L'ETERNO POTERE di MEDUSA
Repubblica — 15 settembre 2009

Qualche mese prima di morire, W. H. Auden scrisse (sorridendo) che le Metamorfosi di Ovidio sarebbe stato il libro del XXI secolo. Qualche anno dopo, nelle Lezioni americane, Italo Calvino scrisse quasi la stessa cosa. l'intelligenza sovrana: il dono della metamorfosi: la sapienza costruttiva: la parodia che si prende gioco di sé stessa: la violazione della continuità narrativa: la leggerezza più leggera dell' aria: il mostruoso gonfiore barocco: l'elusione: la cancellazione della figura dell' autore: l'enigma: la grazia - erano qualità che dovevano affascinare sia Auden sia Calvino. Come per rendere omaggio ai loro spiriti lievi, alcune case editrici italiane ed inglesi stanno pubblicando una vasta edizione commentata delle Metamorfosi. Il direttore dell'impresa è Alessandro Barchiesi, il più intelligente latinista italiano: il testo critico è stato curato da Richard Tarrant per la Oxford University Press, e discusso da molti studiosi: le introduzioni all' edizione italiana sono di Alessandro Barchiesi e di Charles Segal, il più colto tra i classicisti americani: il commento è curato da due studiosi italiani, A. Barchiesie G. Rosati,e tre di lingua inglese, E. J. Kenney, J. D. Reed, P. Hardie (e pubblicato dalla Fondazione Valla-Mondadori e dalla Cambridge University Press). La traduzione italiana di Ovidio è di Ludovica Koch, l'autrice della meravigliosa versione del Beowulf, e di Gioachino Chiarini, che ne ha ripreso felicemente il tono. In questi giorni esce il terzo volume dell'edizione italiana (Fondazione Valla-Mondatori, pagg. XXXVIII-359, euro 30, a cura di Giampietro Rosati e di Gioachino Chiarini). Non sarei mai capace di scrivere un articolo su Ovidio; e mi limiterò a commentare come posso un lungo episodio, quello di Perseo, che occupa metà del volume secondo e del volume terzo. Come Mercurio, Perseo è una figura che vola. Porta ai piedi i calzari alati, le alae, che forse gli ha donato Mercurio, e non sta mai fermo. Ovidio contempla il suo volo, come se fosse il cuore del libro: "fende l'aria sottile sulle ali fruscianti", "vola trionfante", "vola velocemente nel vuoto", "prende il volo ad ali tese" o con le "ali veloci". Se Mercurio è legato all' Olimpo, egli non ha un centro, e contempla dall' alto l'intero universo: ha visto tre volte le Orse ghiacciate, tre volte le branchie del Cancro, le stelle vibranti, le montagne nevose, gli oceani, i due Poli, l'Asia, l'Europa, l'Africa. Nessuno degli eroi ha uno sguardo così vasto. Di fronte a Mercurio, signore della notte, dei venti e delle acque, che vediamo volare imperterrito sino all' isola di Calipso, Perseo ha tre debolezze. Teme i regni della notte: non domina i venti, ma si lascia trascinare da loro, che lo spingono di qua e di là, come una nuvola gonfia di pioggia; e, mentre i sandali alati di Mercurio sono d' oro, e quindi intangibili, i sandali di Perseo possono bagnarsi, inumidirsi, diventare pesanti, farlo scendere verso le acque o l'abisso. È una creatura fragile e delicata, che affronta le prove più ardue, e non di rado Ovidio - il distante, impassibile Ovidio - sembra compatire il suo bellissimo eroe che vola senza conoscere, e rischia ogni istante di diventare vittima delle cose. La madre, Danae "dalle belle caviglie", come dice Omero, era stata rinchiusa dal nonno, Acrisio, in una spessa prigione dai muri di pietra o in una camera di bronzo: un oracolo gli aveva predetto che il figlio di sua figlia l'avrebbe ucciso. Ma, come accade sempre nei miti, ogni precauzione di Acrisio era stata vana. Dall'alto dell' Olimpo, Zeus aveva visto, attraverso le pietre ed il bronzo, Danae "dalle belle caviglie"; e per la prima e credo l'ultima volta nella sua vita, si innamorò di una donna invisibile. Si trasformò in oro, o per meglio dire, in oro spermatico; e colò, come "una pioggia spontanea", nel grembo di Danae, che rimase incinta di Perseo. Questa storia non è stata raccontata da Ovidio, e da nessun grande poeta classico che conosciamo: ci è pervenuta attraverso qualche allusione e i pallidi testi dei mitografi antichi. Immaginiamo quale racconto meraviglioso Ovidio avrebbe tratto da quella prigione di bronzo, dallo sguardo di Zeus, dalla pioggia d' oro che cala dal cielo, passa attraverso i muri e infine feconda Danae: storia che sembra fatta apposta per lui. Eppure non la scrisse. Come credo, volle evitare la scena fondamentale, il racconto rettilineo, la presa diretta, preferendo i cenni, le allusioni, i riflessi, lo scorcio - l'arte in cui era Maestro. Quando fu adulto, Perseo si mosse, con le sue velocissime, fragilissime ali, verso l'estremo