stati Uniti si porta un breve, intenso e
rarefatto lavoro sinfonico costruito su un tema degli indiani
dAmerica [il Gesang vom Reigen der Geister]: iniziato
nellagosto del 1915, lo concluderà a Zurigo nel dicembre
successivo. Con grande determinazione e impazienza continua la composizione
del capriccio teatrale Arlecchino che concluderà nellagosto
del 1916; nel 1917 in un tempo brevissimo (100 giorni) scrive e compone il
pendant di Arlecchino, lopera Turandot, definita da Mario Bortolotto
uno dei vertici del teatro musicale del Novecento, per la quale utilizza
con impressionante disinvoltura quasi tutta la musica di scena che risale
addirittura al 1904, prima quindi della "Wendung". |
Ma è soprattutto sul Doktor Faust che si concentrano gli
sforzi del compositore. Nonostante abbia concluso il libretto alla fine del
14, continua instancabilmente le ricerche sul mito in ambito sia
letterario sia musicale: un foglio scritto a Pallanza il 4 giugno del
16 documenta la sua pressoché perfetta conoscenza delle fonti
(cita anche un testo in polacco). Dopo aver abbozzato sulle rive del lago
Maggiore il primo piano musicale dellopera, a Zurigo, tre mesi dopo,
compone i primi Skizzen, straziato per la morte dellamico pittore U.
Boccioni. La composizione vera e propria del Doktor Faust venne però
iniziata dopo le rappresentazioni zurighesi di Arlecchino e Turandot, a
partire dallestate del 1917. Concluso il Vorspiel I, scrisse alla
moglie Gerda: |
Ho ripassato oggi, con tutta l'oggettività possibile, la
nuova partitura e ho trovato che è tra le mie cose migliori. [...]
<Essa> mi terrà aggiogato per parecchio tempo, ed è per
me anche il simbolo della fine della guerra. Il cerchio si chiude ancora
una volta. Avrò però ancora da fare con la chiusa del
libretto. Devo aspettare che mi venga l'idea felice. |
Questo "glücklicher Einfall" gli sarà
suggerito dal "caro e straordinario" Ludwig Rubiner, appartenente
al suo Freundeskreis. Le lunghe discussioni con il giovane e sfortunato
scrittore tedesco, ispiratore dellespressionismo letterario,
condussero Busoni verso un finale differente rispetto a quello concepito
nel 1914, finale che nacque sotto il potente influsso delle concezioni
utopiche riguardanti lUomo Nuovo sviluppate dallo scrittore
nellopera teatrale che stava scrivendo in quegli anni a Zurigo: Die
Gewaltlosen. |
Nel settembre 1918 Busoni può annunciare ad alcuni amici
che metà dellopera è conclusa. Nel mese successivo esce
il libretto del Faust, con il finale suggerito da Rubiner, sulla rivista
"Die weissen Blätter", diretta dallamico Schickele.
Nel gennaio del 1919 comincia la composizione di due pezzi per orchestra
Sarabande und Cortège, sottotitolati significativamente Studien zu
Doktor Faust: la Sarabande, infatti, costituirà, leggermente
abbreviata, il secondo intermezzo dellopera; nel Cortège sono
già presenti quasi tutti i temi delle prime scene dellHaupt
Bild, poi sviluppati nel 22 a Berlino. |
Chi ascoltasse il Doktor Faust senza conoscere il percorso
artistico del compositore, potrebbe superficialmente concludere che fu il
tormento dellesilio a determinare il colore cupo, livido e le
atmosfere spettrali, allucinate di quasi tutte le pagine dellopera.
In realtà questo inquientante clima sonoro già caratterizzava
due pezzi che precedevano di ben 5 anni linizio della composizione
dellopera e di due lo scoppio della guerra: mi riferisco a capolavori
come la Sonatina seconda per pianoforte e al Nocturne symphonique per
orchestra, che Busoni considerava studi per il Doktor Faust. |
Altre importanti composizioni, tuttora in repertorio, appartengono
al periodo dellesilio: il Divertimento per flauto e orchestra e il
Concertino per clarinetto, due limpidi prodotti, insieme ad Arlecchino,
della profonda riflessione teorica che Busoni andava facendo in quegli anni
e che sarebbe culminata nella lettera aperta a Paul Bekker, sulla Junge
Klassizität, un importante tassello nella storia del pensiero musicale
del Novecento. |
Anche sul piano della riflessione estetico-musicale vi fu evidente
continuità rispetto al periodo precedente. Basti pensare che la
seconda, definitiva edizione dellAbbozzo di una nuova estetica
musicale, sulla cui enorme importanza credo sia ormai inutile soffermarsi,
fu redatta e pubblicata nel 16. La prima, quella che sconvolse Edgard
Varèse, risale al 1907, al tempo della "Wendung". Del
17 è la breve ma pregnante lettera aperta a Pfitzner che
completa e precisa il suo pensiero in ambito estetico; anche alcuni densi
saggi su Bach, Liszt, Mozart, connessi ai lavori filologici su questi
autori di cui Busoni si occupava da più di un ventennio, risalgono
al periodo dellesilio. |
Sul piano letterario, come detto, rivede, riscrive, completa e
finalmente pubblica il libretto del Doktor Faust, scrive altri tre
libretti: due per sé: Turandot e Der Arlecchineïde Fortsetzung
und Ende (mai musicato); Das Wandbild per Jarnach (sarà però
musicato da Othmar Schoeck). Da menzionare infine un coraggiosissimo
articolo in memoria dellamico pittore Umberto Boccioni, morto
prestando il servizio militare nellagosto del 16. Questo
necrologio, pubblicato il 31 agosto di quellanno sulla Neue
Zürcher Zeitung, ebbe uneco in tutto il mondo e, come risulta da
una lettera di Schönberg trascritta negli allegati, fece scalpore
negli ambienti pacifisti, poiché anche anche nella neutrale Svizzera
si viveva allinsegna delle museruole. [Die Zeit steht im Zeichen des
Maulkorbes].
La terra dasilo fu
quindi fertile per Busoni: lui stesso definì la Svizzera
"terrain fertile". |
La produzione musicale, letteraria, teorico-estetica, filologica
e, come vedremo, epistolare del periodo zurighese fu infatti enorme,
addirittura sconcertante se si pensa che lattività pianistica,
come rivela lampio carteggio inedito Busoni-Biolley, fu più
intensa di quel che si sia affermato finora, non solo a Zurigo, ma in tante
altre città svizzere: San Gallo, Berna, Basilea, Neuchâtel,
Sciaffusa, Winterthur, Lucerna, Ginevra, La Chaux-de-Fonds (che
ironicamente chiamava Froid-du-Haut). |
Siccome Busoni a Zurigo viveva senza segretario e Konzertagent il
banchiere svizzero Albert Biolley ricoprì ben presto questi due
ruoli con umiltà ed efficienza, senza pretendere nulla in cambio. Al
termine dellOdyssée helvético-pianistique 1917-1918, il
grande pianista ringrazia lamico per limpegno profuso, lo prega
di perdonargli le difficoltà e le seccature che gli ha causato e
conclude: "Le ho propinato una durissima lezione di contrappunto e mi
stupisco che Lei non abbia preso la fuga." Biolley fu anche un
prezioso confidente nei non rari momenti di depressione del musicista e il
suo consulente finanziario (Busoni non fu mai in grado di gestire
razionalmente il denaro e a Zurigo si trovò in situazioni
finanziarie penose: fu costretto a fare un ingentissimo prestito - 150000
franchi - alla Kantonalbank e lo stesso Biolley lo aiutò