Occidente, sui confini della Notte, nei regni del Freddo, dove abitavano i mostri arcaici, di cui parla Esiodo nella Teogonia. Perseo non amava la Notte. Incontrò l'orrore della antichissima Tenebra: le Gorgoni, tra le quali Medusa, la sola mortale fra loro. Medusa aveva la testa variegata di serpi, zanne di cinghiale, mani di bronzo, e ali d' oro. Possedeva, sopratutto, la forza dello sguardo: chiunque guardasse e chiunque la guardasse, veniva immediatamente pietrificato. Così l'antico caos, annidato nelle caverne, annullava la vita che aveva osato nascere, fiorire e splendere fuori dai confini della Notte. La Tenebra riprendeva ciò che aveva perduto, diffondendo il Terrore. Il delicato Perseo uccise la Medusa nel modo più accorto, che ricorda insieme le arti di Minerva e di Ulisse. Non poteva uccidere la Medusa guardandola negli occhi: sarebbe stato pietrificato, rimanendo lì sino alla fine dei tempi. Allora si dispose di lato: lasciò che gli sguardi di Medusa si riflettessero nel suo lucido scudo di bronzo:e con un colpo, mentre la guardava nello specchio, le recise la testa dagli occhi terribili. Conforme alle sue abitudini, Ovidio non raccomanda morali. Ma il gesto di Perseo è, in modo evidente, il suo gesto simbolico di artista: non rappresentare mai la realtà di fronte, sguardo contro sguardo, ma di riflesso, cogliendola in uno specchio, o in un luccichio o in un barlume, che ci trasmette la sua visione indiretta. Con quel colpo di spada, Perseo diventò Signore del Terrore: mentre Ovidio ci confida il nome molto più ambiguo , di cui poteva fregiarsi: il Maestro dei riflessi. A partire da quel momento, Perseo usò la testa di Medusa, di cui era venuto in possesso, come una specie di gioco. Pietrificare gli piaceva moltissimo. Trasformò il gigante Atlante in montagna: la barba e i capelli diventarono boschi, le spalle e le braccia creste alpine, il capo la vetta del monte Atlante coperto di neve; mentre le gocce della testa di Medusa si trasformarono in una folla di rettili, quando attraversò in volo il deserto di Libia. Forse Perseo ignorava che Ovidio aveva completamente trasformato il capo di Medusa. Non era più rigida e inflessibile, come nei tempi antichissimi (così, almeno, immaginiamo): ma molle, cedevole, feribile. Bastava che le erbe e i rametti marini lo sfiorassero, per venire trasformati in coralli. Così, Perseo usò la testa di Medusa sui volti degli uomini. Se qualcuno stava parlando, lui muoveva Medusa, ed ecco il corpo dell' uomo irrigidirsi, la bocca muoversi a fatica, la voce smorzarsi e infine spegnersi. Quando incontrò un gruppo di guardie nemiche, le cambiò in statue, che avrebbero potuto riempire una galleria monumentale. La vecchia arte della pietrificazione era mutata; adesso era un modo per trasformare tutta la realtà vivente in opera d'arte. Non posso raccontare tutti i passaggi di questa bellissima storia. Ricordo soltanto l'episodio centrale: la liberazione di Andromeda. La ragazza era legata piangente alle rocce sul mare. Intorno a lei battevano le ali gli alcioni (aggiunge Manilio), lacrimando la sua sorte; e persino l'aria faceva echeggiare di pianto gli scogli. Una belva stava per divorare Andromeda. Quando la vide, Perseo si innamorò della ragazza prigioniera: stordito dalla sua bellezza e dalle lacrime che le scorrevano calme lungo il corpo. All'improvviso si alzò in volo, batté i calzari alati, scese sopra la Belva, le piantò la spada nella spalla, le sfuggì veloce, assestò i suoi colpi in tutte le parti del corpo immane, e la uccise. Ma Perseo non aveva nulla in comune con Eracle, che combatteva contro i mostri delle origini. Tutto era soltanto uno spettacolo teatrale: Perseo, Andromeda, la Belva, ne erano i personaggi: il mare e le rocce sul mare, una bellissima scenografia costruita da Ovidio; e, intorno, c'erano gli spettatori celesti ed umani, che applaudivano la vittoria di Perseo, come sarebbe accaduto in un anfiteatro di Roma e, presto, nel Colosseo. Alla fine, Perseo consegnò ad Atena la testa recisa di Medusa. La dea la trasformò nella propria insegna e la portò scolpita nel cuore dello scudo, provocando lo stesso Terrore delle figure dell'antica Notte. Il cerchio si chiude. Il potere di pietrificare e di terrorizzare che possedeva il caos primigenio, passa al mondo olimpico, al nostro mondo. Signora del terrore, Atena diffonde terrore. Il mondo moderno rivela di possedere le stesse qualità del mondo arcaico: pietrificare, terrorizzare. Solo che la nostra Medusa ha un volto morbido, delicato, come una fioritura di coralli, e la morte che essa diffonde tra noi è infinitamente più variegata e complicata di quella dell' antichissima Notte.