finanziariamente). |
Se Busoni riuscì a sfruttare al meglio il lungo periodo
dellesilio, non fu soltanto grazie alla sua fede nellarte e
alla sua non comune capacità di impiegare razionalmente il tempo:
determinanti furono anche laffetto e la disponibilità dei suoi
amici, soprattutto di quelli che si trovavano in Svizzera; ma anche di
quelli che rimasero nella loro patria, con i quali mantenne rapporti
epistolari [Arrigo Serato, Emilio Anzoletti, Hugo Leichtentritt, Edith
Andreae, Isidor Philipp, il Marchese di Casanova ecc.]. Uno dei mezzi di
cui si servì per mitigare gli effetti dellisolamento fu
infatti senza dubbio la lettera. Secondo la sua stessa testimonianza, ne
scrisse oltre 5000 a Zurigo (circa 3 al giorno). |
Quante lettere ho scritto! La mia corrispondenza costituisce
veramente una parte considerevole delle mie opere e, spesso, forzatamente,
le ha sostituite [a Biolley, inedita, 1920]. |
Limportanza del suo Freundeskreis zurighese è provata
da una confessione fatta ad Albert Biolley nellestate del 17:
dopo essersi lamentato del fatto che da qualche tempo nessuno lo andava a
trovare, concluse: "è duro dover trarre tutto da se stessi e
temo che le riserve denergia prima o poi si esauriscano, come il
carbone e lo zucchero." Ciò che Busoni scrisse allamico
pianista pianista Ernst Lochbrunner il 1º gennaio del 18
può essere esteso a tutto il Freundeskreis: "... du mildertest
mir diese Passions-Jahre durch Freundschaft." [con la tua amicizia tu
mi hai reso più sopportabili questi anni di passione o
tormento]. |
Cinque furono a mio parere le figure capitali del suo esilio:
Volkmar Andreae, Philipp Jarnach, il già menzionato Albert Biolley,
Hans Huber e José Vianna da Motta: i primi due su cui mi
soffermerò brevemente, e Albert Biolley furono anche, per
così dire, i pilastri del suo Freundeskreis zurighese, del quale
facevano parte anche Ernst Lochbrunner, Ludwig Rubiner, Othmar Schoek,
Reinhold Laquai, Marcel Sulzberger, Ettore Cosomati, Max Oppenheimer,
Francesco Ticciati. Busoni ebbe contatti anche con Stefan Zweig, Yvan Goll,
Franz Werfel, Frank Wedekind, Leonhard Frank, René Schickele, Hans
Richter, Richard Flury, Otto Luening, Oskar Fried, Paul Cassirer, Ermanno
Wolf Ferrari, Otto Klemperer, Richard Strauss e il filosofo Ernst
Bloch. |
Volkmar Andreae, che Busoni conosceva superficialmente da una
decina danni, divenne subito, dallottobre del 15, un
insostituibile punto di riferimento nella città del rifugio sul
piano artistico e professionale. Questo generoso e lungimirante musicista,
"dispregiatore di ogni meschina vanità personale", come lo
definì il Guerrini, capì immediatamente quale importante
ruolo culturale avrebbe potuto svolgere Busoni sulle rive della Limmat e,
senza esitazione, si adoperò affinché lesule fosse
integrato nella vita musicale cittadina non solo come pianista, ma anche
come direttore dorchestra. Grazie al suo carisma, Andreae non ebbe
difficoltà a convincere lorchestra della Tonhalle, di cui era
direttore stabile, a eseguire informalmente le nuove composizioni di
Busoni, per permettergli di affinarne lorchestrazione (già nel
novembre del 15 lorchestra eseguì in forma privata il
Rondò Arlecchinesco composto in America); egli diresse con
convinzione molte composizioni di Busoni, tra cui delle prime assolute;
fece inoltre da tramite con la Tonhalle quando si presentavano problemi
legati alle date dei suoi récitals o al suo onorario. Infine ebbe il
grande merito di far conoscere allamico molti concerti per pianoforte
di Mozart che il grande pianista studiò con comprensibile
entusiasmo. |
Busoni conobbe Philipp Jarnach, nel dicembre del 1915. Il giovane
musicista (aveva allora 23 anni) divenne subito un prezioso assistente del
compositore. Fece per esempio la riduzione per pianoforte di Arlecchino e
Turandot e insegnò le due opere ai cantati, essendo stato assunto,
su proposta di Busoni stesso, dallo Stadttheater di Zurigo. In breve tempo
divenne, nonostante la differenza detà, una sorta di alter ego
del maestro, sostituendo in questo ruolo il pianista Egon Petri, con il
quale i rapporti si erano da qualche tempo raffreddati. Busoni fu subito
colpito dalla sua intelligenza e dalla facilità con cui si
destreggiava nei meandri delle sue composizioni. Significativo, a questo
proposito, ciò che Busoni scrisse su di lui a Vianna Da Motta:
"Spesso <Jarnach> spiega a me i miei lavori." |
Sul piano delle relazioni umane il periodo degli "aufregende
Zürcherjahre" fu per Busoni di tale ricchezza (sia culturale sia
umana) da influire positivamente non solo sulla sua stabilità
psichica, spesso minacciata dalle depressioni, non solo sul suo percorso
artistico, inesorabilmente lineare, ma anche sugli ultimi quattro, intensi
anni di vita nei fermenti artistici, culturali, sociali e politici della
Repubblica di Weimar. Inoltre lesilio, da prigione qual era in
principio, col tempo, dopo la fine della guerra, divenne una vetta da cui
gli era dato osservare il mondo circostante con perspicacia ancor
più folgorante rispetto allanteguerra. Molte lettere scritte a
partire dal 1919 confermano che Busoni fu uno dei più acuti e lucidi
testimoni del suo tempo. |
Nei confronti della Svizzera e degli Svizzeri Busoni fu spesso
polemico e ironico, ma seppe infine riconoscere con la consueta
lucidità e onestà intellettuale il ruolo che le istituzioni
politiche, economiche e musicali, e la gente di questa nazione ebbero sulla
sua attività di musicista in senso lato. Nel giugno del 1920, da
Londra, scrisse infatti a Volkmar Andreae: |
Mi accorgo che gli anni trascorsi a Zurigo non sono rimasti senza
influenza per me, all'estero; la mia posizione nel mondo musicale si
è notevolmente elevata, senza intervento da parte mia; allo stesso
modo come un'opera matura dentro di noi, senza che ci si pensi
consapevolmente. ? Tanto più sono grato al Suo paese per la
tranquilla attività che mi ha consentito di svolgere. Ma ora anche
questo capitolo è chiuso e bisogna prender congedo, con fermezza e
malinconia. Perciò il mio ritorno in luglio <aZurigo>
avrà lo scopo di fare tutti i passi a ciò necessari. La
separazione non sarà facile. Ma il mio senso della forma mi dice che
la durata di questo pezzo non deve essere protratta oltre il limite
dovuto. |
Busoni lasciò lappartamento in Scheuchzerstrasse 36
allinizio di settembre del 20, col titolo di dottore honoris
causa conferitogli dalla Facoltà di Filosofia
dellUniversità di Zurigo un anno prima. Il ponte artistico tra
la città del rifugio e Berlino, solidissimo come quello tra Berlino
e lAmerica e tra lAmerica e la Svizzera, fu uno dei suoi
vertici musicali: la Toccata per pianoforte, intimamente legata al Doktor
Faust, che si può ben considerare il ponte artistico principale che
collega il "prangendes Berlin" [la splendente Berlino] del
14 con il finsteres Berlin [la tetra Berlino ] del
20. |
Il 1º ottobre del 1920 dal suo appartamento berlinese in
Viktoria-Luise-Platz 11, Ferruccio Busoni scrisse ad Albert Biolley, a
proposito del recente trasloco: |
Ogni cambiamento, anche il più agognato, racchiude una sua
malinconia, poiché ciò che lasciamo è una parte di noi
stessi. Bisogna in un certo senso morire per entrare in una vita
nuova. E questa volta quante cose ho dovuto lasciare... Quanti
piacevoli ricordi di Zurigo io serbo... |
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